I registri di popolazione MONICA italiani hanno mostrato che nelle donne i tassi di occorrenza e di incidenza degli eventi coronarici, considerati anche i meno gravi, sono in aumento e che la riduzione complessiva della mortalità coronarica è prevalentemente a carico della ridotta letalità e del ridotto attack rate per l’infarto miocardico.
L’associazione positiva osservata tra i maggiori fattori di rischio e la mortalità, e tra le loro modificazioni temporali e l’incidenza di cardiopatia ischemica, giustificano programmi di intervento multifattoriale con la definizione di carte del rischio globale per soggetti asintomatici di entrambi i sessi.
Lo sviluppo della malattia cardiovascolare è condizionato dalla diversa espressione giocata dai fattori di rischio nelle donne e dalla loro specificità evidente nelle complesse interazioni con gli ormoni femminili. L’eccesso di rischio prodotto dal fumo è da 2 a 4 volte maggiore rispetto a quanto osservato negli uomini, con una netta relazione dose-risposta, anche se la funzione di rischio inizia a ridursi subito dopo la sospensione. È stato dimostrato che la forte associazione tra ipertensione arteriosa, mortalità precoce e insorgenza di coronaropatia è maggiore che nel sesso maschile e non esiste un valore soglia al di sotto del quale il rischio scompare. L’elevata influenza che gli stili comportamentali rivestono sullo sviluppo di ipertensione raccomandano interventi mirati sulla dieta, sul controllo del peso e sull’incremento dell’attività fisica. La dieta, in particolare, modifica la “penetranza” dei fattori di rischio nel sesso femminile, cosicché un elevato consumo di alimenti ricchi di acidi grassi saturi e scarso, invece, in frutta, verdura e cereali è causa non solo di un alterato profilo lipidico, ma di aumentato rischio coronarico. Un elevato rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL e la presenza di lipoproteina(a) si sono dimostrati importanti fattori di rischio per eventi coronarici, viceversa il valore di HDL considerato protettivo nella donna è > 45 mg/dl.
Peraltro, i dati sull’efficacia preventiva degli interventi di modificazione del profilo lipidico nelle donne ipercolesterolemiche sono ancora limitati e non univoci. Il trattamento farmacologico, rivolto alla riduzione del colesterolo LDL, è raccomandato dalle linee guida nei casi di ipercolesterolemia familiare e genetica e nelle donne in postmenopausa con fattori di rischio plurimi, oltre che nelle donne con pregressa coronaropatia in cui i benefici della terapia farmacologica sono risultati anche maggiori di quelli a carico degli uomini di pari condizioni cliniche. Il diabete è associato ad aumento del rischio per mortalità coronarica da 3 a 7 volte, contro un rischio di 2-3 volte maggiore osservato negli uomini diabetici. È certo che il diabete esalta l’azione degli altri fattori di rischio ed altera l’effetto protettivo esercitato dagli estrogeni. Tuttavia, manca fino ad ora l’evidenza che il controllo dei valori glicemici riduca il rischio coronarico e neppure è noto il valore glicemico soglia in grado di predire la mortalità nelle donne diabetiche. Pertanto, le raccomandazioni in questo tipo di popolazione sono rivolte a uno stretto controllo degli altri fattori di rischio con l’obiettivo di una loro drastica ed intensiva riduzione.
L’obesità comporta sfavorevoli modificazioni metaboliche che aumentano il rischio cardiovascolare in entrambi i sessi, ma, mentre numerosi dati, se non tutti, negano un valore predittivo indipendente all’obesità, è stato dimostrato che quella di tipo centrale costituisce un rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari. Le linee guida suggeriscono che mantenere un indice di massa corporea < 24.9 kg/m2 e un valore di circonferenza-vita < 80 cm riduce anche la probabilità di sviluppare in postmenopausa la sindrome da insulino- resistenza. Lo stile di vita sedentario è stato documentato associarsi, negli uomini prevalentemente, a maggiore rischio di morte cardiovascolare e da tutte le cause ed in seguito ad alcuni recenti dati osservazionali è presumibile un rischio di mortalità ridotto del 25- 30% nelle donne fisicamente attive. Le raccomandazioni vertono sulla pratica di almeno 30 min al giorno di esercizio dinamico aerobico moderatamente intenso, compresa una passeggiata sostenuta.
I mutamenti nei fattori di rischio associati all’età ed espressi in un aumento del rischio coronarico, più che la riduzione nella concentrazione degli estrogeni endogeni, spiegano l’incremento dell’incidenza di eventi e di mortalità dopo la menopausa. Nonostante sia stato confermato l’effetto determinante che il fisiologico deficit estrogenico esercita sul colesterolo LDL e HDL, sulla proliferazione delle cellule muscolari lisce dei vasi arteriosi e sulla secrezione insulinica; nonostante la riduzione del rischio osservata in numerosi studi osservazionali, alterati però in parte da bias, dopo i risultati dello studio HERS, anch’esso affetto da limiti metodologici, la prescrizione di estrogeni su larga scala, alla luce delle considerazioni rischio-beneficio, non è ancora supportata da un’evidenza clinica sufficiente neppure in prevenzione secondaria né sono ancora del tutto risolti i problemi di dosaggio e via di somministrazione. La scelta terapeutica al momento, e in attesa dei risultati dei trial randomizzati in corso, deve essere individualizzata, riservando la somministrazione ormonale, e la sua durata nel tempo, alla decisione combinata del cardiologo e del ginecologo che dovranno privilegiare i casi di menopausa prematura, sintomatologia importante e osteoporosi e la prevenzione della patologia mal tollerata collaterale al climaterio. Le donne in postmenopausa con ipercolesterolemia e altri due o più fattori di rischio coronarico, compresa la sola ipercolesterolemia primaria e l’anamnesi di cardiopatia familiare precoce, devono aderire a stili comportamentali corretti ed iniziare una terapia farmacologica ipolipemizzante giovandosi del trattamento ormonale sostitutivo in un’eventuale valutazione clinica successiva. Il cardiologo, da parte sua, deve ricordare che un’efficace strategia preventiva non può prescindere, con sempre maggior conoscenza e consapevolezza delle differenze di genere, da un approccio integrato multifattoriale.