L’evoluzione della stratificazione del rischio cardiovascolare

Andrea Matteucci1, Stefania Angela Di Fusco1, Alessandro Aiello1, Silvio Fedele2, Stefano Aquilani1, Federico Nardi3, Furio Colivicchi1

1U.O.C. Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri - ASL Roma 1, Roma

2Unità di Cardiologia, Ospedale Sandro Pertini, Roma

3Dipartimento di Cardiologia, Ospedale Santo Spirito, Casale Monferrato (AL)

Cardiovascular risk stratification represents a cornerstone in preventing and managing atherosclerotic diseases. There has been a profound transformation in risk assessment models in recent years, shifting from static and uniform approaches to dynamic, integrated, and increasingly personalized paradigms. The SCORE2, SCORE2-OP, SCORE2-Diabetes and SMART2 tools allow for a more accurate and context-specific estimation of absolute cardiovascular risk by incorporating clinical and demographic variables such as age, comorbidities, metabolic profile, and geographic context. In parallel, the use of advanced non-invasive imaging techniques, parameters such as coronary artery calcium scoring and carotid intima-media thickness, as well as biomarkers, has enabled the early identification of apparently healthy individuals who are at hidden risk. This shift also challenges the traditional dichotomy of primary and secondary prevention, favoring a more continuous and nuanced concept of risk stratification. The integration of clinical, instrumental, and biological data now allows for more refined and timely risk assessment, paving the way for earlier, more targeted, and intensive preventive strategies aimed at reducing the incidence of cardiovascular events and significantly improving long-term outcomes.

Key words. Cardiovascular prevention; Cardiovascular risk stratification; Combination therapy; High and very high risk; Non-invasive diagnostic imaging techniques.

L’IMPORTANZA DELLA STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Le malattie cardiovascolari su base aterosclerotica rappresentano ancora oggi la principale causa di morte nel mondo, con un impatto sia sulla salute pubblica sia sul carico economico-sociale. Storicamente, la prevenzione cardiovascolare si è focalizzata sul trattamento di soggetti con malattia aterosclerotica conclamata, mentre nei pazienti apparentemente asintomatici venivano adottate solo raccomandazioni generiche (prevenzione secondaria vs primaria)1.

Con il termine “prevenzione primaria” si fa riferimento all’insieme di misure volte a prevenire l’insorgenza della malattia cardiovascolare aterosclerotica in soggetti che non presentano ancora manifestazioni cliniche di malattia. In questa fase, l’obiettivo è impedire l’inizio dell’aterosclerosi attraverso il controllo dei fattori di rischio modificabili e il cambiamento dello stile di vita. Al contrario, la “prevenzione secondaria” riguarda i pazienti con malattia cardiovascolare clinicamente accertata, inclusi quelli che hanno già manifestato eventi cardiovascolari quali infarto del miocardio, ictus o che hanno subito interventi di rivascolarizzazione. L’obiettivo, in questo caso, diventa prevenire la progressione della malattia e la comparsa di nuovi eventi, riducendo il rischio di recidive e migliorando la prognosi a lungo termine (Graphical Abstract). Tuttavia, le evidenze cliniche hanno dimostrato che non tutti i soggetti apparentemente sani presentano lo stesso rischio, e che l’età, la presenza e il controllo dei fattori di rischio modificabili, così come alcune condizioni cliniche concomitanti, influenzano profondamente la probabilità di eventi cardiovascolari2.




STRATIFICARE IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE IN PREVENZIONE PRIMARIA

La base della prevenzione cardiovascolare è rappresentata dall’identificazione e dalla gestione dei fattori di rischio modificabili. Tra questi, le lipoproteine plasmatiche contenenti apolipoproteina B, in particolare le lipoproteine a bassa densità (LDL), rappresentano il principale determinante di rischio nello sviluppo dell’aterosclerosi3. La riduzione dei livelli di LDL, indipendentemente dal tipo di trattamento utilizzato, comporta una diminuzione proporzionale del rischio cardiovascolare, con un beneficio particolarmente rilevante nei pazienti ad alto rischio. Le più recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia4-6 hanno introdotto e progressivamente affinato strumenti predittivi capaci di quantificare il rischio di eventi cardiovascolari fatali e non fatali in soggetti apparentemente sani (Tabella 1).




Il modello SCORE2, aggiornamento dell’algoritmo SCORE originale, stima il rischio di infarto miocardico e ictus in soggetti di età compresa tra 40 e 69 anni, tenendo conto di fattori tradizionali come sesso, età, fumo, pressione arteriosa sistolica e colesterolo non legato alle lipoproteine ad alta densità7. Una novità sostanziale è l’adattamento dei modelli ai tassi contemporanei di mortalità cardiovascolare nei diversi paesi europei, con calibrazione a quattro cluster geografici (rischio basso, moderato, alto e molto alto), migliorando l’accuratezza nella valutazione del carico complessivo di malattia. Tuttavia, la stratificazione del rischio non è uniforme per tutte le fasce di età. Nei soggetti di età ≥70 anni, l’utilizzo di SCORE2-Older Persons (SCORE2-OP) consente di incorporare elementi aggiuntivi come la fragilità, la polifarmacoterapia e l’aspettativa di vita residua. In questa popolazione infatti, la competizione con la mortalità non cardiovascolare riduce l’accuratezza dei modelli tradizionali e lo SCORE2-OP affronta questo limite introducendo correzioni che evitano la sovrastima del rischio. Nonostante ciò, rimane il grande limite di inquadramento nelle aree ad alto rischio cardiovascolare dei soggetti di età ≥70 anni, i quali tendono ad essere automaticamente classificati come a rischio molto elevato. Nei pazienti diabetici si è deciso di implementare lo SCORE2 con parametri più specifici per il paziente diabetico quali l’emoglobina glicata (HbA1c), l’età alla diagnosi e il filtrato glomerulare stimato, il che ha portato all’utilizzo dello SCORE2-Diabetes8,9, rivolto a soggetti di età tra 40 e 69 anni affetti da diabete di tipo 2 senza malattia cardiovascolare aterosclerotica o danno d’organo severo. La principale limitazione di questo score è la sottostima del rischio nei soggetti diabetici ad apparente basso rischio, con il rischio concreto di inadeguata intensità terapeutica.

I modelli predittivi a 10 anni condividono tutti il limite intrinseco legato all’età, specie nei soggetti più giovani, di accuratezza delle previsioni. Pertanto, sono stati sviluppati anche modelli a lungo termine come il PREVENT10, introdotto dall’American Heart Association, il quale stima il rischio a 10 e 30 anni includendo variabili metaboliche, renali e sociali, e consente l’integrazione opzionale di biomarcatori (albuminuria, HbA1c). Questo approccio più esteso permette di evidenziare il rischio cumulativo in soggetti altrimenti classificati come a basso rischio a breve termine, incentivando l’adozione precoce e proattiva di misure preventive.

In Italia, il Ministero della Salute ha recentemente aggiornato il documento di valutazione del rischio cardiovascolare individuale, in cui vengono esaminati i calcolatori disponibili e gli strumenti più utilizzabili e che meglio si adattano nel nostro Paese alla nostra popolazione11.

STRATIFICARE IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE IN PREVENZIONE SECONDARIA

I pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica accertata sono da considerarsi ad alto rischio, con una probabilità aumentata di incorrere in eventi cardiovascolari ricorrenti nel decennio successivo, secondo le evidenze in letteratura1,4. È importante sottolineare che questo rischio non è uniforme tra tutti i soggetti: può variare a seconda delle caratteristiche cliniche individuali. In prevenzione secondaria ricorre quindi il concetto di rischio cardiovascolare residuo, che si riferisce alla quota di rischio che persiste nonostante il trattamento ottimale dei principali fattori di rischio modificabili, come l’ipercolesterolemia (in particolare i livelli di colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità [C-LDL]), l’ipertensione arteriosa e il controllo glicemico nei pazienti diabetici. I modelli attualmente disponibili per la valutazione del rischio cardiovascolare in prevenzione secondaria sono lo SMART2 e l’EUROASPIRE. Il modello SMART (Secondary Manifestations of Arterial Disease) si distingue per la sua capacità di stimare il rischio a 10 anni di eventi cardiovascolari maggiori ricorrenti, tra cui infarto miocardico, ictus ischemico e morte cardiovascolare, in pazienti con pregressa malattia aterosclerotica12. Questo modello include un’ampia gamma di variabili, tra cui età, sesso, abitudine al fumo, diabete mellito, pressione arteriosa, profilo lipidico, funzionalità renale (valutata attraverso la creatinina sierica), presenza di infiammazione sistemica (attraverso la proteina C-reattiva ad alta sensibilità) e tipo di patologia cardiovascolare pregressa (malattia coronarica, cerebrovascolare o vasculopatia periferica). Per migliorarne l’applicabilità a livello internazionale, è stata proposta una versione aggiornata e ricalibrata del modello (SMART2), che incorpora i tassi di incidenza regionali e ha dimostrato una buona capacità predittiva in contesti geografici europei ed extra-europei.

Il modello EUROASPIRE è stato invece sviluppato per stimare il rischio a 2 anni di recidive cardiovascolari nei pazienti con cardiopatia ischemica stabile, enfatizzando l’importanza delle comorbilità nella determinazione del rischio. Tra i fattori predittivi principali vi sono la presenza di diabete mellito, insufficienza renale cronica, dislipidemia non controllata, ma anche condizioni psicosociali come depressione e ansia, che influenzano in modo sostanziale l’aderenza terapeutica e la prognosi a lungo termine13.

La stratificazione del rischio consente di classificare i pazienti in categorie di rischio basso, moderato, alto e molto alto, definendo così la necessità e l’intensità dell’intervento preventivo. Nei pazienti con malattia cardiovascolare accertata, la categoria di rischio è sempre elevata o molto elevata, il che richiede strategie di controllo rigoroso dei fattori di rischio e l’uso intensivo di diversi farmaci o terapie combinate al fine di ottenere una riduzione del rischio di nuovi eventi mantenendo l’aderenza del paziente alla terapia.

Pertanto, la prevenzione si fonda oggi su un paradigma che va oltre il singolo fattore di rischio e lascia spazio alla valutazione integrata del rischio assoluto, tenendo conto della coesistenza e interazione di plurimi fattori implicati nelle malattie cardiovascolari nel determinare il profilo prognostico del paziente. Tuttavia, l’identificazione sistematica di tali fattori di rischio e la loro gestione efficace nella pratica clinica rimangono una sfida. Molti pazienti ad alto rischio non vengono adeguatamente riconosciuti e spesso non ricevono un trattamento ottimale, nonostante l’esistenza di raccomandazioni ben codificate nelle linee guida nazionali e internazionali. Le evidenze scientifiche a sostegno di interventi su stili di vita e sul controllo farmacologico dei fattori intermedi sono consolidate, ma il gap tra raccomandazioni e pratica resta ampio.

IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE IN PRESENZA DI ATEROSCLEROSI SUBCLINICA

Anche in assenza di malattia aterosclerotica sintomatica è importante un’adeguata stima del rischio cardiovascolare. In effetti, un paziente ad alto rischio potrebbe avere già un processo aterogeno avviato seppur a stadi non ancora identificabili con le comuni indagini diagnostiche. L’aterosclerosi subclinica rappresenta una condizione in cui le lesioni aterosclerotiche si sviluppano in assenza di sintomi ischemici evidenti quali angina, infarto miocardico o ictus. Si tratta di un processo patologico precoce, caratterizzato da alterazioni strutturali delle pareti vascolari, come l’ispessimento medio-intimale e la formazione di placche non stenotiche o stenosi <50%, che tuttavia predispongono al rischio di eventi cardiovascolari futuri14,15. La difficoltà di identificare l’aterosclerosi subclinica risiede nella natura asintomatica della malattia, che spesso non si manifesta fino alla comparsa di complicanze ischemiche acute.

L’uso di tecniche di imaging non invasive, come l’ecografia delle carotidi con misurazione dello spessore medio-intimale, la tomografia computerizzata coronarica con quantificazione del calcio coronarico (CAC score) e la risonanza magnetica, ha rivoluzionato la possibilità di diagnosticare questa condizione in soggetti asintomatici e apparentemente a basso rischio16,17 (Figura 1).




Studi clinici hanno dimostrato che l’aterosclerosi subclinica è altamente prevalente nella popolazione generale, interessando fino al 63% dei soggetti di età tra 40 e 54 anni, con una significativa porzione di questi che presenta estensione intermedia o generalizzata della malattia18. L’importanza clinica dell’aterosclerosi subclinica risiede nella sua capacità di predire eventi cardiovascolari maggiori in modo indipendente e con un valore aggiunto rispetto ai tradizionali sistemi di stratificazione del rischio16. Infatti, la valutazione dei marker di aterosclerosi subclinica, come un CAC score elevato o un aumento significativo dello spessore medio-intimale carotideo, consente di identificare pazienti che, pur classificati a basso o medio rischio con i metodi tradizionali, presentano un rischio cardiovascolare superiore a quanto stimato, giustificando così interventi preventivi più intensivi.

GESTIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE NELL’ATEROSCLEROSI SUBCLINICA

La gestione del rischio cardiovascolare nei pazienti con aterosclerosi subclinica richiede un approccio integrato che combini modifiche dello stile di vita, ottimizzazione della terapia farmacologica e monitoraggio clinico e con imaging periodico. Le evidenze attuali sottolineano come la diagnosi precoce dell’aterosclerosi subclinica rappresenti un’opportunità per implementare strategie di prevenzione primaria mirate, in grado di modificare il decorso della malattia e ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori.

Un cardine della gestione farmacologica dell’aterosclerosi è rappresentato dall’uso delle statine ad alta potenza, che si sono dimostrate efficaci nel rallentare la progressione dell’ispessimento medio-intimale carotideo e nel ridurre la morbilità e mortalità cardiovascolare, anche in popolazioni a basso rischio iniziale. I dati provenienti dai trial confermano la capacità delle statine di stabilizzare e in alcuni casi di indurre la regressione dell’aterosclerosi subclinica, in particolare in pazienti con elevati livelli di LDL e in quelli con un CAC score ≥30019,20.

Accanto al trattamento ipolipemizzante, un altro potenziale elemento nella gestione del rischio nei pazienti con aterosclerosi subclinica è l’uso di acido acetilsalicilico (ASA) a basse dosi. L’ASA, attraverso la sua azione antiaggregante piastrinica, contribuisce alla prevenzione degli eventi ischemici, specialmente in presenza di placche aterosclerotiche che possono favorire la formazione di trombi e l’instaurarsi di occlusioni vascolari21.

È pertanto indispensabile una stratificazione accurata del rischio, integrando i tradizionali fattori di rischio con dati di imaging per definire l’estensione e la gravità della malattia aterosclerotica subclinica. Pazienti con un CAC score elevato o con estensione multipla di placche in diversi distretti vascolari devono essere considerati candidati privilegiati per una terapia combinata personalizzata, che preveda la somministrazione di statine ad alta intensità, aspirina a basso dosaggio e un controllo rigoroso degli altri fattori di rischio modificabili22,23.

CONCLUSIONI

La stratificazione del rischio cardiovascolare rappresenta oggi un pilastro imprescindibile nella prevenzione sia primaria che secondaria delle malattie aterosclerotiche. L’approccio moderno supera la semplice identificazione dei singoli fattori di rischio, favorendo una visione integrata e dinamica del profilo cardiovascolare del paziente. I modelli predittivi attuali, come lo SCORE2, SCORE2-OP, SCORE2-Diabetes e SMART2, consentono una valutazione accurata del rischio assoluto, adattata all’età, alla presenza di comorbilità e al contesto geografico, migliorando la personalizzazione delle strategie preventive. La diagnosi precoce dell’aterosclerosi subclinica deve essere considerata un momento cruciale per intervenire con misure di prevenzione primaria efficaci e personalizzate. L’impiego di tecniche di imaging non invasive ha aperto nuove prospettive nella diagnosi precoce, permettendo di individuare soggetti a rischio elevato anche in assenza di sintomi clinici, offrendo così la possibilità di interventi preventivi mirati e più tempestivi24. In particolare, il trattamento farmacologico con statine ad alta potenza si è dimostrato in grado di rallentare o arrestare la progressione della malattia. Inoltre, sebbene il ruolo dell’ASA nella prevenzione primaria sia oggetto di dibattito, la sua associazione con statine e altri farmaci antipertensivi può essere efficace nella riduzione del rischio complessivo quando il paziente presenta aterosclerosi subclinica documentata e un rischio stimato intermedio o elevato25.

La sfida nei prossimi anni sarà rappresentata dalla diffusione di protocolli diagnostici e terapeutici standardizzati che possano definire le migliori modalità di applicazione delle evidenze a nostra disposizione nella pratica clinica quotidiana.

RIASSUNTO

La stratificazione del rischio cardiovascolare rappresenta un elemento cardine nella prevenzione e nella gestione delle malattie aterosclerotiche. Negli ultimi anni, si è assistito a una profonda trasformazione dei modelli di valutazione del rischio, con il superamento di approcci statici e uniformi a favore di paradigmi dinamici, integrati e sempre più personalizzati. Strumenti come lo SCORE2, SCORE2-OP, SCORE2-Diabetes e SMART2 consentono oggi una stima più accurata e contestualizzata del rischio assoluto di eventi cardiovascolari, tenendo conto di variabili cliniche e demografiche come età, comorbilità, profilo metabolico e contesto geografico. In parallelo, l’uso di tecniche diagnostiche di imaging non invasivo, parametri quali il calcium score e lo spessore medio-intimale carotideo, e dei biomarcatori ha reso possibile l’identificazione precoce di soggetti a rischio apparentemente sani. Questo cambiamento passa anche dalla tradizionale categorizzazione della prevenzione in primaria e secondaria, in favore di una concezione più continua e sfumata della stratificazione del rischio. L’integrazione tra dati clinici e strumentali permette oggi una valutazione più fine e tempestiva del rischio, aprendo la strada a interventi preventivi più mirati, intensivi e precoci, volti a ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari e a migliorare in modo significativo la prognosi a lungo termine.

Parole chiave. Diagnostica non invasiva; Prevenzione cardiovascolare; Rischio alto e molto alto; Stratificazione del rischio cardiovascolare; Terapie combinate.

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