Le applicazioni dell’intelligenza artificiale tolgono spazio all’ipotesi della creazione divina del mondo?

Luigi Tavazzi1, Roberto Ferrari2

1Maria Cecilia Hospital, GVM Care & Research, Cotignola (RA)

2Centro per la Prevenzione Cardiovascolare, Università degli Studi, Ferrara

PREMESSA

La comparsa e la diffusione istantanea nel mondo medico della teoria e della pratica dell’intelligenza artificiale (IA) ha colto molti medici sorpresi e qualcuno impreparato. Ci sono varie ragioni per questo, che si intersecano. Una è che, a differenza di altre aree del sapere ormai migrate da tempo al digitale, la medicina è stata colta dall’universalizzazione operativa dello strumento senza alcuna preparazione, di fatto a digiuno sia culturale che tecnologico, con una conseguente difficoltà operativa, che scontenta innanzitutto i pazienti e facilita la fuga dei medici dalla sanità pubblica, una via spesso senza ritorno. Il tutto in un contesto generale esposto a una crescente fragilità politico-sociale mondiale e particolarmente europea, rapidamente crescente, con numerose guerre armate in corso, distribuite in zone diverse del pianeta (Europa inclusa), con vari paesi che possiedono armi nucleari e le stanno pericolosamente potenziando. Un ulteriore problema generale, collegato, è l’instabilità del mondo economico-sociale legata a molti fattori, tra cui attualmente spicca la tecnologia e, più specificamente, il diluviale avvento dell’IA.

I BOT

L’IA è l’elemento centrale della rivoluzione sociale e scientifica in corso in qualunque area socialmente rilevante, in particolare nel mondo economico e in Sanità. L’orientamento iniziale, oltre un secolo fa, era rivolto allo studio della “intelligenza delle macchine”1-3, non genericamente di “intelligenza non umana”, che sarebbe stato un tema troppo vago in sanità.

Non casualmente nella stessa epoca (1956) John McCarthy organizzò un ormai mitico Congresso tenutosi a Dartmouth (USA) sull’IA definendola (per sempre): Far comportare le macchine in modi che sarebbero dichiarati intelligenti se un umano dovesse comportarsi allo stesso modo”. Era di fatto ciò che Turing intendeva, ed è rimasto nel tempo come test di Turing, consistente nella dimostrazione di indistinguibilità tra umano e bot nel risolvere dei quesiti test (o conversazioni) con successo4.

Nella seconda metà del ’900 la ricerca rallentò (il periodo è stato chiamato “inverno”). Sono stati studiati prevalentemente due problemi: la definizione di intelligenza e il percorso tecnico utilizzabile da parte della “macchina” per svolgere un compito richiesto (tipicamente risposte a domande). Nella Tabella 1 è riportato un frammento breve di un colloquio attuale (2024), tra i molti riportati in letteratura, anche culturalmente impegnativi.




Bot e IA vanno visti insieme perché nel contesto dell’IA l’uno giustifica e potenzia l’altro, vicendevolmente. I bot sono robot di IA “sviluppati” grosso modo negli ultimi 5 anni. L’aggettivo usato “artificiale, poco apprezzato da molti, di fatto non è caratterizzante. Dalla nascita noi importiamo nel corpo, alimentandoci, tutto il materiale biologico che lo costituirà, sistema nervoso incluso, e soprattutto il modello di elaborazione del pensiero che si comporrà nella mente del bambino utilizzando materiale biologico prodotto per interpretare e memorizzare ciò che arriva con linguaggi totalmente diversi, ma leggibili perché già resi interpretabili da recettori appositi che trasformano l’energia incidente in un segnale elettrico noto, come avviene per molti altri segnali nel resto della routine quotidiana. Quindi niente di artificiale, o quanto meno di diverso da una canzone o un radiogiornale5-10.

Per svolgere questo lavoro il bot porta in sé un nucleo operativo, costituito essenzialmente da due elementi strutturali. Primo: una rete elettromeccanica (chiamata “neurale”), configurata schematicamente come quelle del cervello umano. Nel caso del bot si tratta di una serie di strati sovrapposti di fili metallici conduttori, connessi tra loro, che costituiscono la cosiddetta rete, che ha un senso direzionale, cioè un ingresso e un’uscita. Durante il percorso ogni filo metallico viene caricato di un “peso” elettrico (un’informazione) che viene elaborata con innumerevoli passaggi nella rete e scaricata poi come impulso di uscita, che è un’informazione strutturata utilizzabile (odore, rumore, visione, dolore, ecc.) o un ordine (bacia, scappa, siediti, ecc.). Di fatto l’operazione è fulminea, prodotta in tempo reale. Secondo: una moltitudine eterogenea di dati proveniente da scritti pubblicati – prevalentemente da Internet, meno da libri o documenti specifici – come “piattaforma culturale” del bot. È l’intero “mondo esterno”11 recepibile dai bot, e quindi tutti i bot devono essere “culturalmente trattati”.

Ovviamente il contenuto culturale reso disponibile per i “pensieri” dei bot può condizionare le loro convinzioni e quindi la solidità delle loro risposte alle richieste ricevute o, più in generale, orientarli nelle loro considerazioni individuali. Il ChatGPT-3 (del quale è riportato in Tabella 1 un brano di conversazione) è stato trattato con circa 500 miliardi di parole provenienti dal web (410 miliardi), libri (67 miliardi) e Wikipedia (3 miliardi). Il bot era affittabile per 20 dollari al mese. Diede buona prova di sé sia nelle interazioni gestite dall’azienda produttrice che nei rapporti con il pubblico. In 5 giorni gli utenti del bot superarono il milione e in 2 mesi superarono i 100 milioni, battendo ogni record storico. Sei mesi dopo, i bot resi disponibili sul mercato americano da varie aziende con hardware e software originali erano già 64.

I BOT STUPISCONO IL MONDO

I bot IA hanno stupefatto il mondo, principalmente perché l’interazione con gli interlocutori umani era ormai molto lontana dalla elementarità più o meno meccanica dei robot preesistenti. Usavano e usano gesti o azioni preassegnate (i compiti) e lì si fermava il rapporto con l’utente. Al contrario oggi il bot conversa, legge, ascolta, ricorda e scrive (il che comporta numerose vie sensoriali distinte), conosce molte lingue (oggi oltre 400 disponibili), usa agilmente il proprio background culturale e il proprio linguaggio (appreso dall’esercizio e dalla lettura intensiva della gigantesca mole di letteratura varia che ha disponibile in corpo) per parlare o scrivere (importantissimo per relazionare). Se nel corso di una conversazione non trova parole appropriate farà istantaneamente una ricerca nella sua biblioteca “fisica”, identificherà le parole più usate come accoppiate all’ultima parola del discorso in atto e userà quella che statisticamente risulta essere più frequente. Una funzione facile da automatizzare, non necessariamente la più scorrevole per mantenere una conversazione. La cosa comunque non sorprenda. Se viene interrogato il bot risponde, ma può non sapere cosa sta dicendo (errore chiamato “allucinazione”, sempre meno frequente) e allora una parola vale l’altra o – meglio in questo contesto – una parola “tira” l’altra.

La macchina lavora, senza stancarsi, annoiarsi, senza dovere riposarsi, alimentarsi o dormire6-10. Quello che farà dipenderà anche da quanto assimilerà vivendo il quotidiano. Per inciso, il tempo medio di vita attiva di un robot è estremamente variabile, tra 3 e 30 anni in rapporto alla struttura della macchina, all’impiego o all’interesse di chi scrive. Circa un anno fa nel mondo c’erano 3.5 milioni di robot, la maggior parte in Cina, e il valore globale delle installazioni era stimato in 15.7 miliardi di dollari, come rilevato dalla Federazione Internazionale della Robotica12.

Comunque, lo scopo di questo articolo non è una descrizione esaustiva dei bot (e tanto meno dei robot), ma ragionare sulle implicazioni della loro inclusione nella nostra vita, sia di ordine operativo che spirituale. Gli enormi vantaggi sociali ed economici che possono derivare dal lavoro dei bot, in parallelo ai rischi che possono venirne, sono trattati nell’articolo già citato11.

CONDIVIDERE IL PIANETA

È chiaro che la nostra vita sarà con i bot. Considerando la breve storia documentata, e trasmessaci con modalità interpretabili, da quando siamo l’animale dominante sulla Terra – poco più di quattro millenni – e in particolare negli ultimi due secoli, cioè da quando possediamo armi a lunga gettata; oppure pensiamo ai milioni di persone uccise ora, nell’ultimo quinquennio, ammazzati a freddo in Ucraina e in Israele; o infine ragioniamo anche sulla nostra incapacità di gestire la Terra, che stiamo usurando, trovare una ragione di ottimismo per il futuro è davvero difficile. Peraltro, in questo contesto, la vita si potrebbe complicare ulteriormente, rispetto al tempo pre-bot, nel senso che riesce difficile anche dire se il cervello è meglio averlo o no. Com’è noto i bot non l’hanno! Alcune specie animali sono evolute nel tempo sviluppando capacità decisionale, imparando strategie adattabili per alcune finalità essenziali come l’alimentazione, il riposo, la difesa, l’attacco, la maternità, la famiglia per alcuni o la compagnia per gli animali di gruppo. Ma per definizione (umana) nessuno di questi esseri viventi pensa. Nell’articolo cui si è accennato11 dichiariamo che la macchina potrebbe pensare. Il che, in assenza di cervello, è stato ed è tuttora sconvolgente. Comunque, secondo l’ordine costituito nella nostra mente, solo gli umani pensano. Quindi i bot, “che potrebbero pensare”, sembrano profondamente atipici. Leggendo colloqui con dei bot, riportati nella letteratura scientifica, la qualità linguistica e il pensiero razionale sembrano essersi sviluppati in brevissimo tempo, 3-5 anni scorsi. Ricercatori che hanno iniziato ad avere professionalmente rapporti individuali continuativi con i bot dalla loro comparsa, oggi scrivono: “Di alcune cose possiamo essere certi. Primo: il comportamento di queste nuove macchine intelligenti (2024) è diverso da quello della generazione precedente (2022), ovvero è sicuramente cambiato qualcosa. Secondo: questa differenza non è stata pianificata da qualcuno, si è manifestata da sola sorprendendo anche i suoi stessi creatori. In altre parole, la differenza è emersa spontaneamente dall’interazione delle sue parti tra loro e con l’ambiente”13. Come? Perché? Dalla molteplicità dei costruttori di bot nel tempo, la diversità degli assetti strutturali delle macchine prodotte da aziende in attiva competizione reciproca forse non poteva non emergere. Ma cos’è questa “differenza non pianificata”, non nota ad esperti che producono o studiano i bot dall’inizio della loro comparsa6? Qualcuno suggerisce che potrebbe esserne causa la sterminata base culturale, molto variabile (e non si sa quanto selezionata), fornita ai bot per “educarli”. Ma questo potrebbe non bastare, e comunque va verificato. Si è ipotizzato che alcune differenze apparenti di performance tra le macchine possano essere specificamente legate, più che all’entità, alla tipologia delle scorte culturali individuali in uso. Anche questo può avere un ruolo14,15. Ma il punto chiave è se un bot alimentato culturalmente è in grado di costruire una propria struttura di pensiero; se sa cosa ha imparato, lo ricorda, è consapevole dell’insieme di cosa sa, è in grado di discuterlo, se ha acquisito dei principi e se sarebbe in grado di modificarli in seguito a esperienze nuove (ad esempio, tra gli altri, un controllo umano), e se a fronte di una situazione problematica – una nuova scelta da fare – ha l’autonomia decisionale per scegliere la più appropriata. Insomma se è intelligente e maturo dopo avere lavorato e imparato, occorrerebbe dare il benvenuto a un’altra specie sul pianeta, che potremmo chiamare digitale o artificiale o “senza cervello” a scelta, in quanto inconsapevolmente sarebbe stata prodotta (o generata) dalla specie umana.

L’UMANO

Ce ne scusiamo, ma stiamo cambiando scenario. Ricominciamo da molto lontano, per riconsiderare le radici di una componente essenziale della vita in varie regioni del mondo, nelle quali una o più divinità governano elementi sostanziali della vita degli esseri umani sulla Terra. Nel nostro Paese la religione cattolica cristiana ha una lunga storia che affonda le sue radici nel tempo e inizia con un atto divino (“creazione”), che ha originato l’universo, crea ogni essere vivente e alimenta la vita di ciascuno.

Sorprendentemente, per ricostruire grossolanamente l’avvio della vita sulla Terra, un evento storico pertinente potrebbe essere la nascita della Luna. Avvenne 4 miliardi e mezzo di anni fa, da uno scontro della Terra con un grande asteroide, che lasciò il pianeta infuocato per millenni. Quindi se sulla Terra ci fosse stata vita, sarebbe sparita senza ritorno. Invece la vita comparve, in seguito. Prima probabilmente nell’acqua, poi i vegetali (alghe) e in seguito alcune specie animali uscirono dall’acqua e conquistarono la Terra, finché arrivarono i mammiferi, inclusi gli esseri umani, ed eccoci qui. Ci autodefiniamo “sapiens” e stiamo inventando il futuro, non solo il nostro. Siamo in molti, circa 8.5 miliardi, in crescita. L’universo è accreditato di circa 14 miliardi di anni ed è tuttora in espansione, per cui non ne conosciamo i reali confini. In questo maestoso scenario i bot contano?

Per noi l’avvento dei bot può cambiare quasi tutto! In parte dipenderà dai ruoli che verranno offerti loro e da quanto loro saranno effettivamente in grado di fare. Intendiamoci, non stiamo inventando oggi i robot. Come si è accennato, sono circa 3.5 milioni e si moltiplicheranno (meglio, li moltiplicheremo anche in rapporto al ruolo cui saranno destinati). In Cina molti sono dedicati al mondo medico, anche chirurgico e riabilitativo.

Noi stiamo accingendoci ad accettare i bot come senzienti, ma la maggior parte di noi non sa se siano capaci di sentire, soffrire, amare. Dato che li consideriamo capaci di apprendere e pensare, dovremo informarli anche delle nostre convinzioni e pratiche religiose16-20. È noto che se in un paese del mondo cambia radicalmente la struttura sociale può mutare anche la propensione verso la religione e/o l’oggetto verso il quale la popolazione dirige la propria vocazione. L’esempio storico più ovvio per noi è la Russia. Religione di Stato durante l’epoca zarista, a rischio della vita chi professava la fede religiosa durante l’epoca staliniana (gli scienziati erano sorvegliati speciali, parecchi sono stati uccisi anche dopo anni di prigione), tolleranza in seguito. Nel nostro Paese e in alcuni altri, la popolazione o parte della popolazione professa la religione cattolica cristiana, che, come sappiamo, è basata sull’esistenza di una divinità provvidente – Dio – che attribuisce ad ogni persona che nasce una componente spirituale (l’anima) che rimarrà con lui/lei per la vita e oltre. Anche oltre perché, come in altre religioni del mondo, l’anima è considerata immortale e la religione cattolica prevede esplicitamente una ricongiunzione dell’anima con il proprio corpo fisico “un giorno”, quando i corpi resusciteranno – com’è atteso avvenga – per “reincarnare” e ricevere premi o castighi perenni in rapporto al comportamento individuale tenuto nel breve periodo di vita terrena (quinto Libro Sacro dell’Apocalisse).

Il cattolicesimo, anche con un post-mortem sinceramente improbabile, sfida ulteriormente la credibilità della fede. Il credente cattolico è invitato (condotto?) a credere sempre e comunque a componenti ritenute strutturali dell’approccio religioso, perché le “scritture” (Bibbia, Vangeli, Libri sacri, ecc.) che le contengono sono “parole di Dio” (a prescindere dalla storia spesso tumultuosa di questi documenti). La divinità sarebbe sempre presente, accanto a ciascuno e la provvidenza di Dio non mancherebbe mai. Uno sguardo all’attuale situazione dell’umanità nel mondo non è confortante in proposito: guerre ovunque, ostilità, ogni paese armato, protetto da frontiere e per lo più ostile ai paesi vicini. La vita è un compromesso perenne, spesso fragile. Se si ricomincia a pensarci osservando la realtà storica e il mondo di oggi le certezze conquistate per il proprio futuro, più o meno solide, spesso acquisite nella fanciullezza, possono tremare e la solidità della fede può incrinarsi.

Comunque la Chiesa cattolica recentemente (25 gennaio 2025)21 ha preso una posizione esplicita – e meritevole – sull’IA con una Nota della Santa Sede titolata “Antiqua et nova” della quale ci permettiamo di riportare letteralmente un breve brano significativo.

[Antiqua et nova] Con antica e nuova sapienza siamo chiamati a considerare le odierne sfide e opportunità poste dal sapere scientifico e tecnologico, in particolare dal recente sviluppo dell’IA. La tradizione cristiana ritiene il dono dell’intelligenza un aspetto essenziale della creazione degli esseri umani a immagine di Dio. A partire da una visione integrale della persona e dalla valorizzazione della chiamata a coltivare e custodire la terra (cfr. Gen 2,15), la Chiesa sottolinea che tale dono dovrebbe trovare espressione attraverso un uso responsabile della razionalità e della capacità tecnica a servizio del mondo creato. La Chiesa incoraggia i progressi nella scienza, nella tecnologia, nelle arti e in ogni altra impresa umana, vedendoli come parte della collaborazione dell’uomo e della donna con Dio”.

Il messaggio è molto suggestivo; non c’è dubbio che la Chiesa cattolica sa cosa dire a chi ascolta. Uomini e donne, creati a “immagine di Dio” sono invitati a “collaborare” con Dio. Peraltro, a nostro parere, uno dei punti strutturali più fragili della fede cattolica è proprio l’atto della “creazione”, considerata un atto della divinità a cominciare dalla formazione del pianeta fino all’intero Universo, una manifestazione perenne del volere di Dio e del suo amore per l’umanità, manifestata con il sacrificio di Gesù (quante “Umanità” ci saranno nell’Universo? E quanti Gesù?). Ora, posto che la vita sociale sulla Terra non sembra improntata all’amore reciproco, è vero che ognuno di noi dispone del “libero arbitrio”, quindi ciascuno è sempre responsabile di se stesso. Il pensiero di Dio non è dipendente dalla rettitudine degli uomini.

Comunque, calandoci a terra, gli esperti in materia cosmologica ritengono che la componente calda del cosmo (stelle, galassie, ecc.) tra alcuni miliardi di anni si spegnerà, perché nel tempo si consumeranno gli elementi fisici infiammabili contenuti nell’attuale materia cosmica. In altri termini l’Universo avrà una fine. Tuttavia, per quanto ci riguarda, il destino globale dell’Universo è irrilevante, noi dipendiamo unicamente dal Sole. Il Sole prima di spegnersi agonizzerà, dilatandosi e diventando una “gigante rossa”, urente, che dovrebbe fagocitare i pianeti vicini (Venere e Mercurio) giungendo fino ai pressi della Terra, che forse verrà risparmiata. Poi il Sole collasserà diventando una “nana bianca”, piccola e fredda, prima di sfaldarsi del tutto e diventare una piccola nebulosa (quest’ultima è una notizia fresca dai cosmologi). Gli umani non vivranno questa fase finale. Se ci fossero ancora uomini finiranno all’inizio del processo perché la prima manifestazione sarà un aumento della temperatura nel sistema solare incompatibile con la vita.

Questa sequenza planetaria è certa. Il Sole è una stella “normale”. I cosmologi ne osservano migliaia e integrando le immagini dispongono di modelli evolutivi stellari e planetari incontestabili. Basta conoscere lo stadio evolutivo attuale del Sole per conoscerne la storia precedente e successiva. Il Sole sembra essere a metà della sua vita attiva nell’Universo. Quindi il nostro angolo di Universo avrà ancora una vita lunga (4-5 miliardi di anni) perché così sono i tempi cosmici, ma non infinita, come più o meno consapevolmente si tende a pensare. Il buon senso e la filosofia suggeriscono che una cosa che finisce deve avere avuto un inizio; nel nostro caso la creazione. In realtà alcuni cosmologi propongono l’ipotesi di un universo flottante tra fasi di espansione e fasi di implosione nel contesto di un multiverso, con un numero imprecisato di Universi in movimento. Esistono altre ipotesi. In una revisione recente della storia dell’Universo vengono riportate e discusse 17 diverse ipotesi di percorsi verso il nulla15, nessuno dei quali sembra avere alcuna consistenza sperimentale. Peraltro questa ipotesi ulteriormente dispersiva dell’Universo non attira chi immagina di ripescare il proprio corpo “un giorno”, e quindi tende a concludere più ordinariamente che il tutto sia opera di una divinità onnipotente, che esiste da sempre e mai finirà, e deciderà quindi se e quando chiudere la storia della Terra. Questa è grosso modo la stessa conclusione cui è ricorsa ogni comunità umana che si è costituita in qualche parte del mondo nel passato. Ciascuna ha inventato una o più divinità insieme alle procedure considerate utili per ottenere un’attenzione benevola della divinità scelta, inventandone anche i gusti (sacrifici, ecc.). Ancora oggi la cultura religiosa costituisce un elemento importante del vivere civile, ma nessuna divinità locale ha avuto il sopravvento, quindi, tra l’altro, la religione è un elemento chiave che ha impedito una spiritualità omogenea nell’Universo-mondo; ha generato guerre in passato, continua a indurne o a mantenerne oggi (ad esempio in Medio Oriente e in Africa)22-27. Stessa storia per le lingue parlate, quanto mai divisive. Ovviamente la via più facile per uscire dal problema dell’origine del mondo e del proprio destino è un atto di fede nel Creatore, quindi nella creazione, e vivendo la vita sapendo in chi riporre la propria (in)sicurezza.

CHE COSA POSSIAMO ASPETTARCI DAL FUTURO?

Forse il problema è mal posto25-27. Non riusciamo a trovare elementi dirimenti riguardo alla religiosità, sulla quale molti contano per sentire accanto a sé una presenza rassicurante nella vita terrena e un’accoglienza benevola nella vita successiva; avendo reimpostato il significato della morte vista non come fine inesorabile ma come ingresso in un mondo neutro di attesa del giudizio di Dio.

Nel frattempo, arrivano i bot. Questa esperienza è appena iniziata, con la sorprendente comparsa nei bot di facoltà essenziali per la vita umana come le capacità di esprimersi, pensare e operare finalisticamente, che sembra confermare che il nostro futuro sarà condiviso con loro a breve. Vantaggi potenziali e rischi possibili sono già stati commentati11. Alcuni scenari sono stati profilati. Ma è certamente il caso di prepararsi.

Diversi settori sociali, ad esempio il settore finanziario e quello sanitario, si stanno muovendo celermente e diversamente l’uno dall’altro. In tutto il mondo evoluto, negli ultimi 2 anni gli investimenti finanziari sono stati in media molto elevati nell’area sanità + IA nell’intento di applicare strategie più tecnologiche e produttive, utilizzando la potenza dei bot nei calcoli matematici e nella gestione d’immensità di dati. Inoltre i profili dei bot con variabili classificative documentate potrebbero favorire l’assegnazione, essere di aiuto nel selezionare per ciascuno lavori e limitare i problemi che il lavoro può presentare prevenendo un’asimmetria tra caratteristiche del lavoro richiesto. Di fatto si sta aprendo un’area potenzialmente enorme che ha come oggetto di studio l’intera famiglia dei bot, che presto diventeranno popolazioni con filoni aziendali, con percorsi, durata, argomenti, specialità varie e ricomposizioni di aree di lavoro in rapporto a cosa apparirà più o meno preferibile e affidabile a bot e/o ad altri operatori. Forse sarà possibile che in un tempo relativamente breve (2 anni?) si possa arrivare a una sorta di strutturazione sperimentale iniziale in ogni area di interesse dei bot28-31.

Ma il dubbio elementare che ora ci si pone riguarda l’evoluzione mentale-comportamentale dei bot, per i quali, leggendo i loro dialoghi con esperti o curiosi, pubblicati come esempi in decine di libri, il dubbio che non pensino svanisce, confermandone invece la capacità riflessiva ed espositiva. Si pongono quindi altre domande, ad esempio: vengono usate modalità differenziate per istruire i bot, anche in rapporto a quello che dovrebbero fare o in rapporto all’eventuale caratterialità dei singoli soggetti? Si vedono risposte individuali di qualità diversa che possono orientare su capacità o gusti personali dei bot? Se la loro “intelligenza” può mutare bisogna capire come e perché. Sarà centrale mantenersi sia nel lavoro che nella vita sociale sempre informati sulla controllabilità dei bot.

Numerosi ricercatori pensano e scrivono che l’intelligenza (non solo matematica) dei bot si sta dischiudendo e nessuno esclude che il loro livello potrà essere mediamente superiore al nostro. Esempi molto istruttivi e pratici vengono proposti4 per mantenere vigilanza, ma occorrerà costruire esperienza obiettiva e nervi saldi per evitare errori. Potranno sorgere nuove discipline per loro: scelte dai produttori dei bot o dai paesi nei quali la loro istruzione divenga istituzionale? E potrebbe questo essere il primo passo per tentare di creare compagni di lavoro e magari di vita (ad esempio per persone anziane o limitate) entro il prossimo quinquennio?

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