La rete assistenziale per lo scompenso cardiaco cronico
Giovanni Battista Zito1, Ugo Oliviero2
1Associazioni Regionali Cardiologi Ambulatoriali (ARCA); Ambulatorio di Cardiologia Distretto 58, ASL Napoli 3 Sud, Pompei (NA)
2Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Cardiovascolari ed Immunologiche, Università degli Studi “Federico II”, Napoli
Chronic heart failure (CHF) is one of the leading causes of disability in the older population. In addition, the management of older CHF patients is particularly complex not only in cases of exacerbations, usually treated in the emergency department, but also in daily clinical practice, where a large commitment from the family and the presence of an accessible competent healthcare district are required. The management of CHF should include a network providing adequate follow-up of older patients and implement the continuity of care from hospital to territory. An adequate integration between hospital and territory can be obtained with a multilevel system made by a first territorial level (outpatient cardiologists and general practitioners), a second level for the treatment of exacerbations (day-hospital or full hospitalization), and a third level, characterized by the availability of comprehensive means for complex examinations and advanced treatments (academic or high-level specialized hospitals). The three levels identified should operate as a single, integrated unit in which all staff members operate synergistically, along common diagnostic and therapeutic pathways, established and shared according to the current guidelines for the treatment of older CHF patients.
Key words. Chronic heart failure; Continuity of care from hospital to territory.


Nei paesi occidentali, lo scompenso cardiaco cronico (SCC) costituisce una delle più importanti patologie della popolazione anziana, in cui è frequente causa di importanti disabilità con le relative conseguenze di gestione domiciliare e territoriale.
Lo SCC è una sindrome complessa, caratterizzata da fasi acute che necessitano di una diagnostica avanzata e di una terapia intensiva, e fasi croniche che necessitano di terapie atte a mantenere uno stato di compenso, con una discreta qualità di vita, ed a prevenire le successive riacutizzazioni.
Nello SCC l’aspetto economico assume, oggi più che mai, un ruolo decisivo per l’elevato costo e la notevole entità delle risorse da impiegare per la diagnosi ed il trattamento. La maggior parte della spesa è legata, indubbiamente, ai ricoveri ospedalieri e, in buona sostanza, gran parte degli investimenti ancora oggi è riservata agli interventi di fase acuta. Al contrario, le strategie di prevenzione sono oggetto di limitazioni economiche e di progressiva riduzione della disponibilità di personale qualificato.
Il numero sempre crescente di pazienti con SCC consente alle strutture ospedaliere di farsi carico solo dei casi più gravi, generalmente candidati a percorsi e/o procedure di elevata complessità. Poiché le esigenze organizzative ospedaliere e l’indirizzo al contenimento dei costi mirano alla massima riduzione del numero e della durata delle degenze, il sistema di cura extraospedaliero dovrebbe essere preparato ad accogliere in un percorso strutturato il paziente anziano complesso con SCC, conciliando le proprie offerte assistenziali con i bisogni legati alla cronicità, per minimizzare il rischio di discontinuità delle cure e di errori gestionali e, in ultima analisi, ridurre appunto il numero di ospedalizzazioni. Il miglioramento della gestione extraospedaliera del paziente scompensato rappresenta, quindi, una delle principali modalità non solo per migliorare la qualità della vita e la prognosi ma anche per ridurre i costi.
La gestione del paziente anziano con SCC nell’assistenza quotidiana ambulatoriale è molto complessa, richiedendo un notevole impegno sia da parte del nucleo familiare che delle strutture sanitarie ambulatoriali di riferimento.
Queste considerazioni spingono a modificare alcuni dogmi del passato, per i quali il problema si poteva affrontare solo facendo perno sulla centralità dell’ospedale. Visione che, a tutt’oggi, è possibile accettare solo se l’ospedale è visto quale centro per la diagnosi e la terapia degli episodi acuti. Al di fuori delle fasi acute, è necessario pensare ad un sistema integrato di servizi, specialmente extraospedalieri, che realizzino qualità e continuità assistenziale che sino ad oggi hanno fatto difetto nella gestione del cardiopatico. Spesso, dopo la dimissione dall’ospedale il paziente si trova abbandonato: una condizione che, di fatto, origina l’abnorme numero di riospedalizzazioni.
Va da sé che un approccio razionale della terapia dello SCC deve basarsi su un’effettiva integrazione ospedale-territorio, slogan molto utilizzato ma, per motivi più o meno ignoti, mai concretizzato. Accade così che, a seconda delle circostanze, un anziano con SCC e numerose comorbosità possa essere seguito ambulatoriamente in modo poco o per niente integrato, e in tempi diversi, dal cardiologo, dal geriatra, dall’internista o dal medico di medicina generale; fino al caso, purtroppo frequente e già citato, del paziente che, dopo la dimissione dalla struttura ospedaliera, è alla deriva e viene “rivalutato” nel tempo solo nel corso di accessi al pronto soccorso di ospedali, magari differenti, cui si riferisce per i ricorrenti episodi di riacutizzazione.
I modelli di gestione1 del paziente scompensato cronico utilizzati fino ad oggi sono essenzialmente di quattro tipi:
1. modello gestionale infermieristico: imperniato sulla figura dell’infermiere specializzato, con supervisione di un medico2,3;
2. modello gestionale basato su contatti telefonici e visite di controllo programmate4;
3. modelli a multicompetenza5,6: infermiere specializzato, dietista, assistente sociale, cardiologo, assistenza domiciliare, contatti telefonici;
4. unità scompenso: ricoveri in unità specialistiche cardiologiche con impostazione di una terapia farmacologica intensiva, infermiere specializzato, dietista, assistenza sociale, fisioterapia con follow-up gestito dal cardiologo, dall’infermiere dell’unità, in solido con il medico di medicina generale7,8.
Un modello ottimale di gestione dello SCC, in particolar modo per il paziente in età avanzata, con basso stato funzionale e comorbosità, deve prevedere una rete organizzativa che raccordi la terapia in acuto con quella a lungo termine, assicuri il follow-up e la rivalutazione dei malati ed avvii reali programmi di continuità assistenziale tra ospedale e territorio.
Nel nostro Paese esiste una rete di ambulatori cardiologici pubblici o accreditati, unica al mondo per le sue caratteristiche, che potrebbe essere utilizzata molto meglio di quanto non si faccia oggi. Un modello organizzativo di integrazione ospedale-territorio che oggi è possibile ipotizzare è un sistema a più livelli nel quale vi sia un primo livello (territoriale in senso stretto), imperniato sulla rete ambulatoriale cardiologica e di medicina generale, ove operano i cardiologi ambulatoriali ed i medici di famiglia, un secondo livello rappresentato dall’assistenza ospedaliera in regime di day-hospital e/o di ricovero per pazienti con frequenti episodi di destabilizzazione, ed un terzo livello, idealmente caratterizzato dalla possibilità di eseguire esami strumentali e trattamenti terapeutici più complessi (aziende ospedaliero-universitarie e/o ospedali ad alta specializzazione). Naturalmente, i tre livelli individuati non devono essere visti come entità separate, dove ogni figura professionale lavora in distaccata solitudine, ma come un’unica unità operativa nella quale sia prevista comunicazione intralivello, cioè tra gli operatori territoriali e ospedalieri o appartenenti alle strutture specializzate di riferimento, ed interlivello, con gli operatori dei tre livelli che operano in simbiosi, con percorsi diagnostici e terapeutici condivisi e con estrema facilità di scambi di informazioni ed indirizzi nella gestione del paziente 9.
L’importanza imprescindibile del livello territoriale è ben recepita nel recente decreto del Ministro Balduzzi, il cui momento fondante ed innovativo è la realizzazione di una rete territoriale tra medici di famiglia e specialisti ambulatoriali di riferimento (cardiologi, geriatri, ecc.), che lavori ininterrottamente intercettando tutte le afferenze sanitarie extraospedaliere e costituisca il cardine per la realizzazione della cosiddetta continuità assistenziale.
La continuità assistenziale va intesa, quindi, come un sistema integrato di accoglienza del malato prima, durante e dopo l’accesso in ospedale e, al tempo stesso, come un progetto organico di cura del paziente che ha come requisiti fondamentali la personalizzazione della cura e la multidisciplinarietà.
Ma come può essere allestito un percorso-guida attraverso il quale sia assicurata continuità assistenziale? Innanzitutto obbedendo ad alcuni indispensabili presupposti:
a) ottimizzazione e gestione del trattamento farmacologico e non farmacologico, promuovendo l’aderenza alle linee guida rapportata alle singole realtà sanitarie ed alle risorse organizzative ed economiche disponibili;
b) inserimento del paziente cronico nella rete assistenziale attraverso la:
– definizione del case manager, preferibilmente il medico di medicina generale, che ha il compito di coordinare le differenti figure specialistiche nelle diverse tipologie di pazienti e nelle varie fasi di malattia, e di pianificare la cronologia dei controlli;
– informazione ed educazione dei pazienti e dei familiari, mirate all’autogestione e all’aderenza ai programmi stabiliti;
– organizzazione adeguata a garantire un pronto ed efficace intervento domiciliare ed eventualmente ospedaliero in caso di peggioramenti del quadro clinico.
Va ricordato però che anche realizzando i presupposti di cui sopra, ed allestendo un idoneo percorso-guida, molti altri fattori possono influenzare la storia naturale dei pazienti con SCC: lo stadio della malattia, la situazione socio-economica e familiare, l’informazione e l’aderenza al trattamento.
Ancora una volta critici in tal senso risultano il modello gestionale di cura offerto dal territorio e la facilità di accesso ai servizi. Non è possibile infatti pensare che l’assistenza territoriale o addirittura l’assistenza domiciliare dei pazienti con SCC sia appannaggio delle strutture ospedaliere di riferimento: gli studi basati su modelli assistenziali di telemonitoraggio gestiti da personale dei centri ospedalieri hanno prodotto risultati quantomeno controversi in termini di sopravvivenza e numero di ospedalizzazioni.
In tal senso, studi recentemente pubblicati, ben calati nella realtà territoriale italiana, hanno focalizzato l’attenzione sul ruolo dei cardiologi ambulatoriali quali protagonisti della gestione territoriale dei pazienti affetti da SCC10.
Il medico di medicina generale che, come detto, potrebbe agire in qualità di case manager può rappresentare la figura centrale della rete. Gli specialisti che compongono il team multidisciplinare di gestione del paziente con SCC devono supportare la medicina generale con un ruolo attivo e di presa in carico proporzionale alla severità della malattia ed all’eventuale fase della stessa. Nei casi di malattia più avanzata ed invalidante il team multidisciplinare può attivare un’assistenza domiciliare infermieristica e, quando necessario, percorrere una via preferenziale per impostare rapidamente l’intervento più efficace ed appropriato per evitare o promuovere l’ospedalizzazione.
In conclusione, un programma di assistenza sanitaria integrata appropriato ha l’ambizione e le possibilità di fornire un trattamento coordinato e omnicomprensivo che può avviare il paziente a differenti percorsi di cura che si differenziano in relazione alla gravità della malattia, alla presenza di comorbosità, all’età e al tessuto sociale di riferimento, fino alla completa personalizzazione dell’assistenza (terapia “sartoriale”).
Il decreto legge Balduzzi recentemente emanato, finalizzato a favorire e migliorare l’assistenza territoriale per ridurre i ricoveri incongrui e decongestionare gli ospedali, rappresenta un primo passo in questa direzione.
RIASSUNTO
Lo scompenso cardiaco cronico (SCC) è una delle più importanti cause di disabilità nella popolazione anziana. Inoltre, la gestione degli anziani con SCC è particolarmente complessa non solo nelle esacerbazioni, generalmente trattate nei dipartimenti d’emergenza-accettazione, ma anche nella pratica clinica quotidiana, nella quale vengono richiesti un grande impegno da parte dei familiari e la pronta accessibilità di competenti e adeguate cure di distretto sanitario. Il trattamento degli anziani con SCC dovrebbe comprendere un sistema a rete che fornisca adeguato follow-up e realizzi una vera continuità di cure tra ospedale e territorio. Un’adeguata integrazione tra ospedale e territorio può essere ottenuta con un sistema multilivello, costituito da un primo livello territoriale (basato sui cardiologi ambulatoriali e sui medici di medicina generale), un secondo livello per il trattamento delle esacerbazioni (con ricovero in day-hospital od ordinario), e un terzo livello, caratterizzato dalla disponibilità di tecnologie diagnostiche e terapeutiche avanzate (centri universitari o centri clinici ospedalizzati di alta specialità). Questi tre livelli dovrebbero costituire una unità integrata i cui membri operano secondo protocolli diagnostico-terapeutici condivisi, fondati su linee guida di trattamento dello SCC nell’anziano.
Parole chiave. Anziani; Continuità di cure tra ospedale e territorio; Scompenso cardiaco cronico.
bibliografia
1. Albanese MC, Bulfoni A, Rossi P, et al. Lo studio SCOOP II (Scompenso nell’Ospedalizzazione Pubblica): proposta di un modello. Ital Heart J Suppl 2001;2:390-5.
2. West JA, Miller NH, Parker KM, et al. A comprehensive management system for heart failure improves clinical outcomes and reduces medical resource utilization. Am J Cardiol 1997;79:58-63.
3. Shah NB, Der E, Ruggerio C, Heidenreich PA, Massie BM. Prevention of hospitalizations for heart failure with an interactive home monitoring program. Am Heart J 1998;135:373-8.
4. Wasson J, Gandette C, Whaley F, Sauvigne A, Baribeau P, Welch HG. Telephone care as a substitute for routine clinic follow-up. JAMA 1992;267:1788-93.
5. Rich MW, Beckham V, Wittenberg C, Leven CL, Freedland KE, Carney RM. A multidisciplinary intervention to prevent the readmission of elderly patients with congestive heart failure. N Engl J Med 1995; 333:1190-5.
6. Stewart S, Marley JE, Horowitz JD. Effects of a multidisciplinary, home-based intervention on unplanned readmissions and survival among patients with chronic congestive heart failure: a randomised controlled study. Lancet 1999;354:1077-83.
7. Fonarow G, Stevenson LW, Walden JA, et al. Impact of a comprehensive heart failure management program on hospital readmission and functional status of patients with advanced heart failure. J Am Coll Cardiol 1997;30:725-32.
8. Smith LE, Fabbri SA, Heywood JT. The cost-effectiveness of managing patients in a cardiomyopathy clinic [abstract]. Circulation 1996;94(Suppl 1):I-169.
9. Zito GB. Modelli organizzativi di integrazione fra ospedale e territorio per la prevenzione cardiovascolare: il ruolo del cardiologo extraospedaliero. In: Nicolosi GL, ed. Regionalizzazione della sanità e continuità assistenziale fra ospedale e territorio: sfida per il cardiologo e opportunità di salute per il cittadino. Pisa: Pacini Editore, 2004.
10. Soreca S, Aprile S, Cardone A, et al. Management of chronic heart failure: role of home echocardiography in monitoring care programs. World J Cardiol 2012;4:72-6.