Percorso clinico decisionale nel paziente anziano
fragile con fibrillazione atriale:
la proposta di un gruppo di lavoro multidisciplinare

Niccolò Marchionni1, Stefano Fumagalli2, Mario Bo3, Alessandro Boccanelli4, Giuseppe Boriani5,
Andrea Rubboli6, Francesco Violi7, Giuseppe Di Pasquale8

1Dipartimento Cardiotoracovascolare, A.O.U. Careggi, e Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi, Firenze

2Unità di Terapia Intensiva Geriatrica e Unità di Aritmologia Geriatrica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica,
Università degli Studi di Firenze, A.O.U. Careggi, Firenze

3Sezione di Geriatria, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Torino,
A.O.U. Città della Salute e della Scienza, Molinette, Torino

4UniCamillus International University of Health Sciences, Roma

5Divisione di Cardiologia, A.O.U. Modena, e Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze,
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Modena

6Dipartimento Cardiovascolare - AUSL Romagna, U.O. Cardiologia, Ospedale S. Maria delle Croci, Ravenna

7Medicina Interna, Sapienza Università di Roma, Roma

8Direzione Sanitaria, Azienda USL di Bologna

Hanno collaborato alla realizzazione del Documento:

Barbara Beer, Medicina interna, A.O. Mauriziano, Torino; Paolo Colonna, Cardiologia Ospedaliera - Policlinico di Bari; Luca Luigi Manetti, U.O.C. Pronto Soccorso, Ospedale San Carlo di Nancy, Roma; Annarita Pilleri, S.S.D. Consulenza e Valutazione Cardiologica ARNAS “G. Brotzu”, Azienda di Rilievo Nazionale ad Alta Specializzazione; Francesco Purificato, U.O.C. Medicina Interna, Ospedale “Dono Svizzero”, Formia (LT); Giovanni Ruotolo, Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio, Catanzaro; Angela Sciacqua, U.O.C. Geriatria, AOU Mater Domini, Scuola di Specializzazione in Geriatria, Università “Magna Graecia”, Catanzaro; Lelio Taberini, U.O.S.D. Servizi Cardiologici Integrati, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma; Emanuela Turcato, U.O.C. Geriatria, IRCCS “Sacro Cuore - Don Calabria”, Ospedale Classificato e Presidio Ospedaliero Accreditato - Regione Veneto, Negrar di Valpolicella (VR); Silvia Bozzato, Centro Emostasi e Trombosi e Area Osservazione 1, ASST Settelaghi - Ospedale di Circolo, Varese; Domenico Catanzariti, S.S. Cardiologia Interventistica ed Elettrofisiologia, Divisione di Cardiologia, Ospedale S. Maria del Carmine, Rovereto (TN), APSS del Trentino; Mario Felici, Area Dipartimentale Geriatria, USL Toscana Sudest, U.O.C. Geriatria, Ospedale S. Donato, Arezzo; Cinzia Florio, Ospedale San Severo, Foggia; Francesco Fontana, A.O. Cosenza, Cosenza; Andrea Giomi, S.O.S. Cardiologia ed Elettrofisiologia, Ospedale Santa Maria Nuova, Firenze; Renato Masala, U.O. Geriatria, Ospedale S. Maria Goretti, Latina ASL, Latina; Giuseppe Mascia, Cardiologia Interventistica, Dipartimento CardioToracoVascolare, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria San Martino, Genova; Daniele Nassiacos, U.O.C. Cardiologia-UTIC, P.O. Saronno, ASST della Valle Olona, Varese; Martina Nesti, Dipartimento Cardio-Toraco-Neurovascolare, Ospedale San Donato, Arezzo; Chukwuma Okoye, U.O.C. Geriatria Universitaria, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa; Gabriele Pestelli, U.O.C. Cardiologia, Ospedale G.B. Morgagni, Azienda AUSL della Romagna, e Unità di Ricerca Cardiovascolare, Fondazione Sacco, Forlì; Vincenzo Bassi, U.O.C. Medicina Generale e Lungodegenza, Ospedale San Giovanni Bosco ASL Napoli 1 Centro, Napoli; Serafino Curci, Medicina Interna, IRCC, Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG); Maria D’Avino, U.O.C. Medicina Lungodegenza, AORN A. Cardarelli, Napoli; Sara Doimo, S.C. Cardiologia, Dipartimento di Fisiopatologia Cardio-Cerebro-Vascolare, Azienda Sanitaria “Friuli Occidentale”, Pordenone; Massimiliano Faustino, Ospedale SS. Annunziata, Chieti; Maria Paola Gemmiti, U.O.C. Cardiologia e UTIC, Ospedale di Sora (FR), ASL Frosinone; Pasquale Pignatelli, I Clinica Medica, Sapienza Università di Roma, Roma; Giovanni Sarli, U.O.C. UTIC/Cardiologia, ASL RM 6, Frascati (RM); Patrizia Stefanoni, Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Varese; Marco Ciccone, Sezione dall’Apparato Cardiovascolare, Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti d’Organo, Università degli Studi “Aldo Moro”, Bari; Igor Diemberger, Istituto di Cardiologia, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna; Felice Gragnano, U.O. Cardiologia a Direzione Universitaria, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, AORN Sant’Anna e San Sebastiano, Caserta; Franco Serafini, U.O.C. Cardiologia, Ospedale di Bentivoglio (BO)

Atrial fibrillation (AF) is the most common arrhythmia in elderly people. Older patients with AF have several comorbidities and should be treated with complex therapeutic schemes. Arrhythmia complications are also common at an advanced age. Accordingly, AF can be considered a marker of frailty. Few indications can be found concerning the management of frail older subjects in current guidelines. The Frailty in Atrial Fibrillation Survey Study (FAST) was designed to overcome the gap of knowledge about this extremely vulnerable subset of patients. A multidisciplinary team composed by cardiologists, geriatricians and internists participated in the project. In a first phase, a survey was conducted aiming at clarifying specialty-related differences in definition and oral anticoagulant therapy (OAT) management of frail individuals. In the second phase, specific chapters were prepared about AF and frailty epidemiology, the network for the management of the arrhythmia, the diagnostic strategies for AF (including a minimum data set of tools derived from the geriatric multidimensional assessment), OAT and the choice between a rate or a rhythm control strategy. For each chapter, up-to-date evidence and current guideline recommendations were presented and discussed among the 47 Italian centers participating in the project. In the last phase of FAST, the results of the survey and the final draft of the chapters were merged into the present document. A lack of homogeneity in frailty definition existed. The integration among cardiologists, geriatricians and internists can represent the most effective tool to get through these differences improving the management of frail older patients.

Key words. Atrial fibrillation; Direct oral anticoagulants; Disability; Elderly; Frailty; Oral anticoagulant therapy.

INTRODUZIONE

A fronte di esaurienti linee guida sulla gestione della fibrillazione atriale (FA), in particolare quelle della Società Europea di Cardiologia (ESC) recentemente rieditate, esiste un bisogno non soddisfatto relativo alla gestione del paziente anziano alla luce delle sue possibili comorbilità e fragilità1,2. Allo scopo di colmare questa lacuna un Gruppo di Lavoro multidisciplinare costituito da cardiologi, geriatri ed internisti esperti nel campo della FA, ha deciso di produrre un documento che non vuole essere né una linea guida, né un position paper ma, piuttosto, una proposta di percorso clinico decisionale per la gestione appropriata del paziente anziano fragile con FA, in modo particolare per quanto attiene alla prescrizione della terapia anticoagulante orale (TAO).

La bozza del documento è stato oggetto di presentazione e discussione in sei incontri interattivi svolti in modalità telematica, ai quali hanno partecipato e contribuito i rappresentanti di 47 Centri coinvolti in un questionario-indagine preliminare al progetto “Frailty in Atrial Fibrillation Survey Study” (FAST). Le osservazioni ed i contributi ricevuti da parte dei partecipanti ai webinar sono stati incorporati nella stesura finale del documento.

Risultati della survey del progetto FAST

Il progetto FAST ha previsto lo svolgimento di una indagine – mediante questionario – tra i Centri partecipanti, riguardante la definizione di fragilità e l’utilizzo di farmaci anticoagulanti in pazienti anziani con FA. Riteniamo utile presentare qui i dati essenziali del questionario-indagine in quanto, per la numerosità e la distribuzione geografica dei Centri partecipanti, essi forniscono un’interessante quanto esaustiva descrizione sulla gestione clinica del paziente anziano con FA in Italia.

I partecipanti al questionario-indagine del progetto FAST

Sono stati valutati i questionari provenienti dal personale di 47 strutture, nella maggior parte dei casi (64%) di Cardiologia. I Centri di Geriatria e Medicina Interna erano, rispettivamente, il 21% e il 15% del totale.

Non erano presenti differenze per area geografica di coloro che hanno risposto (Italia - Nord: 32%; Centro: 36%; Sud e Isole: 32%).

La quasi totalità (97.9%) dei “responder” è autorizzata alla prescrizione degli anticoagulanti orali diretti (DOAC), con possibilità di eseguire follow-up clinico e di laboratorio in oltre l’80% dei casi. Tuttavia, solo il 38.3% dei Centri prevede una valutazione del profilo cognitivo e funzionale della casistica, con ampie differenze in base alla specializzazione: dal 90% nelle strutture geriatriche al 23.3% in quelle cardiologiche.

Il 27.7% dei Centri valuta mensilmente 10-20 soggetti con FA, mentre il 70.2% ne valuta oltre 20.

Per quanto riguarda l’età degli assistiti, il 63.8% dei Centri gestisce una casistica costituita per oltre la metà da ultra75enni. Soltanto nel 29.8% e nel 6.4% dei Centri gli ultra75enni rappresentano, rispettivamente, solo il 30-50% e il 10-30% dei pazienti trattati.

Questi risultati confermano l’età avanzata della popolazione che viene valutata per FA.

Utilizzo della terapia antitrombotica nei Centri
del progetto FAST

Per quanto riguarda la scelta della terapia antitrombotica, l’utilizzo di un DOAC è ormai largamente preferito rispetto a quello degli antagonisti della vitamina K (AVK) (82.3% vs 13.5%), senza differenze per quanto riguarda gli ultra75enni. L’uso di aspirina o la scelta di non prescrivere terapia antitrombotica sono evenienze estremamente rare (1.2% e 3%, rispettivamente).

Tra i DOAC, apixaban (29.7%) ed edoxaban (28.2%) sono utilizzati più spesso di rivaroxaban (23.8%) e dabigatran (18.3%), anche in questo caso senza sostanziali differenze per età.

Fibrillazione atriale e fragilità

Nel 91.5% dei Centri che hanno risposto, la fragilità non è considerata una controindicazione all’uso degli anticoagulanti.

Comorbilità, presenza di demenza, malnutrizione e ridotto peso corporeo, sono stati indicati più frequentemente come marcatori di fragilità, seguiti da storia di cadute, gravità delle patologie associate e presenza di anemia, ridotta massa magra e forza muscolare (Figura 1).




È interessante osservare che la Short Physical Performance Battery (SPPB), misura “surrogata” di fragilità, è stata scelta in una minoranza di casi, verosimilmente perché considerata strumento specifico del geriatra e, in quanto tale, forse meno conosciuta da cardiologi e internisti. Come atteso, alcune risposte differivano proprio in relazione alla specializzazione dei “responder”. In accordo con quanto ipotizzato sopra, in Cardiologia e in Medicina Interna una condizione di fragilità è più spesso identificata da una storia di demenza e ictus, o per ridotto peso corporeo, anemia e ridotta massa magra. Per la Medicina Interna ha grande importanza la storia di cadute. Per il geriatra hanno invece maggiore rilevanza la ridotta forza muscolare e la gravità delle patologie associate.

Controindicazioni all’uso degli anticoagulanti nei pazienti anziani con fibrillazione atriale

La presenza di insufficienza renale cronica grave, una storia di emorragie e la mancanza di un caregiver rappresentano le principali cause per non prescrivere un anticoagulante. Seguono una storia di cadute e la presenza di un’epatopatia (Figura 2).




Anche per questa parte del questionario, le risposte differiscono per specializzazione. In particolare, tutti sono stati concordi nell’identificare nel rischio di una recidiva di emorragia una causa di mancata anticoagulazione. Cardiologi e internisti danno, poi, grande importanza ad epatopatia e insufficienza renale grave, e i soli internisti alla storia di cadute. I geriatri identificano più spesso nella mancanza di un caregiver, nella presenza di demenza e di disabilità permanente, le cause più importanti per non intraprendere la terapia anticoagulante.

In conclusione, i risultati di questo questionario-indagine svolto tra i partecipanti al progetto FAST dimostrano che la gestione della FA, in pazienti sempre più anziani, coinvolge cardiologi, geriatri e internisti. In accordo con le linee guida, la TAO, soprattutto con DOAC, è utilizzata nella maggior parte dei casi. Nonostante una popolazione prevalentemente di età avanzata, non c’è ancora l’abitudine a valutare il profilo cognitivo e lo stato funzionale globale dei pazienti con FA. La fragilità, almeno teoricamente, non è considerata una controindicazione alla terapia anticoagulante. Tuttavia, risulta un’ampia disomogeneità nella definizione clinica e operativa della fragilità, pur essendo essa ritenuta potenziale causa di esclusione dall’anticoagulazione.

L’integrazione culturale e tecnica fra le diverse specialità nel processo di cura della FA rappresenta, quindi, la strategia vincente per la gestione di una popolazione sempre più anziana e, verosimilmente, complessa per comorbilità multiple e coesistente fragilità. In coerenza con tali osservazioni, un team multidisciplinare potrebbe non soltanto ridurre mortalità e ricoveri, ma anche migliorare qualità della vita e, al tempo stesso, ridurre la disabilità incidente.

EPIDEMIOLOGIA

Epidemiologia della fibrillazione atriale

La FA è l’aritmia sostenuta di riscontro più frequente in età avanzata. Studi di popolazione condotti in Europa hanno dimostrato, nel corso di quasi 13 anni di follow-up, una sua incidenza complessiva più alta negli uomini che nelle donne (6.4% vs 4.4%), con trend progressivamente crescente all’aumentare dell’età. Dopo i 50-60 anni, rispettivamente in uomini e donne, i nuovi casi di FA sono sempre più numerosi, raggiungendo la massima incidenza oltre gli 80 anni3. Probabilmente, le migliori condizioni di cura, con il conseguente aumento della sopravvivenza dopo eventi clinici anche molto gravi, e la maggior attenzione alla diagnosi di aritmia, hanno comportato, in un breve arco temporale, il rapido incremento dei nuovi casi di FA, particolarmente oltre i 75 e gli 85 anni di età4. A questa “esplosione” epidemiologica è seguito un aumento significativo della prevalenza dell’aritmia, particolarmente nei più anziani. In uno studio osservazionale in 21 paesi, il 9% circa degli ultra80enni aveva FA5; in altri contesti, la prevalenza di aritmia in soggetti di età ≥85 anni cresceva addirittura al 23%6.

Epidemiologia della fragilità

La prevalenza di fragilità, intesa come sindrome complessa e multifattoriale, caratterizzata da una ridotta capacità di adattamento ad eventi che possano alterare le condizioni di equilibrio esistenti e, generalmente, con forte impatto negativo sulla mobilità, è del 10% circa nella popolazione anziana. È maggiore nelle donne e cresce in modo significativo con l’invecchiamento, superando il 15% e il 25% nei soggetti di età ≥80 e ≥85 anni, rispettivamente7.

Fibrillazione atriale come marcatore di fragilità

FA e fragilità hanno, quindi, un andamento epidemiologico molto simile. L’aritmia potrebbe addirittura rappresentare un vero e proprio marcatore, non solo di invecchiamento cardiovascolare, ma della presenza di una condizione di fragilità8. A questo proposito, in una survey europea, il 72% degli aritmologi intervistati ha risposto che la FA si associa a fragilità clinica, al pari di insufficienza renale, demenza, disabilità, scompenso cardiaco e storia di cadute9. I presupposti della relazione tra queste due condizioni sono molteplici (Figura 3).




Primo tra questi, la presenza di patologie associate. In media, nella popolazione di età >65 anni con FA è possibile fare diagnosi di altre 6 condizioni cliniche10. Le più rappresentate sono: ipertensione arteriosa, malattia coronarica, scompenso cardiaco, anemia, diabete, insufficienza renale e broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Complessivamente, la prevalenza di tutte le patologie di maggior rilievo clinico è sempre più elevata sia in presenza che in assenza di FA11. Questi dati sembrano quindi confermare che la FA si associa ad una maggiore complessità clinica.

Un altro aspetto importante nella correlazione tra fragilità e FA è rappresentato dall’associazione dell’aritmia con la presenza di disabilità, anch’essa con prevalenza età-dipendente, particolarmente in presenza di FA. Anche per la FA, che probabilmente ne rappresenta uno dei primi esempi, è stata infatti creata una nuova misura epidemiologica, i “disability-adjusted life-years”5. Scompenso cardiaco, ictus e demenza sono probabilmente le cause dell’associazione epidemiologica tra FA, fragilità e disabilità.

La prevalenza di scompenso cardiaco nei pazienti con FA è nel complesso del 10.4%, ma raggiunge addirittura il 19.7% nei soggetti con forme permanenti dell’aritmia12. La presenza di scompenso cardiaco si correla ad un rischio 2.2 volte superiore di sviluppare FA, così come la presenza di FA si associa ad un rischio aumentato 2.3 e 1.3 volte di sviluppare, rispettivamente, scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata o ridotta13. Oltre a questa interazione importante tra le due condizioni, deve essere aggiunta quella secondaria ad insufficiente controllo della frequenza cardiaca media, con sviluppo di vera e propria tachicardiomiopatia14. Anche l’ictus tromboembolico in corso di FA ha un’incidenza età-dipendente, come dimostrato da studi epidemiologici che hanno osservato che la massima incidenza, pari a 12.7 eventi per 1000 per anno nelle donne e a 7.5 eventi per 1000 per anno negli uomini rispettivamente, veniva raggiunta oltre i 90 anni di età15. Oltre a quello cerebrale, gli eventi tromboembolici possono coinvolgere altri distretti; in ampie serie cliniche; gli eventi embolici sistemici extra-cerebrali hanno un’incidenza complessiva di 0.24 eventi per 100 pazienti-anno, rappresentando l’11.5% di tutti i cardio-embolismi secondari a FA. Nel 46% dei casi, l’evento porta addirittura ad amputazione di un arto o resezione intestinale16. Ne consegue che non solo l’ictus ma anche il cardio-embolismo extra-cerebrale è possibile causa di fragilità. Per quanto concerne l’associazione tra FA e demenza, il Cardiovascular Health Study ha dimostrato che lo sviluppo di aritmia si associa a un accelerato declino cognitivo17. A questa prima osservazione se ne sono aggiunte altre. Recentemente, in ultra70enni con follow-up di 85 mesi, l’incidenza di demenza è risultata aumentata del 63% in presenza di FA; da sottolineare che l’aritmia si associava all’aumentato rischio di demenza non solo vascolare ma anche degenerativa tipo Alzheimer18.

I pazienti fragili con fibrillazione atriale

I risultati del registro ORBIT-AF hanno dimostrato una condizione di fragilità nel 6.3% degli arruolati che erano più anziani (83 vs 74 anni), con più alto rischio tromboembolico (CHA2DS2-VASc 5 vs 4) e con maggiori necessità di assistenza (35.1% vs 7.2%) rispetto ai pazienti non fragili. Inoltre, i fragili riferivano più spesso una sintomatologia FA-correlata grave e disabilitante, valutata con lo European Heart Rhythm Association (EHRA) score19. Nello studio longitudinale Health, Aging, and Body Composition Study, la FA incidente comportava un più rapido declino funzionale20. Similmente, in pazienti anziani con FA e fragilità (dipendenza funzionale e/o demenza) l’incidenza di cadute supera il 30% ed è maggiore di quella nei soggetti con FA ma non fragili, in cui varia tra il 18% e il 22%21. I soggetti con FA e storia di cadute hanno più frequentemente anamnesi di emorragie, malattie cerebrovascolari e gastrointestinali, diabete, insufficienza renale cronica e osteoporosi. Inoltre, una storia di cadute comporta al follow-up un’incidenza maggiore di eventi, quali sanguinamenti gravi e mortalità cardiovascolare e per tutte le cause22. L’influenza della fragilità sulla prognosi di anziani con FA è estremamente rilevante. Dopo soli 6 mesi dal ricovero, la mortalità per tutte le cause è del 30%, più alta di quella osservata nei non fragili, anche dopo aggiustamento per comorbilità23.

In conclusione, se la FA rappresenta dal punto di vista epidemiologico e clinico una delle condizioni più comuni in età avanzata, riuscire a modificare la progressione aritmia-correlata verso fragilità, disabilità e mortalità aumentata, costituisce uno degli obiettivi più rilevanti della Cardiologia Geriatrica. A questo proposito, quasi tutto deve ancora essere fatto24.

LA RETE PER LA FIBRILLAZIONE ATRIALE:
PUNTI DI ACCESSO E PERCORSI

In accordo con le linee guida ESC1 e dell’American Heart Association/American College of Cardiology/Heart Rhythm Society2, la FA richiede protocolli di gestione differenziati in relazione a: primo osservatore, fenotipo clinico, acuzie/cronicità e impegno emodinamico. Inoltre, nell’ambito dei percorsi assistenziali, occorre definire i compiti e le funzioni di ciascun attore della rete integrata (medico di medicina generale [MMG], specialista territoriale e ospedaliero, infermiere, distretti), con i seguenti obiettivi:

1. Garantire ai pazienti con FA un percorso assistenziale integrato, che vada dalla presa in carico alla continuità delle cure, con superamento di barriere organizzative, professionali e operative.

2. Stratificare la popolazione sulla base del rischio clinico e del bisogno assistenziale.

3. Definire e condividere le caratteristiche del percorso di gestione integrata del paziente, in coerenza con le linee guida basate sulle prove di efficacia disponibili.

4. Garantire alle persone con disabilità gravi e in fine vita percorsi assistenziali che sviluppino, qualifichino e specializzino la rete dei servizi e valorizzino il sostegno delle famiglie.

Gli obiettivi del percorso diagnostico-terapeutico sono rappresentati da:

1. Migliorare l’offerta dei servizi assistenziali territoriali ai pazienti con FA, nelle diverse fasi della malattia, implementando un sistema di cure integrate tra MMG e specialisti cardiologi, favorendo percorsi facilitati per la diagnosi, la stadiazione, il monitoraggio dei fattori di rischio e il trattamento farmacologico, anche allo scopo di evitare le ospedalizzazioni improprie.

2. Migliorare l’offerta dei servizi assistenziali territoriali ai pazienti con FA dopo la dimissione ospedaliera, implementando un sistema di cure integrato tra ospedale e territorio, favorendo percorsi facilitati per la cura del paziente anziano complesso e/o fragile, al fine di evitare ricoveri ripetuti (fenomeno delle “revolving doors) e migliorare la qualità di vita.

3. Attuare interventi di formazione e sensibilizzazione degli operatori sanitari, mirati alla condivisione dei percorsi, al fine dell’integrazione funzionale.

4. Verificare l’appropriatezza, la qualità e l’equità delle cure erogate attraverso un sistema standardizzato di indicatori.

È da sottolineare che la concreta realizzazione di un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (PDTA) specifico richiede il superamento di una serie di criticità, rappresentate da: inadeguatezza della diagnosi (sotto-diagnosi o diagnosi tardiva); mancato coordinamento tra livelli assistenziali (MMG, specialisti ospedale-territorio) per la gestione del paziente con FA in tutte le fasi della malattia, con percorsi differenziati per complessità clinica; mancanza di strumenti informatizzati di comunicazione tra i diversi livelli assistenziali; mancanza di monitoraggio sistematico dell’uso di risorse, processi ed esiti; scarsa educazione del paziente e dei caregiver, con potenziale impatto negativo sull’aderenza alla terapia.

Gestione del paziente con fibrillazione atriale tra medico di medicina generale, cardiologo territoriale, cardiologo ospedaliero e ambulatorio infermieristico dedicato

Follow-up medico di medicina generale-cardiologo
del territorio

La frequenza e la strutturazione dei controlli clinici devono essere commisurate alla gravità dei sintomi, classificati secondo la scala dell’EHRA25:

• classe EHRA 1: nessun sintomo;

• classe EHRA 2a: sintomi lievi; nessuna difficoltà a svolgere le usuali attività quotidiane;

• classe EHRA 2b: sintomi moderati; nessuna difficoltà a svolgere le usuali attività quotidiane, anche se il paziente è disturbato dai sintomi;

• classe EHRA 3: sintomi severi; difficoltà a svolgere le usuali attività quotidiane;

• classe EHRA 4: sintomi invalidanti; incapacità a svolgere le usuali attività quotidiane.

Per i pazienti con FA permanente in fase di stabilità (classe EHRA 1-2a) sono previsti i seguenti controlli del MMG e del cardiologo ambulatoriale:

• controllo del MMG ogni 6 mesi, comprensivo di esami ematici;

• visita cardiologica ogni 12 mesi (e comunque a discrezione del MMG);

• incontri di educazione sanitaria presso ambulatorio del MMG e/o infermieristico del territorio.

Per i pazienti con sintomi moderati-severi (classe EHRA 2b-3):

• controllo del MMG e/o cardiologo del Centro di Assistenza Domiciliare (CAD) e dell’infermiere del territorio/MMG ogni 1-2 mesi;

• visita cardiologica ogni 6 mesi (e comunque a discrezione del MMG).

Per i pazienti con sintomi invalidanti (classe EHRA 4):

• controllo del MMG e/o dell’infermiere/cardiologo CAD ogni 1-2 settimane o a giudizio dell’equipe assistenziale in base alle necessità emergenti.

Ambulatorio infermieristico

L’infermiere dedicato, nella struttura dell’ambulatorio infermieristico – ospedaliero o territoriale – supporta il medico nella gestione del paziente con FA ed effettua controlli paralleli ma anche intermedi durante il follow-up, che contribuiscono al mantenimento della stabilità clinica e alla prevenzione delle riospedalizzazioni. Il counseling infermieristico è finalizzato all’aderenza alla terapia, alla correzione dei fattori di rischio, alla gestione del paziente fragile o con limitazioni funzionali per comorbilità. Nell’ambulatorio infermieristico vengono controllati rilevanti parametri clinici (frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa, peso corporeo), gli esami ematici, la gestione dei piani terapeutici per il trattamento anticoagulante.

Indicazioni all’invio al servizio ambulatoriale dedicato alla fibrillazione atriale/terapia anticoagulante orale

Pazienti dimessi con diagnosi di FA da reparti ospedalieri (Cardiologie o altri, quali Medicine Interne e Geriatrie).

Pazienti inviati da altri ambulatori dedicati (cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco).

Pazienti inviati dal MMG per prima diagnosi di FA emodinamicamente stabile o con destabilizzazione in corso di follow-up (es. da classe EHRA 1-2a a 2b-4).

Gestione dei pazienti con fibrillazione/flutter atriale afferenti al Dipartimento d’Emergenza-Accettazione con possibile indicazione a cardioversione

All’interno del Dipartimento d’Emergenza-Accettazione (DEA) dell’ospedale vanno condivise linee gestionali standardizzate da applicare a tutti i pazienti afferenti per FA/flutter atriale (FlA), con coinvolgimento di medici e infermieri di: DEA/Medicina d’Urgenza; Cardiologia; Anestesia/Rianimazione; Medicina Interna/Geriatria; Ambulatorio TAO.

FA e FlA rappresentano le tachiaritmie più frequenti in DEA. Colpiscono l’1-2% della popolazione nei paesi occidentali e sono acclarati fattori di rischio di morbilità e mortalità. Da recenti metanalisi emerge come la prevalenza media della FA sia complessivamente dell’1.8% nella popolazione generale, e cresca progressivamente con l’aumentare dell’età, con rilevanti differenze di genere. Stime proiettive mostrano inoltre un costante aumento della prevalenza di FA negli ultimi decenni, proprio come risultato del progressivo invecchiamento della popolazione.

Obiettivi

La condivisione di un percorso gestionale standardizzato dei pazienti ricoverati in DEA con FA/FlA ha le seguenti finalità:

• assicurare la uniforme adozione di elevati standard di sicurezza ed efficacia, ottimizzando l’uso delle risorse ospedaliere;

• ridurre i ricoveri inappropriati;

• ridurre il tempo di permanenza in DEA;

• incentivare il percorso di trattamento in day hospital o in regime ambulatoriale.

Responsabilità

Nella Tabella 1 sono rappresentati i ruoli dei professionisti impegnati nell’assistenza ai pazienti con FA/FlA che accedono al DEA.




Descrizione delle attività

All’ingresso in DEA, i pazienti con FA/FlA saranno caratterizzati in tre gruppi in base a stabilità clinica, rilevanza dei sintomi (classe EHRA) e tempo di esordio dell’aritmia (<48 o >48 h). Ciò dà accesso a un percorso diagnostico-terapeutico e gestionale che è schematizzato nella Figura 4.

Pazienti clinicamente instabili
(con necessità di trattamento rapido)

È instabile quel paziente in cui la FA/FlA si associa a uno o più dei seguenti:

• scompenso cardiaco congestizio (classe NYHA III o IV);

• segni di ischemia miocardica (dolore toracico e alterazioni del tratto ST-T);

• segni di ridotta gittata cardiaca (ipotensione persistente e ipoperfusione periferica).

In questi casi è indicato il trattamento urgente per ripristinare il ritmo sinusale o, almeno, ridurre la frequenza cardiaca, da concordare fra medico del DEA e consulente cardiologo.

Dopo stabilizzazione, i pazienti saranno trasferiti in area cardiologica o internistica/geriatrica, a seconda che prevalga o meno la patologia cardiaca.

Pazienti stabili con sintomi limitanti (classi EHRA 3 o 4) o con sintomi minori (classi EHRA 1-2a/b)
ed esordio certamente databile a <48 h
(con possibilità di trattamento precoce)

In assenza di comorbilità che costituiscano di per sé motivo di ricovero ordinario, il trattamento dell’aritmia potrà essere effettuato in regime di Osservazione Breve Intensiva (OBI), dove:

• tutti i pazienti (qualora non siano già in terapia cronica) dovranno iniziare trattamento anticoagulante; se prevista cardioversione (CV), il farmaco di prima scelta è un DOAC, da prescrivere in accordo con le indicazioni da scheda tecnica;

• in attesa della CV, può essere indicato un trattamento per il controllo della frequenza cardiaca: in questo caso, il farmaco di prima scelta sarà un betabloccante;

• dovrà essere effettuato un ecocardiogramma transtoracico prima della CV (o acquisire il referto di un eventuale esame già disponibile, se recente);

• un ecocardiogramma transesofageo è indicato quando l’esordio dell’aritmia non è databile con certezza a <48 h oppure la TAO è giudicata non sicuramente efficace (es. per gli AVK: anche un solo valore di “international normalized ratio” [INR] non in range nelle ultime 3 settimane; per i DOAC: scarsa aderenza alla terapia nelle ultime 3 settimane).

Alla dimissione

• Se il paziente è trattato con DOAC, consegnare una confezione del farmaco sufficiente per 1 mese (è quindi necessaria la disponibilità del farmaco in DEA).

• Se il paziente è trattato con AVK, inviare all’ambulatorio TAO dell’ospedale o a quello territoriale di riferimento per la presa in carico ed i successivi controlli dell’INR.

• Tutti i pazienti dovranno essere indirizzati all’Ambulatorio Aritmologico per i successivi controlli e l’eventuale compilazione del piano terapeutico per DOAC, attraverso un percorso dedicato, allegando la documentazione clinica comprensiva di ECG ed eventuale ecocardiogramma.

Pazienti stabili asintomatici o con sintomi non limitanti (classe EHRA 1-2a) ed esordio dell’aritmia >48 h o non databile (con indicazione al trattamento differito)

Possono essere dimessi direttamente dal DEA con le seguenti indicazioni:

• inizio (od ottimizzazione, se già in atto) della TAO (come sopra); se eleggibile a terapia con DOAC, consegnare una confezione del farmaco sufficiente per circa 1 mese;

• prescrizione di eventuale terapia per il controllo della frequenza (prima scelta: betabloccante);

• riferimento all’Ambulatorio Aritmologico per gli ulteriori trattamenti (eventuale CV differita) e compilazione del piano terapeutico per DOAC, utilizzando il percorso dedicato (allegando la documentazione clinica).

Gestione clinica

Triage

L’infermiere del triage:

– rileva i sintomi di presentazione (cardiopalmo, dispnea, vertigini, affaticabilità/astenia, sincope, toracoalgia, sudorazione) e l’epoca del loro esordio;

– rileva i parametri vitali e registra almeno una traccia ECG da fare immediatamente visionare al medico;

– con esclusione dei casi con dolore toracico e/o sincope, per i quali si rimanda alle indicazioni di triage relative, sulla base dei parametri vitali, attribuirà un codice-colore secondo i criteri vigenti in ogni Centro (Figura 5).




Dipartimento di Emergenza-Accettazione

In DEA è indicata l’esecuzione di:

• Rx torace (per escludere comorbilità polmonari, quali fattori aggravanti e/o scatenanti);

• esami ematici (emocromo, creatinina, elettroliti, glicemia, alanina aminotransferasi [ALT], aspartato aminotransferasi [AST], INR e tempo di tromboplastina parziale attivato [aPTT]);

A giudizio clinico, aggiungere al profilo ematochimico:

• NT-proBNP, se presenti segni di scompenso cardiaco;

• troponina, se presente dolore toracico e/o alterazioni ST-T.

Una consulenza cardiologica urgente è indicata se il paziente è instabile; negli altri casi va differita alla valutazione strumentale ecocardiografica.

Per il controllo della frequenza cardiaca, il farmaco di prima scelta è un betabloccante; l’uso di calcioantagonisti è invece riservato a pazienti con controindicazioni ai betabloccanti e solo se sono note le caratteristiche ecocardiografiche e la frazione di eiezione del ventricolo sinistro (da evitare in soggetti con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro o con storia di scompenso cardiaco o di bradiaritmie).

Osservazione Breve Intensiva

In OBI occorre:

• verificare la presenza dell’ecocardiogramma transtoracico/transesofageo o di altro esame ecocardiografico eseguito recentemente e valido, da recuperare eventualmente dalla documentazione personale del paziente, o avviarne la richiesta specificando sul quesito clinico che si tratta di un esame per “Protocollo FA/FlA”;

• riportare la scelta terapeutica (CV o controllo della frequenza) in cartella e sulla consulenza cardiologica, quando richiesta, una volta acquisiti tutti gli esami strumentali necessari;

• comunicare la prescrizione del digiuno, in caso di CV elettrica; in urgenza differita, sono sufficienti 3 h di digiuno;

• verificare la costante assunzione della terapia anticoagulante, in particolare quella con DOAC;

• ottenere il consenso informato alla CV elettrica e alla sedazione su apposita modulistica;

• portare al letto del paziente il materiale presente nel set dedicato alla CV elettrica e il carrello delle urgenze, per la gestione delle possibili complicanze;

• coordinare l’anestesista ed il cardiologo di guardia.

Alla dimissione, i pazienti saranno inviati all’Ambulatorio di Cardiologia per la presa in carico, con la documentazione clinica.

Nei casi in cui non sia possibile effettuare l’ecocardiografia transesofagea entro le 36 h (es. giorni pre-festivi e festivi), il paziente seguirà un percorso di ricovero.

Ambulatorio di Cardiologia

Il laboratorio di ecocardiografia eseguirà ecocardiogramma transtoracico/transesofageo quanto prima e, comunque, entro le 24 h dalla richiesta.

L’Ambulatorio Aritmologico prenderà in carico i pazienti alla dimissione per follow-up e prosecuzione delle cure.

Infine, tutti i pazienti dimessi sia dal DEA che dai reparti di degenza saranno inviati all’Ambulatorio Aritmologico utilizzando il percorso dedicato, allegando dettagliata documentazione clinica.

Gestione dei flussi informativi

Gestione Informazione Pronto Soccorso Emergenza (GIPSE)

In caso di dimissione dal DEA e dall’OBI è raccomandato inserire, quale diagnosi principale codificata (ICDM), quella di Fibrillazione atriale (427.31) o Flutter atriale (427.32). In caso di ricovero, è raccomandato porre come ICDM quella di ricovero (es. scompenso cardiaco 428.0, 428.1, 428.9; infarto del miocardio: da 410.00 a 410.92, oppure sindrome coronarica acuta intermedia: 411.1; oppure polmonite, ecc.) e la diagnosi di FA/FlA come seconda. Inoltre:

• nelle richieste di consulenza cardiologica e anestesiologica è necessario specificare la procedura richiesta (es. CV elettrica, CV farmacologica, presa in carico, sedazione procedurale);

• l’esito alla dimissione dovrà essere: “Paziente inviato a struttura ambulatoriale e/o day hospital”;

• qualora dall’OBI il paziente venga successivamente ricoverato per insorgenza di complicanze, assicurarsi, all’atto della chiusura della scheda GIPSE, che la diagnosi di FA/FlA, che pure dovrà essere tracciata, non rimanga la voce principale, inserendo come prima diagnosi la patologia principale che determina il ricovero.

Scheda di dimissione ospedaliera

Nella diagnosi formulata dai reparti di degenza dovrà essere precisato: 1) prima diagnosi: inserire quella emersa dal ricovero che potrebbe corrispondere a quella del GIPSE; 2) seconda o terza diagnosi: FA (427.31) o FlA (427.32).

L’accuratezza delle codifiche renderà possibile la valutazione complessiva dell’appropriatezza ed efficacia dei percorsi.

INQUADRAMENTO DEL FENOTIPO ARITMICO
E MINIMUM DATA SET DIAGNOSTICO

La diagnosi di FA richiede la documentazione del pattern tipico ECG. Per convenzione, viene ritenuto diagnostico di FA un episodio di durata ≥30 s. L’ECG è inoltre in grado di fornire informazioni sulla presenza di ipertrofia ventricolare, preeccitazione ventricolare, blocchi di branca, ischemia e/o segni di pregressa necrosi miocardica ed eventuali altre aritmie concomitanti. Nei pazienti con FA, spesso, coesiste FlA, che richiede una gestione in parte diversa.

I soggetti con FA possono essere sintomatici o asintomatici (FA silente o subclinica) e molti pazienti con FA hanno sia episodi sintomatici che asintomatici.

Screening della fibrillazione atriale silente

La FA asintomatica è di frequente riscontro nella pratica clinica (40% dei pazienti) e risulta associata a età avanzata, comorbilità ed elevato profilo di rischio tromboembolico. Nel registro EORP-AF Pilot, la mortalità a 1 anno è risultata significativamente più alta per la FA asintomatica rispetto a quella sintomatica26.

Le linee guida ESC 2020 raccomandano lo screening opportunistico della FA attraverso la palpazione del polso o la registrazione di una striscia di un’unica derivazione ECG in tutte le persone di età ≥65 anni, con la successiva esecuzione di ECG completo in caso di riscontro di polso aritmico (raccomandazione di classe I, livello di evidenza B)1. A tale proposito, è fondamentale il ruolo del MMG che, in un’ottica di medicina di iniziativa, dovrebbe valutare il polso ogni volta che misura la pressione arteriosa di un assistito. Nel caso il medico o il paziente utilizzino apparecchi automatici per la misurazione della pressione arteriosa, questi dovrebbero essere dotati di algoritmo validato in grado di segnalare una possibile FA. In alternativa agli apparecchi di misurazione elettronica della FA, lo screening della FA silente può essere oggi attuato attraverso nuove tecnologie gestite dal medico (monitoraggio ambulatoriale prolungato dell’ECG) o direttamente dal paziente (smart phone, smart watch, ecc.)27. Negli ultra75enni e nei soggetti ad alto rischio di ictus, può essere considerato uno screening ECG sistematico (raccomandazione di classe II, livello di evidenza B)1. La ricerca della FA silente può essere particolarmente costo-efficace nei portatori di dispositivi elettrici impiantabili (pacemaker, defibrillatore, Reveal) e nei pazienti con ictus criptogenico.

Nei portatori di pacemaker o defibrillatore impiantabile provvisti di un elettrodo atriale è possibile un monitoraggio continuo del ritmo atriale e l’identificazione dei pazienti con “atrial high rate episodes” (AHRE), definiti come episodi di aritmia atriale ad alta frequenza (>190 b/min) (raccomandazione di classe I, livello di evidenza B)1.

In caso di AHRE di durata >6 minuti, si parla di FA subclinica28. Gli AHRE si associano ad un rischio 5 volte maggiore di sviluppo di FA clinica e ad un rischio di ictus aumentato di 2.5 volte29. La mancanza di evidenze riguarda l’eventuale anticoagulazione nei pazienti con AHRE. Esistono infatti incertezze relativamente alla “quantità di FA” (il cosiddetto “burden aritmico”) che diviene significativa per il rischio di ictus e, pertanto, tale da giustificare l’inizio della TAO. I trial clinici in corso ARTESIA (con apixaban) e NOAH-AFNET 6 (con edoxaban) cercheranno di fornire risposte ai quesiti di questa area grigia. Sicuramente, episodi di FA subclinica di durata >24 h si associano ad un aumento significativo del rischio di ictus30. In attesa di risposte definitive, la decisione per la TAO andrebbe presa valutando il rischio globale del paziente attraverso il calcolo del CHA2DS2-VASc score, e non solo la durata degli episodi di FA silente31.

Nei pazienti con ictus criptogenico, e in particolare in quelli con ictus embolico di origine indeterminata, trial clinici randomizzati di monitoraggio ECG prolungato come EMBRACE32 con event recorder di 30 giorni o CRYSTAL AF33 con loop recorder impiantabile, e metanalisi, hanno dimostrato che una FA può essere identificata in circa il 30% dei pazienti34.

Raccomandazioni per lo screening della fibrillazione atriale

• In tutti gli ultra65enni è raccomandato lo screening opportunistico mediante palpazione del polso o breve ECG a singola derivazione.

• In tutti gli ultra75enni o nei soggetti ad elevato rischio di ictus può essere considerato uno screening ECG sistematico.

• Nei portatori di pacemaker o defibrillatore impiantabile si raccomanda di interrogare periodicamente il dispositivo allo scopo di rilevare eventuali AHRE. I pazienti con AHRE vanno sottoposti a ulteriore monitoraggio ECG.

• Nei pazienti con ictus criptogenico è raccomandato lo screening della FA mediante monitoraggio ECG continuo di almeno 72 h o loop recorder impiantabile.

Fenotipo aritmico

Sulla base della modalità di presentazione, della durata e dell’interruzione spontanea degli episodi aritmici, si distinguono diversi tipi di FA:

• FA di prima diagnosi: comprende le forme di prima documentazione, indipendentemente da presenza di sintomi, eventuale riconversione spontanea a ritmo sinusale, durata dell’episodio o eventuali precedenti episodi non documentati;

• FA parossistica: comprende le forme che terminano spontaneamente, generalmente entro 7 giorni (la maggior parte entro 24-48 h). Gli episodi di FA di durata <48 h che vengono interrotti mediante CV farmacologica o elettrica rientrano in questa categoria;

• FA persistente: comprende le forme di durata >7 giorni o di durata inferiore, ma che non si interrompono spontaneamente e che necessitano di interventi terapeutici (CV farmacologica o elettrica) per la riconversione a ritmo sinusale;

• FA persistente di lunga durata: comprende le forme che durano >1 anno e per le quali si prevede una strategia di controllo del ritmo;

• FA permanente: comprende le forme nelle quali non sono stati effettuati tentativi di CV o, se effettuati, non hanno avuto successo per mancato ripristino del ritmo sinusale o per recidiva precoce dell’aritmia, e per le quali si decide di rinunciare ad una strategia di controllo del ritmo, attuandone una di controllo della frequenza;

• FA ricorrente: comprende qualsiasi forma di recidiva di FA.

Le varie forme di FA possono presentarsi in epoche diverse nello stesso paziente e, nel tempo, ogni forma può virare nell’altra, anche se l’evoluzione prevalente è verso la forma di FA permanente.

Di fronte ad un paziente con FA, il medico deve valutare se sono presenti sintomi/segni di scompenso cardiaco, dolore toracico di tipo anginoso, sintomi/segni neurologici a focolaio, sintomi/segni di ischemia acuta di un arto e, infine, cercare di stabilire da quanto tempo è insorta l’aritmia, in base all’epoca di comparsa degli eventuali sintomi.

Anche in assenza di una cardiopatia sottostante, i pazienti con FA hanno una qualità di vita peggiore rispetto ai soggetti sani, e possono avere palpitazioni, ridotta tolleranza allo sforzo, dispnea, vertigini, oppressione toracica. Per la classificazione della gravità dei sintomi dovuti alla FA, la scala più utilizzata e validata è quella dell’EHRA modificata25, raccomandata dalle linee guida ESC (raccomandazione di classe I, livello di evidenza C)1.

Work-up diagnostico

L’anamnesi e l’esame obiettivo costituiscono il primo passo nella valutazione del paziente con FA. Una volta diagnosticata l’aritmia, è necessario completare la diagnosi indagando l’eventuale presenza di familiarità, soprattutto nelle persone più giovani, una cardiopatia sottostante, le eventuali comorbilità correlate (diabete, obesità, BPCO, sindrome delle apnee ostruttive, vasculopatia periferica); i fattori precipitanti (tireotossicosi, polmonite, sepsi, uso di farmaci simpatico-mimetici o droghe, abuso di alcool, ecc.). È inoltre importante valutare le condizioni psicosociali (stato cognitivo, contesto familiare, organizzazione sanitaria disponibile) che possono influire sulla fattibilità e l’aderenza di un’eventuale TAO.

In aggiunta alla valutazione tradizionale, negli anziani dovrebbe essere valutata anche la fragilità, mediante test utilizzabili nella pratica clinica cardiologica o internistica quotidiana e sufficientemente informativi, pur se parziali rispetto a una valutazione multidimensionale geriatrica completa35. Lo strumento raccomandabile è la SPPB, un insieme di tre test che, combinando la misura della velocità del cammino su 4 m, del tempo necessario per alzarsi da una sedia 5 volte e del tempo di mantenimento dell’equilibrio in 3 posizioni standard, genera un punteggio che va da 12 (massima robustezza) a 0 (massima fragilità)36,37. La sua utilizzazione pratica e le relative evidenze verranno ampliate più avanti in questo lavoro. È, infine, importante attuare uno screening periodico del deficit cognitivo e della demenza attraverso l’utilizzo di appositi test standardizzati. L’associazione tra FA e deficit cognitivo/demenza è ben documentata da studi trasversali e longitudinali di popolazione e da metanalisi38-40. In questo contesto, è possibile che la TAO abbia un ruolo protettivo sul rischio incidente di sindromi dementigene. Successivamente, è opportuno ottenere in tempi brevi – come già detto sopra – un esame Rx del torace, particolarmente utile in presenza di dispnea ed in grado anche di svelare patologie polmonari che possono essere in rapporto con la FA, o una interstiziopatia indotta da amiodarone.

In tutti i pazienti con FA è raccomandata l’esecuzione di un ecocardiogramma transtoracico per guidare le decisioni terapeutiche (raccomandazione di classe I, livello di evidenza C)1,41. L’ecocardiografia è in grado di identificare la presenza di patologia cardiaca strutturale (es. valvulopatie) e di valutare dimensioni e funzione del ventricolo sinistro e del ventricolo destro. Lo studio delle dimensioni e della funzione atriale sinistra può inoltre guidare nella scelta delle opzioni terapeutiche più appropriate (es. CV elettrica, ablazione transcatetere, anticoagulazione nei pazienti a basso rischio tromboembolico).

L’ecocardiogramma transesofageo non è un esame di routine per l’inquadramento diagnostico e terapeutico del paziente con FA. Può essere tuttavia indicato per la più precisa definizione di una valvulopatia e per escludere la trombosi atriale sinistra, in particolare in auricola, in pazienti candidati a CV elettrica precoce (guidata dall’eco-transesofageo) o a procedure di ablazione42,43.

L’ECG Holter è indicato, in casi selezionati, per verificare il controllo della frequenza cardiaca, identificare episodi di FA parossistica e, infine, correlare gli eventuali sintomi con le recidive aritmiche.

I test provocativi di ischemia (es. test da sforzo, ecocardiogramma da stress, scintigrafia miocardica da sforzo o con stress farmacologico, risonanza magnetica cardiaca da stress) e la coronarografia sono indicati in presenza di sintomi e/o segni di ischemia miocardica. La tomografia computerizzata coronarica e la risonanza magnetica cardiaca trovano applicazione in casi selezionati.

Lo studio elettrofisiologico di solito non viene eseguito, con l’eccezione dei casi in cui si sospetti che la FA possa essere indotta da altre aritmie (es.: tachicardia parossistica sopraventricolare o FlA), trattabili con ablazione transcatetere.

Nei pazienti con FA ed eventi cerebrovascolari (attacco ischemico transitorio, ictus) è raccomandata l’esecuzione di tomografia computerizzata o risonanza magnetica cerebrale per decidere quando iniziare e come gestire nel lungo termine la TAO.

Come già illustrato, devono essere inviati gli esami ematochimici per fare diagnosi ed eventualmente iniziare il trattamento di possibili condizioni precipitanti l’aritmia (es. tireotossicosi, disturbi elettrolitici, ipossia, infezioni acute).

Minimum data set laboratoristico

Il minimum data set laboratoristico comprende gli esami per la valutazione della funzionalità tiroidea, renale ed epatica, gli elettroliti, la glicemia, l’uricemia, l’emoglobina glicata, l’assetto lipidico, l’emocromo completo e i test emocoagulativi di base (tempo di protrombina [PT], aPTT, fibrinogeno).

Insufficienza renale ed epatica, in questo contesto, possono significativamente influenzare la gestione della terapia anticoagulante.

Funzione renale

La valutazione della funzione renale è necessaria per la scelta e il dosaggio dei DOAC, che vengono escreti in larga misura dal rene. Per questo, il monitoraggio della creatinina e la stima del filtrato glomerulare (eGFR) sono importanti per la scelta della dose iniziale e per ridurre o meno il dosaggio dei DOAC nel tempo, in relazione a variazioni di eGFR che sono più probabili – anche in brevi periodi – nel paziente anziano per evoluzione di una malattia renale cronica o per eventi intercorrenti. Gli studi fin qui effettuati hanno documentato l’efficacia farmacologica con un dosaggio massimale di DOAC per clearance >60 ml/min. I dosaggi vanno invece dimezzati in caso di clearance fra 60 e 30 ml/min, mentre la somministrazione è sconsigliata quando eGFR è <30 ml/min, ancorché l’uso di alcuni DOAC a dosaggio ridotto (apixaban 2.5 mg bid, edoxaban 30 mg/die, rivaroxaban 15 mg/die) sia ancora possibile per eGFR sino a 15 ml/min1.

Non esiste, a tutt’oggi, uno schema che predica ogni quanto la valutazione dell’eGFR debba essere effettuata, ma si può suggerire che, nei soggetti particolarmente a rischio di deterioramento della funzione renale quali i diabetici o gli ipertesi, vada eseguita almeno ogni 6 mesi, e comunque – come vedremo più avanti – tanto più di frequentemente quanto minore è il valore di eGFR basale.

Funzione epatica

Questa problematica è stata scarsamente presa in considerazione, nell’assunto che l’epatopatia rappresenti un fattore di rischio di emorragia e, quindi, controindichi la TAO. Pertanto, i pazienti con innalzamento delle transaminasi >2-3 volte i valori normali sono stati esclusi dai trial clinici. La diagnostica clinica dell’epatopatia ha, tuttavia, scarso riscontro nell’analisi delle transaminasi, in quanto molti epato-pazienti hanno transaminasi nella norma. È pertanto necessario eseguire test ad hoc per l’approfondimento diagnostico. Per tale motivo, oltre all’uso di esami di primo livello, come l’ecografia epatica, sono indicati esami di laboratorio che possono aiutare la discriminazione tra una patologia epatica lieve, quale la steatosi, o patologie più avanzate quali la steatoepatite o la cirrosi. La necessità di eseguire questi accertamenti sta nel fatto che circa il 40% dei pazienti con FA è affetto da sindrome metabolica, frequentemente associata a steatosi epatica o a steatoepatite. Per quanto i dati a disposizione siano scarsi per i motivi sopraesposti, non vi è a tutt’oggi una controindicazione all’uso dei DOAC in caso di FA associata a steatosi epatica/steatoepatite, mentre la controindicazione è assoluta (malgrado la mancanza di evidenze) in caso di cirrosi epatica di grado elevato (classe C Child-Pugh). In assenza di analisi bioptica, è consigliabile usare l’indice FIB-4, basato sulla misurazione di transaminasi e conta piastrinica; questo semplice test permette di identificare i pazienti con epatopatia avanzata nel caso sia superiore a 3.2.

Laboratorio in corso di terapia con anticoagulanti orali diretti

Un altro aspetto da tenere in considerazione è l’eventuale monitoraggio della TAO con DOAC in caso di complicanze emorragiche. Il laboratorio può, infatti, aiutare a capire se la complicanza emorragica possa dipendere da un sovradosaggio farmacologico di natura iatrogena o sia secondario a eventi intercorrenti che abbiano causato un peggioramento della funzione renale o epatica. Ovviamente, il “gold standard” diagnostico è l’analisi della concentrazione ematica del DOAC che, però, allo stato attuale non è disponibile in tutti i laboratori, richiede tempi lunghi e, soprattutto, non è di univoca interpretazione. Test emocoagulativi rapidi da prendere in considerazione sono il PT, nel caso si utilizzino gli inibitori del fattore X attivato, o l’aPTT, nel caso si utilizzi il dabigatran, inibitore della trombina. Per quanto non ci sia una correlazione diretta tra concentrazione del farmaco e allungamento dei test di coagulazione, la loro misurazione può essere di aiuto in caso di emorragie.

Risulta evidente che, per un corretto inquadramento clinico del paziente con FA, la diagnostica può essere appropriatamente ristretta ad un limitato numero di indagini. Indagini diagnostiche specifiche di elevato contenuto tecnologico possono trovare indicazione soltanto per finalità di ricerca. Ciò è di particolare rilevanza in un’era di contenimento delle risorse e di criticità dei tempi di attesa per le prestazioni strumentali.

Raccomandazioni

Per un corretto inquadramento clinico del paziente con FA
è indicato un limitato numero di indagini diagnostiche:

Anamnesi ed esame obiettivo

Valutazione della fragilità

Screening del deficit cognitivo/demenza

Rx torace

Ecocardiogramma transtoracico
(transesofageo in un limitato numero di casi)

Esami ematochimici

Altre indagini in casi selezionati

Identificazione e gestione dei fattori di rischio
e delle patologie concomitanti

Molte malattie cardiovascolari e altre condizioni concomitanti aumentano il rischio di FA, oltre a quello delle sue recidive e complicanze. È pertanto importante la loro appropriata identificazione e trattamento per la gestione ottimale dei pazienti con aritmia.

Scompenso cardiaco e FA sono frequentemente associati, potendo essere l’una condizione causa dell’altra. I pazienti con FA e concomitante scompenso cardiaco, indipendentemente dalla funzione sistolica (preservata, intermedia o ridotta), hanno una prognosi peggiore44,45. Scompenso e disfunzione ventricolare sinistra costituiscono inoltre un fattore di rischio indipendente di ictus e di eventi tromboembolici nei pazienti con FA.

L’ipertensione arteriosa è presente in oltre il 60% dei pazienti con FA e rappresenta non solo un fattore di rischio di ictus e di eventi tromboembolici, ma anche di sanguinamento in corso di TAO46. Gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina hanno effetto protettivo per la prevenzione primaria della FA47, mentre non ne è stata dimostrata l’efficacia in prevenzione secondaria48.

Valvulopatie di variabile entità sono presenti in circa il 30% dei pazienti con FA e si associano ad aumentato rischio tromboembolico. Tradizionalmente, la FA è stata dicotomizzata in valvolare e non valvolare, e ciò ha generato incertezze relativamente alla possibilità di utilizzo dei DOAC. Attualmente, viene definita FA valvolare – caratterizzata da un maggior rischio tromboembolico – soltanto quella in presenza di protesi valvolari meccaniche o di stenosi mitralica reumatica49.

Il diabete mellito costituisce un fattore di rischio di ictus e di altre complicanze nei pazienti con FA50. Nei diabetici il controllo glicemico non riduce il rischio di nuova insorgenza di FA e di sue recidive, che non è infatti modificato dalla terapia antidiabetica.

L’obesità si associa ad un aumentato rischio di FA, con incremento progressivo in relazione all’indice di massa corporea51. Esistono convincenti dimostrazioni che una riduzione del peso corporeo comporti un minore rischio di recidive negli obesi con FA52. Un’ulteriore riduzione del rischio di recidiva di FA può essere ottenuto associando al calo ponderale un miglioramento della fitness cardiorespiratoria attraverso un programma di esercizio fisico supervisionato53.

La BPCO risulta spesso associata alla FA e i farmaci utilizzati per il trattamento del broncospasmo possono precipitare la FA, oppure rendere difficoltoso il controllo della frequenza cardiaca54. Le apnee ostruttive del sonno possono contribuire allo sviluppo di FA attraverso diversi meccanismi fisiopatologici, e il loro trattamento è in grado di ridurre le recidive aritmiche55.

La malattia renale cronica – definita come clearance della creatinina <60 ml/min – è presente nel 14-20% dei pazienti con FA e si associa ad aumentato rischio di ictus, mortalità e sanguinamento in corso di TAO56. Come già detto, la determinazione dell’eGFR utilizzando la formula di Cockcroft-Gault è fondamentale per le scelte terapeutiche relative alla prescrizione della TAO.

L’alcool è da tempo riconosciuto quale fattore di rischio della FA. L’abuso cronico di bevande alcoliche – o la forte assunzione occasionale in breve tempo – sono stati identificati quali fattori di rischio di FA. Recentemente, è stato dimostrato che l’astinenza dall’alcool anche in soggetti bevitori moderati si associa ad un ridotto rischio di recidive aritmiche57.

L’esercizio fisico strenuo e gli sport di resistenza costituiscono probabilmente un fattore di rischio di FA, anche se questo dato non è stato confermato in tutti gli studi ed in una metanalisi Cochrane58-60.

Raccomandazioni

È importante l’identificazione ed il trattamento dei fattori
di rischio e delle patologie concomitanti alla FA:

Scompenso cardiaco

Ipertensione

Valvulopatie

Diabete mellito

Obesità

BPCO

Apnee ostruttive del sonno

Malattia renale cronica

Abuso di alcool

Esercizio fisico strenuo

MINIMUM DATA SET MULTIDIMENSIONALE DEL PAZIENTE ANZIANO CON FIBRILLAZIONE ATRIALE: DISABILITÀ, COMORBILITÀ, FRAGILITÀ E PROFILO COGNITIVO

Come già detto nella sezione di epidemiologia, incidenza e prevalenza della FA aumentano esponenzialmente con l’aumentare dell’età: circa la metà dei soggetti affetti è ultra75enne ed il carico assistenziale della FA è destinato ad aumentare ulteriormente in futuro in pazienti sempre più anziani, spesso affetti da molteplici patologie croniche e con diversi livelli di salute e di autonomia funzionale61.

Nel caso della FA disponiamo attualmente di interventi procedurali (CV elettrica, ablazione, chiusura dell’auricola sinistra) e di farmaci antiaritmici e anticoagulanti di comprovata efficacia e sicurezza anche negli anziani. Tuttavia, spesso il medico è posto di fronte a complesse scelte decisionali su aspetti terapeutici farmacologici e non farmacologici, in ragione della complessità e dell’incertezza sugli esiti funzionali e qualitativi dell’intervento nei pazienti con FA di età particolarmente avanzata. La Geriatria ha maturato negli anni un linguaggio ormai condiviso dalla maggior parte dei clinici e dei ricercatori, che definisce in modo inequivocabile le condizioni di salute proprie delle persone che invecchiano62. Una concezione di salute basata sulla gravità della singola patologia, infatti, risulta del tutto inefficace nel cogliere il quadro complessivo del paziente anziano, che è meglio descritto dall’interazione di fattori socio-ambientali, cambiamenti fisiologici legati all’invecchiamento, patologie pregresse e plurime malattie croniche concomitanti63. Inoltre, lo stato di salute globale del paziente anziano è influenzato da una serie di condizioni che non rientrano nella classica definizione nosologica di “patologia” e che vanno sotto il nome di “sindromi geriatriche” (fragilità, malnutrizione, deterioramento cognitivo, dipendenza funzionale)63. Nella pratica geriatrica tale valutazione si esplica con la valutazione multidimensionale geriatrica (comprehensive geriatric assessment, CGA), in grado di valutare clinicamente e funzionalmente il paziente anziano, con l’obiettivo di analizzarne i bisogni di salute e di organizzare la gestione delle cure. Non potendo avvalersi direttamente di tale approccio, esaustivo ma dispendioso in termini di tempo, per il cardiologo ambulatoriale è fondamentale acquisire dimestichezza con alcuni strumenti di valutazione geriatrica, allo scopo di guidare la decisione clinica nei soggetti anziani complessi. Questo permetterà al clinico di valutare e proporre al paziente opzioni terapeutiche potenzialmente utili, con un adeguato profilo rischio-beneficio, implementabili e incentrate sulle preferenze e i bisogni di salute del paziente, oltre a identificare quei pazienti che potrebbero beneficiare di una valutazione più estesa, tramite una vera e propria CGA.

Multimorbilità, comorbilità e polifarmacoterapia

I termini multimorbilità e polipatologia identificano la presenza di due o più condizioni mediche croniche nello stesso individuo, senza attribuire ad alcuna di esse un’importanza clinica prioritaria. Nell’ambito di un Ambulatorio di Cardiologia, dove la FA rappresenti la patologia “indice”, il clinico dovrà tenere conto delle eventuali patologie compresenti (comorbilità), che spesso hanno un peso indipendente e, talvolta, preponderante nel determinarne la sopravvivenza (es. BPCO, scompenso cardiaco, neoplasia) e/o lo stato funzionale (es. sindrome del canale stretto vertebrale, demenza, malattia di Parkinson, arteriopatia periferica). Tra gli strumenti disponibili per la valutazione della multimorbilità62,64, alcuni si prefiggono di quantificare la gravità delle malattie tenendo conto della loro sommazione (es. Charlson Comorbidity Index), altri del loro impatto sui sistemi biologici (es. Acute Physiology and Chronic Health Evaluation-II – APACHE-II), o sullo stato funzionale (es. Cumulative Illness Rating Scale – CIRS) o della loro gravità biomedica e interazione (es. Geriatric Index of Comorbidity).

A una condizione di polipatologia, si associa frequentemente la presenza di politerapia, definita convenzionalmente come l’assunzione quotidiana di 5 o più farmaci. La politerapia e l’inappropriatezza terapeutica negli anziani (definita in accordo a raccomandazioni internazionali, quali ad esempio i criteri STOPP/START) sono associate a maggior rischio di outcome sfavorevoli, principalmente ospedalizzazioni e riammissioni ospedaliere65,66.

Disabilità

La disabilità è la condizione personale di chi, in seguito ad una o più menomazioni, presenta ridotta capacità d’interazione sociale rispetto a ciò che è considerata la norma ed è, pertanto, meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane. La disabilità nell’anziano è solitamente la conseguenza finale comune dell’interazione tra carico di comorbilità, invecchiamento sfavorevole, e barriere socio-economiche, ambientali e culturali. La valutazione dell’autonomia funzionale indaga la capacità dell’individuo di compiere attività di diverso grado di complessità e di conservare un ruolo sociale. I metodi per la valutazione dell’autonomia funzionale sono già stati estesamente presentati in un precedente lavoro62, e comprendono le attività quotidiane di base (Basic Activities of Daily Living – BADL, cura della propria persona), le attività quotidiane strumentali (Instrumental-Intermediate Activities of Daily Living – IADL, cura delle faccende domestiche), e le attività quotidiane avanzate (Advanced Activities of Daily Living – AADL, vita sociale e hobby). Rispetto alla presenza o assenza di malattia, una valutazione del livello di autonomia funzionale riesce a cogliere meglio lo stato di salute generale del paziente e a predirne la sopravvivenza e gli altri esiti di salute, permettendo di guidare il processo di decisione clinica67.

Fragilità

Nella sua accezione più largamente condivisa, la fragilità è una sindrome caratterizzata da diminuita riserva fisiologica e funzionale e da ridotta capacità di far fronte a fattori stressanti, dovuta a molteplici difetti nella rete di interconnessione fra i diversi sistemi dell’organismo, che comporta una riduzione della riserva omeostatica e della resilienza, ed è associata ad aumentato rischio di esiti avversi di salute, quali progressiva disabilità e deterioramento cognitivo, maggior rischio di cadute ed eventi farmacologici avversi, aumentato ricorso all’assistenza sanitaria con rischio di ospedalizzazione e istituzionalizzazione e, infine, morte. Un’estesa descrizione delle molteplici scale di fragilità disponibili in letteratura, della loro concettualizzazione e del loro significato clinico e prognostico, va oltre lo scopo di questa trattazione; il lettore interessato potrà far riferimento a recenti pubblicazioni in merito35,62,68. In sintesi, vi sono due concettualizzazioni di fragilità che differiscono sostanzialmente l’una dall’altra:

• il modello del “fenotipo fragile”, concettualizzato da Linda Fried e collaboratori e derivato dal Cardiovascular Health Study, che include riduzione della forza muscolare, affaticamento, riduzione della velocità del cammino, perdita non intenzionale di peso corporeo (ridotta massa magra) e ridotta attività fisica;

• il modello di “accumulo di deficit”, concettualizzato da Kenneth Rockwood e collaboratori, che comprende deficit sensoriali, deterioramento cognitivo, disabilità e comorbilità; condizioni che sono considerate correlate alla fragilità ma che costituiscono allo stesso tempo entità distinte.

Da questi due diversi concetti di fragilità sono scaturite diverse scale di valutazione, le principali delle quali sono riassunte nella Figura 6.




Queste due diverse concettualizzazioni di fragilità coinvolgono differenti basi patogenetiche, componenti principali ed implicazioni prognostiche, che è bene sottolineare. Il “fenotipo fragile” non implica necessariamente la presenza di disabilità o comorbilità e, sebbene la probabilità di sviluppare fragilità aumenti al crescere del numero di patologie croniche associate, essa può originare anche da fattori età-correlati, come ad esempio l’invecchiamento “sfavorevole”, la deprivazione e l’isolamento sociale, l’infiammazione di basso grado, la disregolazione ormonale, la malnutrizione e la sarcopenia35. In accordo con questo modello concettuale di fragilità, sono stati proposti anche test per la valutazione oggettiva della fragilità fisica35, come il Timed Up and Go Test e la SPPB in precedenza già menzionata (Figura 7).




Il Frailty Index concettualizzato da Rockwood, invece, è un modello aritmetico che, includendo 70 elementi tra deficit sensoriali, deterioramento cognitivo, variabili psico-sociali, disabilità e patologie (a cui viene dato un punteggio da 0 a 1 in caso di assenza, presenza parziale o completa del deficit), equipara l’accumulo di deficit associato all’età con l’entità della vulnerabilità individuale ed il rischio di morte o istituzionalizzazione (Figura 8A).




La Clinical Frailty Scale (CFS) semplifica questo indice in un giudizio globale “a colpo d’occhio” immediato, semiquantitativo, che classifica i pazienti su una scala da 1 a 7, attribuendo un punteggio pari a 1 ai soggetti in piena forma e un punteggio pari a 7 a quelli molto fragili, con i punteggi 8 e 9 per condizioni di pre-terminalità e terminalità (Figura 8B).

Il “fenotipo fragile” identifica quei pazienti a maggior rischio di perdita di autonomia funzionale – e, quindi, di sviluppare futura disabilità – mentre la perdita delle funzioni di base (BADL) o strumentali (IADL) contribuisce di per se stessa alla diagnosi di fragilità secondo il modello concettualizzato da Rockwood. Inoltre, sebbene entrambi i modelli di fragilità siano associati ad aumentata mortalità, essi differiscono in maniera sostanziale: il fenotipo fragile identifica i soggetti a maggior rischio di perdita di autonomia funzionale, ospedalizzazione e morte nel lungo periodo (anni) o in seguito a fattori stressanti; il modello di accumulo di deficit, invece, identifica i pazienti con elevato rischio di morte, ricovero o istituzionalizzazione a breve termine (mesi), simile a quello di soggetti con disabilità moderato-severa35,68.

Deterioramento cognitivo e demenza

Una valutazione rapida delle funzioni cognitive è fondamentale per discriminare da un lato i pazienti che potrebbero avere problemi nel garantire un’adeguata aderenza in assenza di supervisione, dall’altro quelli affetti da severo deficit cognitivo, che potrebbero non beneficiare dell’avvio di una terapia di prevenzione primaria.

Dal punto di vista pratico, un rapido questionario (tempo di esecuzione <1 min) somministrato a tale scopo è lo Short Portable Mental Status Questionnaire (SPMSQ)69, che fornisce una grossolana valutazione di gravità di un eventuale deficit cognitivo. Il fatto che numerose domande possano essere inserite nel flusso di una normale conversazione medico-paziente consente una ancor più rapida e fluida somministrazione. Un altro test, che richiede un tempo di somministrazione leggermente più lungo (circa 5-10 min) ed una maggiore preparazione, è il Mini Mental State Examination (MMSE)70, che valuta un maggior spettro di funzioni cognitive ed è, pertanto, più sensibile nella stratificazione della gravità del deterioramento cognitivo. I casi dubbi, in special modo se in soggetti completamente o parzialmente autonomi e con una buona aspettativa di vita, dovrebbero essere indirizzati a un ambulatorio specializzato nella diagnosi e trattamento dei pazienti affetti da demenza, per ricevere una valutazione più approfondita.

Implicazioni cliniche

Attualmente, non vi sono evidenze che un elevato carico di comorbilità di per sé rappresenti una controindicazione all’impiego della terapia anticoagulante68,71.

Vi sono robuste evidenze di come presenza e gravità delle sindromi geriatriche (fragilità, deterioramento cognitivo e perdita di autonomia funzionale) siano associate ad un maggior rischio di mortalità a breve-medio termine e influenzino la decisione dei medici sull’impiego della TAO nei pazienti anziani68. I pazienti anziani fragili con FA sono a maggior rischio di non ricevere una terapia anticoagulante appropriata, sebbene presentino un maggior rischio di ictus e di morte68. La mancanza di evidenze circa la miglior scelta terapeutica nei pazienti anziani fragili con FA potrebbe spiegare in parte il sottoutilizzo della TAO negli anziani a dispetto delle attuali raccomandazioni72. Alla luce delle attuali evidenze, il riconoscimento del “fenotipo fragile” non dovrebbe rappresentare una controindicazione alla TAO, che anzi può apportare beneficio clinico in pazienti ad alto rischio di ictus. Al contrario, i pazienti con un elevato Frailty Index o con CFS ≥6 hanno una ridotta spettanza di vita, per cui vi sono limitati margini di beneficio dalla TAO68,73. Al di fuori quindi di situazioni nelle quali vi siano specifiche patologie determinanti prioritariamente una ridotta spettanza di vita a breve termine (malattie oncoematologiche, severa insufficienza d’organo avanzata), nella maggior parte dei pazienti anziani la decisione di non prescrivere la TAO dovrebbe basarsi su di una valutazione che esprima la spettanza di vita ed il beneficio atteso in modo più attendibile della sola età anagrafica68 (Figura 9).




Anche la presenza di demenza è stata associata in diversi studi ad una ridotta prescrizione di TAO68,74. Le linee guida europee riconoscono che, sebbene un deterioramento cognitivo di grado lieve-moderato non rappresenti una controindicazione generale alla TAO, specialmente se ben gestita dal punto di vista logistico, in caso di pazienti con scarsa autonomia funzionale, ridotta aspettativa di vita ed elevato rischio di morte per altre cause, il beneficio della TAO può essere limitato74. In tutti i pazienti affetti da deficit cognitivo è essenziale riconoscere una figura di riferimento, possibilmente convivente, che garantisca la corretta assunzione della terapia e ne monitori la sicurezza, e che organizzi gli esami e le visite di controllo per la stessa68.

Un elevato rischio di cadute è particolarmente frequente negli anziani fragili ed è comunemente percepito dai clinici come un elemento scoraggiante la prescrizione di TAO68. Tuttavia, i pazienti in TAO ad alto rischio di cadute non presentano un aumento significativo del rischio di sanguinamenti maggiori68,73. Le attuali linee guida europee non raccomandano una formale valutazione del rischio di caduta nei pazienti candidati a TAO, ed il rischio di cadute non dovrebbe di per sé rappresentare una controindicazione alla prescrizione della TAO74. Sono comunque disponibili strumenti semplici raccomandati per la valutazione standardizzata del rischio di cadute68,74 ed i pazienti ad alto rischio di cadute in TAO potrebbero giovarsi di un approccio multidisciplinare e geriatrico per valutare le condizioni predisponenti correggibili, ridurre la politerapia e le inappropriatezze terapeutiche che aumentano il rischio di cadute e avviare programmi di rieducazione motoria e fisioterapia. In linea di massima, se il paziente anziano “merita” la terapia anticoagulante con i DOAC, questa dovrebbe essere prescritta alla dose appropriata secondo le raccomandazioni delle società scientifiche: non vi è infatti alcun segnale di maggior sicurezza ma, al contrario, di ridotta efficacia nella prevenzione dell’ictus con l’uso inappropriato di basse dosi nell’anziano, come nel resto della popolazione generale75.

Raccomandazioni

• Un rapido screening cognitivo (SPMSQ) è consigliabile in tutti gli anziani con FA, per valutarne la potenziale aderenza alla terapia ed eventualmente identificare un “responsabile” della cura e del follow-up.

• Una formale valutazione delle comorbilità non è indispensabile, ma occorre identificare specifiche patologie associate a cattiva prognosi a breve termine.

• Uno screening del livello di autonomia nelle funzioni di base (BADL) è importante sia per la valutazione prognostica che per la definizione del beneficio atteso dalla TAO.

• Strumenti di facile uso per l’identificazione dei pazienti anziani con ridotta spettanza di vita (es. CFS), soprattutto se associata a perdita di autonomia o severo deterioramento cognitivo, permettono di identificare quei pazienti per i quali non vi è evidenza di beneficio clinico netto con la TAO.

FOLLOW-UP DEI PAZIENTI ANZIANI IN TERAPIA CON ANTICOAGULANTI ORALI DIRETTI

Presa in carico del paziente

La facilità d’impiego dei DOAC e l’assenza di periodici controlli dello stato coagulativo hanno in qualche modo distolto l’attenzione dalla necessità di un controllo attento e periodico, soprattutto nei pazienti anziani. Infatti, riteniamo che nel momento in cui si intende iniziare la terapia con DOAC in un anziano, non ci si possa limitare alla semplice “prescrizione” del farmaco – dopo aver preso in opportuna considerazione i principali parametri bioumorali e le terapie farmacologiche in corso (valutando ovviamente l’assenza di controindicazioni o potenziali interazioni sfavorevoli)74 – ma occorra una vera “presa in carico” del paziente, definendo chi si prende la responsabilità medica della cura e della gestione del follow-up, al di là dei controlli previsti per il rinnovo del piano terapeutico68,74.

Come già detto, una sia pur breve valutazione cognitiva è cruciale per stabilire se il paziente è un idoneo referente della propria cura o se, al contrario, debba essere identificato a questo scopo un’altra persona. Mentre nei pazienti con noto deterioramento cognitivo verrà immediatamente identificato un parente (o altro caregiver) responsabile dell’assunzione corretta della terapia e della comunicazione di eventuali criticità o dubbi in relazione a cambiamenti del regime terapeutico, nei soggetti senza anamnesi nota di demenza, occorre prevedere semplici metodi di screening da utilizzarsi nel contesto dei congestionati Ambulatori di Cardiologia o di area internistica. A questo scopo, possono essere adatti il già menzionato SPMSQ (punteggi >4 rendono consigliabile una supervisione o una presa in carico della terapia da parte di caregiver) (Tabella 2) e/o la somministrazione del General Practitioner Assessment of Cognition (GPCOG) score76.




Questo test prevede due componenti: una valutazione cognitiva iniziale del paziente (della durata di circa 5 min) ed una successiva valutazione informativa da parte dei familiari, necessaria solo se lo score nel primo test è risultato compreso tra 5 e 8; in questo caso, un punteggio ≤3 nel secondo questionario indica deterioramento cognitivo. Una rapida valutazione dei livelli di autonomia funzionale mediante la scala BADL62 (Tabella 3) permette di seguire nel tempo l’opportunità di mantenimento della terapia a fronte delle sue modificazioni.




Sempre in occasione della prima visita è importante fornire adeguate informazioni sul percorso terapeutico intrapreso, chiarendo i rischi e le precauzioni da seguire. La consegna di un prestampato che riporti le caratteristiche del farmaco (possibili effetti collaterali, farmaci da evitare e interazioni farmacologiche a rischio) ma, soprattutto, “chi” o “dove” chiamare o mettersi in contatto nel caso di complicazioni o dubbi (in relazione ad eventi clinici intercorrenti, procedure diagnostico-terapeutiche, o emergenze) è molto apprezzato e facilita l’aderenza e l’alleanza terapeutica68,74.

Follow-up

La programmazione delle successive visite di follow-up deve tener conto del profilo generale di ogni singolo paziente, dato dalla clinica, dagli esami ematochimici e dalle eventuali criticità incontrate. La programmazione della prima visita e degli esami ematochimici di controllo può quindi essere concordata addirittura a 12 mesi in pazienti al di sotto dei 75 anni di età e con normale funzionalità renale, a 6 mesi nei pazienti al di sopra di 75 anni, o a meno di 6 mesi in base alla funzionalità renale o in pazienti particolarmente complessi dal punto di vista decisionale o con criteri borderline di riduzione della dose68,74. Una formula semplice per definire l’intervallo mensile dei controlli si ottiene dividendo il valore di eGFR per 1074; tuttavia, in caso di pazienti con fattori di rischio aggiuntivi quali età avanzata, fragilità, condizioni cliniche intercorrenti che possono influenzare la clearance renale (come infezioni, neoplasie o patologie che portano facilmente a disidratazione), i controlli possono essere anche più ravvicinati, con frequenza maggiore quanto peggiore è la funzionalità renale68,74.

Sono stati proposti alcuni schemi pratici per lo svolgimento di una completa visita di follow-up74,77. Nel caso degli anziani, tuttavia, queste visite dovrebbero comprendere diversi altri aspetti, quali la registrazione di eventi clinici intercorrenti, la valutazione dell’aderenza e della corretta assunzione della terapia anticoagulante, la rivalutazione del rischio embolico ed emorragico, l’aggiornamento delle altre terapie farmacologiche in corso e l’evoluzione cognitivo-funzionale del paziente, al fine di poter ridefinire al termine della visita la conferma dell’indicazione a proseguire la terapia anticoagulante con il farmaco più idoneo e alle dosi raccomandate74,77 (Tabella 4).




L’aderenza terapeutica dovrebbe comprendere non solo la compliance alla cura, ma anche eventuali episodi di dosi dimenticate o di assunzioni doppie, di assunzione agli orari corretti (specialmente per i farmaci in bi-somministrazione giornaliera) e nelle modalità corrette per ogni singolo farmaco (es. assunzione di rivaroxaban ai pasti; mantenimento delle capsule di dabigatran intatte), nonché la valutazione di eventuali sospensioni effettuate per particolari cure mediche o per effetti collaterali riferiti. Esiste qualche evidenza che un intervento educazionale multidimensionale (rivolto a paziente e/o caregiver e medico prescrittore, mediante costante monitoraggio) possa incrementare l’aderenza terapeutica, riducendo significativamente l’incidenza di eventi embolici78.

Ad ogni visita di follow-up dovrebbe essere effettuata una rivalutazione del rischio embolico (aggiornando il CHA2DS2-VASc score) ed emorragico, e si dovrebbe valutare se si siano verificati sanguinamenti clinicamente manifesti o se vi siano elementi suggestivi di sanguinamento occulto, eventualmente avvalendosi di esami ematochimici a supporto. In occasione delle visite programmate, occorre infine riverificare il completo prospetto delle terapie farmacologiche in atto, per escludere la presenza di farmaci controindicati e per valutare eventuali nuove terapie introdotte che possono aumentare il rischio di sanguinamento, come antiepilettici, immunosoppressori, cortisonici, antitumorali e biologici74,77.

La visita dovrebbe ovviamente comprendere il rilievo dei parametri vitali, la registrazione del peso corporeo ed un ECG. Al termine, il medico avrà a disposizione tutti gli elementi per valutare se la dose di DOAC in corso è ancora quella adatta al paziente o se è necessaria una correzione e se il farmaco prescritto sia effettivamente quello più adatto.

GESTIONE CLINICA APPROPRIATA

L’implementazione del percorso ABC (Anticoagulation/Avoid stroke, Better symptom management, Cardiovascular/comorbidity optimization) permette di standardizzare la gestione del paziente con FA, integrando inoltre i vari attori coinvolti nella sua gestione. Il percorso ABC è risultato associato a significativa riduzione del rischio di morte per tutte le cause, outcome composito di ictus/sanguinamento maggiore/morte cardiovascolare e prima ospedalizzazione, eventi cardiovascolari e costi sanitari79-81.

Raccomandazione

• Nella gestione del paziente con FA, va implementato il percorso ABC per migliorare l’outcome clinico ed ottimizzare l’impiego delle risorse sanitarie.

Anticoagulazione (A)

Globalmente, la FA aumenta di 5 volte il rischio di ictus, ma questo rischio non è omogeneo e dipende dalla presenza di specifici fattori e modificatori. I comuni fattori di rischio di ictus nella FA sono riassunti nello score CHA2DS2-VASc (Tabella 5)1.




Come altri score di rischio clinico, il CHA2DS2-VASc ha solo modesto potere predittivo nell’identificare i pazienti ad alto rischio, mentre è efficace nell’identificare quelli a basso rischio, cioè CHA2DS2-VASc 0 e 1 per uomini e donne, rispettivamente, nei quali il rischio di ictus/anno è <1% e per i quali non è quindi necessaria alcuna profilassi, in particolare la TAO1. Il genere femminile è un modificatore del rischio di ictus dipendente dall’età piuttosto che un fattore di rischio in sé. Tuttavia, in presenza di più di un fattore di rischio non genere-relato, le donne hanno un rischio di ictus significativamente più alto degli uomini.

Accanto alla valutazione del rischio di ictus, va condotta una valutazione di quello emorragico. Esistono numerosi fattori di rischio emorragico, sia non modificabili (età, pregressa emorragia, insufficienza renale e/o epatica severa, neoplasia, pregresso ictus, diabete, deterioramento cognitivo/demenza, polimorfismi genetici) che parzialmente (anemia, fragilità, rischio cadute, piastrinopenia, insufficienza renale moderata) o totalmente (ipertensione, abuso alcolico, non aderenza alla TAO, attività occupazionali/ricreative pericolose, instabilità di INR, scelta della TAO) modificabili. Lo score da usare preferibilmente è l’HAS-BLED (Tabella 6)1, dato il suo buon potere predittivo, soprattutto per individuare i pazienti a rischio di emorragia basso-moderato. Un elevato punteggio HAS-BLED, corrispondente ad un elevato rischio emorragico, non dovrebbe tuttavia comportare la mancata introduzione della TAO, poiché il suo beneficio clinico netto è addirittura maggiore in questi pazienti80.




La valutazione formale del rischio emorragico permette tuttavia di focalizzare l’attenzione su fattori di rischio modificabili, che dovrebbero pertanto essere gestiti e rivalutati periodicamente, oltre che di individuare i pazienti ad alto rischio con fattori non modificabili, da rivalutare quindi precocemente e con maggior frequenza1,82. Le poche controindicazioni assolute alla TAO includono: sanguinamento grave attivo, comorbilità quali piastrinopenia grave (<50 000/ml) o grave anemia in fase di valutazione, e recente emorragia maggiore, quale ad esempio intracranica. Per tali condizioni possono essere prese in considerazione opzioni non farmacologiche di profilassi dell’ictus (es. occlusione dell’auricola sinistra).

Nell’ambito del punto A del processo decisionale ABC, il primo passo è quello di identificare i pazienti a basso rischio, e cioè CHA2DS2-VASc 0 per uomini e 1 per donne che, come già detto, non necessitano di TAO. Il passo successivo è quello di offrire la prevenzione dell’ictus a coloro con ≥1 fattori di rischio non genere-relati, e cioè CHA2DS2-VASc 1 per uomini e 2 per donne: da sottolineare in questo ambito che, per definizione, gli anziani hanno CHA2DS2-VASc almeno 1 se ultra65enni (2 se donna) e almeno 2 se ultra75enni (3 se donna). L’ultimo passo è scegliere il tipo di anticoagulante orale, e cioè AVK o DOAC, con questi ultimi generalmente da preferire per la loro favorevole efficacia, sicurezza e convenienza di impiego1. In considerazione del fatto che nella pratica clinica i DOAC sono usati frequentemente a dosi inadeguate83, e che ciò si associa ad un aumento del rischio di ictus, ospedalizzazione e morte, senza peraltro ridurre il rischio di sanguinamento, la TAO con DOAC deve essere ottimizzata sulla base del profilo di sicurezza ed efficacia di ciascun agente farmacologico e del rischio di cardioembolismo ed emorragie del singolo paziente.

Per minimizzare il rischio emorragico della TAO, è necessario garantire una buona qualità dell’anticoagulazione quando si usino AVK, e cioè un tempo nel range terapeutico >70%1, e selezionare la dose appropriata quando si usino DOAC sulla base delle evidenze scientifiche e/o di quanto riportato in scheda tecnica (Tabella 7).




Relativamente ai farmaci antipiastrinici, la monoterapia è complessivamente inefficace per la prevenzione dell’ictus e potenzialmente dannosa, specialmente tra gli anziani, mentre la duplice antiaggregazione si associa ad un rischio di sanguinamento simile a quello della TAO1. Pertanto, la terapia antipiastrinica non deve essere utilizzata per la prevenzione dell’ictus nei pazienti con FA.

Raccomandazioni

• Nell’ambito del punto A del percorso ABC vanno anzitutto individuati i pazienti a basso rischio di ictus/tromboembolia (cioè CHA2DS2-VASc 0 per uomini e 1 per donne) poiché non necessitano anticoagulazione.

• A tutti i pazienti non a basso rischio (e cioè CHA2DS2-VASc ≥1 per uomini e CHA2DS2-VASc ≥2 per donne) andrà offerta profilassi del tromboembolismo.

• Per un’efficace profilassi del tromboembolismo vanno utilizzati i farmaci anticoagulanti orali, quali AVK o DOAC.

• Una stratificazione del rischio emorragico è indicata per scegliere la TAO più adatta e per individuare le migliori strategie di follow-up.

• I DOAC sono gli anticoagulanti da preferire per la prevenzione del tromboembolismo in virtù del loro superiore profilo di sicurezza.

• Gli antiaggreganti piastrinici, in mono o duplice combinazione, non vanno utilizzati per la prevenzione del tromboembolismo.

Controllo dei sintomi (B)

Il controllo della frequenza è parte integrante della gestione della FA ed è spesso sufficiente per migliorare i sintomi correlati. Il target ottimale di frequenza da raggiungere non è stabilito, ma è probabilmente adeguato sia se mirato <80/min che <110/min1,84. I farmaci da impiegare per il controllo della frequenza comprendono: betabloccanti (di prima scelta), calcioantagonisti non diidropiridinici (verapamil, diltiazem), digossina e amiodarone (Tabella 8).




In caso di inefficacia del trattamento farmacologico, il controllo della frequenza può essere ottenuto con modulazione del nodo atrioventricolare ed associato impianto pacemaker85.

Il controllo del ritmo si riferisce ad una strategia mirata alla conversione dell’aritmia al ritmo sinusale ed al suo mantenimento. Tale strategia può coinvolgere più approcci, quali la CV, l’uso di antiaritmici e l’ablazione, oltre al controllo della frequenza, la TAO e l’implementazione di profilassi cardiovascolare globale (uso di farmaci upstream, modificazioni dello stile di vita, trattamento della sindrome delle apnee notturne, ecc.). La prima indicazione al controllo del ritmo è ridurre i sintomi di FA e migliorare la qualità della vita. Il razionale di tentare una strategia iniziale di controllo del ritmo è che la FA diventa irreversibile con il tempo e, quindi, non più suscettibile di trattamento, anche se non ci sono ancora evidenze che tale strategia migliori la prognosi. In ogni caso, la progressione della FA è più lenta con una strategia di controllo del ritmo rispetto al controllo della frequenza. Per molti pazienti, quindi, un intervento precoce per rallentare la progressione dell’aritmia appare sensato.

La CV può essere perseguita elettricamente o farmacologicamente. La CV elettrica è l’unica indicata nei pazienti emodinamicamente instabili ma può essere eseguita anche elettivamente. La CV farmacologica è indicata solo nei pazienti emodinamicamente stabili è può avvalersi della somministrazione di farmaci di classe IC, quali flecainide e propafenone (in assenza di cardiopatia strutturale e, in particolare, ischemica) o di amiodarone (in tutti i casi). In pazienti con rari episodi di FA e nei quali l’efficacia e sicurezza dei farmaci di classe IC sia stata documentata in ambito ospedaliero, un carico orale di flecainide o propafenone può essere assunto autonomamente in ambito extraospedaliero per promuovere la CV (approccio “pill-in-the-pocket”)86; quest’ultimo approccio è controindicato nei pazienti più anziani.

L’ablazione transcatetere è superiore ai farmaci antiaritmici nel mantenimento del ritmo sinusale e nel miglioramento dei sintomi. L’ablazione è indicata in pazienti con FA parossistica o persistente in assenza di fattori predisponenti alle recidive, a seguito del fallimento di farmaci di classe I o III nel miglioramento dei sintomi, oppure come trattamento di prima scelta ed in alternativa a farmaci di classe I e III, particolarmente nei pazienti più giovani. Obiettivo di tutte le tecniche di ablazione è quello di ottenere l’isolamento completo delle vene polmonari dal tessuto atriale. L’ablazione è superiore ai farmaci antiaritmici nella sopravvivenza libera da aritmie, anche se molti pazienti richiedono procedure ripetute e le recidive, anche tardive, non sono infrequenti87,88.

Quando si usino farmaci antiaritmici per la strategia di controllo del ritmo, va tenuto presente che essi vanno usati per ridurre i sintomi, la loro efficacia nel mantenimento del ritmo sinusale è modesta e consiste nel ridurre le recidive piuttosto che nell’eliminarle, gli effetti collaterali extracardiaci o l’effetto pro-aritmico sono frequenti e che criteri di sicurezza piuttosto che di efficacia dovrebbero primariamente guidare la scelta dell’antiaritmico. I farmaci antiaritmici disponibili sono elencati in Tabella 9.




Raccomandazioni

• Nell’ambito del punto B del percorso ABC va anzitutto perseguito il controllo della frequenza cardiaca.

• Il controllo del ritmo è indicato per ridurre i sintomi e migliorare la qualità della vita e può essere perseguito con la CV (elettrica o farmacologica), l’ablazione transcatetere e l’uso di farmaci antiaritmici.

• Non esistono chiare dimostrazioni di superiorità di una strategia di controllo della frequenza rispetto al controllo del ritmo, per cui la scelta va individualizzata.

Trattamento di comorbilità e fattori di rischio (C)

La presenza e concomitanza di fattori di rischio cardiovascolare e le comorbilità, comprendenti anche uno stile di vita inadeguato, hanno un ruolo nel rischio di FA incidente nel corso della vita. La componente C del percorso ABC comprende l’identificazione e la gestione di concomitanti patologie, fattori di rischio cardiometabolico e condotte di vita malsane. Tra gli interventi volti a modificare lo stile di vita, vanno inclusi la riduzione del peso corporeo, la moderazione nel consumo di alcool e l’attività fisica moderata (e non strenua). È inoltre indicata la correzione di specifici fattori di rischio e/o condizioni cardiovascolari quali ipertensione arteriosa, scompenso, coronaropatia, diabete e sindrome delle apnee notturne.

Raccomandazione

Nell’ambito del punto C del percorso ABC va perseguita la correzione e/o il trattamento di abitudini di vita scorrette e/o delle comorbilità in grado di favorire lo sviluppo di FA.

Considerazioni sul paziente anziano/fragile

Relativamente al percorso ABC nella popolazione specifica dell’anziano fragile, generalmente sono confermate le raccomandazioni per la popolazione generale. In particolare, relativamente al punto A, vi è adeguata evidenza a supporto dell’indicazione all’anticoagulazione anche in presenza di comorbilità e/o rischio aumentato di cadute che non sembrano in grado di sopravanzare il beneficio della TAO1. L’anticoagulazione dovrebbe essere preferibilmente condotta con DOAC, in virtù del loro superiore profilo di sicurezza1, particolarmente rilevante in questa popolazione ad aumentato rischio emorragico.

I risultati della sottoanalisi sulla fragilità di ENGAGE AF-TIMI 48 dimostrano, a parità di efficacia, la maggior sicurezza di edoxaban rispetto a warfarin, in tutti i pazienti studiati, con la sola eccezione di coloro che presentavano una condizione di grave fragilità89, rafforzando, al tempo stesso, le raccomandazioni delle linee guida.

Non vi è, al contrario, indicazione all’uso di antiaggreganti piastrinici, data l’assenza di beneficio rispetto all’anticoagulazione orale sia in termini di efficacia che di sicurezza1. Relativamente al punto B del percorso ABC, generalmente può essere considerata una strategia di controllo della frequenza, ma vanno comunque considerate praticabili anche le varie opzioni di controllo del ritmo1. Sono in corso studi sull’impatto di strategie di controllo del ritmo su outcome di salute rilevanti nella popolazione anziana, quali gli indicatori di fragilità. Infine, relativamente al punto C, oltre alla correzione di specifici fattori di rischio e/o condizioni cardiovascolari quali ipertensione, scompenso, coronaropatia, diabete e sindrome delle apnee notturne, va probabilmente individualizzato l’intervento su abitudini di vita malsane in relazione al profilo generale del paziente.

RINGRAZIAMENTI

I partecipanti al progetto FAST desiderano ringraziare la Dr.ssa Marta Gentili per la sua preziosa opera di coordinamento operativo e per l’elaborazione dei dati della survey.

RIASSUNTO

La fibrillazione atriale (FA) è l’aritmia di più frequente riscontro in età avanzata. I pazienti anziani hanno numerose patologie associate, sono trattati con terapie complesse e vanno spesso incontro alle complicanze dell’aritmia. La FA può così essere considerata un marker di fragilità. Nelle linee guida si possono trovare solo poche raccomandazioni sulla gestione del paziente fragile. Il Frailty in Atrial Fibrillation Survey Study (FAST) è stato ideato per tentare di quantificare e superare il “gap” di conoscenze su FA e fragilità. Un team multidisciplinare di cardiologi, geriatri e internisti ha partecipato al progetto. In una prima fase, è stata condotta un’indagine per chiarire le differenze correlate alla specialità nella definizione di fragilità e nella gestione della terapia anticoagulante orale (TAO) dei pazienti fragili. Nella seconda fase, sono stati redatti capitoli specifici su: epidemiologia di FA e fragilità, rete per la gestione dell’aritmia, strategie diagnostiche (includendo alcuni strumenti essenziali della valutazione multidimensionale geriatrica), TAO e scelta tra una strategia di controllo del ritmo o della frequenza cardiaca. In ognuno dei capitoli, a partire dalle raccomandazioni delle linee guida, i 47 centri italiani partecipanti al progetto hanno presentato e discusso le evidenze attuali. Nella terza fase del FAST, i risultati della survey e la versione finale dei singoli capitoli sono stati uniti nella stesura di questo documento. Emerge una rilevante mancanza di omogeneità nel definire la fragilità. L’integrazione culturale e operativa di cardiologi, geriatri e internisti rappresenta lo strumento più efficace per superare le differenze, migliorando la gestione dei pazienti anziani fragili.

Parole chiave. Anticoagulanti orali diretti; Disabilità; Fibrillazione atriale; Fragilità, Pazienti anziani; Terapia anticoagulante orale.

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