Criteri di appropriatezza nella gestione della terapia ipocolesterolemizzante con alirocumab
nel paziente ad alto rischio cardiovascolare.
L’opinione di un gruppo multidisciplinare
di esperti italiani

Maddalena Lettino1*, Alberto Zambon2*, Giuseppe Musumeci3*, Marcello Arca4, Claudio Bilato5,
Natale Daniele Brunetti6, Paolo Calabrò7, Gavino Casu8, Francesco Chiarella9, Pompilio Faggiano10,
Marco Ferlini11, Gabriele Guardigli12, Egidio Imbalzano13, Ciro Indolfi14, Rossella Marcucci15,
Alberto Menozzi16, Gian Francesco Mureddu17, Pasquale Perrone Filardi18, Matteo Pirro19,
Livia Pisciotta20, Marino Scherillo21, Patrizia Suppressa22, Massimo Uguccioni23, Ferdinando Varbella24, Luigi Gentile25, Claudio Rapezzi26, Maurizio Averna27

1Ospedale San Gerardo di Monza, ASST – Monza (MB)

2Università degli Studi di Padova

3A.O. Ordine Mauriziano, Torino

4Sapienza Università di Roma, Roma

5Ospedali dell’Ovest Vicentino, Vicenza

6Università degli Studi di Foggia, Ospedali Riuniti di Foggia

7AORN Sant’Anna e San Sebastiano, Caserta, e Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli

8ATS Sardegna, Ospedale San Francesco, Nuoro

9Ospedale Policlinico San Martino, Genova

10Università degli Studi di Brescia

11Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia

12Azienda Ospedaliero Universitaria Sant’Anna, Ferrara

13Policlinico Universitario G. Martino, Messina

14Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro

15Università degli Studi di Firenze, AOU Careggi, Firenze

16ASL 5 Liguria, Ospedale Sant’Andrea, La Spezia

17A.O. S. Giovanni Addolorata, Roma

18Azienda Ospedaliero-Universitaria “Federico II”, Napoli

19A.O. S. Maria della Misericordia, Università degli Studi di Perugia

20Università degli Studi di Genova, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova

21A.O. Rummo, Benevento

22Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico, Bari

23A.O. San Camillo-Forlanini, Roma

24Azienda Sanitaria TO3 Rivoli, Torino

25ASL AT, Asti

26Università degli Studi di Ferrara

27Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Paolo Giaccone”, Università degli Studi di Palermo

*Questi autori hanno contribuito in egual misura

High levels of LDL cholesterol (LDL-C) represent a causal factor for cardiovascular diseases on an atherosclerotic basis, with a direct correlation between these and mortality or cardiovascular events, such that the reduction of both is associated proportionally and linearly with the reduction of LDL-C.

Statins and ezetimibe are used for LDL-C lowering but may not be sufficient to achieve the targets defined by the ESC/EAS guidelines, which recommend use of PCSK9 inhibitors for further LDL-C reduction in patients not at goal.

This project submitted 86 clinical scenarios to a group of experts, cardiologists, internists and lipidologists, collecting their opinion on the appropriateness of different behaviors and decisions. We used the RAND/UCLA method of assessing the appropriateness of clinical interventions, validated to combine the best scientific evidence available with expert judgment. To this end, the benefit-risk ratio was evaluated in the proposed clinical scenarios. Each indication was classified as “appropriate”, “uncertain” or “inappropriate” based on the average score given by the participants.

This document presents the results of a consensus process that led to the development of recommendations for the management of clinical scenarios on the treatment of patients with dyslipidemia, which cannot always be solved with scientific evidence alone.

Key words. Acute coronary syndrome; Alirocumab; Cardiovascular risk; Familial hypercholesterolemia; PCSK9 inhibitors.

INTRODUZIONE

Elevati livelli di colesterolo LDL (C-LDL) rappresentano un fattore causale delle patologie cardiovascolari su base aterosclerotica, come dimostrato da un’ampia serie di evidenze sperimentali, epidemiologiche1, di randomizzazione mendeliana2 e di intervento3. Esiste in particolare una correlazione diretta tra elevati livelli di C-LDL e mortalità o eventi cardiovascolari, tale per cui alla riduzione di C-LDL si associa proporzionalmente e in modo lineare la riduzione di entrambi.

Le terapie con statine e/o ezetimibe, uniche disponibili fino a pochi anni fa4, permettono di ridurre i livelli di C-LDL a valori ritenuti ormai non più sufficienti dalle ultime linee guida sul trattamento della dislipidemia5 che hanno incorporato le evidenze prodotte dagli studi su una nuova classe di farmaci, gli anticorpi monoclonali anti-proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9 (PCSK9). Tali farmaci sono infatti dotati di un’elevata efficacia ipolipemizzante6 e, una volta aggiunti alla terapia convenzionale (statina ad alta efficacia +/- ezetimibe), sono capaci di ridurre ulteriormente i livelli di C-LDL con proporzionale riduzione degli eventi cardiovascolari7. L’analisi degli studi di fase 3 condotti con questi farmaci ha confermato come non vi sia un limite al beneficio derivante dalla riduzione di C-LDL: tanto minore è il livello raggiunto, tanto minore è infatti l’incidenza di eventi cardiovascolari8-10. Tuttavia, non essendo ancora completamente noti gli effetti a lungo termine dell’esposizione a livelli di C-LDL molto bassi, alcuni esperti suggeriscono di modulare la terapia, secondo giudizio clinico, quando vengono raggiunti livelli di C-LDL <25 mg/dl11.

Le attuali raccomandazioni europee hanno fissato degli obiettivi chiari, nella terapia delle dislipidemie, sia in termini di prevenzione primaria che di prevenzione secondaria, il cui raggiungimento è, in alcuni casi, ottenibile con la terapia convenzionale e/o con l’aggiunta dei nuovi farmaci5. Hanno in particolare ridefinito le principali categorie di rischio cardiovascolare dei pazienti e associato ad esse nuovi valori ottimali (target) di C-LDL da raggiungere.

Diverse condizioni hanno fino ad oggi limitato l’implementazione di una buona terapia ipolipemizzante nei pazienti a rischio, ancor prima dell’arrivo delle ultime linee guida con i loro ambiziosi obiettivi. La prima fa riferimento alla prescrizione dei farmaci più innovativi che vede l’uso di inibitori di PCSK9 disciplinato in Italia dalla realtà legislativa e regolatoria nazionale12,13. Il piano terapeutico dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), relativo alla prescrivibilità di questi farmaci e finalizzato alla razionalizzazione delle risorse, mal si adatta a tutte quelle situazioni nelle quali la necessità di raggiungere un target di C-LDL più ambizioso secondo le ultime raccomandazioni non ricade entro i limiti prescrittivi attualmente in vigore, precludendo così l’accesso alle cure a una quota di pazienti ad alto e altissimo rischio che potrebbero ricavarne ampi benefici sulla prognosi14. È pur vero che nel nostro Paese il costo per il rimborso dei trattamenti con inibitori di PCSK9 è stato largamente inferiore alle previsioni15 e che le risorse residue disponibili potrebbero essere quindi finalizzate al miglioramento dell’accesso alla terapia per un numero maggiore di pazienti ad alto e altissimo rischio, anche se questa ipotesi resta solo una possibilità futura, che non si è tradotta in alcun provvedimento concreto da parte dell’Ente regolatorio.

La seconda componente va cercata tra i clinici che gestiscono i pazienti nella loro quotidianità e da parte dei quali si è dimostrata spesso una scarsa considerazione dei target da raggiungere, anche quelli più elevati degli anni passati, con conseguente limitata implementazione delle linee guida sulla prevenzione16.

Si aggiunga a questi elementi anche un terzo fattore: l’esistenza di condizioni nei quali il beneficio degli inibitori di PCSK9 potrebbe permettere di ottimizzare le strategie terapeutiche, ma per i quali le evidenze scientifiche non sono recepite a livello normativo o non esistono specifiche evidenze.

Dalla consapevolezza dell’esistenza di tali aree di incertezza nasce questo progetto che si è proposto di sottoporre alcuni scenari clinici a un gruppo di esperti, cardiologi, internisti e lipidologi, e di raccogliere il loro parere sull’appropriatezza di diversi comportamenti e decisioni. L’obiettivo è duplice: capire cosa pensino gli esperti riconosciuti in merito ad alcune situazioni non chiaramente codificate e fornire suggerimenti, applicabili nella realtà italiana, per facilitare la gestione di scenari clinici non infrequenti e per i quali esiste ancora un’ampia discrezionalità. Questo progetto nasce in epoca precedente alla pubblicazione delle ultime linee guida europee ma continua ad essere attuale per il loro mancato recepimento a livello normativo e per il persistere, quindi, di scenari non sempre risolvibili con le sole evidenze scientifiche.

MATERIALI E METODI

Le finalità del progetto e il metodo RAND/UCLA

Per la valutazione di appropriatezza nell’ambito del progetto è stato utilizzato il metodo RAND/UCLA17, secondo il quale un intervento può definirsi appropriato quando la sua prescrizione/utilizzo è in grado di garantire, con ragionevole probabilità, più beneficio che danno al paziente. In questo contesto, nel formulare il proprio giudizio di appropriatezza/inappropriatezza, l’esperto è chiamato a considerare solo i benefici di tipo clinico, senza farsi influenzare da considerazioni di carattere economico. Nello specifico, si è pensato di ricorrere al metodo RAND/UCLA per definire l’appropriatezza degli interventi farmacologici nel trattamento del paziente con ipercolesterolemia familiare (FH) eterozigote, intolleranza alle statine, sindrome coronarica acuta (SCA) e altre condizioni di prevenzione secondaria.

Nel modello adottato, il Comitato Scientifico ha identificato – sulla base della letteratura disponibile – i fattori che dovevano essere considerati per valutare se una certa procedura fosse o non fosse appropriata e ha costruito tanti “scenari clinici” quanti erano quelli che risultavano dalla possibile combinazione dei fattori stessi. Questi scenari sono stati quindi sottoposti al gruppo di esperti che ne ha valutato il rapporto rischio-beneficio in modo interattivo in due round distinti; la votazione ha utilizzato una scala di valori da 1 a 9, divisa in tre range, dove 1-3 corrispondeva a “inappropriato”, 4-6 a “incerto” e 7-9 ad “appropriato”.

Scenari clinici

Sono stati definiti 86 scenari di più frequente riscontro nella pratica clinica, organizzati in quattro gruppi: 1) FH eterozigote (15 scenari); 2) intolleranza alle statine (12 scenari); 3) SCA e altre condizioni di prevenzione secondaria (44 scenari); 4) gestione dei dosaggi (15 scenari). Gli scenari clinici sono stati quindi sottoposti a votazione.

Comitato Scientifico

Tre esperti cardiologi e due esperti lipidologi hanno promosso l’intera iniziativa e proposto il set di scenari, oltre ad aver partecipato all’Expert Opinion Meeting nel ruolo di chairperson. Nella fase di stesura di questo documento, il Comitato è stato integrato anche con un esperto Medico Diabetologo.

Expert Opinion Meeting

Sono stati coinvolti un totale di 21 medici specialisti (16 cardiologi, 5 lipidologi/internisti) con particolare esperienza nel trattamento del paziente con ipercolesterolemia, il cui compito era quello di valutare l’appropriatezza degli scenari.

Primo round di valutazione

Il Comitato Scientifico e l’Expert Opinion Panel sono stati chiamati a valutare individualmente l’appropriatezza di ciascun scenario, senza discussione o contatto reciproco all’interno di un primo round di valutazione online realizzato attraverso una piattaforma web dedicata allo scopo.

Secondo round di valutazione

La seconda fase di votazioni è stata condotta attraverso un Expert Opinion Meeting, che ha coinvolto il Comitato Scientifico e l’Expert Opinion Panel, finalizzato a raccogliere l’opinione sull’appropriatezza di ciascuno scenario attraverso votazione da parte di tutti i presenti. Il meeting si è articolato in due mezze giornate di discussione secondo una precisa agenda: quattro sessioni – una per ogni gruppo di scenari clinici – ognuna delle quali suddivisa in due momenti: introduzione generale dei dati disponibili in letteratura, discussione e votazione di ciascun singolo scenario.

Analisi

È stata effettuata una valutazione complessiva dei risultati ottenuti nell’Expert Opinion Meeting. Gli interventi proposti per ogni scenario sono stati giudicati come appropriati per valutazioni mediane 7-9 (senza disaccordo), non appropriati per valutazioni mediane 1-3 (senza disaccordo) e incerti per valutazioni mediane 4-6 o quando i componenti del Panel fossero in disaccordo. L’accordo era considerato raggiunto quando oltre due terzi dei voti si trovava nell’intervallo contenente la mediana, mentre la valutazione era considerata come espressa con disaccordo quando un terzo o più dei voti non si trovava nello stesso intervallo. È stato utilizzato un software dedicato per l’analisi statistica dei dati.

IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE ETEROZIGOTE

La FH è una frequente causa genetica di malattia coronarica (CHD) precoce, cioè infarto del miocardio e angina pectoris, a causa dell’esposizione per tutta la durata della vita a elevati livelli di C-LDL18,19. Se non trattati, gli uomini e le donne con FH eterozigote con livelli di C-LDL di 8-15 mmol/l (310-580 mg/dl) sviluppano CHD rispettivamente prima dei 55 e dei 60 anni, mentre gli omozigoti con livelli di colesterolo di 12-30 mmol/l (460-1160 mg/dl) sviluppano CHD in età giovanile, e, se non vengono sottoposti a terapia, muoiono prima dei 20 anni. Tuttavia, una volta diagnosticati, gli eterozigoti possono essere efficacemente trattati con farmaci ipocolesterolemizzanti per attenuare lo sviluppo di aterosclerosi e prevenire la CHD. Infatti, se gli individui con FH eterozigote (generalmente indicata come FH) sono diagnosticati relativamente presto nella vita e sono efficacemente trattati con statine, il loro rischio di infarto miocardico si avvicina a quello della popolazione generale20.

Va sottolineato che i sistemi di calcolo del rischio, quali lo SCORE europeo, il Framingham Risk Score americano o le carte italiane del progetto CUORE (www.cuore.iss.it), non sono adatti per i soggetti con FH, in quanto questi individui hanno un rischio molto più elevato a causa dell’esposizione continuativa a elevati livelli di C-LDL. Tuttavia, non tutti gli individui con FH, diagnosticati clinicamente o attraverso una mutazione causativa, sviluppano aterosclerosi e CHD nella stessa misura. Alcuni sviluppano la malattia in giovane età, altri in età più avanzata, altri possono anche non sviluppare CHD prima di morire per altre cause. Altri fattori di rischio oltre all’elevato C-LDL concorrono nel determinare l’insorgenza di CHD così come osservato nei soggetti senza FH; pertanto la valutazione di tali fattori può aiutare a stimare il rischio di CHD21.

Discussione

Sono stati sottoposti al giudizio degli esperti 15 scenari clinici riguardanti l’intervento terapeutico con alirocumab nel contesto clinico della FH eterozigote. Il consenso sull’appropriatezza è stato raggiunto soltanto per due scenari. Nei restanti 13 scenari è stata prevalente una condizione di incertezza (Tabella 1).




Gli esperti concordano sulla necessità di aggiungere alirocumab alla terapia massimale quando i livelli di C-LDL sono compresi tra 130 e 150 mg/dl confermando sia i comportamenti di “good clinical practice” che le raccomandazioni delle linee guida riguardo i target di C-LDL da raggiungere22. Il consenso viene inoltre raggiunto sull’appropriatezza della stratificazione del rischio nei soggetti con FH attraverso la ricerca della presenza di aterosclerosi subclinica, che viene raccomandata sia nei pazienti con FH che nei non-FH22,23.

Pertanto il Panel di Esperti ha prodotto due raccomandazioni (Tabella 2).




Commento sugli scenari incerti

L’elevato livello di incertezza relativo a 13 su 15 scenari di FH merita una analisi. Gli esperti non ritengono sufficienti le evidenze ad oggi acquisite sul ruolo della lipoproteina(a) e della familiarità per eventi precoci (scenari 3 e 4) e quindi non sono certi che elevati livelli di lipoproteina(a) ed una storia familiare garantiscano negli FH in prevenzione primaria un upgrading del rischio cardiovascolare. L’incertezza relativa alle decisioni cliniche da prendere nella FH pediatrica (scenari 4-6) deriva dalla mancanza di dati provenienti sia da studi osservazionali che da studi clinici randomizzati di intervento in tale popolazione. Inoltre, va sottolineata la necessità di aumentare la cultura e il livello di consapevolezza su concetti quali il “lifetime burden” di C-LDL e quindi l’esposizione temporale sin dalla nascita al fattore di rischio/causale: questi elementi rendono la popolazione pediatrica di FH unica in termini di profilo di rischio. Queste stesse considerazioni si applicano all’analisi dell’incertezza degli scenari relativi agli FH in prevenzione primaria (scenari 8-13). Gli esperti non sono certi sulla necessità di iniziare senza indugi la triplice terapia ipocolesterolemizzante negli FH con livelli molto alti di C-LDL né di evitare il periodo di 6 mesi con ezetimibe, anticipando alirocumab. Tale incertezza è in parte spiegabile con l’accettazione dei criteri del piano terapeutico ed in parte con la non percepita necessità di ridurre quanto più possibile ed il più precocemente possibile i livelli di C-LDL in una popolazione – i pazienti con FH – con un “lifetime burden” elevatissimo. Tali considerazioni si applicano anche all’analisi dell’incertezza relativa al decision-making negli FH intolleranti alle statine (scenari 11-13). Infine, gli esperti sono incerti sulla necessità di stratificare il rischio cardiovascolare negli FH. Tale incertezza deriva dall’assenza di evidenze sull’esistenza di differenti profili di rischio tra gli FH. Infatti, a differenza delle popolazioni non-FH sulle quali negli anni numerosi algoritmi e carte del rischio sono state testate e adottate dalle linee guida, per gli FH solo recentemente è stato proposto e validato uno score di rischio specifico, ma in una singola coorte21.

Le raccomandazioni che originano dall’analisi dell’incertezza sarebbero le seguenti:

– È necessario disegnare studi osservazionali e analisi di registri per definire la storia naturale della FH sia pediatrica che dell’adulto.

– È necessario disegnare studi clinici randomizzati di outcome per definire il livello di C-LDL al quale si ottiene il beneficio clinico con alirocumab negli FH.

– È necessario implementare l’uso di algoritmi di rischio nella FH per stratificare il rischio e ottimizzare l’allocazione delle nuove terapie.

– È necessario implementare la formazione medica e la consapevolezza sia dei medici di medicina generale che di specialisti sulla FH.

INTOLLERANZE TERAPEUTICHE

L’intolleranza terapeutica alla terapia ipolipemizzante, frequentemente riportata come intolleranza alle statine, è un problema clinico rilevante perché è uno dei maggiori determinanti dell’interruzione precoce del trattamento ipocolesterolemizzante ed uno degli ostacoli all’impiego di dosi di farmaco che potrebbero consentire di raggiungere più facilmente i target di C-LDL per categoria di rischio. La letteratura scientifica disponibile non definisce chiaramente l’intolleranza alle statine. Nei trial registrativi l’intolleranza di solito è codificata per eventi estremi (es. rabdomiolisi o innalzamento marcato dei livelli di creatinfosfochinasi (CPK) plasmatici ≥10 volte il limite superiore di normalità [ULN]). A livello di pratica medica, la percezione di statino-intolleranza fra medici specialisti, colleghi di medicina generale e specialisti territoriali, e ancor più nella popolazione generale, è molto più vaga e ampia e l’interruzione precoce del trattamento con statine sul territorio sembra essere più aderente a una definizione più ampia che non a una restrittiva.

A tutt’oggi manca, tuttavia, una definizione univoca e condivisa del fenomeno anche se si può ragionevolmente definire intolleranza alla terapia con statine l’incapacità di una persona di mantenere la dose di statina richiesta per ridurre il C-LDL e il rischio cardiovascolare individuale, secondo le linee guida, lamentando effetti avversi potenzialmente imputabili alla terapia ipolipemizzante24.

I più frequenti eventi avversi associati al trattamento con statine sono i disturbi a carico della muscolatura scheletrica, che nella letteratura scientifica internazionale vengono indicati come SAMS (statin-associated muscle symptoms)25. I pazienti possono presentare sintomatologia dolorosa muscolare persistente, simmetrica, che interessa tipicamente la muscolatura prossimale degli arti, spesso associata a rigidità e astenia e talora a crampi24-26. Queste mialgie, che insorgono generalmente all’inizio del trattamento (da 4 settimane a 6 mesi), hanno intensità molto variabile e compaiono, nella gran parte dei casi, in assenza di qualsiasi alterazione a carico dei livelli plasmatici degli indici di citolisi muscolare, come la creatinchinasi (CK)24,25. Aumenti modesti di CK possono peraltro essere osservati anche in assenza di mialgia. La prevalenza dell’intolleranza alla terapia con statine è tuttora dibattuta: viene riportata presente nel 5% circa dei pazienti reclutati nei trial clinici randomizzati, salendo sino al 10-20% negli studi condotti in un contesto real life”24,25,27. Se il paziente lamenta disturbi muscolari in corso di trattamento con statine, occorre innanzitutto procedere al controllo della CK che è raccomandabile dosare anche prima di iniziare il trattamento con qualsiasi statina.

Nel caso in cui si osservi un valore molto elevato (>10 volte ULN e compatibile con rabdomiolisi), occorre immediatamente sospendere l’assunzione del farmaco e sorvegliare con estrema attenzione la funzione renale, disponendo un eventuale ricovero. Se i valori di CK sono >5 volte ULN, occorre sospendere il farmaco e valutare la presenza di fattori che possono aumentare il rischio di mialgia/miopatia. In particolare, è necessario escludere la presenza di ipotiroidismo, polimialgia reumatica, patologia osteoarticolare o una recente intensa attività fisica. Nel caso in cui non siano presenti cause secondarie, si deve prevedere il re-challenge, prescrivendo assunzione di statina (quella precedentemente usata, oppure una diversa in base alle caratteristiche farmacocinetiche). Nel caso in cui i SAMS (associati o meno all’aumento della CK) ricomparissero, si può considerare verosimile la presenza di intolleranza alle statine. L’interruzione del trattamento può anche essere considerata nel caso in cui i livelli di CK siano <5 volte ULN, ma i sintomi mialgici siano considerati dal paziente come intollerabili. Una volta risolta la sintomatologia, si deve prevedere il re-challenge con la statina precedentemente usata, oppure con una diversa28,29.

La gestione del paziente con “intolleranza alle statine confermata” dovrebbe prevedere29:

1) ulteriore tentativo di prescrizione di una statina diversa da quella/quelle inizialmente utilizzata/e e/o con diverso metabolismo (CYP3A4 o CYP2C9), iniziando con un dosaggio minimo per poi incrementarlo fino a quello ritenuto ottimale;

2) prescrizione di una statina a basso/minimo dosaggio in associazione a ezetimibe (inibitore dell’assorbimento intestinale del colesterolo);

3) prescrizione di statine a lunga emivita (atorvastatina e rosuvastatina), somministrate a giorni alterni o ogni 2 giorni, in dosi basse/minime;

4) prescrizione di ezetimibe in monoterapia o in associazione a nutraceutici, in relazione al target di C-LDL prefissato.




Discussione

Sono stati sottoposti al giudizio degli esperti 12 scenari clinici riguardanti le intolleranze terapeutiche in corso di terapia ipolipemizzante con statina, ezetimibe e alirocumab. L’accordo sull’appropriatezza è stato raggiunto in 8 scenari, mentre nei restanti 4 è risultata prevalente una condizione di incertezza (Tabella 3). Vi è stato ampio consenso nel ritenere appropriato continuare la terapia ipolipemizzante con statina, ezetimibe e alirocumab nel paziente che in corso di tale terapia sviluppi diabete: le evidenze pubblicate dimostrano infatti che il rapporto rischio-beneficio è ampiamente a favore del beneficio cardiovascolare (un nuovo caso di diabete a fronte di 4 eventi cardiovascolari maggiori risparmiati ogni 500 pazienti trattati/anno)30. Si è altresì ritenuto appropriato indagare sulle possibili cause di una risposta insoddisfacente alla terapia con alirocumab (ulteriore riduzione di C-LDL <20%) rispetto alla terapia di background con statina-ezetimibe. A tal proposito si raccomanda, in primis, di accertarsi dell’aderenza/compliance del paziente alla terapia alirocumab-statina-ezetimibe o di variazioni subentrate nel dosaggio della terapia (eventuale riduzione/sospensione della statina o sospensione di ezetimibe), non trascurando eventualmente la possibilità, peraltro molto remota, che il paziente abbia sviluppato anticorpi anti-anticorpi monoclonali e valutando quindi la possibile risposta terapeutica a un differente anticorpo anti-PCSK9. Nel caso il paziente sviluppi miopatia con incremento dei livelli plasmatici di CPK >4 ULN in corso di terapia con alirocumab-statina-ezetimibe, va sospesa la statina (scenario 3) mentre la terapia con ezetimibe andrà confermata (scenario 4) continuando invariata la somministrazione di alirocumab al fine di garantire il raggiungimento del target di C-LDL. Tali raccomandazioni sono in linea con quanto suggerito dagli Expert Panel internazionali24,25.

Nei pazienti con episodio di SCA nelle 2 settimane precedenti, quindi a rischio cardiovascolare molto elevato, e già in terapia cronica con statina ed ezetimibe, che sviluppino miopatia con incremento significativo di CPK (>5 volte ULN) e con valori di C-LDL >70 mg/dl, è appropriato sospendere la terapia con statina (indipendentemente dal fatto che il paziente si fosse già autoridotto il dosaggio di statina) ed iniziare subito terapia con alirocumab, alla luce dell’efficacia e della sicurezza di alirocumab nei pazienti post-SCA8 e dell’ottimo profilo di sicurezza evidenziato nei pazienti intolleranti alla terapia con statina31.

Il paziente con FH è caratterizzato dalla comparsa di CHD precoce a causa dell’esposizione per tutta la durata della vita a elevati livelli di C-LDL. È considerato inappropriato iniziare subito alirocumab sospendendo sia statina che ezetimibe in un paziente già in terapia cronica con i due farmaci, FH eterozigote, miopatia (CPK >5 ULN) e C-LDL non controllato (>130 mg/dl). In tale paziente è invece appropriato, secondo il panel di esperti, iniziare subito alirocumab, sospendendo la sola statina e mantenendo ezetimibe (Tabella 4).




Commento sugli scenari incerti

Un breve commento va fatto sui 4 scenari che hanno evidenziato un elevato livello di incertezza non consentendo la formulazione di raccomandazioni certe. Tre di tali scenari coinvolgono pazienti con SCA recente, C-LDL non controllato (>70 mg/dl) dalla terapia in atto, in questo caso statina ed ezetimibe, che sviluppano intolleranza alla terapia ipocolesterolemizzante o in assenza di mialgia ma con CPK >5 ULN (scenario 7) o viceversa con mialgia ma senza incremento di CPK (scenari 8 e 9). In tali pazienti l’utilizzo immediato di alirocumab sospendendo la statina (scenari 7 e 9) o contemporaneamente statine ed ezetimibe (scenario 8) non viene giudicato associato a un livello di evidenze sufficienti da proporlo come raccomandazione. In effetti la sospensione della statina in assenza di aumento significativo di CPK va considerata solamente in presenza di sintomatologia algica grave ed invalidante per il paziente24,25,29. Le evidenze pubblicate in letteratura mettono in luce come in tali pazienti la riduzione del dosaggio della statina o l’utilizzo di una statina diversa da quella impiegata in prima istanza, comporti un miglioramento/scomparsa della mialgia, ed eventualmente una riduzione dei livelli di CPK, in un numero significativo di pazienti. La mancanza di un biomarker diagnostico per intolleranza alla terapia con statine e la difficoltà a formulare tale diagnosi con un grado ragionevole di certezza25,29 rende ragione dei risultati dello scenario 12. In questo contesto non si è raggiunto un significativo grado di certezza nel raccomandare di passare ad alirocumab senza effettuare l’iter normalmente prescritto in caso di intolleranza alle statine25,29, in un paziente con SCA recente e C-LDL >130 mg/dl, che inizia terapia con statine ma che sviluppa (a 1 mese dall’inizio) miopatia (CPK >5 ULN).

SINDROME CORONARICA ACUTA E ALTRE CONDIZIONI DI PREVENZIONE SECONDARIA

In questa sessione, è stata affrontata la prevenzione secondaria, non solo in ambito di SCA, ma anche in ambito di altre patologie vascolari. Il problema della prevenzione secondaria è stato indagato sia in termini terapeutici che diagnostici.

I pazienti con FH tendono a manifestare CHD in età precoce, prima dei 55-60 anni, e il rischio di tale evoluzione è significativamente ridotto se vengono messe in atto precocemente misure preventive volte a ridurre la colesterolemia LDL20. La presenza di malattia aterosclerotica coronarica o vascolare in soggetti giovani è uno dei criteri validati per la diagnosi di FH proposti dal Dutch Lipid Clinic Network nel dominio della storia familiare32. Nonostante le linee guida europee per il trattamento delle dislipidemie raccomandino di approfondire la diagnosi di sospetta FH nei pazienti con cardiopatia ischemica giovanile e di procedere con lo screening familiare se il paziente con SCA si rivela affetto dalla malattia4, tale pratica non è diffusa tra i cardiologi e non è richiamata dalle linee guida sulle SCA33.

Nei primi giorni dopo una SCA, la somministrazione di statina ad alta intensità è in grado di ridurre più efficacemente, rispetto a una statina a media-bassa intensità, il C-LDL <70 mg/dl, associandosi a una riduzione statisticamente significativa dell’endpoint composito primario di morte, infarto, angina instabile, rivascolarizzazione e ictus34. L’aggiunta di ezetimibe in pazienti con SCA già trattati con una statina ha ulteriormente ridotto l’incidenza di eventi cardiovascolari a lungo termine, attraverso l’ulteriore decremento di C-LDL a valori di 53.7 mg/dl, senza comportare un incremento degli effetti collaterali di entrambi i farmaci34.

L’inizio di un trattamento ipolipemizzante intensivo è raccomandato nella fase acuta di una SCA con l’indicazione a proseguire per tutta la vita, con valori di C-LDL target <70 mg/dl33. Pazienti che sviluppano un evento, nonostante terapia con statine a dosaggio massimale e che hanno colesterolemia LDL apparentemente controllata al momento dell’evento acuto, hanno un’indicazione a ridurre tale colesterolemia di un ulteriore 50% attraverso il potenziamento del trattamento ipolipemizzante. All’interno della popolazione con SCA i pazienti che manifestano plurime recidive, che hanno una CHD multivasale o più volte rivascolarizzata, o che sono affetti da comorbilità notoriamente associate allo sviluppo di aterosclerosi, come il diabete mellito e l’insufficienza renale cronica, sono considerati a profilo di rischio molto alto e pertanto meritevoli di una prevenzione secondaria più “intensiva”35.

Quando il profilo di rischio del paziente con SCA si fa più grave, e la probabilità di eventi cardiovascolari avversi maggiori diventa più elevata, raggiungere livelli di C-LDL molto inferiori a 70 mg/dl garantisce benefici addizionali sulla prognosi, come suggeriscono i trial di efficacia degli inibitori di PCSK98,10. Una considerazione a parte meritano i pazienti con insufficienza renale, per i quali è pur nota l’associazione con una incidenza di recidive ischemiche statisticamente superiore a quella della popolazione con funzione renale conservata36 ma nei quali il trattamento ipolipemizzante potrebbe essere ampiamente sottoutilizzato, soprattutto quando il filtrato glomerulare appare sempre più compromesso. A stadi avanzati dell’insufficienza renale viene attribuito un rischio di eventi maggiori e di morte che prescinde dal controllo della colesterolemia: la mortalità è notoriamente legata ad altri fattori e gli studi clinici non hanno documentato un reale beneficio sulla prognosi nei pazienti dializzati37.







Discussione

Sono stati configurati 44 scenari clinici di cui 30 giudicati in ultima analisi appropriati e 14 incerti. Nessuno scenario è stato considerato inappropriato (Tabella 5). Stante la numerosità degli argomenti trattati la discussione è stata divisa in sotto-capitoli, in base al tema trattato (Tabella 6). Gli scenari 38 e 39 discussi con il Panel di Esperti in questo contesto, di cui in fase di votazione e discussione 1 giudicato incerto e 1 appropriato, sono stati inseriti per maggiore attinenza nel capitolo “Gestione della terapia con alirocumab”.




Approfondimento diagnostico dell’ipercolesterolemia familiare eterozigote associata a cardiopatia ischemica precoce (scenari 1-4)

La votazione degli scenari non ha messo in dubbio l’appropriatezza degli screening diagnostici sui pazienti di giovane età che sviluppano una SCA e sui loro familiari. Il Board ritiene che la valutazione dell’esistenza o meno di un caso di FH vada fatta in quel contesto (scenari 1 e 2), che i parenti debbano a loro volta essere indagati per la malattia (scenario 3) e che tale indagine debba essere coordinata dal medico di medicina generale, cui pazienti e familiari andrebbero indirizzati (scenario 4). L’opinione del Panel è in linea con la tendenza a raggiungere una buona collaborazione degli specialisti di fase acuta con altre professionalità per la gestione integrata di malattie a grosso impatto sulla salute pubblica e con una prognosi infausta in termini di complicanze cardiovascolari.

Utilizzo di alirocumab in aggiunta o in alternativa alla terapia con statine a prescindere da ezetimibe in pazienti ad alto profilo di rischio ischemico (scenari 5-27)

Esiste anche un buon accordo circa l’impiego di alirocumab in aggiunta a una terapia massimale con statine o in caso di intolleranza alle statine nei pazienti che sviluppano un evento coronarico acuto e hanno ancora valori di C-LDL >100 mg/dl, a prescindere dal trattamento con ezetimibe (scenari 5, 6 e 9). Rispecchia la condivisione di concetti ormai acquisiti come:

– la necessità di avere C-LDL significativamente <100 mg/dl (e possibilmente <70 mg/dl) nei pazienti con SCA, in linea con il concetto “the lower, the better”38;

– la consapevolezza che ezetimibe possa indurre una riduzione del C-LDL non superiore a un valore medio del 20%, non contribuendo pertanto al raggiungimento del target di 70 mg/dl in buona parte di questi casi;

– la necessità di avere risultati in tempi brevi (il primo anno dopo una SCA è quello più critico in termini di eventi), senza passare attraverso tutti i passaggi che sono stati ad oggi previsti dalle autorità sanitarie nazionali per la rimborsabilità dei nuovi farmaci.

In linea con quanto già rilevato negli scenari 5, 6 e 9, l’appropriatezza di ridurre drasticamente il C-LDL con l’aggiunta di alirocumab alla sola terapia con statina emerge ancor di più con scenari come quelli compresi tra 10 e 21, quando il profilo di rischio del paziente con SCA si fa più grave e la probabilità di eventi cardiovascolari avversi maggiori diventa più elevata.

Dall’analisi degli scenari si osserva anche una sorta di incremento progressivo della gravità percepita di rischio associata a specifiche condizioni patologiche (CHD recidivante, insufficienza renale, ecc.), che modula il consenso sull’appropriatezza e la dispersione dei voti. Si può stilare un elenco di tali condizioni, da quella considerata più grave (e quindi meritevole di maggiore aggressività del trattamento ipolipemizzante) a quella prognosticamente meno pesante, come segue:

1) plurimi episodi infartuali negli ultimi 2-3 anni (nessuna dispersione);

2) malattia coronarica multivasale;

3) malattia coronarica pluri-rivascolarizzata;

4) diabete e arteriopatia obliterante periferica (quasi a pari merito).

Un’alta probabilità di nuovi eventi post-SCA viene attribuita soprattutto ai pazienti che si presentano con una recidiva di evento coronarico acuto, con il profilo di rischio peggiore nei pazienti con plurimi episodi (che sono quindi almeno alla loro terza recidiva al momento del ricovero) o con almeno un altro episodio negli ultimi 2 anni. Segue una certa considerazione per l’estensione della CHD, mentre le cosiddette “comorbilità”, che sono ampiamente riconosciute dalla letteratura come associate a un aumentato rischio cardiovascolare, guadagnano una quarta posizione. E questo nonostante nei maggiori trial clinici i sottogruppi con le comorbilità (soprattutto il diabete) siano sempre rappresentati in maniera solida, siano frequentemente predefiniti (quindi con un impatto statistico maggiore dei rispettivi risultati) e siano sempre associati a una riduzione assoluta di eventi (quando non della stessa mortalità) superiore a quella della popolazione globale del trial se assegnati al braccio con il trattamento attivo. In questi pazienti la volontà di ridurre la colesterolemia LDL della fase acuta del 50% rispetto ai valori di presentazione prevale e l’aggiunta di alirocumab al trattamento massimale con statine è ritenuto appropriato per valori di C-LDL >70 mg/dl, senza passare necessariamente attraverso la somministrazione di ezetimibe.

Solo nei pazienti con insufficienza renale di grado II o III e valori di C-LDL >100 mg/dl c’è accordo nel considerare appropriata l’aggiunta di alirocumab alla terapia con statine a prescindere dal trattamento con ezetimibe (scenari 23 e 25).

Inizio della terapia con alirocumab durante la fase di ricovero per sindrome coronarica acuta (scenari 28-37)

Un inizio precocissimo della terapia con inibitori di PCSK9 non è al momento sostenuto dai dati di letteratura. Nello studio ODYSSEY OUTCOMES i pazienti con pregressa SCA ricevevano il farmaco non prima di 1 mese dall’evento acuto8. Persino la terapia con statine ad alta efficacia non è stata sperimentata nelle prime ore dall’esordio della sintomatologia coronarica, benché la somministrazione precoce del farmaco in occasione del ricovero per SCA si associ a una maggiore probabilità di persistenza al trattamento e quindi di acquisirne i reali benefici39.

Pazienti diabetici con o senza danno d’organo (scenari 41-43) o con ictus ischemico (scenario 44), già in terapia massimale con statine ed ezetimibe

I pazienti con diabete mellito, soprattutto se con danno d’organo, e quelli con ictus ischemico sono ad elevato rischio cardiovascolare40. La riduzione di C-LDL anche in questo contesto riduce l’incidenza di eventi vascolari41,42.

Commento sugli scenari incerti

Un target di C-LDL 70 mg/dl è accettato e ritenuto sufficiente e raggiungibile con statine + ezetimibe quando i valori basali di C-LDL sono compresi fra 70 e 100 mg/dl al momento dell’evento acuto. Questa considerazione spiega il motivo dell’ampia incertezza nel passare subito a un inibitore di PCSK9, come alirocumab, soprattutto quando la terapia medica non è stata ottimizzata, per esempio introducendo ezetimibe (scenario 7).

L’insufficienza renale è un riconosciuto fattore di incrementato rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti con SCA, ma tale fattore non è sufficiente ad indurre la scelta di terapie ipolipemizzanti aggressive nei pazienti con SCA e C-LDL compreso tra 70 e 100 mg/dl (scenari 22 e 24).

A stadi avanzati dell’insufficienza renale viene attribuito un rischio di eventi e di morte che prescinde dal controllo del C-LDL e pertanto non si ritiene che il trattamento ipolipemizzante debba essere potenziato oltre la statina a dose massimale per migliorare la prognosi (scenari 26 e 27).

Il Panel di Esperti non si è espresso a favore di un inizio precoce di alirocumab durante il ricovero per SCA (scenario 28). Il Panel di Esperti ha espresso la volontà di assicurare una precoce riduzione del C-LDL solo ai pazienti con maggior profilo di rischio per complicanze ischemiche (scenari 29-35), con l’esclusione ancora una volta dei pazienti con insufficienza renale medio-grave, per i quali tale intervento non è ritenuto prognosticamente rilevante (scenari 36 e 37).

La tendenza a non considerare il diabete come condizione clinica sempre meritevole di trattamento “intensivo” e completamente assimilata alla prevenzione secondaria della cardiopatia ischemica emerge negli scenari 40-43. Le scelte del Board in assenza di concomitante SCA si fanno meno “aggressive”, a prescindere dall’età e dalla presenza di danno d’organo. Vi è accordo a trattare i pazienti diabetici giovani, con danno d’organo e C-LDL elevato ma perplessità in tutti gli scenari successivi, nonostante alcune situazioni siano considerate una indicazione da linee guida.

Lo scenario 44 esprime tutta l’incertezza dei cardiologi a posizionare l’ictus ischemico allo stesso livello della CHD nel contesto della prevenzione secondaria. Il Board infatti non ritiene che la terapia ipolipemizzante vada potenziata in un paziente con pregresso ictus che abbia raggiunto valori di C-LDL <100 mg/dl in terapia massimale con statine ed ezetimibe, ma non necessariamente <70 mg/dl, come auspicato nella cardiopatia ischemica o in altre forme di prevenzione secondaria. È peraltro questa una categoria di pazienti che viene precipuamente seguita dallo specialista neurologo, e non dal cardiologo, soprattutto se l’ictus ischemico è stata la sola manifestazione pregressa di aterotrombosi.

GESTIONE DELLA TERAPIA CON ALIROCUMAB

Come afferma Jennifer Robinson43, ormai ci troviamo nell’era della medicina personalizzata e, di conseguenza, le decisioni terapeutiche nell’ambito della gestione dell’ipercolesterolemia possono e devono essere adattate al livello di rischio del singolo paziente, ai suoi livelli di C-LDL, ai benefici attesi e agli effetti avversi della terapia (cioè gli anticorpi anti-PCSK9) aggiunta al trattamento tradizionale. Questo principio è stato alla base della decisione di sperimentare due dosaggi, 75 e 150 mg, di alirocumab fin dal momento in cui si è disegnato il piano di sviluppo di questo anticorpo monoclonale (Programma ODYSSEY), con l’eccezione di alcuni studi, come ODYSSEY LONG TERM oppure HIGH FH, nei quali alirocumab è stato sperimentato al solo dosaggio di 150 mg. Il piano era stato disegnato tenendo conto dello stato dell’arte in quel momento, ma il suo assunto ha trovato conferma nei dati che sono stati successivamente generati dagli studi. Infatti, è opportuno ricordare che ogni qualvolta i due dosaggi sono stati sperimentati nell’ambito degli studi ODYSSEY di fase 3, laddove il protocollo prevedeva e consentiva la titolazione, si è rilevata una differenza clinicamente importante e statisticamente significativa nella risposta, per quanto riguarda la riduzione percentuale dal basale a 24 settimane del valore di C-LDL calcolato. Quest’ultima rappresenta l’endpoint primario per tutti gli studi clinici, escluso lo studio ODYSSEY OUTCOMES, il cui endpoint primario di efficacia era invece costituito dal tempo alla comparsa di eventi cardio-cerebrovascolari fatali e non fatali. La dose iniziale di 75 mg ogni 2 settimane (Q2W) era stata selezionata per fornire una riduzione approssimativa del 50% di C-LDL dal basale quando aggiunta alla terapia con statine, come determinato da un modello dose-risposta44.

Negli studi FH I e FH II, i due condotti in pazienti con FH eterozigote che consentivano la titolazione del dosaggio, le riduzioni percentuali di C-LDL a 12 settimane (prima del possibile aumento della dose) rispetto a placebo sono state pari a -57.9 ± 2.7 e -51.4 ± 3.4 per FH I e FH II, rispettivamente (p<0.0001 vs placebo per ambedue). Tra i pazienti che hanno ricevuto un trattamento in doppio cieco per almeno 12 settimane, 176/311 (56.6%) in FH I e 97/158 (61.4%) in FH II avevano livelli di C-LDL <70 mg/dl a 8 settimane e sono rimasti con alirocumab 75 mg Q2W. I livelli di C-LDL in questi pazienti rimanevano stabili nel tempo. Per i pazienti in FH I che avevano ricevuto un aumento della dose a 150 mg Q2W, i livelli medi di C-LDL erano 104.3 mg/dl a 12 settimane e 78.5 mg/dl a 24 settimane. I valori corrispondenti nello studio FH II erano 98.6 mg/dl a 12 settimane e 71.8 mg/dl a 24 settimane. La riduzione percentuale aggiuntiva di C-LDL dopo l’aumento della dose (cioè confrontando la settimana 12 alla settimana 24) era del 15.1% in FH I e del 16.9% in FH II45.

Lo studio ODYSSEY ALTERNATIVE consentiva anch’esso una titolazione incrementale opzionale, ed è stato condotto in una popolazione con una storia di intolleranza alle statine, rischio cardiovascolare da moderato a molto alto e con elevate concentrazioni di C-LDL al basale. Nella popolazione di pazienti con C-LDL basale molto alto, nella metà dei pazienti (n=54, 49.5%) del braccio alirocumab era previsto un aumento della dose da 75 a 150 mg Q2W secondo protocollo. Alla conclusione dello studio (settimana 24), 52 pazienti (41.9%) trattati con alirocumab e 5 (4.4%) di quelli del gruppo di confronto trattati con ezetimibe (p=0.0001, analisi “intention-to-treat”) hanno raggiunto l’obiettivo di C-LDL prespecificato senza un aumento della dose31.

Analogamente, negli studi ODYSSEY COMBO I e COMBO II, progettati con alirocumab in aggiunta alla terapia massima tollerata con statine in pazienti con ipercolesterolemia e alto rischio cardiovascolare, era stata definita una strategia di aumento della dose a 12 settimane, in caso di mancato raggiungimento del target di C-LDL entro 8 settimane. Nello studio ODYSSEY COMBO I, nei pazienti nei quali la dose è stata incrementata, il C-LDL è stato ridotto di un valore medio del 22.8 ± 27.1% a 24 settimane rispetto a 12 settimane. È interessante osservare che il principale fattore predittivo dell’aumento della dose a 12 settimane era il livello basale di C-LDL46. Passando a considerare lo studio ODYSSEY COMBO II47, gli Autori avevano ipotizzato che la maggior parte dei pazienti avrebbe ottenuto un abbassamento sostanziale di C-LDL (pari a circa il 50%) con il dosaggio iniziale di 75 mg, e questo si è dimostrato corretto. L’approccio “treat-to-target” adottato con alirocumab ha fatto sì che l’82% dei pazienti non abbia richiesto un incremento della dose a 150 mg a 12 settimane. Il 18% dei pazienti trattati con alirocumab, per i quali era stato necessario un aumento della dose, aveva valori di C-LDL basali medi molto più elevati rispetto a quelli che non richiedevano un aumento. L’aumento della dose a 12 settimane ha comportato un’ulteriore riduzione media del 10.5% nella colesterolemia LDL. Va rilevato infine che la riduzione assoluta di C-LDL a 24 settimane era leggermente maggiore nel gruppo con incremento della dose (1.6 vs 1.5 mmol/l). Tutti questi studi hanno in sostanza dimostrato l’utilità della disponibilità di due differenti dosaggi di alirocumab nel consentire una titolazione incrementale della dose adattandola alle esigenze dei pazienti e dei medici.

La prospettiva di utilizzare per la prima volta nelle ipercolesterolemie un farmaco estremamente efficace, in aggiunta al trattamento standard, ha aperto la possibilità di raggiungere livelli di C-LDL particolarmente bassi (<25 mg/dl e <15 mg/dl) e quindi ha posto la necessità di valutare la sicurezza di questi livelli, soprattutto se mantenuti per lungo tempo. L’analisi effettuata da Robinson et al.48 ha considerato i dati aggregati di 14 studi, di tipo e durata variabile (inclusi studi di fase 2 e di fase 3, in doppio cieco, con durata variabile da 8 a 104 settimane). Sono stati valutati in totale 43 340 pazienti con alirocumab, confrontati con 41 894 controlli (con placebo o con ezetimibe), che rappresentano 4029 pazienti-anni trattati con alirocumab e 2114 pazienti-anni del gruppo di controllo esposti ai due trattamenti, rispettivamente. Nel complesso dei pazienti trattati con alirocumab, 839 soggetti (25.1%) hanno registrato due valori di C-LDL consecutivi <25 mg/dl, mentre 314 (9.4%) hanno raggiunto valori <15 mg/dl. L’esposizione media a valori <25 mg/dl è stata di 43.3 settimane.

Il valore di C-LDL al basale era più basso (media 100.3 vs 134.3 mg/dl) nei pazienti che avevano raggiunto una colesterolemia LDL <25 mg/dl rispetto a quelli che mostravano valori ≥25 mg/dl. A tale riguardo, questa metanalisi conferma quindi che i valori basali sono predittivi dei valori raggiunti con il trattamento. Relativamente alla sicurezza, le conclusioni dimostrano che i livelli di C-LDL <25 o <15 mg/dl ottenuti con alirocumab non sono associati ad un aumento dei tassi di eventi avversi o di eventi neurocognitivi emergenti nel trattamento globale. Fa eccezione la cataratta, il cui tasso, in un’analisi “propensity score”, risultava più alto nei pazienti con C-LDL <25 mg/dl (2.6%) rispetto ai pazienti con valori di C-LDL più elevati (0.8%) (hazard ratio 3.40, intervallo di confidenza 95% 1.58-7.35). Tuttavia, non è stata osservata alcuna differenza nell’incidenza della cataratta tra pazienti trattati con alirocumab, valutati nel loro complesso, rispetto a quelli dei gruppi di controllo48.

Lo studio ODYSSEY OUTCOMES aggiunge al quadro prima delineato, che considerava la possibilità solo di una titolazione incrementale del dosaggio, ulteriori importanti informazioni sulle opportunità terapeutiche offerte dalla flessibilità, peraltro in un periodo di osservazione molto più lungo (follow-up massimo 5 anni, mediana 2.8 anni). È stata infatti prevista e sperimentata anche la possibilità di diminuire il dosaggio, qualora ci si trovi in presenza di valori di C-LDL particolarmente bassi, cioè <15 mg/dl oppure <25 mg/dl. In questo studio, gli sperimentatori si erano proposti di massimizzare il numero di pazienti allocati nell’intervallo target e di ridurre al minimo il numero sotto il target, titolando alirocumab (75 o 150 mg per via sottocutanea Q2W) o passando al placebo (cioè sospendendo alirocumab), sempre in doppio cieco49. Dei 9462 pazienti arruolati nello studio e randomizzati ad alirocumab, 730 pazienti (7.7%) sono passati al placebo dopo due livelli consecutivi di C-LDL <15 mg/dl, mentre erano in trattamento con alirocumab 75 mg Q2W. Il tempo mediano dalla randomizzazione al passaggio a placebo era 8.3 mesi. La colesterolemia LDL mediana al basale era 71 mg/dl; tutti i 730 pazienti sono stati inclusi nel gruppo alirocumab nell’analisi “intention-to-treat” e tutte le dosi sono state somministrate in doppio cieco8.

Durante la prima valutazione, 2615 (27.6%) pazienti evidenziavano C-LDL ≥50 mg/dl. In questi pazienti è stato effettuato l’aumento di dose di alirocumab da 75 mg a 150 mg Q2W. Durante le valutazioni successive, 805/2615 pazienti riducevano la dose a 75 mg Q2W dopo due livelli consecutivi di C-LDL <25 mg/dl. In conclusione, considerando il tempo totale di trattamento con alirocumab, il 77.8% e il 22.2% dei pazienti risultavano trattati alle dosi rispettivamente di 75 mg e 150 mg8.

Nei pazienti con FH eterozigote, nuovi dati sull’utilità di una strategia di titolazione della dose provengono dallo studio ODYSSEY LONG TERM Open-Label Extension (OLE), il cui scopo era di caratterizzare l’efficacia a lungo termine e la sicurezza dei due dosaggi di alirocumab, in un contesto molto vicino alla pratica clinica. I pazienti con FH eterozigote che avevano completato lo studio ODYSSEY LONG TERM (trattamento: alirocumab 150 mg Q2W) sono stati arruolati nella sua prosecuzione in aperto (n=214) con un trattamento di 40 mesi. Considerando che alcuni pazienti possono richiedere solo la dose più bassa di alirocumab 75 mg Q2W per raggiungere i loro obiettivi di C-LDL basati sul rischio cardiovascolare, nello studio OLE, dopo wash-out, i pazienti hanno iniziato con alirocumab 75 mg Q2W. Dalla 12a settimana era possibile l’aggiustamento della dose da 75 a 150 mg Q2W o viceversa, sulla base del giudizio clinico del medico50. L’analisi della riduzione di C-LDL a 8 settimane nello studio ODYSSEY LONG TERM e a 8 settimane 8 nello studio OLE consente di valutare gli effetti dell’esposizione alle due dosi di alirocumab nella stessa coorte di pazienti con FH eterozigote, cioè con livelli di C-LDL al basale molto alti, senza gli effetti confondenti degli aggiustamenti della dose. Durante il LONG TERM, alirocumab 150 mg Q2W ha ridotto la colesterolemia LDL dal basale (162.3 mg/dl) a 8 settimane del 63.1%; durante OLE, alirocumab 75 mg Q2W ha ridotto la colesterolemia LDL media dal basale (166.6 mg/dl) del 47.3% nella stessa coorte di pazienti. Anche in questo studio, la differenza percentuale di riduzione di C-LDL tra le due dosi di alirocumab (15.8%) si è configurata come era previsto dalla simulazione durante la progettazione del programma di sperimentazione clinica di fase 3 ODYSSEY, e risulta anche coerente con quella osservata nei precedenti studi in doppio cieco, come abbiamo visto precedentemente.

Lo studio ODYSSEY LONG TERM OLE dimostra che entrambi i dosaggi di alirocumab hanno determinato riduzioni costanti di C-LDL per un periodo di trattamento fino a 4 anni (includendo anche 1.5 anni dello studio ODYSSEY LONG TERM), e consente un approccio individualizzato all’abbassamento del C-LDL, in base ai livelli basali. In questo studio, la percentuale di riduzione del C-LDL a 148 settimane (56%) è stata leggermente inferiore a quella osservata a 24 settimane 24 (65%). Ciò potrebbe essere dovuto a diversi motivi, tra cui l’abbandono dello studio da parte del paziente, l’aggiustamento del regime di dosaggio di alirocumab da Q2W a ogni 4 settimane in alcuni pazienti e anche un aggiustamento del trattamento di base con statina + ezetimibe in alcuni pazienti. Ciò nonostante, a 148 settimane, la colesterolemia LDL media era 65.9 mg/dl con una riduzione media assoluta rispetto al basale di 85.6 ± 40.5 mg/dl e circa l’80% dei pazienti aveva raggiunto il proprio obiettivo di C-LDL50.

Un motivo comune da parte dei medici per non adottare regimi ipolipemizzanti alla massima intensità era l’accettazione di un livello di C-LDL superiore a quello target, con la giustificazione che i livelli di C-LDL del paziente erano già stati ridotti di oltre il 50% dal basale. Anche nello studio OLE una quota di pazienti rimaneva comunque non a target. Ciò è coerente con le attuali raccomandazioni delle linee guida, che suggeriscono che, per i pazienti con malattia cardiovascolare clinica di natura aterosclerotica, un obiettivo di trattamento realistico sia una riduzione del 50% del C-LDL rispetto al basale e idealmente il raggiungimento di valori di C-LDL <70 mg/dl.

Le più recenti edizioni delle linee guida hanno tenuto conto dei risultati degli studi pubblicati sia di alirocumab sia di evolocumab, in particolare dopo la pubblicazione dei risultati di ODYSSEY OUTCOMES e FOURIER. Per quanto riguarda i bassi livelli di C-LDL, le nuove linee guida americane 2018 raccomandano una de-intensificazione del trattamento ipolipemizzante, se i pazienti mostrano due livelli consecutivi di C-LDL <25 mg/dl mentre sono in trattamento con un inibitore di PCSK9, in quanto la sicurezza a lungo termine di così bassi livelli di C-LDL rimane sconosciuta11.

Va rilevato inoltre, nell’ambito della gestione di una terapia che spesso è multipla e non solo limitata all’inibitore di PCSK9, che in caso di valori di C-LDL molto bassi, la sospensione di ezetimibe ha modesto significato clinico, data la sua limitata efficacia sulla riduzione del C-LDL e del rischio (riduzione del rischio relativo 2.0%; hazard ratio 0.936; p=0.016), come evidenziato nello studio IMPROVE-IT34.

In conclusione, con alirocumab si è osservato che la correlazione tra l’aumento della dose e la risposta di efficacia è coerente tra tutte le diverse tipologie di pazienti studiati, con una riduzione incrementale dei livelli di C-LDL, e che l’aumento della dose viene effettuato in presenza di valori di C-LDL basali medi più elevati rispetto ai pazienti che non necessitano di incremento. Il valore aggiunto della flessibilità del dosaggio si esprime soprattutto per i pazienti con i valori più bassi di C-LDL al basale e per i medici che desiderano adottare un approccio clinico graduale.

Discussione

Sono stati configurati 15 scenari clinici di cui 2 giudicati in ultima analisi appropriati e 11 incerti e 2 inappropriati. Inoltre, sono stati inseriti in questo capitolo 2 scenari originariamente appartenenti al capitolo “SCA e altre condizioni di prevenzione secondaria” in quanto sempre attinenti alla gestione dei due dosaggi di alirocumab, seppure nel contesto specifico del paziente post-SCA, di cui 1 giudicato incerto e 1 appropriato (Tabella 7).




Raccomandazioni

Dalla discussione sono derivate le raccomandazioni riportate in Tabella 8, che meritano un commento dedicato.




Riguardo alla raccomandazione numero 1, si può osservare che l’introduzione in terapia di anticorpi monoclonali anti-PCSK9 estremamente potenti, in aggiunta al trattamento standard, ha consentito per la prima volta di ottenere valori di C-LDL particolarmente bassi. Poiché questa immissione nell’utilizzo clinico è piuttosto recente, non è stato possibile finora ottenere una larga esperienza clinica con livelli di C-LDL <15 mg/dl. Risulta pertanto ragionevole, in assenza di dati di sicurezza a lungo termine su una popolazione estesa, un atteggiamento prudente dei medici, volto a riportare i livelli di C-LDL al di sopra dei 15 mg/dl. È inoltre razionale, data la disponibilità di due dosaggi di alirocumab, utilizzare l’opportunità di personalizzazione del trattamento, offerta dal dosaggio di 75 mg. Il valore dell’impiego clinico del dosaggio 75 mg permane riconosciuto anche quando il C-LDL è <15 mg/dl.

La raccomandazione numero 2 risulta plausibile considerando l’orientamento dei medici a mantenere il trattamento con statine, che si basa sulla grande disponibilità di dati con le statine, provenienti dalla messe di studi randomizzati e di metanalisi, che hanno dimostrato una significativa e consistente riduzione del rischio di eventi cardiovascolari, con maggiori benefici nel sottogruppo di pazienti a rischio più elevato, quelli con CHD nota3,38,51, anche in termini di prevenzione secondaria52 ed in pazienti ad altissimo rischio quali quelli arruolati negli studi ARMYDA, condotti in pazienti sottoposti ad angioplastica53-55. La raccomandazione espressa nel punto 2 evidenzia che i livelli di C-LDL tra 25 e 40 mg/dl non pongono problemi di tipo clinico, per cui risulta inappropriato un intervento terapeutico anche marginale dal punto di vista dell’effetto sui livelli di C-LDL, quale è la sospensione di ezetimibe. Ne emerge un approccio dei clinici a favore della strategia “treat to target” e una certa confidenza con valori di C-LDL fino a 25 mg/dl, ma non al di sotto.

Commenti sugli scenari incerti

In caso di raggiungimento di valori molto bassi di C-LDL, i partecipanti hanno espresso pareri discordi in merito alla gestione della terapia ipolipemizzante (scenari 2 e 3). Non è stato raggiunto un consenso sulla sospensione di ezetimibe o di statina in caso di livelli di C-LDL <15 mg/dl, probabilmente anche perché influenzati dal protocollo dello studio ODYSSEY OUTCOMES che prevedeva la riduzione di alirocumab, se al dosaggio di 150 mg Q2W, invece della riduzione di statina o ezetimibe.

Gli scenari 4-6 sono risultati assolutamente incerti sulla base della limitata efficacia di ezetimibe, il timore di dissipare alcuni effetti pleiotropici della statina e dall’idea di mantenere più bassi possibili i valori di C-LDL. Considerati questi presupposti, appare ragionevole la raccomandazione al punto 4 che, in presenza di livelli di C-LDL <15 mg/dl, suggerisce di sospendere ezetimibe piuttosto che modificare i trattamenti più efficaci e clinicamente significativi, cioè statina e alirocumab.

Negli scenari 7-9, che indagano l’appropriatezza di una strategia di riduzione della terapia ipolipemizzante in caso di valori di C-LDL compresi tra 25 e 40 mg/dl, emerge un giudizio degli esperti contrario. Non è raccomandato in un paziente in terapia con statina, ezetimibe e alirocumab 150 mg, con livelli di C-LDL tra 25 e 40 mg/dl, ridurre statina o ezetimibe e non è indicato chiaramente ridurre il dosaggio di alirocumab.

Per quanto concerne gli scenari 10-15, il voto espresso evidenzia una prudenza dovuta alla mancanza di dati considerati sufficienti nella gestione di questi bassi livelli di C-LDL, malgrado lo scenario 13 preveda l’utilizzo di alirocumab al dosaggio di 75 mg Q2W, ed i dati a suffragio di questa strategia siano convincenti48. Se l’obiettivo è riportare i valori di C-LDL al di sopra di 25 mg/dl, per il timore di eventi avversi sul lungo termine, l’unico strumento potrebbe essere la sospensione temporanea di alirocumab: se dopo ciò il C-LDL si riporta a livelli inaccettabilmente alti, è possibile riprendere il trattamento.

In generale, relativamente agli scenari incerti si può osservare che mancano ancora, nelle condizioni di pratica clinica a lungo termine, evidenze conclusive sulla sicurezza dei livelli acquisiti di basso C-LDL. È noto che nei soggetti che hanno sin dalla nascita bassi livelli plasmatici di C-LDL, geneticamente determinati per le mutazioni di PCSK9 associate a perdita di funzione, tali livelli di C-LDL conferiscono protezione dalla coronaropatia, con una riduzione del rischio che varia dal 47% all’88% a seconda della mutazione, senza conseguenze negative sulla sicurezza, quali alterazioni ormonali o danno cognitivo56. Tuttavia, non è stato dimostrato che il postulato di sicurezza di livelli di C-LDL estremamente bassi possa essere traslato automaticamente nei pazienti ipercolesterolemici che questi bassi livelli hanno ottenuto in seguito alla terapia con anticorpi monoclonali anti-PCSK9. Di questa incertezza ha tenuto conto il recente aggiornamento delle linee guida americane sulla gestione dei lipidi che ha raccomandato ancora un atteggiamento di prudenza necessitante di una valutazione del clinico specifica contestuale11.

Negli scenari 16 e 17 viene posta la domanda su quale sia il dosaggio più appropriato d’avvio della terapia in una tipologia di paziente con SCA verificatasi nonostante terapia massimale con statine in combinazione con ezetimibe. Si tratta di pazienti con rischio cardiovascolare molto alto perché si trovano in uno stato pro-aterogeno preoccupante e una situazione clinica in prospettiva minacciosa, dal momento che da parte dei curanti si è già fatto ricorso a tutte le terapie ipolipemizzanti utilizzabili tranne gli inibitori di PCSK9. Tra i clinici c’è consapevolezza che il paziente con SCA in questi scenari è ad altissimo rischio di reinfarto a breve termine o addirittura di recidiva plurima, i cosiddetti “frequent flyer”. Infatti, i dati provenienti dal registro nazionale svedese condotto su oltre 108 000 pazienti hanno mostrato che il 18.3% dei soggetti con infarto miocardico ha avuto un infarto ricorrente, ictus o morte cardiovascolare nei primi 365 giorni dopo l’evento indice. Il rischio di eventi cardiovascolari è rimasto alto oltre il primo anno post-infarto, indicando la necessità di una sorveglianza prolungata, in particolare nei pazienti con fattori di rischio aggiuntivi57. Tale situazione può quindi giustificare un approccio sicuramente aggressivo e infatti i cardiologi sono abituati a prescrivere il massimo dosaggio di statina.

Analizzando i risultati di questi due scenari, risulta immediatamente evidente che i due orientamenti (iniziare con alirocumab 75 mg o 150 mg) sono mutualmente escludenti. Tuttavia, la contrapposizione fra i due approcci, dal punto di vista dell’efficacia, potrebbe essere considerata più formale che sostanziale in quanto tra i due dosaggi di 75 e 150 mg di alirocumab esiste una differenza di risposta di circa il 14%. Venendo a considerare il quadro delineato nello scenario 16, la strategia qui prevista consiste nell’iniziare il trattamento con il dosaggio più basso di alirocumab 75 mg, seguendo quanto previsto dal protocollo dello studio ODYSSEY OUTCOMES, che consentiva la titolazione incrementale di alirocumab da 75 a 150 mg per C-LDL ≥50 mg/dl. Era inoltre possibile titolare verso il basso alirocumab da 150 mg a 75 mg per C-LDL <25 mg/dl, o passare da 75 mg Q2W alla sospensione per C-LDL <15 mg/dl8. Se si valuta il quadro delineato nello scenario 17, la strategia prevede invece di iniziare subito il trattamento con il dosaggio più elevato di alirocumab 150 mg, al fine di ottenere la maggior riduzione possibile di C-LDL per poi, eventualmente, operare una “down-titration” a 75 mg, laddove si ottenessero livelli di C-LDL considerati da taluni clinici troppo bassi, cioè <25 o 15 mg/dl. A favore di questo approccio potrebbero pesare considerazioni di necessità clinica, volte a ridurre quanto più velocemente possibile il rischio cardiovascolare, che è altissimo in questi pazienti. Il sopra citato registro svedese dimostra infatti che la probabilità cumulativa di un evento successivo nella popolazione post-infarto era del 9.0% dopo 12 mesi e del 20.0% dopo 36 mesi di follow-up. Tra questi pazienti, il 40.8% ha avuto un infarto miocardico, il 18.6% ha avuto un ictus e il 40.6% è morto per cause cardiovascolari come primo evento57. Tuttavia, poiché il protocollo dello studio ODYSSEY OUTCOMES non contemplava l’inizio del trattamento con 150 mg Q2W, si deve considerare che allo stato attuale non esistono evidenze scientifiche incontrovertibili provenienti da studi di outcome che giustifichino questo tipo di approccio. Pertanto, non può essere formulata alcuna specifica raccomandazione a riguardo.

In conclusione, i dati degli studi clinici con alirocumab hanno consentito, grazie all’efficacia del farmaco, di ribadire il concetto “the lower, the better”. La possibilità di modulare l’effetto dell’anticorpo grazie alla disponibilità dei due dosaggi è stata chiaramente percepita come vantaggio clinico, perché con l’incremento o con la riduzione di alirocumab è possibile gestire la terapia in una finestra terapeutica ottimale ben precisa, come evidenziato nello studio ODYSSEY OUTCOMES. Ciò non impedisce di estendere la finestra terapeutica includendo anche i target di C-LDL non ottimali ma ancora accettabili in base alla logica clinica.

In prospettiva, la disponibilità dei due dosaggi, una volta entrata nell’esperienza, consentirà di traslare più facilmente il risultato degli studi clinici randomizzati nella pratica, rispondendo sia all’esigenza di adattare la dose al raggiungimento dei target prefissati sia a rimuovere la attuali cautele sulla sicurezza.

CONCLUSIONI

Nonostante la disponibilità degli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 per uso clinico, lo specialista che prescrive abitualmente le terapie ipolipemizzanti non ha ancora una completa familiarità con il loro uso nell’ampio e articolato spettro di situazioni in cui potrebbero essere somministrati. Il nostro studio ha inteso focalizzare prevalentemente quattro aree: 1) la FH eterozigote, 2) il paziente con recente SCA, 3) il paziente con intolleranza alle statine, 4) la gestione pratica dei dosaggi di alirocumab nelle diverse tipologie di pazienti, sottoponendo a un gruppo di esperti cardiologi, internisti e lipidologi una serie di possibili condizioni cliniche, per raccogliere il loro parere sull’appropriatezza dei diversi comportamenti e delle differenti decisioni.

Da notare come la maggior parte delle scelte proposte non fosse coperta se non marginalmente dalle attuali linee guida sulla prevenzione cardiovascolare e sul trattamento della dislipidemia.

Le sezioni precedenti di questo documento riportano sia le raccomandazioni che derivano dal consenso sia le proposte che nascono dall’analisi dell’incertezza.

In estrema sintesi, lo scenario complessivo che emerge dallo studio ha permesso di raggiungere le seguenti conclusioni, talora apparentemente contraddittorie:

1. La piena consapevolezza, in generale, dell’utilità degli anticorpi anti-PCSK9 da parte degli operatori sanitari.

2. La consapevolezza dell’urgenza di raggiungere il target di C-LDL nelle situazioni e nei pazienti a rischio molto alto, in particolare in quelli con una SCA recente. Ciò porta a ritenere appropriati la maggior parte dei comportamenti che introducono subito alirocumab, in terapia senza necessariamente attendere l’esito dell’inserimento in terapia di ezetimibe o della modulazione delle statine e quindi senza passare attraverso tutti gli step previsti dalle autorità sanitarie nazionali per la rimborsabilità dei nuovi farmaci. L’importanza di un trattamento precoce con alirocumab anche nei pazienti con C-LDL fra 70 e 100 mg/dl è decisamente sentita in presenza di: plurimi episodi infartuali negli ultimi 2-3 anni, CHD multivasale, CHD pluri-rivascolarizzata, diabete e arteriopatia obliterante periferica. Questa sensazione di “urgenza” nell’abbassare i valori di C-LDL è presente in particolare nella gestione dell’intolleranza alle statine del soggetto con SCA recente.

3. Un grado minore di percezione di rischio “molto alto” al di fuori del contesto della SCA recente ed in particolare in caso di diabete mellito senza complicanze cardiovascolari, di insufficienza renale e di ictus.

4. Una consapevolezza solo parziale del rischio molto alto connesso alla FH. Questo atteggiamento è in parte spiegabile con l’accettazione dei criteri del piano terapeutico in vigore in Italia ma sicuramente esprime la mancata percezione della necessità di ridurre quanto più possibile ed il più precocemente possibile i livelli di C-LDL in una popolazione con un carico di ipercolesterolemia LDL elevatissimo per tutta la durata della loro esistenza. Contestualmente è evidente l’implicita richiesta di criteri per stratificare ulteriormente il rischio all’interno di una categoria percepita globalmente come ad alto rischio.

5. Pur nell’ambito di una convinta accettazione del concetto “the lower, the better”, la percezione del vantaggio di poter disporre di due differenti dosaggi di alirocumab che consente una modulazione più fine della terapia una volta raggiunti valori di C-LDL <25 mg/dl.

RIASSUNTO

Elevati livelli di colesterolo LDL (C-LDL) rappresentano un fattore causale delle patologie cardiovascolari su base aterosclerotica, con una correlazione diretta tra questi e mortalità o eventi cardiovascolari, tale per cui alla riduzione di C-LDL si associa proporzionalmente e in modo lineare la riduzione di entrambi.

Statine ed ezetimibe sono utilizzati per l’abbassamento del C-LDL, ma potrebbero non essere sufficienti per raggiungere gli obiettivi posti dalle linee guida ESC/EAS, che raccomandano l’uso di inibitori di PCSK9 per un’ulteriore riduzione del C-LDL in pazienti non a target.

Questo progetto ha sottoposto 86 scenari clinici a un gruppo di esperti, cardiologi, internisti e lipidologi, raccogliendo il loro parere sull’appropriatezza di diversi comportamenti e decisioni. È stato utilizzato il metodo RAND/UCLA di valutazione dell’appropriatezza degli interventi clinici, convalidato per combinare le migliori prove scientifiche disponibili con il giudizio degli esperti. A tal fine, è stato valutato il rapporto rischio-beneficio negli scenari clinici proposti. Ogni indicazione è stata classificata come “appropriata”, “incerta” o “inappropriata” in base al punteggio medio attribuito dai partecipanti.

Questo documento riporta i risultati di un processo di consenso che ha condotto allo sviluppo di raccomandazioni per la gestione di scenari clinici sul trattamento di pazienti dislipidemici, non sempre risolvibili con le sole evidenze scientifiche.

Parole chiave. Alirocumab; Inibitori di PCSK9; Ipercolesterolemia familiare; Rischio cardiovascolare; Sindrome coronarica acuta.

CONFLITTI DI INTERESSE

– Maurizio Averna: onorari per letture o consulenze, partecipazione a comitati consultivi, gruppi di valutazione, board da parte di Amgen, Pfizer e Sanofi.

– Claudio Bilato: onorari per consulenze, partecipazione a comitati consultivi, gruppi di valutazione, board, ricerca da parte di Abbott, Amgen, AstraZeneca, Boston, Medtronic, Neopharmed, Novartis, Piam, Sanofi, Servier.

– Natale Daniele Brunetti: onorari per consulenze, partecipazione a comitati consultivi, gruppi di valutazione, board da parte di Amgen, Bayer, Boehringer-Ingelheim, Sanofi.

– Gavino Casu: onorari per partecipazione ad advisory board da parte di Amgen, AstraZeneca, Bayer, Boehringer-Ingelheim, MSD, Sanofi.

– Pompilio Faggiano: onorari per contratti di ricerca per lo studio OMERO.

– Marco Ferlini: onorari per consulenze, partecipazione ad advisory board o come relatore/moderatore a corsi/congressi da parte di AstraZeneca, Bayer, Biosensors, Boehringer-Ingelheim, Chiesi Farmaceutici, Sanofi.

– Gabriele Guardigli: insegnamento scuola specialità di cardiologia, Università di Ferrara.

– Ciro Indolfi: onorari per consulenze o contratti di ricerca da parte di Abbott, Amgen, AstraZeneca, Boehringer-Ingelheim, Boston Scientific, Edwards Life Science, Medtronic.

– Gian Francesco Mureddu: Survey Sofocles, Associazione Italia di Cardiologia Clinica Preventiva e Riabilitativa.

– Pasquale Perrone Filardi: onorari per consulenze da parte di Amgen, Aristo Pharma, AstraZeneca, Bayer, Boehringer-Ingelheim, Lilly, Menarini, Sanofi.

– Livia Pisciotta: onorari per consulenze, relazioni o ricerca da parte di Alphasigma, Amgen, Esi, Fidia, Meda, Pharmaextracta, Piam, Sanofi, Servier.

– Claudio Rapezzi: onorari per consulenze o come relatore da parte di Novartis, Pfizer Sanofi.

– Massimo Uguccioni: onorari per partecipazione a board scientifici da parte di Amgen, AstraZeneca, Bayer, Sanofi, Servier.

Ferdinando Varbella: onorari per partecipazione ad advisory board e letture da parte di Amgen, AstraZeneca, Bayer, Boehringer-Ingelheim, Bristol-Myers Squibb, Daiichi-Sankyo, Menarini, Neopharmed, Novartis, Piam, Pfizer, Sanofi, Servier, spese di viaggio per partecipazione a congressi medici da parte di Abbott Vascular, Boston Scientific, Medtronic, Moss, Sanitex.

– Alberto Zambon: onorari per letture o consulenze da parte di Abbott, Alfasigma, Amarin, Amgen, Chiesi, Daiichi-Sankyo, Lilly, Mylan, Sanofi, Servier.

Gli altri autori dichiarano nessun conflitto di interessi.

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