Le terapie farmacologiche antineurormonali testate con successo nei trial randomizzati e controllati degli ultimi due decenni – in un primo tempo gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-I), in seguito i betabloccanti (BB) e più di recente gli antagonisti recettoriali dell’aldosterone (ARA) e i bloccanti recettoriali dell’angiotensina II (ARB) – hanno contribuito significativamente a migliorare la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco (SC) cronico. Un ACE-I e un BB, usualmente in associazione a diuretico e spesso a digitale, continuano a rappresentare i capisaldi del trattamento dello SC; inoltre, la maggior parte dei pazienti in terapia con questi farmaci appare oggi suscettibile di ricevere in addizione anche un ARA e/o un ARB.
Tuttavia, se è vero che la disponibilità di un crescente numero di farmaci efficaci si associa alla possibilità di ottenere maggiori benefici clinici, è anche vero che tanto più le opzioni farmacologiche si fanno complesse tanto più esse appaiono destinate a generare controversie. Attualmente, l’argomento maggiormente dibattuto è quello riguardante i potenziali candidati alla tripla (ACE-I + BB + ARA o ARB) e alla quadrupla (ACEI + BB + ARA+ ARB) terapia. Le più recenti linee guida non forniscono indicazioni del tutto chiare su quale sia la versione della tripla terapia da preferire e se la quadrupla terapia possa o meno rivestire oggi un qualche ruolo nella gestione dello SC. L’adattamento di ogni strategia farmacologica – fondato sia sull’evidenza scientifica che sul buon senso clinico – allo specifico profilo del singolo paziente può essere di aiuto nell’evitare incertezze ed errori nella pratica medica quotidiana e nel consentire il migliore impiego possibile dei farmaci attualmente a disposizione per il trattamento dello SC.