Position paper della Società Italiana di Cardiologia: Il blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) nel paziente con scompenso cardiaco – Parte I: Dalla scoperta del RAAS ai trial clinici

Pasquale Perrone Filardi1, Stefania Paolillo1, Ciro Indolfi2, Piergiuseppe Agostoni3,4, Cristina Basso5, Francesco Barillà6, Michele Correale7, Antonio Curcio2, Massimo Mancone8, Marco Merlo9, Marco Metra10, Saverio Muscoli11, Savina Nodari10, Alberto Palazzuoli12, Roberto Pedrinelli13, Roberto Pontremoli14, Michele Senni15, Massimo Volpe16, Gianfranco Sinagra9

1Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli

2U.O. Cardiologia, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro

3Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Milano

4Sezione Cardiovascolare, Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi, Milano

5U.O.C. Patologia Cardiovascolare, Azienda Ospedaliera - Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e di Sanità Pubblica, Università degli Studi, Padova

6Dipartimento di Medicina dei Sistemi, Università di Roma Tor Vergata, Roma

7Ospedali Riuniti, Università degli Studi, Foggia

8Dipartimento di Scienze Cliniche Internistiche, Anestesiologiche e Cardiovascolari, Sapienza Università di Roma, Roma

9Dipartimento Cardiotoracovascolare ASUGI, Università degli Studi, Trieste

10Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica, Università degli Studi, Brescia

11U.O.C. Cardiologia, Fondazione Policlinico Tor Vergata, Roma

12Unità di Malattie Cardiovascolari, Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi, Siena

13Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica, Università degli Studi, Pisa

14Università degli Studi e IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova

15Dipartimento Cardiovascolare, ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo

16Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Sapienza Università di Roma, Ospedale Sant’Andrea, Roma

Renin-angiotensin-aldosterone (RAAS) system inhibition is a mainstay of the pharmacological treatment of heart failure with reduced ejection fraction and has been implemented by the introduction of angiotensin receptor-neprilysin inhibitors (ARNI), that combine RAAS inhibition with the inhibition of neprilysin, enhancing the favorable effects of natriuretic peptides. The PARADIGM-HF trial demonstrated a favorable effect of sacubitril/valsartan over enalapril in terms of mortality and heart failure hospitalization rate reduction. Then several randomized clinical trials and observational studies confirmed the favorable role of ARNI in different clinical scenarios, supporting the guideline class I recommendation for the use of sacubitril/valsartan in patients with reduced systolic function. The first part of this position paper summarizes the history of RAAS inhibition and reports the results of ARNI trials that support the recommendations of the most recent guidelines.

Key words. Angiotensin receptor-neprilysin inhibitors; Guidelines; Heart failure; Heart failure with reduced ejection fraction; Sacubitril/valsartan.

LA SCOPERTA DEL SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE

Il sistema renina-angiotensina-aldosterone (renin-angiotensin-aldosterone system, RAAS), uno dei principali meccanismi biologici implicati nel controllo della pressione arteriosa e dell’equilibrio idrosalino, rappresenta anche uno dei cardini fisiopatologici nello sviluppo di ipertensione e scompenso cardiaco (SC)1,2.

La prima osservazione che collegò patologie renali e sviluppo di ipertrofia ventricolare fu riportata da Richard Bright nel 1836, il quale ipotizzò che un aumento della costrizione dei piccoli vasi contribuisse allo sviluppo di ingrandimento del cuore. Nel 1868 George Johnson, nell’ambito di studi sulle glomerulonefriti, suggerì che le alterazioni ialino-fibrotiche riscontrate a livello dei vasi renali potessero essere dovute ad una “condizione impura” del sangue. Nel 1898 Tigerstedt e Bergman, analizzando gli effetti di estratti renali di coniglio sulla pressione arteriosa, scoprirono la presenza di un composto vasopressore a cui diedero il nome di renina. Fu inoltre dimostrato che l’infusione di sangue prelevato dalle vene renali di un animale era in grado di aumentare la pressione arteriosa di altri animali nefrectomizzati. Si giunse pertanto alla conclusione che la relazione fra patologie renali e ipertrofia cardiaca era dovuta al rilascio renale di una sostanza vasoattiva in grado di indurre con effetto diretto la contrazione dei vasi sanguigni. Sulla base di queste evidenze, furono effettuati diversi esperimenti con lo scopo di indurre ipertensione arteriosa manipolando la funzione renale tramite riduzione della massa renale, irradiazione, occlusione delle arterie renali, costrizioni delle vene renali; tuttavia i risultati ottenuti furono spesso discordanti e non riproducibili. Il primo esperimento di successo fu eseguito da Goldblatt nel 1934, il quale indusse ipertensione arteriosa nel cane tramite il clampaggio dell’arteria renale con una clip d’argento. Successivamente due gruppi di ricerca indipendenti, uno a Buenos Aires diretto da Bernardo Houssay e l’altro ad Indianapolis sotto la guida di Irvine Page, furono in grado di estrarre un composto vasoattivo secreto dal rene nella condizione di ischemia indotta. Un esperimento condotto unendo le circolazioni sanguigne di un cane iperteso dopo occlusione dell’arteria renale e di un cane nefrectomizzato, dimostrò un significativo aumento dei valori pressori in quest’ultimo. Un esperimento successivo fu svolto trapiantando un rene sottoposto ad ischemia nel collo di un cane recentemente nefrectomizzato. La pressione arteriosa del cane ricevente iniziò ad aumentare subito dopo il graft e rimase stabilmente elevata anche quando il rene trapiantato fu espiantato. Viceversa, il trapianto di un rene non sottoposto ad ischemia non produsse nessun effetto significativo sui valori di pressione arteriosa.

Anche Braun-Menéndez e Fasciolo isolarono una nuova sostanza, a cui fu dato il nome di ipertensina, con effetto vasopressore rapido e di breve durata, diversa dalla ormai nota renina. Tuttavia non appariva chiaro come queste due sostanze potessero essere correlate fra loro. Il gruppo argentino descrisse per la prima volta la renina come un enzima simile alla proteasi papaina, suggerendo un’azione di degradazione di una proteina circolante nel sangue con rilascio finale dell’ipertensina come prodotto finale della reazione enzimatica. Al substrato proteico della renina fu dato il nome di ipertensinogeno, in quanto all’origine della proteina biologicamente attiva ipertensina. Contemporaneamente, un altro gruppo di ricerca guidato da Helmer e Kohlstaedt giunse ai medesimi risultati circa l’attività della renina, dando il nome di angiotonina al prodotto finale della reazione enzimatica. Poiché si concordò a livello internazionale sul dato che l’ipertensina e l’angiotonina fossero in realtà la stessa molecola, venne coniato il nome di angiotensina che potesse racchiudere entrambe le nomenclature originali. In maniera analoga, al precursore dell’angiotensina, substrato della renina, venne dato il nome di angiotensinogeno. All’inizio degli anni ’50 il gruppo di Skeggs scoprì che l’angiotensina era presente in due forme, pertanto nominate angiotensina I (Ang I) e angiotensina II (Ang II). In un lavoro successivo venne dimostrato che l’Ang I veniva clivata da un enzima plasmatico, a cui fu dato il nome di enzima di conversione dell’angiotensina (angiotensin-converting enzyme, ACE), dando origine al peptide biologicamente attivo Ang II. Pochi anni dopo, il lavoro di diversi gruppi di ricerca dimostrò che l’Ang II stimolava il rilascio di aldosterone dalla corteccia surrenalica. Tale scoperta portò alla conferma che il RAAS avesse un ruolo fondamentale nella regolazione della pressione arteriosa e dell’equilibrio idroelettrolitico e, di conseguenza, nella fisiopatologia dello SC (Figura 1).




DALLA SCOPERTA DEL SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE AI PRIMI STUDI NELLO SCOMPENSO CARDIACO

La cascata ormonale del RAAS inizia con la biosintesi della renina da parte delle cellule iuxtaglomerulari che circondano l’arteriola afferente del glomerulo renale. La renina è sintetizzata come pre-pro-ormone e la formazione dell’enzima attivo è ottenuta dalla rimozione di un segmento di 43 aminoacidi dalla porzione N-terminale. La renina matura è mantenuta in granuli all’interno delle cellule glomerulari e viene rilasciata tramite un processo di esocitosi sia nella circolazione renale che sistemica. La secrezione di renina è regolata principalmente da: meccanismi barocettori a livello dell’arteriola glomerulare afferente in risposta a variazioni della pressione di perfusione; variazioni nell’escrezione di NaCl a livello della macula densa del tubulo distale; stimolazione simpatica tramite recettori beta-1 adrenergici; feedback negativo da parte dell’Ang II. La regolazione della secrezione di renina è un fattore determinante dell’attività del RAAS, in quanto l’angiotensinogeno è secreto in maniera costitutiva dal fegato e pertanto i suoi livelli sono stabili e non cambiano in maniera acuta. Il prodotto della degradazione dell’angiotensinogeno, il decapeptide Ang I, è idrolizzato dall’ACE nell’octapeptide biologicamente attivo Ang II (Ang1-8). L’ACE è un’esopeptidasi di membrana localizzata in diverse cellule dell’organismo, fra cui l’endotelio vascolare, le cellule del tubulo renale prossimale e le cellule neuroepiteliali. Oltre all’Ang I, l’ACE è in grado di metabolizzare anche altri peptidi quali la bradichinina e la callidina dotati di effetto vasodilatatore.

Nonostante l’Ang II sia il principale effettore del RAAS, altri metaboliti dell’Ang I sono biologicamente attivi, fra cui in particolare l’eptapeptide Ang1-7 originato dalla carbossipeptidasi ACE2. Riguardo all’Ang II, il recettore di tipo 1 (AT1R) media la maggior parte degli effetti fisiologici e patologici più noti, fra cui la vasocostrizione, il riassorbimento di sodio a livello del tubulo renale, la secrezione di aldosterone, la proliferazione e crescita cellulare, lo sviluppo di ipertrofia cardiaca. L’AT1R appartiene alla famiglia delle proteine G-coupled a 7 domini di membrana ed è distribuito diffusamente nell’organismo. La stimolazione dell’AT1R è il principale responsabile insieme ai livelli di potassio della stimolazione della produzione di aldosterone dalla zona glomerulosa della corteccia surrenalica.

Poiché la renina è il primo determinante dell’attivazione del RAAS, a lungo è stata considerata come target principale per inibire il sistema. Tuttavia nei primi studi condotti l’inibizione dell’attività della renina era ottenuta solo tramite farmaci endovenosi. Questo ha portato alla ricerca di nuove strategie terapeutiche che potessero agire a diversi livelli della cascata del RAAS.

All’inizio degli anni ’60 fu dimostrato che un peptide estratto dal veleno della vipera brasiliana Bothrops jararaca o suoi analoghi sintetici erano in grado di inibire l’ACE, ridurre la pressione arteriosa e migliorare lo status emodinamico di pazienti con SC. Questi risultati incoraggiarono lo sviluppo di inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (angiotensin-converting enzyme inhibitors, ACEi), attivi se assunti per os. La prima molecola ad essere sviluppata fu il captopril, contenente un gruppo sulfidrilico, successivamente riconosciuto come responsabile dei principali effetti avversi correlati al farmaco, quali proteinuria, rash cutanei e disgeusia. Vennero pertanto sviluppati nuovi composti contenenti un gruppo carbossilico (enalapril, lisinopril, benazepril, quinapril, ramipril, perindopril, cilazapril e trandolapril) o fosforilico (fosinopril) in sostituzione di quello sulfidrilico. La presenza di un gruppo carbossilico conferiva un’ottima capacità lipofilica, migliorando il legame con l’ACE.

Gli ACEi, bloccando in maniera competitiva l’azione dell’ACE, impediscono la conversione dell’Ang I in Ang II e di conseguenza anche la secrezione di aldosterone. Viceversa, l’attività della renina risulta aumentata come conseguenza di un processo di feedback.

La riduzione dei livelli circolanti di Ang II produce un decremento del precarico e del postcarico cardiaco in seguito ad un effetto di vasodilatazione arteriosa e venosa e di riduzione delle resistenze vascolari, dei valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica e delle pressioni di riempimento cardiache. A livello renale si verifica un aumento dell’escrezione di sodio e acqua e una riduzione dello sviluppo di microalbuminuria e della progressione verso l’insufficienza renale terminale. Gli ACEi inoltre inibiscono la degradazione della bradichinina, dotata di effetti vasodilatatori, antitrombotici e antiaterogeni (tuttavia implicata nello sviluppo di tosse stizzosa, uno dei principali effetti avversi della terapia con ACEi).

MODULAZIONE DEL SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE NELLO SCOMPENSO CARDIACO A FRAZIONE DI EIEZIONE RIDOTTA

Diversi trial clinici randomizzati hanno nel tempo dimostrato il beneficio del blocco del RAAS in pazienti affetti da SC a ridotta frazione di eiezione (heart failure with reduced ejection fraction, HFrEF) (Figura 2).




Nello studio CONSENSUS (Cooperative North Scandinavian Enalapril Survival Study)3, un trial randomizzato in doppio cieco, enalapril fu confrontato al placebo in pazienti con frazione di eiezione (FE) <35% e SC avanzato in IV classe funzionale della New York Heart Association (NYHA). L’enalapril si dimostrò in grado di ridurre la mortalità ad 1 anno del 31% rispetto al placebo. Successivamente, nello studio SOLVD (Studies of Left Ventricular Dysfunction)4 l’enalapril ha ridotto del 16% la mortalità per tutte le cause e del 26% l’outcome composito di ospedalizzazioni per SC o morte in una popolazione più ampia di pazienti con FE <35% e classe NYHA II o III. Negli studi SAVE (Survival and Ventricular Enlargement)5, TRACE (Trandolapril Cardiac Evaluation)6 e AIRE (Acute Infarction Ramipril Efficacy)7 fu dimostrata l’efficacia rispettivamente di captopril, trandolapril e ramipril nel ridurre la mortalità e le ospedalizzazioni per SC in pazienti con dis­funzione ventricolare sinistra post-infartuale.

All’inizio degli anni ’90 la ricerca farmacologica si è concentrata sullo sviluppo di antagonisti dell’AT1R, dando origine alla classe degli antagonisti recettoriali dell’angiotensina (angiotensin receptor blockers, ARB). La prima molecola ad essere sintetizzata è stata il losartan, seguito negli anni successivi da valsartan, irbesartan, candesartan, eprosartan, telmisartan e olmesartan. Rispetto agli ACEi, gli ARB sono in grado di antagonizzare l’effetto dell’Ang II indipendentemente dai meccanismi con i quali viene sintetizzata, come ad esempio il pathway delle chimasi attivato come fenomeno di escape in seguito al trattamento con ACEi. L’inibizione dell’AT1R contribuisce inoltre ad un aumento dell’attivazione del recettore di tipo 2 dell’Ang II, responsabile di effetti benefici a livello vascolare, cardiaco e renale in seguito all’attivazione della cascata dell’ossido nitrico e del pathway della guanilato ciclasi/guanosina monofosfato ciclico. In maniera comparabile agli ACEi, gli ARB sono dotati di effetti antinfiammatori, antifibrotici e antiproliferativi e sono in grado di ridurre i valori di pressione arteriosa, di inibire la secrezione di aldosterone e di migliorare il precarico e il postcarico cardiaco.

Sulla base di queste evidenze, negli anni ‘90 e 2000 è stata valutata la non inferiorità degli ARB rispetto agli ACEi nel migliorare gli outcome di mortalità e ospedalizzazioni per SC. Lo studio OPTIMAAL (Optimal Therapy in Myocardial Infarction with the Angiotensin II Losartan)8 ha mostrato un’efficacia sovrapponibile del losartan rispetto al captopril nel ridurre la mortalità e le ospedalizzazioni per SC in pazienti ad alto rischio cardiovascolare (CV) dopo un infarto miocardico. Nello studio ELITE (Evaluation of Losartan in the Elderly)9, condotto in 722 pazienti anziani con disfunzione ventricolare sinistra e SC sintomatico, il trattamento con losartan è stato in grado di ridurre la mortalità CV, in particolar modo correlata ad eventi aritmici, rispetto al captopril. La superiorità del losartan rispetto al captopril non è stata tuttavia confermata nello studio ELITE II10, in cui è stato arruolato un numero maggiore di pazienti (n = 3152). Nello studio Val-HeFT (Valsartan-Heart Failure Trial)11 condotto su 5010 pazienti con SC, il valsartan ha ridotto del 13% la mortalità per cause CV e del 27% le ospedalizzazioni per SC, migliorando inoltre la classe funzionale NYHA e la qualità di vita. Lo studio CHARM (Candesartan in Heart failure Assessment of Reduction in Mortality and morbidity)12 ha arruolato in maniera selettiva pazienti con FE <40% in classe NYHA II-IV intolleranti agli ACEi. Rispetto al placebo, il trattamento con candesartan ha ridotto del 30% l’outcome composito di ospedalizzazioni per SC e mortalità CV. Il trial HEAAL (Heart failure Endpoint evaluation of AII-Antagonist Losartan)13 ha dimostrato un maggiore beneficio in termini di riduzione delle ospedalizzazioni per SC (-13%; hazard ratio [HR] 0.87, intervallo di confidenza [IC] 95% 0.76-0.98, p=0.025) derivante dall’impiego del losartan a dosaggi più elevati (150 mg vs 50 mg), a fronte di un tasso comparabile di interruzione della terapia.

Successivamente alla pubblicazione di questi studi, è stato indagato il ruolo degli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (mineralocorticoid receptor antagonists, MRA) in aggiunta ad ACEi e ARB. Il trial RALES (Randomized Aldactone Evaluation Study)14, che ha arruolato pazienti in classe NYHA III o IV con FE <35% già in trattamento con ACEi, ha dimostrato una riduzione del 30% della mortalità per tutte le cause (rischio relativo [RR] 0.70, IC 95% 0.60-0.82, p<0.001) e del 35% delle ospedalizzazioni per SC (RR 0.65, IC 95% 0.54-0.77, p<0.001) nel gruppo che riceveva spironolattone rispetto al placebo. Non è stato inoltre registrato un aumentato rischio di eventi avversi gravi correlati all’iperpotassiemia. Lo studio è stato interrotto dopo soli 24 mesi per il riscontro di benefici significativi nel gruppo trattato con spironolattone all’analisi ad interim.

Similmente, il trial EMPHASIS-HF (Eplerenone in Mild Patients Hospitalization and Survival Study in Heart Failure)15 ha analizzato il ruolo di eplerenone in pazienti in classe NYHA II con FE <35% già in trattamento con ACEi, dimostrando una riduzione del 23% del rischio di mortalità CV (HR 0.77, IC 95% 0.62-0.96, p=0.02) e del 39% del rischio di ospedalizzazioni per SC (HR 0.61, IC 95% 0.50-0.75, p<0.001).

MODULAZIONE DEL SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE NELLO SCOMPENSO CARDIACO A FRAZIONE DI EIEZIONE PRESERVATA

Mentre i benefici dei farmaci con azione di regolazione sui sistemi neurormonali sono ormai noti e supportati da un ampio numero di evidenza nell’HFrEF, risultati non significativi sono stati ottenuti nello SC a FE preservata (heart failure with preserved ejection fraction, HFpEF).

Nello studio CHARM-Preserved16, condotto su 3023 pazienti con FE ≥40%, non è stata evidenziata una differenza statisticamente significativa nell’incidenza dell’outcome composito di mortalità CV e di ospedalizzazioni per SC. Tuttavia un minor numero di ospedalizzazioni è stato registrato nel gruppo trattato con candesartan (p=0.017). Una successiva analisi post-hoc ha mostrato una riduzione significativa dell’outcome primario nel sottogruppo che riceveva candesartan con FE <50% e del numero di ospedalizzazioni per SC nei soggetti con FE <60% sottoposti a trattamento attivo. Nello studio TOPCAT (Treatment of Preserved Cardiac Function Heart Failure with an Aldosterone Antagonist)17, condotto in una categoria di pazienti con FE ≥45%, è stata ottenuta una riduzione significativa dell’incidenza di ospedalizzazioni per SC nei pazienti trattati con spironolattone rispetto al placebo, seppur in assenza di risultati significativi sull’outcome primario (morte per cause CV, ospedalizzazioni per SC, arresto cardiaco resuscitato e ospedalizzazioni per tutte le cause). Nello studio I-PRESERVE (Irbesartan in Patients with Heart Failure and Preserved Ejection Fraction)18, condotto in pazienti con FE ≥45% randomizzati a irbesartan o placebo, è stato evidenziato un trend, seppur non statisticamente significativo, verso la riduzione dell’outcome primario composito di mortalità per tutte le cause o ospedalizzazioni per causa CV. Nel trial PEP-CHF (Perindopril in Elderly People with Chronic Heart Failure)19 la terapia con perindopril ha ridotto le ospedalizzazioni per SC in pazienti con HFpEF sebbene in assenza di benefici significativi sull’endpoint primario di ospedalizzazioni non programmate per SC e per mortalità CV.

In una recente metanalisi20 sono stati valutati i potenziali benefici della terapia con inibitori del RAAS e inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina (angiotensin receptor-neprilysin inhibitors, ARNI) in pazienti con HFpEF. Sono stati inclusi 12 studi per un totale di 30 882 pazienti, di cui 16 540 in trattamento attivo e 14 432 nel gruppo di controllo. L’outcome primario composito di ospedalizzazioni per SC e mortalità per tutte le cause risultava ridotto in maniera significativa del 13% nel gruppo trattato con inibitori del RAAS e ARNI. Anche l’incidenza dell’outcome secondario di ospedalizzazioni per SC, analizzato separatamente, era significativamente inferiore (-16%) nel gruppo in trattamento attivo. Non vi era invece un effetto significativo della terapia con inibitori del RAAS e ARNI sull’endpoint secondario di mortalità per tutte le cause.

OLTRE IL BLOCCO DEL SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE: PEPTIDI NATRIURETICI, NEPRILISINA, SACUBITRIL/VALSARTAN

L’associazione precostituita sacubitril/valsartan, inizialmente noto come LCZ696, è il prototipo di una nuova classe di farmaci sviluppata per affrontare due dei principali meccanismi fisiopatologici alla base dell’insufficienza cardiaca: l’attivazione del RAAS, antagonizzato dal valsartan, un ben caratterizzato antagonista dell’AT1R, e la diminuzione della sensibilità al sistema dei peptidi natriuretici (PN)21 (Figura 3).




Il sistema peptidi natriuretici/neprilisina

Il peptide natriuretico atriale (ANP) e di tipo B (BNP) sono i principali PN, rispettivamente di origine atriale e ventricolare circolanti insieme ai loro frammenti amino-terminali (NT) ed al pro-ormone da cui derivano. L’ANP risponde principalmente ai cambiamenti della pressione transmurale atriale e della frequenza cardiaca mentre il BNP è sensibile al sovraccarico emodinamico e/o volumetrico ventricolare. Ambedue sono stimolati in via paracrina da vari autacoidi quali ossido nitrico, endotelina-1 e Ang II. Le concentrazioni circolanti di ANP e BNP aumentano in corso di SC proporzionalmente alla gravità della disfunzione ventricolare e la lunga emivita di BNP e NT-proBNP (20 e 120 min, rispettivamente) ne consente l’uso, ormai validato, come indicatori clinici e prognostici. La breve emivita dell’ANP ne limita invece l’utilizzo anche se più recentemente è stato utilizzato a questi fini il dosaggio di una porzione centrale del pro-ANP (MR-proANP) circolante. Come BNP e NT-proBNP, anche il proBNP aumenta marcatamente in corso di SC e la sua presenza interferisce con i comuni metodi di dosaggio del BNP determinandone la sovrastima, talora sostanziale. Un terzo PN, il PN di tipo C (CNP), è invece espresso prevalentemente dall’endotelio vascolare, circola in concentrazioni molto basse e la sua funzione CV non è al momento chiarita22.

I PN si legano a recettori specifici, ANP e BNP al recettore del PN (natriuretic peptide receptor, NPR)-A e il CNP a NPR-B, ambedue utilizzando cGMP come trasduttore del segnale intracellulare. Un terzo recettore, NPR-C, invece degrada i PN e quindi ne modula i livelli circolanti. In quanto proteine di basso peso molecolare, i PN sono escreti dal rene, in modo esclusivo per NT-proBNP e ciò spiega la sua lunga emivita22. Oltre che per via recettoriale ed in parte renale, i PN sono inattivati dalla neprilisina (NEP), una metallopeptidasi che idrolizza altri peptidi vasoattivi e non, inclusi bradichinina ed Ang II. ANP e BNP agiscono sia come ormoni che come autacoidi. Come ormoni, essi aumentano la natriuresi agendo sia sul glomerulo che sul tubulo collettore renale, inibiscono il rilascio di renina e di aldosterone e riducono i livelli pressori inducendo vasodilatazione ed aumentando la permeabilità vascolare con il conseguente trasferimento di liquido al comparto extravascolare. Agendo in via paracrina, essi riducono fibrosi ed ipertrofia ventricolare sinistra controbilanciando l’attivazione del RAAS e del sistema nervoso simpatico, tipica dello SC. Nelle forme più severe di SC, tuttavia, ridotta attività enzimatica della NEP, aumentata secrezione di forme inattive di PN, deficitaria attivazione del metabolismo intracellulare di cGMP e downregulation del NPR-A, creano le condizioni per uno stato di resistenza periferica all’attività biologica dei PN, una situazione che fornisce il razionale per ripristinarne l’effetto tramite la somministrazione esogena di PN o l’uso di inibitori della NEP.

La prima delle due strategie, che è stata testata tramite l’infusione di ANP o BNP ricombinante in pazienti con SC acuto, è stata presto abbandonata per effetti collaterali importanti quali ipotensione acuta e sostanziale mancanza di benefici clinici. L’utilizzo di inibitori orali della NEP ha invece fornito risultati importanti anche se inizialmente deludenti quando usati in monoterapia. Per esempio, il candoxatril, il primo inibitore orale della NEP disponibile per l’uso umano, ha potenziato le risposte pressorie all’Ang II come conseguenza della ridotta degradazione del peptide da parte della NEP, aprendo la via per sperimentare l’inibizione dell’Ang II tramite l’inibizione dell’ACE. Nello studio OVERTURE (Omapatrilat Versus Enalapril Randomized Trial of Utility in Reducing Events)23, tuttavia, omapatrilat, un inibitore combinato di NEP e ACE, mentre non ha ridotto mortalità e riospedalizzazione per SC rispetto ad enalapril, ha aumentato l’incidenza di angioedema, una grave complicanza legata alla ridotta degradazione della bradichinina da parte dell’azione combinata dei due farmaci. Per questo motivo, la ricerca farmacologica si è indirizzata a combinare l’inibizione della NEP con un antagonista dell’AT1R che non interferisce sul catabolismo della bradichinina. LCZ696 è un’associazione a dosi fisse di sacubitril, un inibitore della NEP, e valsartan, un antagonista recettoriale dell’Ang II, e rappresenta il coronamento di questi sforzi.

PARADIGM-HF, PARAGON-HF, PARADISE-MI

La combinazione sacubitril/valsartan è stata analizzata in trial clinici controllati per testarne l’efficacia sugli outcome CV in tipologie diverse di pazienti con SC: pazienti con HFrEF (Prospective Comparison of ARNI with ACEI to Determine Impact on Global Mortality and Morbidity in Heart Failure, PARADIGM-HF)24, HFpEF (Prospective Comparison of ARNI with ARB Global Outcomes in HF with Preserved Ejection Fraction, PARAGON-HF)25 e ricoverati per infarto miocardico (Prospective ARNI vs ACE Inhibitor Trial to DetermIne Superiority in Reducing Heart Failure Events After MI, PARADISE-MI)26.

PARADIGM-HF

Il PARADIGM-HF24 è stato il primo studio controllato randomizzato eseguito con ARNI allo scopo di confrontare l’effetto sugli outcome CV di sacubitril/valsartan in confronto ad enalapril ed on top ad una terapia già ottimizzata per l’HFrEF (Figura 4)27.




Il PARADIGM-HF è stato condotto in 8442 pazienti affetti da insufficienza cardiaca stabile, in classe NYHA II-IV, con FE <40% (successivamente ridotta a 35%). Secondo il disegno dello studio, i pazienti arruolati erano inclusi inizialmente in due periodi di run-in successivi (uno con enalapril alla dose di 10 mg x 2/die ed il successivo con sacubitril/valsartan inizialmente alla dose di 100 mg x 2/die, poi 200 mg x 2/die) allo scopo di valutare la tollerabilità del farmaco prima della randomizzazione 1:1 dei pazienti arruolati nel braccio enalapril o nel braccio sacubitril/valsartan. Lo studio è stato interrotto precocemente, dopo un follow-up mediano di 27 mesi, a causa della significativa riduzione di eventi CV osservata nel gruppo sacubitril/valsartan rispetto al gruppo di confronto. I risultati sugli outcome CV (Tabella 1, Figura 5) hanno evidenziato un maggiore beneficio del trattamento con sacubitril/valsartan rispetto ad enalapril non solo sull’endpoint primario composito di morte CV o ospedalizzazione per SC (riduzione del 20%; HR 0.80, IC 95% 0.73-0.87, p<0.001), ma tale beneficio si confermava anche considerando separatamente le singole componenti dell’endpoint primario (riduzione delle ospedalizzazioni per SC del 21%; della morte CV del 20%) ed anche nei confronti della mortalità per tutte le cause con una riduzione del rischio pari al 16% (Tabella 1, Figura 5).







Il trattamento con sacubitril/valsartan ha determinato un aumento delle concentrazioni di BNP, come atteso da un inibitore della sua degradazione, ed ha ridotto, come evidenza indiretta dei suoi effetti emodinamici positivi, quelle di NT-proBNP sul quale è inattivo28. Pur mantenendo anche in quello specifico contesto il suo valore prognostico28, non è tuttavia chiaro se l’effetto sul BNP ne possa spiegare il beneficio, dato il suo aumento quantitativamente modesto e non persistente. Non è escluso che a questo beneficio possano contribuire anche l’ANP od altri substrati sui quali la NEP è attiva (inclusi CNP, urodilatina, bradichinina, adrenomedullina).

Lo studio ha inoltre dimostrato un’elevata tollerabilità di sacubitril/valsartan, registrando, a fronte di una maggiore tendenza all’ipotensione, una minore incidenza di peggioramento della funzione renale, iperkaliemia e tosse stizzosa rispetto ad enalapril (Tabella 1). Il beneficio clinico di sacubitril/valsartan sull’endpoint primario risultava comparabile a quello di precedenti studi clinici di confronto fra enalapril e placebo4, con la fondamentale differenza che in questo studio il confronto è stato non verso placebo ma con lo stesso enalapril, rappresentante di una classe di farmaci “disease modifiers” che ha costituito per lungo tempo una solida base nella piramide del trattamento farmacologico dell’HFrEF.

I risultati dello studio PARADIGM-HF per la prima volta hanno dimostrato che la combinazione sacubitril/valsartan ha un effetto additivo rispetto alla sola inibizione del RAAS, aprendo la strada ad un esteso utilizzo clinico del farmaco ed alla raccomandazione (classe I) delle ultime linee guida della Società Europea di Cardiologia29 al suo utilizzo preferenziale, rispetto ai bloccanti del RAAS, nei pazienti con HFrEF.

PARAGON-HF

Lo studio PARAGON-HF21 ha valutato sacubitril/valsartan in pazienti affetti da HFpEF. In questi pazienti uno studio pilota che prevedeva il confronto di sacubitril/valsartan vs valsartan (Prospective comparison of ARNI with ARB on Management Of heart failUre with preserved ejectioN fracTion, PARAMOUNT)30, aveva dimostrato una riduzione dei livelli di NT-proBNP associata ad una riduzione delle dimensioni dell’atrio sinistro e ad un miglioramento significativo della classe funzionale NYHA nel braccio sacubitril/valsartan. Il criterio di arruolamento era una FE ≥45% associata ad aumento dei PN e segni clinici di insufficienza cardiaca (Tabella 1, Figura 6).




Endpoint primario dello studio era il composito di morte CV ed ospedalizzazioni totali per SC. Sono stati arruolati 4822 pazienti e si sono verificati 894 eventi primari nel gruppo sacubitril/valsartan vs 1009 eventi primari nel gruppo valsartan, mancando di poco una differenza statisticamente significativa (HR 0.87, IC 95% 0.75-1.01, p=0.06) (Tabella 1, Figura 7).




Tuttavia, è stato osservato un miglioramento della classe NYHA nel 15% dei pazienti nel gruppo sacubitril/valsartan vs 12.6% di quelli nel gruppo valsartan (odds ratio 1.45, IC 95% 1.13-1.86); ed inoltre emergeva una minore riduzione della funzionalità renale dell’1.4% verso il 2.7% del gruppo controllo (HR 0.50, IC 95% 0.33-0.77). La tollerabilità al farmaco risultava pressoché sovrapponibile nei due gruppi, con una maggiore incidenza di ipotensione arteriosa nel gruppo sacubitril/valsartan, a fronte di una maggiore incidenza di iperkaliemia nel gruppo di confronto.

Un dato interessante emerso dall’analisi per sottogruppi prespecificati è stata una significativa interazione con sesso e FE, con un evidente beneficio di sacubitril/valsartan nei pazienti con FE ≤57%, nel sesso femminile e nei pazienti trattati con MRA. A tal proposito una recente rianalisi dei risultati dello studio in base al sesso ha messo in evidenza come nel sottogruppo di pazienti di sesso femminile, a differenza di quanto osservato in quello maschile, vi fosse una significativa riduzione dell’endpoint composito primario e delle ospedalizzazioni totali per SC quando in corso di trattamento con sacubitril/valsartan vs valsartan31.

Da un’analisi combinata degli studi PARADIGM-HF e PARAGON-HF, effettuata allo scopo di valutare l’efficacia di sacubitril/valsartan lungo lo spettro della FE, è stato osservato nell’intera popolazione di 13 195 pazienti che sacubitril/valsartan era associato ad una significativa riduzione del 16% dell’endpoint composito di mortalità CV e della prima ospedalizzazione per SC, del 12% della mortalità per tutte le cause, del 18% delle ospedalizzazioni per tutte le cause e mortalità per SC, suggerendo che gli effetti di sacubitril/valsartan si estendono anche alla popolazione di pazienti con SC a FE lievemente ridotta (heart failure with mildly reduced ejection fraction, HFmrEF), in particolare fino ad un valore di FE pari a 55%, con un beneficio nel sesso femminile anche per valori superiori di FE32 (Figura 8).




Sulla base di questi dati, la Food and Drug Administration nel febbraio 2021 ha espresso parere favorevole all’estensione dell’indicazione di sacubitril/valsartan nei pazienti con SC e FE al di sotto del valore considerato normale, considerando che la FE è una misura variabile ed affidando tale scelta al giudizio clinico. Questa indicazione è stata poi recepita nelle più recenti linee guida29.

PARADISE-MI

Nello studio PARADISE-MI28 è stata valutata l’efficacia di sacubitril/valsartan in confronto a ramipril sull’endpoint combinato di SC e mortalità CV in pazienti con infarto miocardico acuto (IMA) (Tabella 1). I pazienti arruolati avevano una storia di IMA occorso tra le precedenti 12 h ed i 7 giorni prima dell’arruolamento, disfunzione sistolica ventricolare sinistra (FE ≤40%) e/o uno stato transitorio di congestione polmonare. Ulteriori criteri di arruolamento prevedevano almeno una delle seguenti condizioni: età ≥70 anni, velocità di filtrazione glomerulare stimata <60 ml/min/1.73 m2 al momento dello screening, diabete mellito, IMA pregresso, fibrillazione atriale associata all’evento acuto, disfunzione sistolica severa con FE <30%, classe Killip III o IV relativa all’evento indice che rendesse necessario un trattamento temporaneo per via endovenosa, IMA con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) non trattato con rivascolarizzazione entro le prime 24 h dall’esordio clinico.

Il PARADISE-MI è stato uno studio multicentrico internazionale, randomizzato (in rapporto 1:1 a sacubitril/valsartan o ramipril), controllato in doppio cieco, senza periodo di run-in (a differenza dei trial PARADIGM-HF e PARAGON-HF). Lo studio non ha dimostrato differenze significative sull’endpoint primario, sulla mortalità CV e per tutte le cause, o sulle ospedalizzazioni per SC tra i due trattamenti. L’analisi per sottogruppi ha mostrato un numero inferiore di eventi con sacubitril/valsartan solo in pazienti di età ≥65 anni o trattati con angioplastica coronarica. Inoltre, da un’analisi esplorativa che ha esaminato gli eventi CV totali (primi eventi e eventi ricorrenti), è emersa una significatività statistica a favore di sacubitril/valsartan (RR 0.79, IC 95% 0.65-0.97, p=0.02) (Figura 9).




Un risultato interessante è emerso dall’analisi degli eventi aggiudicati dagli sperimentatori, con un beneficio significativo di sacubitril/valsartan rispetto a ramipril su mortalità totale (HR 0.85, IC 95% 0.75-0.96, p=0.01), e sulla diagnosi ambulatoriale di SC durante un follow-up medio di 3 anni (HR 0.69, IC 95% 0.54-0.88, p=0.003) (Tabella 1, Figura 9).

Impiego di sacubitril/valsartan nella pratica clinica: gli studi TITRATION, PIONEER-HF e TRANSITION

Lo studio TITRATION ha testato la tollerabilità di sacubitril/valsartan in una popolazione di 498 pazienti ambulatoriali con HFrEF, con o senza precedente trattamento con ACEi/ARB33. I pazienti dopo un periodo di run-in sono stati randomizzati a una titolazione “abbreviata” da 24/26 mg bid a 97/103 mg in 3 settimane ed una “conservativa” in 6 settimane. Il raggiungimento di un dosaggio di 97/103 mg bid, endpoint primario dello studio, non è stato significativamente differente tra i due bracci: 77.8% nella titolazione “abbreviata” e 84.3% in quella “conservativa” (p=0.078). Non si è registrata differenza significativa tra i due gruppi anche per quanto riguarda la sospensione permanente di sacubitril/valsartan per tutti gli eventi avversi. Pazienti de novo o naïve all’ACEi/ARB, o a bassi dosaggi di questi oppure con una pressione arteriosa sistolica <110 mmHg hanno raggiunto e mantenuto la dose target quando la titolazione è stata più graduale34. Pertanto, lo studio TITRATION ha dimostrato che sacubitril/valsartan può essere titolato al massimo dosaggio in 3 settimane nella maggior parte dei pazienti eccetto quelli naïve all’ACEi/ARB, i pazienti che provengono da bassi dosaggi di questi farmaci oppure i pazienti con una pressione arteriosa sistolica basale <110 mmHg, tutti sottogruppi di pazienti nei quali la titolazione dovrebbe essere più graduale (almeno 6 settimane).

Lo studio PIONEER-HF (Comparison of Sacubitril-Valsartan versus Enalapril on Effect on NT-proBNP in Patients Stabilized from an Acute Heart Failure Episode)35 è stato disegnato per confrontare sacubitril/valsartan in pazienti con SC acuto, esclusi dal PARADIGM-HF24. Sono stati arruolati 881 pazienti durante l’ospedalizzazione in condizioni di stabilità emodinamica definita come una pressione arteriosa sistolica ≥100 mmHg, la non necessità di intensificare la terapia diuretica o iniziare vasodilatatori nelle 6 h prima della randomizzazione e l’assenza di inotropi da 24 h. Un terzo dei pazienti aveva uno SC de novo e il 52% era naïve all’ACEi/ARB. La dose di inizio è stata 24/26 mg bid di sacubitril/valsartan se la pressione sistolica era tra 100 e 120 mmHg, il 55% dei pazienti ha raggiunto il dosaggio target di 97/103 mg bid. Nelle 8 settimane di durata dello studio, il trial ha mostrato una significativa riduzione di NT-proBNP (endpoint primario) (47% vs 25%) di sacubitril/valsartan rispetto ad enalapril. Inoltre, l’endpoint esploratorio di outcome composito (morte, riospedalizzazione per SC, impianto di dispositivo di assistenza ventricolare o inserimento in lista per trapianto cardiaco) ha registrato una riduzione del RR del 46% in favore di sacubitril/valsartan, principalmente legata alla riduzione delle riospedalizzazioni per SC.

Similmente al PIONEER-HF, il TRANSITION36 ha valutato la sicurezza e la tollerabilità di sacubitril/valsartan in 1002 pazienti stabilizzati dopo ospedalizzazione per SC acuto, riceventi sacubitril/valsartan in ospedale o dopo la dimissione (entro 2 settimane). L’endpoint primario, ovvero la proporzione di pazienti che raggiungevano il dosaggio di 200 mg bid alla decima settimana dopo la randomizzazione, non è stato significativamente differente tra i due gruppi (45% dei pazienti del gruppo pre-dimissione e 50.4% del gruppo post-dimissione; RR 0.89, IC 95% 0.78-1.01). Inoltre, l’86.4% dei pazienti del gruppo pre-dimissione e l’88.8% del gruppo post-dimissione ha mantenuto qualunque dosaggio per almeno 2 settimane (RR 0.97, IC 95% 0.92-1.02). L’interruzione permanente del farmaco in studio è avvenuta nel 4.5% del gruppo pre-dimissione e nel 3.5% del gruppo post-dimissione (RR 1.28, IC 95% 0.69-2.39).

I pazienti sono stati anche stratificati sulla somministrazione di un ACEi, ARB o nulla prima dell’ospedalizzazione. Della popolazione arruolata, il 29% erano nuove diagnosi di HFrEF e il 24% non assumeva ACEi o ARB. In tali sottogruppi i risultati non sono stati diversi dalla popolazione generale37.

In conclusione, lo studio TRANSITION ha confermato i risultati del PIONEER-HF su sicurezza e tollerabilità di sacubitril/valsartan nei pazienti pre-dimissione, estendendoli ai pazienti con prima diagnosi di HFrEF nei quali sacubitril/valsartan può essere iniziato senza passare da un trattamento con ACEi o ARB o aspettare che diventino pazienti ambulatoriali.

CONCLUSIONI

L’inibizione del RAAS ha rappresentato una svolta fisiopatologica nel trattamento dei pazienti con HFrEF, con un significativo impatto sull’evoluzione della malattia e sulla prognosi a lungo termine. Più recentemente lo studio e l’introduzione del blocco combinato RAAS-NEP, dimostratosi altamente efficace nello studio PARADIGM-HF che ha rappresentato il primo tentativo clinico randomizzato e coronato da successo di paragonare due modalità attive di blocco del RAAS, hanno ampliato l’evidenza di beneficio della terapia farmacologica in tale contesto. Da qui lo studio del blocco combinato RAAS-NEP in altri ambiti di insufficienza cardiaca, in diversi sottogruppi di pazienti e la valutazione concreta del suo utilizzo nella pratica clinica quotidiana al fine di ottimizzarne l’utilizzo e l’accurata selezione del paziente. L’ottimizzazione del blocco del RAAS con l’aggiunta dell’inibitore della NEP rappresenta oggi la moderna alternativa, raccomandata dalle linee guida, all’impiego di ACEi o ARB al fine di ridurre la mortalità e le ospedalizzazioni per HFrEF.

RIASSUNTO

L’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) rappresenta un caposaldo del trattamento farmacologico dello scompenso cardiaco a ridotta frazione di eiezione ed è stato potenziato dall’arrivo degli inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina (ARNI) che combinano l’inibizione del RAAS con l’inibizione della neprilisina responsabile di un incremento delle attività favorevoli dei peptidi natriuretici. Sacubitril/valsartan ha dimostrato nello studio PARADIGM-HF un netto vantaggio rispetto ad enalapril in termini di riduzione di mortalità ed ospedalizzazioni per insufficienza cardiaca e numerosi altri trial randomizzati e studi clinici ne hanno testato l’efficacia in differenti contesti. Dai risultati di questi studi è derivata la raccomandazione di classe I per l’utilizzo del farmaco in pazienti con frazione di eiezione ridotta. La prima parte di questo position paper esplora la storia dell’inibizione del RAAS per passare poi ad una dettagliata analisi dei risultati ottenuti negli studi clinici con gli ARNI che ne supportano le raccomandazioni delle più recenti linee guida.

Parole chiave. Inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina; Linee guida; Sacubitril/valsartan; Scompenso cardiaco; Scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta.

RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano i seguenti collaboratori per il contributo fornito al documento: Dr.ssa Linda Pagura, Università degli Studi di Trieste; Dr.ssa Giovanna Gallo, Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Sapienza Università di Roma, Ospedale Sant’Andrea, Roma; Dr. Francesco Fioretti, Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Brescia.

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