Essere cardiologo ai tempi del SARS-CoV-2:
cosa non dimenticare nella fase post-pandemia?

Luigi Tarantini1, Pompilio Faggiano2, Alessandro Navazio3, Giovanni Turiano1,
Furio Colivicchi4, Domenico Gabrielli5

1U.O. Cardiologia, Ospedale Civile San Martino, Belluno

2U.O. Cardiologia, Spedali Civili ed Università degli Studi, Brescia

3Cardiologia Ospedaliera, Presidio Ospedaliero ASMN, Azienda USL Reggio Emilia IRCCS, Reggio Emilia

4U.O. Cardiologia, Dipartimento di Emergenza, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri, Roma

5U.O. Cardiologia, Ospedale Civile Augusto Murri, Fermo

In Italy, the epidemic explosion stage of COVID-19 seems to have been overcome; however, the virus has not been eradicated and the re-emergence of some outbreaks of infection substantiates the danger that the disease may persist. It is therefore necessary to keep the level of surveillance high, to maintain social distancing measures and to act in the control of disease risk factors of a serious or complicated course. Among the risk factors of severe COVID-19 in addition to age, male gender, hypertension and cardiovascular diseases, a major role seems to be played by other cardiovascular risk factors conditioned by an unhealthy lifestyle such as obesity, metabolic syndrome, diabetes and smoking. The new phase requires the maintenance of measures that avoid crowding and close interpersonal contact especially during exercise, in addition to controlled access to hospitals. This will require the reorganization of the traditional methods of cardiovascular prevention and rehabilitation activities, such as gyms and collective educational sessions, and the dilution of outpatient checks. The risk that this scenario may worsen the already suboptimal control of cardiovascular risk factors is therefore real. We do not currently know how long this new phase will last, therefore it is necessary to give impetus to new tele-health initiatives to stimulate the adoption of a healthy lifestyle in primary prevention and tele-monitoring and tele-rehabilitation programs in secondary prevention.

Key words. Metabolic syndrome; Obesity; Prognosis; Telemedicine.

“È molto più importante sapere

quale tipo di paziente ha una malattia

che quale malattia ha un paziente”.

William Osler


In questi giorni l’emergenza della pandemia COVID-19 con il drammatico ed inarrestabile incremento dei morti da coronavirus dopo circa 2 mesi di “lockdown” nel nostro Paese sembra essere sotto controllo e la Cardiologia sembra abbia superato anche la tempesta sugli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) ed i sartani scatenata dall’infodemia da COVID-19: infatti, i risultati dei registri1,2 indicano che la terapia con ACE-inibitori/antagonisti recettoriali dell’angiotensina non peggiora la prognosi. Adesso che abbiamo ripreso le nostre attività e che dobbiamo imparare a convivere con il SARS-CoV-2 in attesa di ipotetiche terapie risolutive, è opportuno riflettere su quanto finora l’esperienza clinica ci ha insegnato e su alcuni punti critici da affrontare nella nuova fase post-pandemica della nostra attività clinica. Secondo il parere della maggior parte degli esperti non è ancora finita e non sappiamo quanto durerà questa nuova fase, il rischio di nuovi focolai epidemici è reale, per non contare la possibilità di epidemie da nuovi virus, ipotesi tutt’altro che remota, vista l’esperienza maturata in questi 10 anni con i coronavirus tra SARS-CoV, MERS e SARS-CoV-23.

Un dato ineludibile che ci riguarda da vicino è che, una volta contratta la malattia da SARS-CoV-2, i pazienti con fattori di rischio cardiovascolare o con malattie cardiache conclamate sono tra le categorie a maggior rischio di decorso sfavorevole. Oltre all’età e al sesso maschile, infatti, la malattia cardio-metabolica, le cardiopatie strutturali (scompenso cardiaco e cardiopatia ischemica in primo luogo) e le comorbilità spesso presenti nei nostri pazienti come ipertensione, obesità, diabete, fumo, broncopenumopatia cronica ostruttiva e disfunzione renale rappresentano elementi prognostici negativi in caso di infezione da COVID-19. L’ipotesi più accreditata per spiegare ciò è il ruolo svolto dall’enzima 2 di conversione dell’angiotensina (ACE2), il recettore che consente l’entrata all’interno della cellula dei coronavirus (SARS-CoV, MERS e SARS-CoV-2)4. Scoperta 20 anni or sono, ACE2 è una carbossipeptidasi ampiamente diffusa nell’organismo e dalle molteplici azioni, molte delle quali ancora in fase di studio. L’azione più nota ed indagata per le potenziali implicazioni clinico-terapeutiche è quella relativa alla sintesi dell’angiotensina(1-7) [Ang(1-7)], peptide con azione vasodilatatrice, antinfiammatoria, insulino-sensibilizzante e anti-fibrotica, che controbilancia gli effetti dell’iperstimolazione della classica via renina-angiotensina-AT15,6. Il sistema ACE2/Ang(1-7) in sostanza svolge un ruolo critico in senso protettivo ed è iper-espresso non solo nell’insufficienza cardiaca e nelle altre cardiopatie ma anche nelle malattie polmonari, nella disfunzione renale, nel diabete mellito e nel tessuto adiposo, per contrastare lo sviluppo dell’insulino-resistenza in caso di obesità. L’interferenza con il sistema ACE2/Ang(1-7) nelle infezioni da coronavirus (Figura 1) giustificherebbe la maggior “fragilità” dei nostri pazienti nei confronti della malattia da SARS-CoV-26-8.




L’ASSETTO CARDIO-METABOLICO, PERICOLOSO FATTORE DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE SOTTOSTIMATO NELLA PRATICA CLINICA

Il registro EUROASPIRE V di recente pubblicazione ha confermato che l’aderenza alle linee guida sulla prevenzione cardiovascolare della Società Europea di Cardiologia continua ad essere disattesa ed una gran parte dei pazienti non ha un buon controllo dei fattori di rischio cardiovascolare9. Il dato allarmante è relativo alla gestione dell’assetto cardio-metabolico. L’obesità (indice di massa corporea [IMC] >30 kg/m2) era presente in circa la metà degli pazienti (43.5%) con una alta prevalenza di obesità centrale (63.8%). Un quinto dei pazienti obesi non erano consapevoli del rischio della propria condizione, più di un terzo di essi non aveva alcuna conoscenza su quale fosse il proprio peso ideale e non aveva ricevuto alcuna raccomandazione sullo stile di vita appropriato. Parimenti subottimale il risultato del trattamento nei pazienti diabetici di tipo 2: solo il 65.2% di essi aveva valori di emoglobina glicata <7.0%. Più preoccupanti i dati in ambito di prevenzione secondaria10. Sui 8261 pazienti con cardiopatia ischemica del registro EUROSPIRE V, solo un terzo presentava un metabolismo glucidico normale. I pazienti con diabete noto erano circa un terzo (29.7%) e solo al 31% di essi era stato consigliato un consulto diabetologico. Su 4440 pazienti con stato glicemico sconosciuto, l’esecuzione di una curva da carico orale con glucosio è risultata alterata nel 41.1% (il 20% in range diabetico); nonostante ciò, la terapia con farmaci cardioprotettivi veniva prescritta solo nel 58% di essi.

L’obesità ed il diabete mellito di tipo 2 rappresentano a tutt’oggi fattori di rischio cardiovascolare con un incremento inarrestabile nel nostro Paese11. Nel 2017, i dati più recenti disponibili, gli italiani con eccesso di peso erano il 30% della popolazione e gli obesi 5 milioni (8.3% della popolazione totale). Rispetto al 2001 i pazienti con obesità patologica (IMC ≥35 kg/m2) sono aumentati dallo 0.8% al 2%, ma soprattutto è preoccupante l’andamento nei giovani di 18-24 anni, fascia di età in cui l’obesità è raddoppiata (dal 2% al 4.4%). Lo svantaggio della popolazione obesa per entrambi i sessi, in termini di comorbilità, è particolarmente evidente nelle fasce di età più produttive: negli adulti di età 18-64 anni la prevalenza di ipertensione arteriosa, diabete e cardiopatia è 3 volte più elevata negli obesi rispetto ai normopeso, soprattutto per il diabete di tipo 2 che nel 2017 ha ormai raggiunto il 5.3% della popolazione italiana. In definitiva anche in Italia, come nel resto del mondo, è in corso un’altra epidemia strisciante12, ma non per questo meno pericolosa, la “diabesità”, neologismo coniato per descrivere l’accoppiata letale tra obesità e diabete.

OBESITÀ E ASSETTO CARDIO-METABOLICO SONO RILEVANTI FATTORI DI RISCHIO NELL’ERA DEL SARS-CoV-2

È ben noto che l’obesità, intesa soprattutto come eccesso di massa grassa viscerale, che negli anziani per effetto della sarcopenia può non coincidere con l’IMC, correla con ipertensione, diabete, malattie coronariche, ictus, fibrillazione atriale, malattie renali e insufficienza cardiaca. La presenza di obesità potenzia l’interazione negativa tra i fattori di rischio ed anticipa lo sviluppo prematuro di malattie cardiovascolari e di alcuni tipi di cancro. Inoltre, l’obesità amplifica il rischio trombotico, compromette la funzione polmonare e dai più è considerata uno stato pro-infiammatorio che predispone ad un’alterata risposta infiammatoria ed immunologica4,13,14. È ragionevole suppore che essa abbia un ruolo rilevante anche sul decorso della malattia da SARS-CoV-2 (Figura 2)13,15. Nelle prime serie di pazienti affetti da COVID-19, in cui sono state analizzate le comorbilità, non è stato riportato alcun dato relativo all’obesità; tale “gap” è stato colmato con il progredire della pandemia: un IMC elevato, oltre ai noti fattori di rischio, rappresenta un potente fattore prognostico negativo nell’infezione da SARS-CoV-2. Su una serie di 5700 pazienti statunitensi (età media 63 anni; 39.7% femmine) le comorbilità più comuni erano ipertensione (56.6%), obesità (IMC ≥30 kg/m2; 41.7%) e diabete (33.8%)16. Il rischio di ventilazione meccanica invasiva nei pazienti con COVID-19 è risultato significativamente maggiore negli obesi rispetto ai normopeso (IMC <25 kg/m2)17-19. Questo vale soprattutto per gli individui con età <60 anni. A New York, i soggetti con malattia da SARS-CoV-2 ed IMC tra 30-34 kg/m2 e >35 kg/m2 avevano, rispettivamente, 1.8 volte e 3.6 volte più probabilità di essere ricoverati in terapia intensiva rispetto agli individui con un IMC <30 kg/m2 20.

Quali sono le implicazioni di queste osservazioni per il futuro post-pandemia COVID-19? Una prima ovvia considerazione è quella di prendere consapevolezza che non possiamo più accettare che ampie proporzioni di persone ad alto rischio di malattie cardiovascolari abbiano stili di vita insalubri ed un controllo inadeguato del peso corporeo, della pressione arteriosa, dei lipidi e del diabete. Un’efficace azione di prevenzione assume particolare rilevanza se proiettata nello scenario di convivenza con il COVID-19 e con altre possibili epidemie che coinvolgano il sistema recettoriale ACE2/Ang(1-7) iper-attivato proprio per contrastare il mancato controllo dell’equilibrio cardio-metabolico. Da quanto emerso in questi mesi di “lockdown”, l’isolamento sociale, la paura del contagio, lo stress emotivo derivante dalla limitazione personale e dalla crisi economica ha ripercussioni negative sullo stile di vita che si riflette ovviamente sul controllo dei fattori di rischio. Ora più che mai si deve promuovere uno stile di vita salubre attraverso l’attività fisica ed una dieta appropriata, soprattutto nei giovani, fascia di popolazione a maggior rischio di influenze negative in termini di qualità degli alimenti assunti e di sedentarietà21 e negli anziani, a maggior rischio di isolamento sociale, insicurezza alimentare e di non autosufficienza nel controllo dell’alto rischio cardiovascolare.




Un secondo aspetto non meno rilevante è quello organizzativo. Dovendo ridurre l’iper-affollamento, incluse le sale d’aspetto dei nostri ambulatori e soprattutto le palestre di riabilitazione, è necessario evitare di sacrificare proprio l’attività rivolta alla prevenzione ed alla riabilitazione cardiologica. Da sottolineare che, nell’ambito della prevenzione e riabilitazione, attualmente la tecnologia può essere di aiuto, attraverso i programmi di tele-riabilitazione e tele-monitoraggio22, promuovendo l’azione di “coaching” nei confronti dei pazienti e favorendo la comunicazione interpersonale tra le differenti figure professionali (cardiologi ospedalieri, cardiologi ambulatoriali, fisioterapisti, psicologi, nutrizionisti, ecc.) coinvolte nella gestione del problema.

Ora più che mai non dobbiamo dimenticare la vecchia massima: “prevenire è meglio che curare”.

RIASSUNTO

In Italia la fase dell’esplosione epidemica della malattia COVID-19 sembra essere superata, tuttavia il virus non è stato debellato ed il riemergere di alcuni focolai di infezione sostanziano il pericolo che la malattia possa perdurare. È necessario perciò tenere alto il livello di sorveglianza, mantenere le misure di distanziamento sociale e agire nel controllo dei fattori di rischio di malattia dal decorso grave o complicato. Tra i fattori di rischio di malattia severa da COVID-19 oltre all’età, al sesso maschile, all’ipertensione e le malattie cardiovascolari, un ruolo preminente sembra essere svolto da altri fattori di rischio cardiovascolare condizionati da uno stile di vita insalubre quali l’obesità, la sindrome metabolica, il diabete ed il fumo. La nuova fase impone il mantenimento di misure che evitino l’affollamento e lo stretto contatto interpersonale soprattutto durante esercizio fisico, oltre ad un accesso controllato negli ospedali. Questo imporrà la riorganizzazione del tradizionale metodo dell’attività di prevenzione e riabilitazione cardiologica come le palestre e le sedute collettive educazionali ed il diradamento dei controlli ambulatoriali. Il rischio che tale scenario possa peggiorare il già non ottimale controllo dei fattori di rischio cardiovascolare è pertanto reale. Non sappiamo al momento quanto durerà questa nuova fase, è necessario quindi dare impulso a nuove iniziative di “tele-health” per stimolare l’adozione di uno stile di vita salubre in prevenzione primaria e programmi di tele-monitoraggio e tele-riabilitazione in prevenzione secondaria.

Parole chiave. Obesità; Prognosi; Sindrome metabolica; Telemedicina.

RINGRAZIAMENTI

Un sentito ringraziamento per l’incoraggiamento ed il proficuo aiuto a Ildo Nicoletti, già Professore di Medicina Interna e Direttore della Sezione Medicina Interna e Scienze Oncologiche, Università di Perugia.

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