Tomografia a coerenza ottica e ateromasia dilatativa: l’importanza dell’imaging intracoronarico per ottimizzare il risultato dell’angioplastica

Francesco Bendandi, Gabriele Ghetti, Nevio Taglieri

IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Bologna

Percutaneous coronary intervention (PCI) in coronary artery ectasia is technically challenging, particularly regarding appropriate stent sizing, and it is associated with a higher incidence of adverse events. In this case report, a 63-year-old male patient, heart transplant recipient, underwent elective follow-up coronary angiography in the absence of clinical symptoms. Five years previously the patient was treated with coronary angioplasty and drug-eluting stent implantation for critical lesions of the left anterior descending coronary artery. Angiographic images showed a focal in-stent haziness at the level of an ectatic segment. To elucidate this finding, optical coherence tomography (OCT) was performed. Intracoronary imaging showed severe malapposition of the proximal end of the stent, with an intraluminal signal-rich structure, suggestive of organized stent thrombosis. Stent dilation was performed to maximal recommended diameter, with significant reduction of the malapposed area, as shown by repeated OCT pullbacks. Intracoronary imaging is particularly valuable in PCI of ectatic vessels to guide appropriate stent sizing and avoid stent malapposition. OCT, thanks to its superior spatial resolution in comparison with other intravascular imaging techniques, provides advantages for stent optimization and evaluation of stent failure causes. However, its limited imaging area and possible incomplete blood clearance may limit its usefulness in severely ectatic vessels.

Key words. Coronary artery ectasia; Optical coherence tomography; Stent malapposition; Stent thrombosis.

INTRODUZIONE

L’ateromasia dilatativa coronarica, definita come la presenza di un segmento ectasico con diametro di almeno il 50% superiore rispetto ai segmenti sani adiacenti1, si riscontra in circa il 5% dei pazienti sottoposti a coronarografia2. L’angioplastica coronarica percutanea a livello di rami ectasici pone alcune difficoltà tecniche, in particolare nel corretto sizing degli stent, con il rischio di malapposizione e successiva maggiore incidenza di eventi avversi. Riguardo alla terapia antitrombotica, non vi sono al momento certezze su quale sia la strategia migliore per questo gruppo di pazienti. Alcuni studi osservazionali hanno mostrato un possibile beneficio dal prolungamento della duplice terapia antiaggregante (DAPT)3 o dall’utilizzo di terapia anticoagulante4. Per tali ragioni è stato istituito il registro ITACA (The ITAlian Coronary Artery Aneurysm and Ectasia Observational Study In Patients With Acute Coronary Syndrome), promosso dalla Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), con lo scopo di valutare la prognosi dei pazienti con ateromasia dilatativa coronarica e l’efficacia delle terapie interventistiche e farmacologiche in tale contesto.

CASO CLINICO

Paziente di 63 anni, sottoposto a trapianto ortotopico di cuore all’età di 48 anni per cardiopatia dilatativa post-infartuale. A 10 anni dal trapianto il paziente era stato sottoposto a coronarografia, come da protocollo del centro, che evidenziava diffusa ateromasia dilatativa dei principali rami coronarici, con stenosi critiche del ramo interventricolare anteriore nei segmenti prossimale-medio e medio (Figura 1).




 Le lesioni venivano trattate, con la sola guida delle immagini angiografiche, con angioplastica e impianto di stent medicati di seconda generazione a rilascio di everolimus (2.5 x 18 mm e 3 x 18 mm).

Successivamente alla procedura di angioplastica si decideva di proseguire la DAPT a lungo termine, considerando l’elevato profilo di rischio correlato all’anatomia coronarica e il basso rischio emorragico.

A 15 anni dal trapianto si ripeteva coronarografia in assenza di sintomatologia clinica. Alla valutazione precedente all’esame il paziente non riferiva sintomi di natura cardiologica, mostrava buon compenso cardiocircolatorio e all’ecocardiogramma si evidenziava lieve riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro (frazione di eiezione 52%), in assenza di deficit della cinetica segmentaria. L’esame mostrava pervietà degli stent, in assenza di stenosi critiche nei principali rami coronarici. Si evidenziava tuttavia una circoscritta opacità intraluminale nel ramo interventricolare anteriore, a livello della porzione prossimale dello stent posizionato al tratto medio, in corrispondenza di una dilatazione aneurismatica (Figura 2).




Si decideva quindi di approfondire con l’utilizzo di imaging intracoronarico, in particolare con tomografia a coerenza ottica (OCT). L’esame OCT evidenziava severa malapposizione circonferenziale della porzione prossimale dello stent, per una lunghezza totale di 3.6 mm e con distanza massima assiale tra le maglie dello stent e la parete del vaso di 1.2 mm. A livello delle maglie dello stent malapposte, si evidenziava inoltre una voluminosa formazione con elevata intensità di segnale e basso back-scattering, che verosimilmente rappresenta l’esito dell’evoluzione fibrosa di una pregressa trombosi subclinica (Figura 3).




Si procedeva quindi a dilatazione della porzione prossimale dello stent con pallone non compliante 4.0 x 6 mm (diametro massimo di post-dilatazione dello stent secondo le raccomandazioni del produttore). Successivamente si ripeteva l’OCT, che mostrava riduzione della malapposizione dello stent: la porzione di stent non a parete si limitava adesso a 2 mm di lunghezza e a circa un terzo della circonferenza del vaso, con distanza assiale massima di 0.6 mm. Persisteva, seppur ridotta, una quota di trombo organizzato a livello delle maglie dello stent.

Considerando il risultato dopo la prima dilatazione e per evitare il rischio di frattura dello stent, si decideva di non dilatare ulteriormente. Dato il riscontro di pregressa trombosi di stent e la persistenza di parziale malapposizione si decideva per prosecuzione della DAPT a lungo termine.

DISCUSSIONE

L’OCT, grazie alla risoluzione spaziale 10 volte superiore rispetto all’ecografia intravascolare5, garantisce numerosi vantaggi nell’ottimizzazione della procedura di impianto di stent (migliore caratterizzazione tissutale per la definizione dell’area di rilascio, profilazione automatica del lume coronarico e capacità di riconoscere la lamina elastica esterna per la scelta della dimensione e maggiore capacità di evidenziare ipo-espansione o malapposizione) e permette inoltre di valutare le cause di fallimento dello stent6.

Come evidenziato dal caso presentato, nell’angioplastica di vasi affetti da ateromasia dilatativa, un approccio tradizionale, senza l’utilizzo di tecniche di imaging intracoronarico, può portare a risultati subottimali, in particolare per il rischio di undersizing degli stent e conseguente malapposizione.

La malapposizione dello stent rappresenta un problema clinico rilevante, in quanto si associa a elevato rischio di trombosi. Studi OCT hanno mostrato come una distanza assiale massima tra le maglie dello stent e la parete del vaso >0.35 mm si associa a mancata epitelizzazione e quindi a maggiore rischio trombotico7. Sulla base di questi dati, il documento di consenso EAPCI 2018 sull’uso dell’imaging intracoronarico raccomanda post-dilatazione in caso di malapposizione >1 mm in lunghezza e >0.4 mm in distanza assiale6.

Nel caso clinico presentato, la dilatazione dello stent ha consentito una parziale riduzione della porzione malapposta, con possibilità di successiva epitelizzazione e quindi riduzione del rischio di nuove trombosi. Non è stato comunque possibile ottenere un risultato ottimale, con assenza completa di maglie dello stent non a parete, per cui si è deciso di proseguire la DAPT a lungo termine.

L’uso dell’OCT ha inoltre permesso di caratterizzare la formazione intraluminale, che per aspetto (elevata intensità di segnale e basso back-scattering) e per storia clinica del paziente rappresenta verosimilmente l’esito dell’evoluzione fibrosa di un trombo sviluppatosi a livello dello stent malapposto, clinicamente silente. Si devono tuttavia considerare alcune limitazioni nell’utilizzo dell’OCT in vasi affetti da ateromasia dilatativa. Innanzitutto, dato il campo visivo limitato della metodica (area circolare con raggio massimo di 5 mm attorno alla guida), alcune porzioni della parete vasale possono risultare non visualizzabili. Inoltre, la rimozione del sangue mediante iniezione di mezzo di contrasto, essenziale per garantire una corretta visualizzazione della parete coronarica, può risultare incompleta, dato il maggiore volume dei vasi ectasici e il flusso tipicamente turbolento. Quest’ultimo limite può essere in parte superato modificando i parametri di iniezione del contrasto, in particolare aumentandone il volume e la pressione di iniezione.

In conclusione, il caso clinico presentato evidenzia le complessità dell’angioplastica coronarica nel contesto di ateromasia dilatativa. In tale contesto le tecniche di imaging intracoronarico rappresentano un valido supporto alla procedura, in particolare nella scelta delle dimensioni dello stent e nell’ottimizzazione del risultato, con l’obiettivo di limitare la malapposizione e di conseguenza il rischio trombotico.

RIASSUNTO

L’angioplastica coronarica in un contesto di ateromasia dilatativa pone alcune difficoltà tecniche, soprattutto inerenti al corretto sizing degli stent, e si associa ad aumentata incidenza di eventi avversi. Nel caso clinico presentato, un paziente di 63 anni trapiantato di cuore viene sottoposto a coronarografia di follow-up, in assenza di sintomatologia clinica. Cinque anni prima, il paziente era stato trattato con angioplastica coronarica e impianto di stent medicati per lesioni critiche del ramo interventricolare anteriore. Le immagini angiografiche hanno mostrato un’opacità focale intrastent, in corrispondenza di una dilatazione aneurismatica. Per approfondire tale riscontro, è stata eseguita una tomografia a coerenza ottica (OCT). L’imaging intracoronarico ha mostrato una severa malapposizione dell’estremità prossimale dello stent, con la presenza di una struttura intraluminale ad alta intensità di segnale, indicativa di trombosi di stent organizzata. È stata quindi eseguita una dilatazione dello stent fino al massimo diametro raccomandato, con significativa riduzione dell’area di malapposizione all’acquisizione OCT ripetuta. L’imaging intracoronarico è particolarmente utile nell’angioplastica di vasi ectasici, per guidare il corretto sizing dello stent ed evitare la malapposizione. L’OCT, grazie alla risoluzione spaziale superiore, garantisce un vantaggio nell’ottimizzazione dell’impianto di stent e nella valutazione delle cause di fallimento dello stent. Tuttavia, il limitato campo visivo e la possibilità di incompleta rimozione del sangue possono limitarne l’utilità nei vasi severamente ectasici.

Parole chiave. Ectasia delle arterie coronarie; Malapposizione dello stent; Tomografia a coerenza ottica; Trombosi dello stent.

BIBLIOGRAFIA

1. Demopoulos VP, Olympios CD, Fakiolas CN, et al. The natural history of aneurysmal coronary artery disease. Heart 1997;78:136-41.

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4. Doi T, Kataoka Y, Noguchi T, et al. Coronary artery ectasia predicts future cardiac events in patients with acute myocardial infarction. Arterioscler Thromb Vasc Biol 2017;37:2350-5.

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6. Räber L, Mintz GS, Koskinas KC, et al. Clinical use of intracoronary imaging. Part 1: guidance and optimization of coronary interventions. An expert consensus document of the European Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions. Eur Heart J 2018;39:3281-300.

7. Gutiérrez-Chico JL, Wykrzykowska J, Nüesch E, et al. Vascular tissue reaction to acute malapposition in human coronary arteries: sequential assessment with optical coherence tomography. Circ Cardiovasc Interv 2012;5:20-9.