L’imaging integrato nel percorso del paziente con
COVID-19: dalla diagnosi, al monitoraggio clinico,
alla prognosi

Antonello D’Andrea1, Giovanna Di Giannuario2 , Gemma Marrazzo1 , Lucia Riegler1, Donato Mele3,
Massimiliano Rizzo4, Marco Campana5, Alessia Gimelli6, Georgette Khoury7, Antonella Moreo8,
a nome dell’Area Cardioimaging dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO)

1U.O.C. Cardiologia/UTIC/Emodinamica, P.O. Umberto I, Nocera Inferiore (ASL Salerno), Università “Luigi Vanvitelli” della Campania

2U.O.C. Cardiologia, Ospedale Infermi, Rimini

3U.O.C. Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ferrara

4U.O.C. Cardiologia, Ospedale San Paolo, Civitavecchia, ASL Roma 4

5U.O.C. Cardiologia, Fondazione Poliambulanza, Brescia

6Fondazione CNR/Regione Toscana “Gabriele Monasterio”, Pisa

7U.O.C. Cardiologia, A.O. Santa Maria, Terni

8Dipartimento CardioToracoVascolare “De Gasperis”, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

The integrated clinical, laboratory and ultrasound approach is essential for the diagnosis, monitoring and evaluation of the patient’s therapy in COVID-19 pneumonia. The ideal imaging strategy in this setting is not yet well defined. Bedside pulmonary ultrasound presents an undeniable series of advantages in patients at high risk of infection, and can provide incremental data in the respiratory intensive care for the serial control of the individual patient, as well as for home delivery of stabilized patients. Chest X-ray is characterized by low sensitivity in identifying earlier lung changes. Pulmonary computed tomography shows high sensitivity but should not be routinely performed in all patients, because in the first 48 h it can be absolutely negative, and in the late phase imaging findings may not change the therapeutic approach. Echocardiography should be limited to patients with hemodynamic instability.

Key words. Acute respiratory distress syndrome; Computed tomography; COVID-19; Interstitial pneumonia; Multimodality imaging; Thoracic ultrasound.

A Maurizio Galderisi,

maestro e punto di riferimento

dell’ecocardiografia italiana nel mondo,

con le sue raffinate ricerche,

il suo incontenibile entusiasmo,

il suo sorriso sincero.

INTRODUZIONE

Il 31 dicembre 2019, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) veniva allertata dalla Commissione di Sanità Pubblica della Provincia di Hubei, China, riguardo alcuni casi di polmonite severa, ad eziologia sconosciuta, caratterizzata da sintomi quali febbre, malessere, tosse secca, dispnea ed insufficienza respiratoria, verificatisi nell’area urbana di Wuhan1-3.

Un nuovo coronavirus, il SARS-CoV-2 (sindrome respiratoria acuta da coronavirus 2), veniva identificato quale responsabile dell’infezione polmonare, oggi denominata COVID-19 (coronavirus disease 2019). Da allora, come ben sappiamo, si è verificata una crescita esponenziale di contagi, che ha coinvolto dapprima i paesi limitrofi, quali Giappone e Corea del Sud, fino ad interessare paesi extra-continentali, con i primi casi documentati in Europa, Stati Uniti e Africa tra gennaio e febbraio 2020. Il 30 gennaio 2020 l’OMS dichiarava l’epidemia un’emergenza globale. Il 21 febbraio 2020 esplodeva l’epidemia in Italia, il 10 marzo veniva dichiarata la pandemia4.

Attualmente le fonti principali di infezione sono le persone stesse infette da SARS-CoV-2. Anche i soggetti portatori asintomatici possono diventare fonte di diffusione. La trasmissione avviene per aerosol tramite “droplets, ma anche se la trasmissione diretta e indiretta sono poco importanti vanno tenute in conto5.

Una diagnosi precoce dei soggetti portatori del virus è uno dei punti chiave nel cercare di contenere la diffusione, la morbilità e la mortalità della pandemia. La diagnosi definitiva avviene attraverso dei test specifici, mentre ancora da definire è l’esatto ruolo dell’imaging nel percorso assistenziale del paziente con COVID-19 sospetto o confermato. Oggetto della presente rassegna è proprio sottolineare il ruolo dell’imaging nella valutazione di tali pazienti.




Manifestazioni cliniche

In base alle attuali indagini epidemiologiche l’incubazione dura da 1 a 14 giorni, solitamente da 3 a 7 giorni. Le manifestazioni cliniche sono molto eterogenee, le principali sono: febbre, tosse secca e astenia6-12. In una minoranza dei pazienti si associano sensazione di ostruzione nasale, rinorrea, faringodinia, mialgia e diarrea. Fra i sintomi neurologici, comune è anosmia e disgeusia; confusione mentale nelle ipossiemie marcate. Nei pazienti con forma severa della malattia spesso a distanza di 1 settimana dall’inizio della malattia si manifestano dispnea e/o ipossiemia, nei pazienti critici/molto gravi è possibile una rapida progressione a sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), shock settico, acidosi metabolica difficilmente correggibile, deficit di coagulazione e infine insufficienza multiorgano.

Una parte dei bambini e i neonati possono invece presentare una clinica atipica, che consiste in sintomi gastrointestinali, come vomito, diarrea, sonnolenza o ipersonnia e tachipnea.

Inoltre, come sottolineato da numerosi position paper delle società scientifiche nazionali ed internazionali, l’infezione da coronavirus può avere implicazioni in ambito cardiologico per le seguenti motivazioni:

– i pazienti affetti da COVID-19 possono sviluppare complicanze cardiache, anche se non molto frequenti;

– le malattie cardiovascolari continuano ad essere preponderanti nella popolazione generale e gli stessi pazienti che si presentano con una sindrome coronarica acuta possono al tempo stesso essere infetti o portatori di COVID-1913-15.

IL PERCORSO DIAGNOSTICO

Tampone oro- e naso-faringeo

La reazione polimerasica a catena in tempo reale RT-PCR e/o il sequenziamento di nuova generazione possono rilevare la presenza di acidi nucleici virali nei tamponi oro-faringei, nell’espettorato e negli altri campioni provenienti dalle basse vie respiratorie, nel sangue e nelle feci. I campioni di scelta per maggior accuratezza del test sono quelli provenienti dalle basse vie respiratorie (espettorato o lavaggio bronco-alveolare). Una volta raccolto il campione, va analizzato il prima possibile. Rappresenta il “gold standard” per la diagnosi ma, essendo gravato da numerosi falsi negativi nelle fasi iniziali della malattia, in casi sospetti va ripetuto a 72 h per confermare l’assenza di malattia16.

Emogasanalisi

Il quadro presente in questi pazienti è alcalosi respiratoria con ipossiemia, ipocapnia ed una saturazione periferica non drammaticamente ridotta. In base ai valori di ossiemia, possiamo poi stratificare i pazienti in diversi gruppi (ossiemia normale, ipossia modesta >60 mmHg, ipossia moderata-grave <60 mmHg)5.

Nella polmonite interstiziale il problema è localizzato fra alveolo e capillari, per cui sono coinvolte le strutture polmonari e non quelle neuromuscolari, in un modello di insufficienza respiratoria di tipo 1 (insufficienza polmonare). Nelle fasi iniziali prevarrà quindi l’ipocapnia, mentre nelle fasi avanzate sopraggiungerà l’ipercapnia, una “red flag” da tenere presente perché indica fatica respiratoria e perdita della capacità di compenso muscolare.

Parametro da controllare sempre è il rapporto P/F, che in normossiemia (PaO2 80-100%) e in aria ambiente (FiO2 21%) è pari a 480. Quando il valore di P/F cala sotto i 300 si inizia a parlare di ARDS, lieve tra 300 e 200, moderata tra 200 e 100, severa sotto i 100. Quindi, anche l’emogasanalisi serve a capire che il paziente sta peggiorando, e può dare indicazione a cominciare una ventilazione invasiva anche in un paziente che nel momento specifico non sembra averne bisogno, in previsione di un imminente peggioramento rapido del quadro.

Esami ematochimici

Nella fase iniziale della malattia la conta dei globuli bianchi risulta nella norma o tende a diminuire, e può comparire linfopenia. Una parte dei pazienti può presentare un incremento di transaminasi, lattato deidrogenasi, creatinchinasi e mioglobina. Nella maggioranza dei casi si osserva incremento di proteina C-reattiva e velocità di eritrosedimentazione in assenza di aumento di procalcitonina. I pazienti più gravi possono presentare aumento di D-dimero e troponina T, e linfopenia progressiva10.

TECNICHE DI IMAGING

In un contesto di sintomatologia aspecifica e di quadri clinici estremamente variabili come gravità e progressione, il contributo dell’imaging integrato può essere determinante non solo per la diagnosi di polmonite, ma anche per il monitoraggio della terapia e per ottenere informazioni prognostiche.

La strategia di imaging ottimale è attualmente ancora incerta. Il parametro discriminante per cui un paziente con sospetto COVID-19 viene ricoverato in ospedale o rimandato a domicilio è la presenza di insufficienza respiratoria, legata al processo polmonare eventualmente in atto (insufficienza respiratoria anche subclinica visto l’andamento rapidamente progressivo della patologia). Il dato funzionale è facilmente ottenibile con l’esecuzione di un’emogasanalisi (procedura semplice, rapida e che non necessita dell’accesso del paziente a percorsi ospedalieri con rischi di contagi ulteriori) o da un test del cammino dei 6 min, mentre il dato anatomico-morfologico è legato all’esecuzione di test di imaging (procedure che tuttavia richiedono il percorso del paziente all’interno dell’ospedale con esposizione al virus di altro personale ed altri ambienti) (Tabella 1).




Imaging radiologico

Il COVID-19 ha come manifestazione clinica predominante la polmonite interstiziale. Quando si parla di interstizio si intende un’entità particolare situata fra alveolo e capillari, che viene indagata soprattutto con tecniche radiologiche16. Le polmoniti interstiziali sono caratterizzate dalla raccolta dell’edema e dell’infiltrato infiammatorio cellulare, più che nelle cavità alveolari, negli spazi interstiziali (pareti alveolari), e solo negli stadi più avanzati di malattia iniziano a riempire gli spazi cavi, prima in maniera subtotale (“ground glass”) e poi totale (consolidamento).

La polmonite interstiziale da COVID-19 non ha una manifestazione specifica e non possiamo definire un paziente come positivo solo sulla base del quadro di imaging. La polmonite si compone infatti di una serie di caratteristiche sovrapponibili a tante altre polmoniti o manifestazioni interstiziali17.

Radiografia del torace

L’esame radiografico standard del torace è caratterizzato da bassa sensibilità nell’identificazione delle alterazioni polmonari più precoci del COVID-19, caratterizzate da opacità a “vetro smerigliato”. Pertanto non è l’esame radiologico più indicato, se non per la diagnosi iniziale di esclusione di altre polmoniti alveolari batteriche. Necessario è tuttavia considerare che, in molte delle infezioni polmonari acquisite in comunità, le alterazioni si rendono manifeste all’Rx del torace entro un intervallo di tempo di solito di 12 h dall’inizio della sintomatologia e, quindi, l’esame può essere negativo se effettuato troppo precocemente.

Nelle fasi più avanzate dell’infezione l’esame Rx del torace mostra opacità alveolari multifocali bilaterali, che tendono alla confluenza sino all’opacamento completo del polmone, con possibile piccola falda di versamento pleurico associato17.

Tomografia computerizzata del torace

La tomografia computerizzata (TC) del torace, in particolare la TC ad alta risoluzione (HRCT), anche nelle fasi iniziali del processo morboso presenta un’elevata sensibilità diagnostica. La polmonite da COVID-19 tuttavia mostra un quadro HRCT vario ed aspecifico, simile ad altre infezioni polmonari, come quella da influenza A, da citomegalovirus, da altri coronavirus (SARS, MERS), da streptococco e nelle polmoniti da germi atipici (clamidia, micoplasma).

Viene eseguita con una metodica ad alta risoluzione (“gold standard” dell’interstiziopatia), che consente di avere una “slice thickness” compresa fra 0.625 mm e 1.25 mm, capace di mostrare le condizioni dell’interstizio, o meglio dell’esagono formato dal lobulo secondario.

I reperti di più comune riscontro all’HRCT sono stati le aree a “vetro smerigliato” o “ground glass” multifocali bilaterali, associate ad aree di consolidazione con distribuzione a chiazze, prevalentemente periferiche/subpleuriche, e con maggior coinvolgimento delle regioni posteriori e dei lobi inferiori18-27.

Come recentemente evidenziato in un documento congiunto di diverse società scientifiche (SIRM, SIUMB, FISM)27, nella polmonite COVID-19 è stato osservato anche il pattern “ground glass puro”, focale o multifocale, e il pattern “crazy paving”, caratterizzato dalla presenza di aree di “ground glass” sovrapposto ad ispessimento liscio dell’interstizio interlobulare ed intralobulare. Più rara la presenza esclusiva di consolidazioni, del “reversed halo sign” (area focale di “ground glass” delimitata da anello periferico più o meno completo di consolidazione) e il riscontro di cavitazioni, calcificazioni, linfoadenopatie e versamento pleurico.

Oltre che nelle prime fasi della diagnosi, l’HRCT è utile nel valutare il decorso e la severità della malattia, e quindi nell’orientare il management clinico del paziente. Mentre nelle fasi iniziale sono presenti opacità “ground glass” periferiche bilaterali, in un quadro più avanzato di malattia, i segmenti coinvolti aumentano di numero, per cui il “ground glass” si estende e coinvolge una percentuale sempre maggiore del parenchima, passando da solo periferico a sempre più centralizzato; ancora, le aree precedentemente a “ground glass” aumentano di densità, sino ad arrivare alla vera e propria consolidazione parenchimale. L’evoluzione è caratteristica di questa specifica patologia, in quanto il coronavirus è in grado di determinare una polmonite virale primaria: infatti, mentre le altre polmoniti virali consolidano nel momento in cui vi si sovrappone un’infezione batterica, nell’infezione da COVID-19 lo stesso patogeno riesce ad arrivare nelle diramazioni più periferiche dell’albero bronchiale e a determinare una consolidazione parenchimale senza sovrainfezione batterica (polmonite virale primaria)18-26.

La progressione della malattia correla quindi con l’aumento del numero, delle dimensioni e della densità delle aree di “ground glass” negli esami HRCT, con comparsa di consolidazioni parenchimali diffuse e bilaterali con broncogramma aereo nel contesto. La TC pertanto non ha un ruolo definito nella fase iniziale e forse neppure finale del processo morboso, quanto piuttosto nella fase intermedia del percorso diagnostico del paziente, per capire quanto sia necessario essere aggressivi, veloci e terapeuticamente impattanti. Anche l’American College of Radiology afferma che la TC non dovrebbe essere usata né per lo screening né come prima linea radiologica, ma solamente in pazienti ospedalizzati, sintomatici o con specifiche indicazioni cliniche18.

Quindi, la TC ha un potere incrementale solo quando può avere un impatto effettivo sul management e sulla terapia di fondo. Se ad esempio vogliamo valutare se e quanto sono aumentati gli addensamenti polmonari, per decidere eventualmente di anticipare l’intubazione, allora la TC è opportuna. Se invece vogliamo semplicemente prendere atto che il paziente sta peggiorando, ma effettivamente la terapia in atto è già massimizzata, non ha senso eseguirla, evitando inutili rischi infettivi nel trasporto del paziente in Radiologia.

Ecografia polmonare

L’ecografia polmonare “bedside” in un contesto clinico come quello della polmonite da COVID-19 presenta una serie innegabile di vantaggi, come la migliore facilità di disinfezione, la minore area di contatto con i pazienti e la possibilità di eseguire l’esame senza spostare il paziente in barella, riducendo così il rischio di diffondere il virus, pur rispettando le adeguate misure di protezione28-30. L’impossibilità di mantenere una distanza minima di sicurezza medico-paziente ne fa uno degli esami però a rischio per gli operatori sanitari.

Per incrementare in maniera significativa la sensibilità dell’ecografia polmonare, è necessario un esame approfondito, adottando una finestra antero-posteriore, tentando di visualizzare il più possibile il polmone in un approccio a 12 segmenti (ogni polmone viene diviso per le linee ascellari anteriori e posteriori in 3 aree: anteriore, laterale e posteriore). La sonda lineare ad elevata frequenza può essere preferibile per ottenere immagini ad alta risoluzione della linea pleurica (la prima linea orizzontale incontrata nella scansione, spessa 1-2 mm a seconda della sonda utilizzata), per distinguere tra una linea pleurica regolare e con normale scorrimento rispetto a una linea pleurica ispessita, irregolare o interrotta, o con scorrimento assente (come avviene nello pneumotorace).

Gli aspetti fondamentali da distinguere nella scansione del polmone sono:

linee A: normali artefatti da riverbero del fascio ultrasonoro sull’interfaccia pleura/aria polmonare; linee iperecogene (bianche) orizzontali e parallele fra loro e alla linea pleurica, tipiche del polmone sano;

linee B (“a coda di cometa”): artefatti patologici tipici di malattia interstiziale (dall’edema polmonare sino alla polmonite interstiziale); linee iperecogene verticali perpendicolari alla linea pleurica, che partono dalla linea pleurica stessa (non dalla cute), si dirigono in profondità e mascherano le linee A, impedendone la visualizzazione. Quanto più tali linee sono numerose, ravvicinate e coalescenti, peggiore è il coinvolgimento dell’interstizio;

consolidamento polmonare: quando si riduce ulteriormente il grado di aerazione polmonare e negli spazi alveolari l’aria viene sostituita da essudato/cellule flogistiche, il fascio di ultrasuoni è in grado di penetrare nel parenchima evidenziando un “consolidamento” con pattern eco-strutturale simile a quello del fegato (epatizzazione del polmone);

versamento pleurico: sicuramente l’ecografia polmonare rappresenta il “gold standard” nella diagnosi di versamento pleurico. In questa condizione l’indagine ha un’elevatissima sensibilità e specificità e permette di valutare correttamente il volume del versamento e l’ecogenicità (trasudato vs essudato corpuscolato).

I risultati sull’ecografia polmonare nel COVID-19 sembrano correlarsi molto bene con i risultati della TC del torace. Con l’aumentare infatti della gravità della malattia, è stata osservata la seguente evoluzione:

(a) Fase pre-sintomatica: poche aree di iperdensità a vetro smerigliato alla TC, prevalentemente nei campi inferiori e posteriori, correlata alle linee B dell’eco alternate ad aree con normali linee A (“patchy”). Diaframmi ipomobili già dai primi giorni.

(b) Prima settimana dai sintomi: opacità a vetro smerigliato bilaterali più confluenti sulla TC, correlate alle linee B coalescenti che formano “chiazze di bianco” (“segno a cascata”), e linea pleurica rugosa.

(c) Seconda settimana: piccoli consolidamenti periferici subpleurici bilaterali alla TC e agli ultrasuoni, con evoluzione in “dry lung” e linee B dense e fisse rispetto allo sliding pleurico.

(d) Nella forma più severa aumenta progressivamente il volume del polmone consolidato, con assenza di colore al color-Doppler dei consolidamenti, e possibile evoluzione verso ARDS (Figura 1). All’interno del polmone consolidato vi sono delle strutture ramificate iperecogene (ovvero, contengono aria) e si parla quindi di consolidamento polmonare a bronchi pervi (quelli che alla TC sono broncogrammi aerei)29.

Altre caratteristiche interessanti sono:

– le anomalie polmonari periferiche possono causare interruzione e ispessimento della linea pleurica;

– aree di polmone normale (con un modello di linea A) possono essere osservate all’inizio della malattia o durante il recupero;




– possono essere osservati piccoli versamenti pleurici, mentre versamenti pleurici più estesi non sono comuni.

L’ecografia del torace è altamente indicata per la valutazione quotidiana del quadro polmonare, ed il monitoraggio della terapia. In senso prognostico possiamo distinguere due quadri fondamentali:

• Pattern 1: iniziale intestiziopatia con linee B diffuse anche ai campi anteriori, solitamente nei “PEEP responders”;

• Pattern 2: zone anteriori areate (linee A), zone posteriori addensate (“white lung”), responsivo alla pronazione.

Ecocardiografia transtoracica

L’ecocardiogramma in tale contesto clinico può essere utile in casi selezionati nell’attenzione alle anomalie regionale o globale della contrattilità del ventricolo sinistro, e nel documentare l’eventuale sovraccarico acuto del ventricolo destro, in caso di ARDS, soprattutto in presenza di instabilità emodinamica. Da notare che il danno miocardico acuto (incremento significativo di troponina o anomalie ischemiche all’ECG) è risultato essere, in due recenti analisi in un totale di più di 600 pazienti con COVID-19 accertato, significativamente associato all’esito fatale, mentre la prognosi dei pazienti con cardiopatia cronica sottostante ma senza danno miocardico acuto risultava essere relativamente favorevole31,32. L’infiammazione può essere un potenziale meccanismo determinante per le lesioni miocardiche, ed un approccio terapeutico aggressivo può essere preso in considerazione per i pazienti ad alto rischio di danno miocardico.

L’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) al pari di altre Società, come la Società Italiana di Cardiologia (SIC) e la Società Italiana di Ecocardiografia e Cardiovascular Imaging (SIECVI), vista l’importanza del fenomeno sanitario, ha recentemente divulgato dei documenti finalizzati a sottolineare l’importanza di una corretta procedura ed esecuzione della consulenza cardiologica e dell’ecocardiogramma in particolare in corso di pandemia COVID-1910,14,30. Tutte le società scientifiche cardiologiche ritengono importante assicurare l’esecuzione di esami diagnostici urgenti e non differibili nel paziente con instabilità emodinamica, conservando la possibilità per il cardiologo di poter rifiutare l’esecuzione di esami non ritenuti appropriati a proprio giudizio e privilegiando le diverse forme possibili di consulenza a distanza dell’ECG e delle immagini, limitando così l’accesso alle aree infette.

Anche l’American Society of Echocardiography ha recentemente sottolineato come sia necessario nel COVID-19 selezionare le indicazioni all’ecocardiogramma, limitandolo ai pazienti urgenti, da effettuare con i dispositivi di protezione individuale (DPI) e le necessarie norme igieniche33. In particolare, andrebbe identificato un unico ecocardiografo, preferenzialmente portatile e di dimensioni ridotte per favorire l’igienizzazione, quando possibile utilizzando guaine coprisonda, e l’esame andrebbe effettuato da un unico operatore, di sufficiente esperienza (non in formazione), con una scansione che sia un buon compromesso tra adeguatezza e rapidità di esecuzione (sezioni ecografiche limitate; risposte bimodali ad elevato impatto clinico; registrazione delle immagini e successiva revisione “offline”). Particolare attenzione viene posta poi all’esecuzione di un eventuale ecocardiogramma transesofageo, procedura di per sé generante aerosol e pertanto a maggiore rischio infettivo, da limitare quindi nelle indicazioni non urgenti e da effettuare con DPI completi (es. mascherina almeno N95 secondo la classificazione americana o FFP2 secondo la classificazione europea). Viene inoltre sottolineata la necessità di assicurare la formazione del personale sanitario sulle corrette metodologie per indossare e, soprattutto, rimuovere i DPI.

Al momento attuale non esistono studi ecocardiografici condotti specificamente in pazienti COVID-19. Tuttavia è ben noto il ruolo dell’ecocardiogramma nel monitorare la funzione biventricolare in corso di sepsi e di shock settico. Negli ultimi 10 anni la maggior parte degli studi sulla disfunzione miocardica acuta in corso di sepsi sono stati condotti in pazienti ricoverati in terapia intensiva e sottoposti a ventilazione meccanica, mediante l’utilizzo dell’ecocardiografia transesofagea33-36. Da questi studi è emerso che una percentuale di circa il 30-40% dei pazienti settici sviluppano: riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro; compromissione della funzione diastolica del ventricolo sinistro; possibile compromissione della funzione delle sezioni destre, che risulta attualmente meno caratterizzata, ma presente soprattutto in corso di ARDS37,38. Altro aspetto che va sottolineato è poi l’effetto emodinamico netto della ventilazione sulla performance ventricolare39,40. La pressione tele-espiratoria positiva (PEEP), aumentando i volumi polmonari, può determinare un aumento delle resistenze vascolari polmonari (RVP), a causa della compressione dei capillari alveolari ed extra-alveolari, con conseguente aumento del postcarico e del volume del ventricolo destro, shift del setto interventricolare a sinistra e conseguente riduzione della compliance e del riempimento del ventricolo sinistro. Tuttavia, poiché l’aumento delle RVP è contrastato dall’eliminazione della vasocostrizione ipossia-indotta, l’incremento netto delle RVP diventa rilevante solo per elevati valori di PEEP. L’aumento della pressione intratoracica, inoltre, determina un aumento delle resistenze delle vene intratoraciche, meccanismo che riduce il gradiente e il ritorno venoso per il ventricolo destro, soprattutto in condizioni di ipovolemia vera (anemia, disidratazione, ecc. in cuore sano) o relativa (severa disfunzione ventricolare destra). Questo fenomeno, tuttavia, è controbilanciato dall’incremento della pressione addominale per l’abbassamento del diaframma con effetto di “spremitura” su fegato e milza. Pertanto, nella pratica clinica, i potenziali effetti emodinamici negativi della PEEP (ipotensione secondaria a riduzione del precarico e ad aumento del postcarico del ventricolo destro) sono prevalentemente confinati ai pazienti fortemente dipendenti dal precarico, e possono essere in parte bilanciati effettuando un riempimento volemico preventivo40,41.

CONFRONTO TRA METODICHE

La sensibilità della radiografia del torace in casistiche COVID-19 riportate era del 59%, rispetto all’86% per la TC polmonare, soprattutto nel rilevare opacità sottili. La reale sensibilità dell’ecografia polmonare in tale contesto non è chiaramente definita. Essa dipenderà da diversi fattori (in particolare la gravità della malattia, la presenza di obesità o di elevata impedenza acustica del torace, la completezza della scansione e l’esperienza dell’operatore). Un esame ecografico polmonare completo dovrebbe presentare una sensibilità intermedia tra la scansione TC e radiografia del torace. Non esistono ancora dati consolidati, ma è ragionevole estrapolare le esperienze in altri tipi di polmonite. La specificità risulta essere certamente bassa. Una linea B irregolare o un modello di consolidamento possono essere osservati in qualsiasi polmonite o malattia polmonare interstiziale. Pertanto, è assolutamente necessaria una correlazione clinica (es. la valutazione di precedenti studi di imaging del torace per vedere se sono presenti anomalie croniche). Si noti inoltre che i pazienti supini ospedalizzati possono presentare linee B e consolidamento in una distribuzione posteriore e inferiore a causa dell’atelettasia. Quindi, l’ecografia polmonare può avere la massima sensibilità e specificità tra i pazienti ambulatoriali o provenienti dal Pronto Soccorso (Tabella 1; Figura 2).

Molto utile nel contesto della terapia intensiva respiratoria potrebbe essere il controllo seriato del singolo paziente. L’evoluzione infatti di un “white lung” focale in un “dry lung” con diffusi consolidamenti subpleurici è indice di un’evoluzione sfavorevole della patologia, con conseguente necessità di trattamento maggiormente aggressivo con intubazione oro-tracheale piuttosto che con ventilazione non invasiva. L’ecografia polmonare permette inoltre di verificare l’eventuale presenza di pneumotorace (assenza di “sliding” pleurico), nuovi addensamenti da sovra-infezione batterica e versamento pleurico, il tutto ovviamente senza spostare il paziente.




CONCLUSIONI

L’approccio integrato clinico, laboratoristico, radiologico e con ultrasuoni al letto del paziente è fondamentale nella diagnosi, monitoraggio e valutazione della terapia del paziente con polmonite acuta grave da COVID-19. Quello dell’ecografia toracica è un percorso diagnostico molto importante e ben sviluppato soprattutto in Italia, che permette di evitare le TC inutili e allo stesso tempo evidenziare e monitorare i danni parenchimali senza spostare il paziente. La TC non andrebbe eseguita di routine a tutti i pazienti, perché nelle prime 48 h può essere assolutamente negativa, e in fase tardiva il riscontro all’imaging potrebbe non modificare l’approccio terapeutico.

RIASSUNTO

L’approccio integrato clinico, laboratoristico e con ultrasuoni al letto del paziente è fondamentale nella diagnosi, monitoraggio e valutazione della terapia del paziente con COVID-19. La strategia ideale del percorso di imaging in tale contesto non è ancora ben definita. L’ecografia polmonare “bedside” presenta una serie innegabile di vantaggi nel paziente ad alto rischio infettivo, e può fornire un dato incrementale nella terapia intensiva respiratoria per il controllo seriato del singolo paziente, così come nell’invio a domicilio del soggetto stabilizzato. La radiografia del torace è caratterizzata da bassa sensibilità nell’identificazione delle alterazioni polmonari più precoci. La tomografia computerizzata polmonare presenta un’elevata sensibilità ma non andrebbe eseguita di routine in tutti i pazienti, perché nelle prime 48 h può essere assolutamente negativa, e in fase tardiva il riscontro all’imaging potrebbe non modificare l’approccio terapeutico. L’ecocardiogramma andrebbe limitato ai soli pazienti con instabilità emodinamica.

Parole chiave. COVID-19; Ecografia polmonare; Imaging integrato; Polmonite interstiziale; Sindrome da distress respiratorio acuto; Tomografia computerizzata.

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