L’ottimizzazione terapeutica nel percorso del paziente con scompenso cardiaco

Pietro Ameri1,2, Antonio Francesco Amico3, Alessandro Battagliese4, Sergio Berra5, Paolo Calabrò6,7,
Marco Candela8, Francesco Clemenza9, Giovambattista Desideri10,11, Giuseppe Di Tano12,
Fernando Gallucci13, Arianna Gardin14, Massimo Iacoviello15, Giuseppe Leonardi16,
Riccardo Morgagni17, Andrea Mortara18, Alberto Palazzuoli19, Stefania Paolillo20,
Pasquale Perrone Filardi21,22, Massimo Volpe23,24

1Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche, Università degli Studi, Genova

2U.O. Clinica di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova

3U.O. Cardiologia, Ospedali Copertino e Galatina, ASL Lecce

4U.O.C. Cardiologia d’Urgenza e UTIC, A.O. San Giovanni-Addolorata, Roma

5U.O. Medicina Interna, Dipartimento Oncologico Aziendale, Presidio Ospedaliero di Garbagnate Milanese (MI)

6U.O.C. Cardiologia Clinica, A.O.R.N. Sant’Anna e San Sebastiano, Caserta

7Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli

8Dipartimento di Medicina Area Vasta 2, ASUR Marche

9Dipartimento per la Cura e lo Studio delle Patologie Cardiotoraciche e dei Trapianti Cardiotoracici, IRCCS Istituto Mediterraneo
per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione, Palermo

10Divisione di Geriatria, Università degli Studi, L’Aquila

11U.O.C. Geriatria e Lungodegenza Geriatrica, P.O. San Filippo e Nicola, Avezzano (AQ)

12U.O. Cardiologia, Ospedale di Cremona, ASST di Cremona

13U.O.S.S. Diagnostica Strumentale Integrata in Medicina Interna, U.O.C. Medicina Interna 3, A.O.R.N. A. Cardarelli, Napoli

14S.C. Cardiologia, Ospedale S. Vito al Tagliamento-Spilimbergo, Pordenone

15Unità Cardiologica Universitaria, Dipartimento Cardiotoracico, Policlinico Universitario Ospedale di Bari, Bari

16U.O.s.d. Scompenso Cardiaco Grave, A.O.U. Policlinico V. Emanuele, Catania

17U.O.C. Cardiologia e Cardiologia Interventistica, Azienda Policlinico “Tor Vergata”, Roma

18Dipartimento di Cardiologia Clinica, Policlinico di Monza, Monza (MB)

19U.O.S.A. Malattie Cardiovascolari, A.O.U. Senese, Ospedale Le Scotte, Siena

20Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli

21Sezione di Cardiologia, Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli

22Mediterranea Cardiocentro, Napoli

23Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Sapienza Università di Roma, Roma

24IRCCS Neuromed, Pozzilli (IS)

Heart failure (HF) is still characterized by high mortality rates, despite the progress achieved in terms of treatment options. With regard to the treatment of HF with reduced ejection fraction (HFrEF), the 2016 European Society of Cardiology guidelines included in the therapeutic algorithm the angiotensin receptor-neprilysin inhibitor class, whose efficacy in modifying patient prognosis has been extensively proven in many clinical studies. Sacubitril/valsartan, the only representative of this drug class, can effectively affect the natural history of HF, thus reducing cardiovascular mortality (sudden death and death due to worsening cardiac function), total mortality, as well as first and recurrent hospitalization events, by improving renal function, cardiac remodeling, functional capacity and the patient’s health-related quality of life.

The purpose of this article is to analyze the different phases of the journey of patients with HFrEF (first general practitioner consultation; admission to the emergency department and subsequent hospitalization; referral to a specialist HF clinic) and promotion of a networking approach involving the general practitioner, the hospital and the HF specialist based on common pre-defined diagnostic and therapeutic protocols, that meets patient needs at all stages of the disease (case-specific dosing assessment, drug titration before follow-up and prevention of adverse events).

Key words. Angiotensin receptor-neprilysin inhibitors; Disease-modifying drug; Heart failure with reduced ejection fraction; Networking; N-terminal pro-B-type natriuretic peptide; Sacubitril/valsartan.

INTRODUZIONE

Le casistiche dei paesi del mondo occidentale indicano una prevalenza dello scompenso cardiaco (SC) clinico dell’1-2% della popolazione generale; la prevalenza aumenta sensibilmente nei soggetti di età >70 anni arrivando a superare il 10%. Lo SC rappresenta una condizione clinica che colpisce circa 1 milione di pazienti in Italia, pari all’1.7% della popolazione, con circa 90 000 nuovi casi all’anno (Tabella 1)1,2.

Nonostante i progressi terapeutici ottenuti nel tempo, lo SC è da considerarsi ancora una sindrome di difficile gestione, anche per la tipologia di soggetti che ne sono afflitti: pazienti anziani, con comorbilità multiple (quali cardiopatia ischemica, diabete mellito e ipertensione arteriosa) che richiedono l’utilizzo concomitante di dispositivi medici o farmaci. Altro aspetto importante in termini di gestione farmacologica della sindrome risiede nella differenza dei fenotipi di SC:

• con frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) ridotta;

• con FEVS preservata.

Per quest’ultima tipologia di scompenso, ad oggi, non esistono terapie farmacologiche raccomandate per il miglioramento della prognosi del paziente, diversamente da quanto invece dimostrato per lo SC con frazione di eiezione ridotta (HFrEF).

Le linee guida 2016 della Società Europea di Cardiologia (ESC) raccomandano le seguenti classi di farmaci per il trattamento dell’HFrEF: ACE-inibitori (ACEi), beta-bloccanti, antagonisti del recettore dell’angiotensina (ARB), antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (MRA) e, da ultimo, la nuova classe di inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina (ARNI). L’importante mole di dati clinici disponibili ha dimostrato come queste classi di farmaci siano in grado di intervenire sulla storia naturale dello SC (concetto spesso sottovalutato), riducendo la mortalità per tutte le cause e cardiovascolare, così come gli eventi di ospedalizzazione primi e ricorrenti, migliorando capacità funzionale, funzione renale e qualità di vita legata alla salute (QoL) del paziente3-14.




Tali considerazioni valgono in particolare per il primo ed unico farmaco della classe degli ARNI, sacubitril/valsartan, raccomandato dalle linee guida ESC 201615 in sostituzione di ACEi/ARB in pazienti con HFrEF, ancora sintomatici nonostante terapia ottimizzata con beta-bloccanti e MRA.

L’obiettivo del presente lavoro è quello di analizzare le diverse fasi del percorso del paziente con HFrEF e creare, di conseguenza, un punto di riferimento per la gestione di quest’ultimo nel referral dal medico di medicina generale (MMG) allo specialista, durante l’ospedalizzazione e nella gestione specialistica ambulatoriale.

EVIDENZE SULL’EFFICACIA DI
SACUBITRIL/VALSARTAN

Dati relativi alla mortalità

Le maggiori evidenze sull’efficacia di sacubitril/valsartan derivano dallo studio PARADIGM-HF16, studio registrativo di fase III, randomizzato, in doppio cieco, di confronto tra sacubitril/valsartan ed enalapril, condotto in 8442 pazienti con SC cronico in classe NYHA II-IV e con FEVS ≤35%. Lo studio, dimensionato statisticamente per la valutazione della riduzione della morte cardiovascolare, è stato interrotto precocemente per superiorità del trattamento con sacubitril/valsartan rispetto a quello assegnato ad enalapril.

Sacubitril/valsartan ha ridotto l’endpoint composito primario di rischio di morte cardiovascolare o di primo ricovero per SC del 20% (hazard ratio [HR] 0.80, intervallo di confidenza [IC] 95% 0.73-0.87; p<0.001)16. Questo effetto è stato osservato precocemente e si è mantenuto durante tutta la durata dello studio. L’endpoint primario composito di morte cardiovascolare e ospedalizzazione per SC si è verificato in 914 pazienti (21.8%) nel gruppo trattato con sacubitril/valsartan e in 1117 pazienti (26.5%) nel gruppo trattato con enalapril. La morte cardiovascolare è stata ridotta del 20% (HR 0.80, IC 95% 0.71-0.89; p<0.001).

La morte improvvisa, particolarmente frequente nei pazienti in classe NYHA II, ha rappresentato il 44.8% delle morti cardiovascolari, ed è stata ridotta del 20% nei pazienti trattati con sacubitril/valsartan (HR 0.80; p=0.008). L’insufficienza cardiaca ha determinato il 26.5% delle morti cardiovascolari ed è stata ridotta del 21% (HR 0.79; p=0.034). Inoltre è stata dimostrata una riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause del 16% rispetto ad enalapril (HR 0.84, IC 95% 0.76-0.93) ed una diminuzione del numero di ospedalizzazioni prime e ripetute, con effetti sostanziali sulla storia naturale della malattia16. La riduzione della morte cardiaca improvvisa con sacubitril/valsartan si è mantenuta anche in pazienti portatori di defibrillatori cardiaci e nei pazienti con o senza ospedalizzazione recente. Nel complesso, quindi, gli effetti favorevoli di sacubitril/valsartan rispetto all’ACEi sono stati osservati nelle diverse fasi dello SC, da quelle più precoci a quelle più tardive, e in diverse, principali manifestazioni cliniche della sindrome (Figura 1)17-19.

L’analisi delle diverse tipologie di morti riscontrate nello studio PARADIGM-HF16,19 evidenzia come l’80.9% sia avvenuto per cause cardiovascolari, mentre il 14.8% è attribuibile a cause non cardiovascolari. Per il rimanente 4.3% dei decessi la causa non è stata chiaramente definita, con percentuale distribuita omogeneamente tra i due gruppi di trattamento. L’analisi delle morti cardiovascolari ha evidenziato una riduzione significativa, per il gruppo di pazienti in trattamento con sacubitril/valsartan, per entrambe le tipologie di morte: la morte cardiaca improvvisa (tipologia più frequente nei pazienti di classe funzionale NYHA II), e la morte per peggioramento della condizione di scompenso (tipologia più comunemente associata alle classi NYHA III e IV).

In tutte le sottopopolazioni prespecificate di pazienti e stratificate sulla base delle precedenti ospedalizzazioni si è osservato un beneficio clinico sia per la riduzione della morte cardiovascolare che per le ospedalizzazioni.




Nonostante l’importanza di questi benefici clinici e l’evidente superiorità di ARNI rispetto alla classe degli ACEi, sacubitril/valsartan è ancora scarsamente utilizzato nella pratica clinica, anche forse a causa di una “inerzia terapeutica”.

Razionale per un impiego precoce di sacubitril/valsartan nella terapia dello scompenso cardiaco

Sebbene l’efficacia di un trattamento, tra cui lo stesso sacubitril/valsartan, nell’HFrEF sia classicamente valutata in termini di impatto su mortalità ed ospedalizzazioni, questi eventi non sono gli unici indicatori di una sindrome in peggioramento. Un’analisi post-hoc dello studio PARADIGM-HF ha mostrato come la necessità di intensificare la terapia medica dello SC in occasione di una visita ambulatoriale predica una prognosi peggiore in misura comparabile ad un accesso al pronto soccorso o al ricovero per SC20. In linea con questa osservazione, morte cardiovascolare e ricovero per SC si sono verificati anche in una significativa proporzione dei partecipanti nel PARADIGM-HF senza storia di ospedalizzazione per SC prima dell’arruolamento nel trial21. Questi dati indicano che l’HFrEF ha spesso un’evoluzione ingravescente anche quando i pazienti affetti appaiono clinicamente stabili. Su questa premessa, è auspicabile perseguire trattamenti che contrastino il più possibile la fisiopatologia dell’HFrEF: ne emerge un ulteriore razionale per preferire l’impiego di sacubitril/valsartan rispetto a quello di ACEi o ARB22. Infatti, il beneficio di sacubitril/valsartan riscontrato nell’intera popolazione del PARADIGM-HF è stato confermato anche nei sottogruppi di pazienti che fossero andati incontro ad intensificazione della terapia ambulatoriale senza ricovero o che non avessero precedente storia di ricovero per SC20,21. Si può quindi concludere che il precoce utilizzo di sacubitril/valsartan anche nei pazienti ritenuti stabili, in classe NYHA II, anche in caso non siano mai stati ospedalizzati per SC, rappresenta una valida opzione terapeutica per contrastare la progressione della malattia.

Uso di sacubitril/valsartan nel paziente ospedalizzato

Un altro studio di tollerabilità multicentrico, randomizzato, in aperto, utile ai fini della pratica clinica e dell’implementazione della terapia con sacubitril/valsartan è lo studio TRANSITION23 che ha valutato, in tre gruppi di pazienti ospedalizzati per un episodio di SC acuto (in terapia con ACEi, ARB o naïve alla terapia con ACEi/ARB), la possibilità di iniziare la terapia con sacubitril/valsartan durante il ricovero, a stabilizzazione emodinamica ottenuta, oppure entro le 2 settimane successive la dimissione. L’endpoint primario (numero di pazienti che raggiungevano la dose target di 97/103 mg bid alla decima settimana) è stato soddisfatto dal 45.4% dei pazienti nel gruppo pre-dimissione e dal 50.7% dei pazienti nel gruppo post-dimissione. Inoltre, la percentuale di pazienti che ha raggiunto un qualsiasi dosaggio di sacubitril/valsartan e lo ha mantenuto per almeno 2 settimane è stata sovrapponibile nei due gruppi pre- e post-dimissione (rispettivamente 86% e 89.6%, con rischio relativo 0.96, IC 95% 0.92-1.01)23. Tra i due gruppi non sono emerse differenze sostanziali; anche l’incidenza di eventi avversi e le interruzioni del trattamento, a causa di eventi avversi, è stata simile sia nella fase pre- che post-dimissione. Lo studio TRANSITION23 ha dimostrato, quindi, che l’impiego di sacubitril/valsartan in pazienti ospedalizzati è realizzabile e ben tollerato e che vi è la possibilità di trattare il paziente già durante la fase di ricovero ospedaliero, con la conseguenza di aumentarne l’aderenza alla terapia, monitorarne la tollerabilità e di iniziare precocemente il trattamento.

Quasi contemporaneamente allo studio TRANSITION23, è stato pubblicato lo studio PIONEER-HF24, uno studio multicentrico randomizzato in doppio cieco, che ha confrontato sacubitril/valsartan ed enalapril in una popolazione di 882 pazienti ricoverati per un episodio di riacutizzazione dello SC e con elevati livelli del frammento N-terminale del pro-peptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP). L’endpoint primario era rappresentato dalla riduzione percentuale della concentrazione di NT-proBNP. I risultati dello studio hanno evidenziato come l’inizio della terapia con sacubitril/valsartan, a seguito di una stabilizzazione emodinamica, porta a una riduzione significativa dei livelli di NT-proBNP a 8 settimane rispetto a enalapril (variazione percentuale -46.7% vs -25,3%; rapporto tra i gruppi 0.71; IC 95% 0.63-0.81; p<0.001; differenza di riduzione 29%; IC 95% 19-37; p<0.0001)24.

Dal punto di vista clinico, la riduzione dei livelli di NT-proBNP in pazienti con SC si associa a un minor rischio di esiti negativi come morte cardiovascolare o ospedalizzazione per SC. Questo risultato è sostenuto dalla metanalisi di Savarese et al.25, includendo 19 studi per un totale di 12 891 partecipanti. I trattamenti attivi hanno ridotto significativamente il rischio di ospedalizzazione per il peggioramento dello SC (odds ratio 0.678, IC 95% 0.547-0.841; p=0.000). Le variazioni dei livelli di peptidi natriuretici (sia BNP che NT-proBNP) sono state associate in modo significativo, all’interno di una analisi di meta-regressione, al rischio di ospedalizzazione per peggioramento dello SC (coefficiente di regressione [RC] 0.036, IC 95% 0.015-0.056; p=0.002). Nel valutare separatamente le variazioni di BNP e NT-proBNP è stata riscontrata una relazione tra il rischio di ospedalizzazione per SC e le variazioni di BNP (RC 0.037, IC 95% 0.003-0.070; p=0.038) e NT-proBNP (RC 0.029, IC 95% 0.001-0.568; p=0.046)25.

In un’analisi esploratoria predefinita sacubitril/valsartan ha ridotto del 46% l’endpoint composito di eventi clinici seri, segnatamente rischio di morte, riospedalizzazione per SC, impianto di dispositivo di assistenza ventricolare sinistra o inserimento in lista d’attesa per trapianto cardiaco, nelle 8 settimane di osservazione previste dallo studio (9.3% vs 16.8%; HR 0.54, IC 95% 0.37-0.79)24. Questo risultato è stato determinato principalmente da riduzioni della mortalità e della necessità di riospedalizzazione per SC tra i pazienti trattati con sacubitril/valsartan.

Alla luce di quanto emerso da questi due studi, soprattutto dal PIONEER-HF24, si può affermare che sacubitril/valsartan può essere somministrato anche in regime di ricovero ospedaliero in pazienti stabilizzati emodinamicamente, per ridurre l’attivazione neuro-ormonale e diminuire il rischio di successiva ospedalizzazione per SC. Il momento dell’ospedalizzazione rappresenta una fase cruciale di gestione della malattia, in particolare per l’ottimizzazione della terapia farmacologica.

Dati sul rimodellamento cardiaco

I peptidi natriuretici, e la variazione degli stessi, descrivono molto bene le variazioni morfologiche e funzionali del ventricolo sinistro e la prognosi in termini di necessità di riospedalizzazione.

Lo studio PRIME-HF26 aveva l’obiettivo di verificare se i cambiamenti dei livelli di NT-proBNP fossero correlati alle variazioni dei valori del volume e della funzione cardiaci. Dal basale a 12 mesi, sono state osservate correlazioni statisticamente significative tra la variazione di NT-proBNP (con una riduzione del 32% rispetto al basale) e la variazione delle misurazioni cardiache strutturali. Si sono osservati miglioramenti clinicamente e statisticamente significativi in tutti i parametri ecocardiografici (FEVS, volume atriale sinistro indicizzato [LAVi], volume telediastolico [LVEDVi] e telesistolico ventricolare sinistro indicizzato [LVESVi] e rapporto E/e’) a 12 mesi, diventando più evidenti a 1 anno. La FEVS è aumentata da una mediana del 28.2% a 37.8% (differenza 9.4% [8.8, 9.9%]; p<0.001), mentre il LVEDVi è diminuito da una mediana di 86.93 a 74.15 ml/m2 (differenza -12.25 [-12.92, -11.58]; p<0.001) e il LVESVi è passato da una mediana di 61.68 a 45.46 ml/m2 (differenza -15.29 [-16.03, -14.55]; p<0.001). Anche il LAVi e il rapporto E/e’ sono diminuiti significativamente27.

Lo studio PROVE-HF27, a singolo gruppo, in aperto, ha arruolato 794 pazienti con HFrEF in terapia con beta-bloccanti e ACEi/ARB, ma idonei al trattamento con sacubitril/valsartan. In questa coorte, la variazione dei livelli di NT-proBNP è risultata strettamente correlata alla variazione della necessità di riammissione ospedaliera del paziente e al miglioramento dei parametri di rimodellamento cardiaco, come FEVS, LVEDVi/LVESVi, LAVi e funzione diastolica misurata come rapporto E/e’ (Figura 1).

Il focus sul rimodellamento cardiaco è stato affrontato anche dallo studio randomizzato, in doppio cieco EVALUATE-HF28 condotto su 464 pazienti con SC e frazione di eiezione ≤40%. In questo studio, sacubitril/valsartan ha migliorato significativamente il LAVi e altri parametri strutturali, come LVEDVi, LVESVi e il rapporto E/e’ mitrale rispetto a enalapril28. Il rimodellamento cardiaco osservato può fornire una spiegazione meccanicistica per gli effetti clinici di sacubitril/valsartan in pazienti con HFrEF.

In conclusione, gli studi appena discussi provano che sacubitril/valsartan contrasta il rimodellamento avverso cardiaco proprio dell’HFrEF più efficacemente di ACEi o ARB. La diminuzione della concentrazione di NT-proBNP rappresenta un marcatore di questo effetto favorevole di facile valutazione, anche da parte del medico non cardiologo.

Dati sulla qualità di vita

I pazienti con HFrEF spesso presentano una compromissione della QoL. Nello studio PARADIGM-HF16,29 è stata valutata la QoL utilizzando come strumento il Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire (KCCQ)30. Si tratta di un questionario di 23 punti, ampiamente utilizzato, autosomministrato, specifico per lo SC. Gli 8 domini esplorati dal KCCQ includono limitazione fisica, stabilità dei sintomi, frequenza dei sintomi, carico dei sintomi, punteggio totale dei sintomi, QoL, autonomia e limitazioni sociali.

Tra tutti i pazienti arruolati nello studio PARADIGM-HF16,29, il 91% ha completato i punteggi KCCQ in fase di randomizzazione con dati completi a 8 mesi per il 90% del basale. A 8 mesi, il braccio sacubitril/valsartan ha registrato miglioramenti sia nel punteggio del Clinical Summary Score del KCCQ (+0.64 vs -0.29; p=0.008) e nell’Overall Summary Score del KCCQ (+1.13 vs -0.14; p<0.001) rispetto al braccio enalapril, sia una percentuale significativamente inferiore di pazienti con deterioramento (≥5 punti in diminuzione) di entrambi i punteggi di KCCQ (27% vs 31%; p=0.01)16,29.

Le variazioni dei punteggi del Clinical Summary Score del KCCQ, nonché quelli dell’Overall Summary Score del KCCQ sono stati migliori nei pazienti trattati con sacubitril/valsartan rispetto a quelli trattati con enalapril, e sono rimasti stabili durante il follow-up oltre l’ottavo mese e fino a 36 mesi di osservazione16,29. Questi risultati dimostrano che sacubitril/valsartan ha effetti anche sulla QoL nei pazienti con SC (Figura 1).




Effetti sullo scompenso cardiaco con frazione di eiezione del ventricolo sinistro moderatamente ridotta

L’algoritmo di trattamento dell’HFrEF delle linee guida ESC 201615 raccomanda il trattamento con sacubitril/valsartan in pazienti con HFrEF in classe NYHA II-IV, con FEVS ≤35% che rimangono sintomatici dopo terapia con beta-bloccanti, inibitori del sistema renina-angiotensina ed MRA.15 Tuttavia sacubitril/valsartan è stato studiato anche in pazienti con SC e FEVS >35%. È stata recentemente condotta un’analisi prespecificata31 sui pazienti degli studi PARADIGM-HF e PARAGON-HF32 (studio che ha coinvolto pazienti con insufficienza cardiaca e FEVS ≥45% e con SC in classe NYHA II-IV, in cui sacubitril/valsartan non ha portato ad un tasso significativamente più basso di ricoveri ospedalieri totali per insufficienza cardiaca e morte per cause cardiovascolari) per un totale di oltre 13 000 pazienti coinvolti in entrambi gli studi. L’obiettivo di questa analisi era di valutare gli effetti della terapia con sacubitril/valsartan in pazienti stratificati per quintili di frazione di eiezione (da pazienti con disfunzione ventricolare francamente sistolica a pazienti con frazione di eiezione all’interno dell’intervallo intermedio o con frazione di eiezione preservata). L’analisi ha evidenziato che i benefici clinici del trattamento con sacubitril/valsartan, sono presenti anche oltre la soglia del 35% di frazione di eiezione, con un beneficio esteso fino oltre il 50% della frazione di eiezione (Figura 2)31.

Le linee guida raccomandano, con livello di evidenza IA, l’utilizzo di una triplice terapia (ARNI, betabloccanti e MRA) nei pazienti a rischio di aritmie ventricolari e morte improvvisa, predetto da un quadro di aritmie ventricolari particolarmente severe15.

Le evidenze scientifiche prodotte dopo lo studio PARADIGM-HF16 hanno ulteriormente confermato i benefici clinici della terapia con sacubitril/valsartan, anche in pazienti ricoverati per un episodio di riacutizzazione di scompenso, confermando l’efficacia e il profilo di sicurezza del farmaco. Sacubitril/valsartan rappresenta un’importante strategia terapeutica nel trattamento dell’HFrEF. Il suo effetto modulante sull’attivazione neurormonale, che rende ragione del suo valore come “disease-modifying therapy”33, nonché la promozione di meccanismi di carattere endogeno per la natriuresi e la diuresi, devono essere considerati un cambiamento clinico e concettuale nella terapia medica dello SC, nonché una possibilità di ottimizzazione della stessa in sostituzione alla strategia dell’ACE-inibizione o del blocco recettoriale33. A questo si aggiunge l’evidenza, anche di dati di “real world”, del miglioramento sostanziale e precoce del rimodellamento cardiaco, quale indicatore dell’impatto positivo della terapia con sacubitril/valsartan nella storia naturale di progressione della malattia.

IL REFERRAL DAL MEDICO DI MEDICINA GENERALE ALLO SPECIALISTA

Lo SC non è sempre clinicamente evidente: nello stadio precoce i pazienti sono quasi del tutto asintomatici, oppure avvertono sintomi lievi come dispnea in occasione di sforzi elevati. L’andamento naturale della patologia, quindi, è di carattere progressivo e i sintomi divengono gradualmente sempre più evidenti. Il viaggio ideale del paziente con SC inizia con la consultazione del MMG il quale, in tempi odierni, spesso non ha strumenti sufficienti per intervenire nelle fasi più precoci della malattia o gestire in modo adeguato il paziente.

L’obiettivo di questo capitolo è quello di creare un ponte fra il mondo della cardiologia e il mondo della medicina generale, permettendo a quest’ultima una diagnosi precoce della malattia e fornendole gli strumenti di conoscenza per prevenire episodi di riacutizzazione riconoscendo segni e sintomi. Infine lo scopo di questo capitolo è quello di fornire i criteri per la monitorizzazione del paziente post-dimissione per evitare ricadute e future riospedalizzazioni.

Nell’ambito della prevenzione dello SC acuto esistono dei fattori che il MMG può prendere in considerazione, in modo da avere un ruolo proattivo nella gestione di questa patologia:

• identificazione dei pazienti a rischio, comunemente in classe NYHA I dello SC;

• monitorare la condizione di malattia considerando che l’ospedalizzazione per scompenso acuto è il più forte predittore di successive riospedalizzazioni e di peggioramento della funzione cardiaca;

• fase pre-dimissione/fase post-dimissione/follow-up precoce sono i momenti cruciali di gestione della malattia;

• il controllo della congestione e ottimizzazione della terapia per lo scompenso cronico nelle fasi di stabilità della malattia sono di pertinenza anche della medicina di base, con anche particolare attenzione ai fattori precipitanti, alle comorbilità ed alla disfunzione di altri organi.

Questi dati possono favorire un’identificazione precoce del paziente da parte del MMG a livello territoriale, consentendo diagnosi precoci ed evitando o ritardando il più possibile un’ospedalizzazione o un’eventuale riospedalizzazione.

Prima di predisporre delle indicazioni o un flusso di lavoro a supporto del MMG è importante delineare tre profili di pazienti che possono essere indirizzati a quest’ultimo. A seconda del profilo, il MMG sarà chiamato ad analizzare e a tenere conto di diversi parametri atti a: confermare una diagnosi di SC, assistere e monitorare condizioni cliniche stabili o a intervenire in caso di labile compenso emodinamico.

Profilo 1: Paziente con sospetta diagnosi di scompenso cardiaco

Nel caso in cui questa tipologia di paziente si presentasse dal MMG, è importante che il MMG ponga un sospetto diagnostico basato sui sintomi, per esempio la dispnea, per comprendere la storia clinica precedente, l’esame obiettivo e per promuovere delle azioni, come valutare i peptidi natriuretici, che lo aiuteranno a identificare precocemente questo paziente sul territorio. In questo modo, il MMG può essere considerato uno spartiacque che permette di non sovraccaricare le cardiologie.

In Tabella 2 si riportano le linee guida sull’algoritmo diagnostico di SC a insorgenza non acuta15, alleggerite avendo attuato scelte più selettive ed eliminando gli interventi, come l’esecuzione dell’ECG, che potrebbero essere svolti, secondo gli autori dell’articolo, direttamente dallo specialista, per facilitare il ruolo del MMG.

Dopo aver effettuato queste valutazioni, in mancanza di sintomi e segni e con valori di peptidi natriuretici nella norma, il MMG potrà escludere la presenza di SC. In caso contrario, ovvero in presenza di almeno una anormalità in fase di valutazione clinica ed esame obiettivo, nonché valori relativi a peptidi natriuretici al di sopra della norma, il MMG effettuerà la diagnosi e inizierà un trattamento appropriato, affidando poi il paziente a un centro di riferimento per lo SC.

Profilo 2: Paziente con nota diagnosi di scompenso cardiaco in condizioni cliniche stabili

Il paziente identificato si presenta stabile, con uno schema terapeutico già in essere sviluppato dal centro cardiologico e con necessità di reinvio al territorio e quindi di riaffidamento al MMG. Quest’ultimo ha un ruolo fondamentale in questa fase, in quanto è l’unico attore in grado di monitorare il paziente ed evitare una sua ospedalizzazione o un suo peggioramento.




Per far sì che il paziente rimanga stabile nella sua condizione patologica, potrebbe essere utile l’istituzione di visite periodiche ogni 3 mesi per la valutazione di parametri quali: aderenza alla terapia, peso corporeo e variazione dello stesso, pressione arteriosa, frequenza cardiaca, rilevazione di eventuali effetti collaterali dei farmaci, prescrizione di esami di laboratorio (potassiemia, funzione renale, ecc.).

Oltre a questo, il MMG deve essere in grado di riconoscere segni e sintomi di uno SC che possono indicare una instabilità clinica del paziente (quali gli edemi declivi). Se il MMG nota la presenza di questi sintomi o la variazione dei parametri del paziente, dovrà procedere con il suo invio allo specialista o a un centro specialistico, che dovrebbe valutare l’inserimento in terapia di ARNI, secondo quanto raccomandato dalle linee guida ESC15.

Profilo 3: Paziente con nota diagnosi di scompenso cardiaco in labile compenso emodinamico

Il paziente del profilo 3 è sempre stato in condizioni stabili, con un compenso emodinamico labile, e ha sempre seguito un percorso di visite trimestrali presso il MMG, durante una delle quali il medico rileva una instabilità nelle condizioni di salute del paziente e lo invia presso il centro cardiologico per un ri-accesso o una riospedalizzazione. Nel momento in cui il paziente viene reinviato dal centro al MMG, quest’ultimo deve prevedere un follow-up dopo il primo mese, per constatare il nuovo equilibrio emodinamico raggiunto. Se il paziente risulta stabile al primo controllo di follow-up, potrà rientrare all’interno del profilo 2 di stabilità clinica e il medico fisserà un follow-up trimestrale in cui dovrà valutare segni, sintomi e alcuni parametri bioumorali. La tabella fornita dalle linee guida ESC15 può essere considerata un punto di riferimento per individuare i parametri da monitorare (Tabella 3).




Altro fattore di rilevante importanza è senza dubbio la presenza di comorbilità34 quali: broncopneumopatia cronica ostruttiva, anemia, diabete scompensato, disfunzione renale, disturbi respiratori del sonno, obesità. Queste sono tutte condizioni da osservare in un paziente con storia di SC in fase di compenso, in modo tale da prevenire uno sconvolgimento della condizione di stabilità e, nel caso, riconoscerla in modo precoce e inviare il paziente presso il centro ospedaliero, per l’ottimizzazione della terapia secondo le linee guida ESC 201615.

GESTIONE TERAPEUTICA IN AMBITO OSPEDALIERO

Il secondo aspetto relativo al percorso del paziente con SC riguarda la gestione terapeutica in ambito ospedaliero. Dopo le procedure diagnostiche, cliniche e strumentali, presso il dipartimento di emergenza-accettazione/pronto soccorso (DEA/PS), si pone la decisione sul reparto di degenza a cui inviare il paziente, la Cardiologia o la Medicina Interna, dove viene ricoverata la maggior parte dei pazienti con SC, in considerazione della gravità e dell’impatto della situazione cardiologica sulla prognosi del paziente. Questo percorso è stato recentemente descritto in un editoriale35 che evidenzia l’importanza dell’ospedalizzazione come momento cruciale per la gestione della malattia, suddiviso in tre momenti: inquadramento del paziente e prima stratificazione, la transizione dalla terapia della fase acuta alla cronica, e la presa in carico alla dimissione. Il modello di transizione ospedale-territorio dovrebbe prevedere una gestione congiunta ottimale tra l’ambulatorio specialistico e della medicina generale. Quindi, in questa parte del “patient journey”, lo scopo sarà quello di rispondere a quesiti quali: “Chi? Come?” trattare e “Con quale intensità istituire il trattamento?”.

Anche in questo caso, come nella prima fase della consultazione del MMG, si attua una suddivisione dei pazienti con SC, come segue:

• Paziente con SC cronico riacutizzato:

– Osservazione Breve Intensiva (OBI),

– degenza internistica,

– degenza cardiologica;

• Paziente con SC de novo,

• Paziente con SC cronico ricoverato per altra patologia acuta,

• Paziente con SC cronico e ricovero in cardiologia per procedura elettiva,

• Paziente con SC cronico in degenza riabilitativa.

Paziente con scompenso cardiaco cronico riacutizzato

Questa tipologia di pazienti costituisce la percentuale più frequente di soggetti per i quali il cardiologo ha come scopo primario l’ottimizzazione della terapia. Si tratta peraltro di pazienti che mostrano la peggiore prognosi in termini di sopravvivenza36. All’interno di questo gruppo si trovano diversi quadri patologici che necessitano percorsi clinici e terapeutici differenti.

Nel caso di pazienti con riacutizzazione lieve, se non si denota la necessità di un’ospedalizzazione urgente, si può ritenere sufficiente un percorso che inizia con l’accettazione al DEA/PS e il ricovero in OBI. Durante il ricovero, è essenziale che sia effettuata una valutazione cardiologica, in modo tale che il cardiologo possa decidere se dimettere od ospedalizzare il paziente in base al suo quadro clinico. Se il paziente viene dimesso dopo il fast-track cardiologico, è necessario inviarlo all’Ambulatorio Scompenso di pertinenza. In caso di ospedalizzazione, il paziente verrà inviato:

– in Medicina Interna, situazione più frequente, in presenza di un quadro indicativo di polipatologia per cui la prognosi dipende dall’insieme delle comorbilità;

– in Cardiologia in presenza di cardiopatia.

L’invio costituisce il tratto comune a tutti gli scenari clinici presenti al momento della consultazione del PS o dello specialista, perché è importante che il paziente cronico riceva un follow-up e una titolazione della terapia in un ambiente che permette un approccio multidisciplinare.

Per il paziente con SC riacutizzato, ospedalizzato in ambiente cardiologico o internistico, sono di importanza rilevante le due fasi, intermedia e finale, riportate nelle linee guida ESC 2016 (Figura 3)15. La fase di ospedalizzazione, infatti, è considerata come una possibilità concreta per ottimizzare la terapia specifica, sulla base dell’eziologia e delle comorbilità, tramite l’avvio di una gestione di carattere multidisciplinare che prevede un’attività di counseling per il paziente e il suo successivo invio all’Ambulatorio Scompenso di pertinenza.

Relativamente alla terapia con sacubitril/valsartan nel contesto ospedaliero (pazienti ospedalizzati con HFrEF dopo la stabilizzazione emodinamica) appaiono particolarmente utili i criteri dello studio TRANSITION, studio le cui caratteristiche maggiormente si avvicinano alla gestione clinica dei pazienti ricoverati nelle unità operative cardiologiche ed internistiche italiane.




Si ritiene opportuno, nella maggior parte dei casi, utilizzare una bassa dose di sacubitril/valsartan all’inizio della terapia e almeno 48 h prima della dimissione, per poi titolarla in seguito. Questo arco temporale permette allo specialista di attuare un periodo di osservazione della risposta clinica del paziente e della sua tolleranza alla dose iniziale. La possibilità di utilizzare la dose intermedia durante l’ospedalizzazione è riservata solo ai pazienti particolarmente “robusti” (pazienti ricoverati con pressione arteriosa elevata, senza disfunzioni renali importanti, giovani, pazienti con diagnosi de novo) che hanno una possibilità elevata di titolare la terapia con successo. L’ottimizzazione della terapia con beta-bloccante non può escludere quella con ARNI e, nel caso in cui il paziente abbia un’indicazione al defibrillatore, la terapia con sacubitril/valsartan non ha controindicazioni nei confronti di questa opzione terapeutica. Poiché l’inizio della terapia non può prescindere dalla sua titolazione, è importante che l’iter terapeutico prosegua e che il paziente effettui i controlli presso l’Ambulatorio Scompenso di pertinenza37. Dopo le dimissioni, il ruolo del MMG diventa cruciale per il monitoraggio del paziente dimesso, con particolare attenzione al monitoraggio delle condizione cliniche e alla modulazione posologica del diuretico dell’ansa.

Paziente con scompenso cardiaco de novo

In questo tipo di paziente il completamento dell’iter diagnostico ed eziologico è indispensabile, al fine di una corretta diagnosi ed impostazione della terapia. Secondo le evidenze recentemente descritte e se si è già in presenza di una terapia con sartani e ACEi, si può ritenere indicata l’inizio della terapia con sacubitril/valsartan.

Paziente con scompenso cardiaco cronico ricoverato per altra patologia acuta

Il paziente con SC cronico, che viene ricoverato per un’altra causa, come una broncopneumopatia cronica ostruttiva acutizzata, polmonite, anemizzazione, ecc., alla fine della fase di acuzie della patologia causa del ricovero potrebbe essere idoneo a un’ottimizzazione della terapia e si può pensare di iniziare il trattamento con sacubitril/valsartan. È fondamentale, però, controllare prima la stabilità emodinamica per escludere una congestione sottesa che potrebbe ostacolare l’inizio di una nuova terapia, poiché, spesso, il ricovero per un’altra patologia acuta fa perdere di vista la necessità di monitorare la stabilità emodinamica.

Paziente con scompenso cardiaco cronico e ricovero
in cardiologia per procedura elettiva

I pazienti appartenenti a questa categoria vengono ricoverati in ambiente cardiologico per essere sottoposti a procedure elettive come una coronarografia di controllo o la sostituzione di un dispositivo medico. Questo tipo di paziente si può considerare al pari di quello ambulatoriale; pertanto, si può pensare di introdurre la terapia con sacubitril/valsartan dopo la procedura elettiva e prima della dimissione. Una volta dimesso, il paziente verrà inviato all’Ambulatorio Scompenso di riferimento.

Paziente con scompenso cardiaco cronico in degenza riabilitativa

La cardiologia riabilitativa può essere il contesto assistenziale ideale per i pazienti con difficoltà iniziale per la titolazione della terapia a causa di patologie concomitanti come, ad esempio, una patologia renale cronica avanzata, tendenti all’ipotensione, che hanno mostrato poca tolleranza verso terapie con ACEi e sartani. In questi casi, la degenza riabilitativa può rappresentare un’opportunità per iniziare il trattamento con sacubitril/valsartan e per titolarne la dose in totale sicurezza, perché l’inizio dell’iter terapeutico con il farmaco avviene sotto la supervisione di personale medico. Questa condizione è ideale per i pazienti ritenuti molto più “fragili”.

Indipendentemente dall’eziologia dello scompenso, le linee guida ESC definiscono i criteri seguenti per la dimissione dall’ospedale e il follow-up nel periodo ad alto rischio15:

• I pazienti ospedalizzati con SC acuto sono idonei per la dimissione:

– in presenza di stabilità emodinamica e di liquidi, che si fonda su una terapia orale basata sull’evidenza e con funzione renale stabile per almeno 24 h prima della dimissione,

– a seguito della consulenza con lo specialista e della spiegazione delle procedure posologiche da seguire.

• I pazienti devono:

– essere iscritti a programmi di gestione della malattia

– essere visitati dal MMG entro 1 settimana dalla dimissione

– essere visitati dal team di cardiologia dell’ospedale entro 2 settimane dalla dimissione, ove possibile.

• I pazienti con SC cronico devono essere seguiti all’interno di un servizio multiprofessionale per lo SC.

Il ruolo del medico di medicina generale

Il MMG svolge un ruolo importante nella gestione del paziente con SC nella fase post-dimissione, poiché il suo compito è quello di valutare l’aderenza del paziente alla terapia e, soprattutto, di monitorarlo nel corso della terapia. Sarebbe opportuno, al momento della dimissione, allegare alla lettera di dimissione un documento in cui si forniscono spiegazioni in merito alla terapia cui è sottoposto il paziente, nonché indicazioni sulla gestione delle associazioni di trattamenti, della titolazione della posologia, della sospensione dei farmaci in seguito all’eventuale insorgenza di eventi avversi, ponendo particolare attenzione alla modulazione posologica del diuretico dell’ansa. Questi documenti potranno essere, a seconda della realtà ospedaliera e, soprattutto, dell’età del paziente, sia in formato elettronico come, ad esempio, un’applicazione sul proprio smartphone, o cartacei, che il paziente dovrà compilare e sottoporre al MMG ad ogni visita.

IL PAZIENTE AMBULATORIALE

Inquadramento del paziente ambulatoriale

L’Ambulatorio Scompenso gestisce solitamente due tipi diversi di pazienti:

– il paziente che viene indirizzato al Centro dopo un ricovero;

– il paziente indirizzato al Centro dopo una visita da parte di un altro ambulatorio non specialistico (visita privata o ambulatorio CUP), perché presenta dei sintomi di SC.

Durante la prima visita, il medico dell’ambulatorio deve inquadrare dal punto di vista diagnostico lo SC del paziente preso in carico, utilizzando alcuni elementi chiave definiti dalle linee guida ESC15, la classe funzionale NYHA, l’esame obiettivo, la FEVS valutata con ecocardiogramma, gli esami ematochimici e la terapia in atto.

Per quanto riguarda la classe funzionale NYHA, un’attenzione particolare deve essere prestata alla gestione dei pazienti in classe NYHA II, la più frequente, il cui quadro clinico può far pensare a una stabilità di malattia ingannevole. Congiuntamente è fondamentale valutare la terapia neurormonale prescritta al paziente.

L’attenzione maggiore è generalmente rivolta ai pazienti con SC in classe NYHA III e IV. Queste due classi infatti sono direttamente collegate a un’evidenza nell’incidenza di severità della prognosi, dove gli episodi di ospedalizzazione per tutte le cause supera il 60% rispetto a quelli che avvengono in classe NYHA I o II, così come la mortalità e l’ospedalizzazione per SC38.

Anche se lo specialista ha un ruolo fondamentale in queste classi funzionali, a causa della complessità clinica di questi pazienti, rimane comunque importante l’istituzione di una gestione multidisciplinare (con la partecipazione attiva di infermieri, psicologi, nefrologi, ecc.), nonché la creazione di un’interazione con il Centro di III livello per la gestione del paziente con SC avanzato, con il MMG e gli specialisti del territorio per controlli intensivi, frequenti e programmati. I pazienti in classe NYHA II, che rappresentano la maggioranza dei pazienti scompensati, sono generalmente gestiti in maniera congiunta tra ospedale e territorio. Per le caratteristiche di questi pazienti, che seppur presentando una fase di malattia considerata stabile, permangono a rischio elevato soprattutto di morte cardiaca improvvisa, è molto importante l’impostazione al più presto di una terapia farmacologica in grado di contrastare efficacemente la progressione della malattia, rallentandone l’evoluzione e migliorando la prognosi. Il coinvolgimento del MMG è importante non solo in questi pazienti ma anche in coloro in classe NYHA III e IV, soprattutto in situazioni di stabilità.

L’ottimizzazione della terapia e le nuove opportunità terapeutiche

Alla prima valutazione presso l’ambulatorio si dovrà attuare una distinzione tra SC con o senza frazione di eiezione ridotta (<40%), assegnare una classe funzionale NYHA e valutare la presenza o l’assenza di un trattamento preesistente con gli inibitori neurormonali raccomandati dalle linee guida15 per lo SC (beta-bloccante, ACEi, ARB, MRA, ARNI). In presenza di frazione di eiezione ridotta (<40%), si deve proseguire la terapia di inibizione neurormonale. Le linee guida raccomandano l’utilizzo di sacubitril/valsartan in pazienti con FEVS ≤35% e classe NYHA ≥II, i quali rimangono sintomatici nonostante terapia ottimale con ACEi, betabloccanti e MRA15. Tuttavia le evidenze crescenti, provenienti in particolare dallo studio randomizzato TRANSITION, hanno mostrato che il raggiungimento della dose target del farmaco alla decima settimana di trattamento si ottiene in maniera significativa in pazienti de novo rispetto ai pazienti con precedente diagnosi di HFrEF (56% vs 45%; IC 95% 1.12-1.52; p<0.001)23. I pazienti de novo hanno mostrato inoltre una diminuzione più rapida e maggiore dei livelli di NT-proBNP e della troponina T ad elevata sensibilità, nonché una minore incidenza di riospedalizzazione rispetto a pazienti con diagnosi precedente. Questo dimostra come l’impiego in prima linea di sacubitril/valsartan in pazienti con HFrEF de novo, sia possibile congiuntamente ad altre terapie raccomandate dalle linee guida, e sia associato ad un migliore profilo di rischio-beneficio rispetto ai pazienti con precedente diagnosi di HFrEF23. Questo probabilmente perché un intervento farmacologico in fase precoce di malattia consente un recupero funzionale migliore rispetto ad un paziente con diagnosi nota da tempo. Un intervento terapeutico precoce con sacubitril/valsartan può correlare con un ritardo nella progressione della malattia nei pazienti con HFrEF de novo. La letteratura disponibile ha mostrato evidenze favorevoli in termini di sicurezza per sacubitril/valsartan rispetto ad ACEi o ARB nel paziente naïve. Pertanto, questo concetto sembra favorire uno switch terapeutico da ACEi o ARB a sacubitril/valsartan19.

Si raccomanda, pertanto, di titolare la dose di sacubitril/valsartan in modo progressivo fino alla dose target di 97/103 mg bid, o, comunque, fino alla dose massima tollerata, come già avviene per gli altri farmaci (beta-bloccanti, ACEi, ARB, MRA). Nello studio TITRATION39 è stato confermato anche l’ottimo profilo di tollerabilità di sacubitril/valsartan anche in pazienti naïve ad ACEi o ARB, o trattati con queste classi di farmaci a basse dosi. Circa l’80% di questi pazienti ha raggiunto e mantenuto la dose di 97/103 mg utilizzando uno schema di titolazione graduale pari a 6 settimane, mentre uno schema di trattamento più breve (3 settimane) consente il raggiungimento della dose target in circa il 70% dei pazienti. Questo schema posologico permette anche una migliore gestione del farmaco in termini di maneggevolezza in pazienti con HFrEF.39

Lo switch o l’inizio della terapia con sacubitril/valsartan durante il ricovero rappresenta generalmente solo un primo momento nell’ottimizzazione della terapia. È indispensabile, infatti, che il paziente venga seguito dopo la dimissione in ambulatori dedicati allo SC al fine di completare la titolazione del farmaco, escludere eventuali variazioni della pressione arteriosa, funzionalità renale e kaliemia che potrebbero pregiudicarla e monitorare la risposta all’ottimizzazione della terapia. È auspicabile che tali attività siano eseguite in stretta collaborazione con il MMG.

Follow-up e ruolo del medico di medicina generale

Un’altra tappa importante delpatient journey” è senza dubbio la fase di follow-up fissata a 6 mesi di distanza (Figura 4).

In questo periodo di osservazione si richiama ancora una volta l’importanza della figura del MMG che, se coinvolto, permetterebbe di evitare il sovraffollamento degli Ambulatori Scompenso. Il suo ruolo potrebbe essere inserito tra la visita iniziale e la visita di follow-up a 6 mesi di distanza. Questa soluzione permetterebbe di confermare l’efficacia della terapia farmacologica tramite le valutazioni cliniche e gli esami di routine, quali gli esami del sangue, la misurazione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, nonché la verifica della presenza o assenza di sintomi.

Poiché il MMG funge da interfaccia con il paziente, potrebbe essere utile proporgli una check-list che lo aiuti a identificare i parametri predittivi di un’eventuale riammissione ospedaliera:

– sintomi e/o segni di SC nuovi o ingravescenti: aumento di peso, dispnea, bendopnea, ortopnea, cardiopalmo, astenia, turgore giugulare, rantoli all’auscultazione polmonare, versamento pleurico, epatomegalia, edemi declivi;

– abbassamento della pressione arteriosa rispetto ai valori abituali;

– necessità di intensificare la terapia diuretica;

– assunzione incostante o interruzione della terapia per lo SC;

– comparsa di fattori predisponenti al peggioramento dello SC (es. anemia o infezione).

Un aspetto fondamentale rimane la titolazione del farmaco che sarà sempre condivisa con lo specialista, ma è importante il dialogo con il MMG che va formato sulla gestione sia della terapia sia dei pazienti in follow-up. In questo modo, sarà possibile valutare la necessità di variare il dosaggio del farmaco prima della visita di follow-up e di intervenire tempestivamente, senza incorrere nell’insorgenza di eventi avversi facilmente prevenibili.

L’obiettivo cruciale di questo percorso è la continuità della terapia e la presa in carico del paziente. Tutte le responsabilità sono riconducibili, per ovvi motivi, all’ambulatorio specialistico, ma con una collaborazione attiva del MMG. Le informazioni fornite da quest’ultimo riguardo lo stato del paziente permetterebbero, ad esempio, di anticipare, in caso di necessità, una visita programmata a 3 mesi. Il MMG potrebbe essere un riferimento anche per i pazienti in stabilizzazione a lungo termine.

Potrebbe essere utile creare un percorso con tempistiche prestabilite per permettere al MMG di certificare una condizione di stabilità oppure di recepire degli elementi di instabilità che indirizzino al rinvio del paziente verso una valutazione specialistica.

Dopo 3 mesi di terapia è opportuno ripetere un ecocardiogramma in modo da rivalutare la FEVS, i cui valori non dovranno essere superiori al 40% (condizione per cui la terapia farmacologica non dovrà essere interrotta) e si potrà procedere con l’eventuale impianto di defibrillatore/CRT, che non dovrà essere ostacolato dall’inizio del trattamento e dalla titolazione di sacubitril/valsartan.

È importante cercare di mantenere la terapia con sacubitril/valsartan ed eventualmente ridurre temporaneamente la dose in caso di insorgenza di effetti collaterali, come una transitoria ipotensione o un incremento dei livelli sierici di potassio. In questi casi, è importante che vengano cercati e corretti eventuali fattori scatenanti, come la sostenuta perdita di liquidi conseguente a vomito o diarrea o il peggioramento della funzione renale secondario all’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei.




CONCLUSIONI

I risultati degli studi condotti con sacubitril/valsartan dimostrano i suoi effetti positivi come “disease-modifying drug”33, ovvero come farmaco capace di interferire sulla storia naturale della malattia, sulla mortalità legata allo SC a funzione sistolica ridotta, sulle morbilità, sulla capacità funzionale e, soprattutto, sulla funzione renale, favorendo un’adeguata QoL del paziente.

Sacubitril/valsartan è risultato superiore agli ACEi agendo nelle differenti fasi della malattia, da quelle più precoci a quelle più tardive5, intercettando e rallentando il decorso della patologia.

Come evidenziato nei diversi studi, il percorso del paziente con SC può essere diviso in tre parti:

– prima consultazione del MMG,

– accesso in PS e successiva ospedalizzazione,

– invio presso un ambulatorio specialistico dello scompenso.

Punti in comune tra le tre fasi di questo percorso sono l’importanza dell’ottimizzazione della terapia in tutte le fasi del percorso del paziente con SC, il ruolo fondamentale della gestione specialistica e non ultima l’importanza del ruolo del MMG, il quale deve essere formato per riconoscere i segni e i sintomi di uno SC in tutte le fasi della storia di malattia.

Nella gestione di questa patologia appare chiara l’importanza del miglioramento di un networking tra medico di base, ospedale e specialista. Questi tre attori aventi apparentemente ruoli diversi sono accomunati da uno scopo: il miglioramento delle condizioni del paziente con SC. Agendo su tre livelli distinti (territoriale, ospedaliero e ambulatoriale) dovrebbero creare un’unità specializzata che operi sulla base di protocolli diagnostico-terapeutici condivisi, fondati su linee guida di trattamento e modelli prestabiliti, in modo da rendere possibile una valutazione posologica specifica per caso, con la possibilità, dunque, di variare il dosaggio del farmaco prima della visita di follow-up e di intervenire tempestivamente senza incorrere nell’insorgenza di eventi avversi facilmente prevenibili. Una sinergia tra risorse professionali e strumentali ospedaliere, nonché potenzialità assistenziali territoriali consentirà ai clinici di rispondere ai bisogni dei pazienti in ogni fase particolare della malattia grazie a una rete integrata di cure.

RIASSUNTO

Lo scompenso cardiaco (SC) è ancora una sindrome caratterizzata da alti livelli di mortalità, nonostante i progressi terapeutici ottenuti. Nel trattamento dello SC con frazione di eiezione ridotta (HFrEF), le linee guida europee 2016 hanno introdotto nell’algoritmo terapeutico la classe degli inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina, la cui efficacia nel modificare la prognosi del paziente è stata ampiamente dimostrata in molti studi clinici. Sacubitril/valsartan, unico rappresentante di questa classe farmacologica è in grado di intervenire sulla storia naturale dello SC, riducendo la mortalità cardiovascolare (improvvisa e per peggioramento della funzione cardiaca), la mortalità totale, nonché gli eventi di ospedalizzazione primi e ricorrenti, migliorando funzione renale, rimodellamento cardiaco, capacità funzionale e qualità di vita legata alla salute del paziente.

Obiettivo di questo articolo è l’analisi delle diverse fasi del percorso del paziente con HFrEF (prima consultazione del medico di medicina generale; accesso in pronto soccorso e successiva ospedalizzazione; invio presso un Ambulatorio specialistico dello Scompenso) e la promozione di un networking tra medico di base, ospedale e specialista basato su protocolli diagnostico-terapeutici condivisi e prestabiliti, che risponderà ai bisogni dei pazienti in ogni fase della malattia (valutazione posologica specifica per caso, titolazione del farmaco prima del follow-up e prevenzione di eventi avversi).

Parole chiave. Farmaco modificante la malattia; Frammento N-terminale del pro-peptide natriuretico di tipo B; Inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina; Networking; Sacubitril/valsartan; Scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta.

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