Cè spazio per la chirurgia dello scompenso cardiaco nell’ultraottantenne?
Nicola Buzzatti, Ottavio Alfieri
Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano
Octogenarians affected by chronic heart failure frequently present with multiple comorbidities and a certain degree of intrinsic frailty. These clinical features are associated with an increased operative risk and can nullify the improvements in survival and quality of life that can be obtained with modern surgical approaches. Accurate patient selection is therefore of crucial importance. To this purpose, many scores are available to define the surgical risk, while more efforts should be made to improve our knowledge regarding expected and actual quality of life. Given this highly complex scenario, a comprehensive Heart Team approach is strongly advisable, aimed at tailoring strongly individualized surgical programs. Indeed, in such fragile patients there is often no need to pursue a complete surgical therapy, and optimal results are obtained identifying and treating the culprit pathology, while wisely omitting to treat the unnecessary elements. Moreover, these patients take major advantages from preoperative clinical optimization and a step-by-step delayed approach. Given this premise, modern coronary artery bypass grafting, aortic valve replacement and mitral valve repair/replacement, which are the most frequent procedures in these patients, are feasible and reasonably safe and effective. New technologies are emerging to treat high-risk and inoperable patients, and promise to expand therapeutic frontiers for older chronic heart failure patients; these new devices, however, should never forget the Heart Team approach.
Key words. Cardiac surgery; Chronic heart failure; Elderly; Heart valve surgery.


Spesso, in tarda età, la patologia del cuore si presenta in un contesto di grande fragilità globale, in associazione con ulteriori malattie a carico di diversi distretti. I desideri e le aspettative possono essere quanto mai diversi negli individui di età molto avanzata; inoltre, un atto terapeutico complesso e ad alto costo in una persona in scompenso molto anziana, con limitata aspettativa di vita, richiede sempre una valutazione sotto il profilo dell’etica. Questo scenario clinico impone un approccio multidisciplinare integrato, con la messa in atto di una medicina personalizzata: diversi specialisti devono essere coinvolti e condividere le fasi della diagnosi, della valutazione, del processo decisionale e del trattamento, per offrire al singolo individuo la miglior cura possibile. Il cardiochirurgo diventa parte di un gruppo multidisciplinare ( Heart Team), all’interno del quale deve portare il suo contributo di competenza specifica.
CONSIDERAZIONI EPIDEMIOLOGICHE
La prevalenza dello scompenso cardiaco nella popolazione adulta del mondo occidentale è nell’ordine dell’1-2%1 ed aumenta con l’età2. I progressi della medicina e delle condizioni socio-sanitarie hanno determinato un incremento del numero di persone appartenenti alle fasce di età più avanzata. In Italia, le stime ISTAT prevedono un aumento della popolazione al di sopra degli 80 anni dai 3.6 milioni del 2011 ai 9.3 milioni nel 2065 (http://demo.istat.it/uniprev2011/index.html?lingua=ita). L’invecchiamento della popolazione comporta una maggiore prevalenza di ipertensione arteriosa, di cardiopatie strutturali, di aritmie (fibrillazione atriale soprattutto), di malattia aterosclerotica. La disfunzione ventricolare sinistra che spesso ne consegue si traduce nel quadro clinico dello scompenso cardiaco cronico (SCC). In tarda età è inoltre relativamente comune la ridotta distensibilità del ventricolo sinistro, che condiziona uno SCC diastolico, e che sopra i 70 anni può arrivare al 50% di tutti i pazienti con scompenso 3. Tra le cause di invalidità più comuni in età avanzata, lo SCC occupa una posizione di rilievo e la sua mortalità rimane elevata, aumentando con l’età, benché un significativo miglioramento sia stato evidenziato in tempi recenti2,4. I progressi della cardiochirurgia, specialmente nell’ambito della protezione miocardica e dell’assistenza perioperatoria, hanno permesso di operare pazienti ultra80enni con buoni risultati5-7, e questo a sua volta ha portato ad un notevole aumento del numero di questi interventi. In tale scenario epidemiologico, cardiologi e cardiochirurghi sempre più frequentemente si troveranno ad affrontare il problema del trattamento dello SCC nell’ultra80enne.
LE CARATTERISTICHE DEL QUADRO CLINICO E
LE DIFFICOLTÀ DELLA VALUTAZIONE
Raramente nel grande anziano il quadro cardiaco è disgiunto da altre patologie coesistenti. È spesso presente, inoltre, uno stato mentale in qualche misura subottimale e un quadro generale di fragilità dell’intero organismo. Il quadro sintomatologico perciò è spesso di non facile interpretazione, ma è importante ricordare che la durata dei sintomi cardiaci dal momento dell’esordio rimane per il chirurgo un utile indicatore per identificare il paziente che ha ancora spazio terapeutico.
Dal punto di visto chirurgico, la valutazione del rischio operatorio è cruciale. Esso si basa sempre di più sull’applicazione di score di rischio, anche se in ultima analisi è il giudizio clinico integrato dell’Heart Team che porta alla decisione terapeutica. I due score più utilizzati fino ad ora sono l’EuroSCORE logistico (http://www.euroscore.org/calc.html) e l’STS score (http://riskcalc.sts.org/STSWebRiskCalc273/de.aspx). L’EuroSCORE logistico è leggermente più specifico per la patologia coronarica, tuttavia è stato ripetutamente dimostrato che nei pazienti più compromessi tende a sovrastimare il rischio fino a 3 volte8. I risultati dell’accuratezza della sua seconda versione non sono ancora disponibili. L’STS score, in confronto, si basa su di una casistica più ampia, ed è più preciso nella patologia valvolare e nei pazienti ad alto rischio9. Entrambi questi score hanno limiti importanti, quando si va ad applicarli al singolo paziente, specialmente se molto anziano: il rischio non è specifico per la fascia di età (essendo ricavato da esperienze cliniche riguardanti prevalentemente pazienti più giovani) e non è stratificato per le pratiche interventistiche e per le diverse patologie; infine, molte variabili non sono considerate (aorta a porcellana, funzionalità epatica, irradiazione, fragilità, ecc.). Queste limitazioni sono state riconosciute dalla comunità cardiologica e cardiochirurgica 10, che ha sottolineato la necessità di uno score dedicato per il sottogruppo dei pazienti anziani e l’importanza di considerare maggiormente la qualità di vita attesa.
Tra gli algoritmi di predizione della mortalità, ricordiamo il 3C-HF: uno score molto semplice, sviluppato in Italia su più di 6000 pazienti affetti da SCC, in grado di predirne la mortalità ad 1 anno11. Questi score, dando una previsione della mortalità, sono importanti perché deve essere evitata la futilità delle procedure, che per essere giustificate, devono incidere in modo significativo sulla sopravvivenza.
La fragilità è stata associata ad un aumento della mortalità, della disabilità e delle complicanze postoperatorie12. Il concetto di fragilità rimane difficile da oggettivare, ma deve tener conto generalmente dei seguenti fattori: età, difficoltà di movimento (es. andatura lenta, stretta di mano debole, ecc.), difficoltà cognitive, stato nutrizionale, capacità di svolgere le normali attività quotidiane.
LA DIAGNOSI, IL PROCESSO DECISIONALE E
I PRINCIPI DEL TRATTAMENTO
È importante riconoscere che le componenti fisiopatologiche dello SCC spesso sono multiple, e il processo decisionale deve essere quanto mai personalizzato: vanno identificati i diversi fattori che giocano un ruolo nei sintomi e il trattamento deve essere mirato con perizia alle componenti più importanti.
Per ottimizzare i risultati del trattamento chirurgico, il primo passo è la corretta selezione del paziente, attraverso gli score di rischio e l’approccio valutativo mediante Heart Team. Il paziente ultra80enne affetto da SCC avrà tanto più beneficio dall’intervento quanto più basso sarà il suo rischio operatorio, quanto maggiore sarà la durata della sua vita residua e quanto minori saranno le comorbosità in grado di inficiare la sua qualità di vita. In secondo luogo, dato il maggior rischio operatorio di questi pazienti, da un lato è bene valutare con attenzione l’opportunità di ogni procedura facendo solo ciò da cui il paziente può veramente avere beneficio, senza perseguire ad ogni costo un approccio chirurgico completo, ma omettendo sapientemente ciò che è superfluo. Dall’altro lato, è necessario valutare caso per caso ed essere certi di fornire sempre il miglior trattamento possibile ad un paziente in grado di riceverlo, e non privare una persona in buone condizioni di salute del trattamento giusto solo perché anziana. In caso di compromissione di qualche altro apparato, è consigliabile attuare un’ottimizzazione preoperatoria, in particolare dal punto vista polmonare e renale, che consenta al paziente di arrivare all’intervento nelle migliori condizioni possibili. Un altro accorgimento, infine, è utilizzare un approccio terapeutico graduale, facendo ciò che può essere sopportato volta per volta, e lasciando adeguato tempo di recupero tra una procedura e l’altra.
I pazienti ultra80enni affetti da SCC, benché in crescita, rappresentano una piccola frazione degli operati in chirurgia, difficile da valutare e ancora non specificatamente rappresentata nelle linee guida e nella letteratura10,13,14. Qui di seguito verranno presi in considerazione i quadri eziologici più comuni che si presentano per trattamento chirurgico.
Coronaropatia rivascolarizzabile
Il bypass aortocoronarico è stato usato negli ultra80enni con risultati accettabili (mortalità precoce circa 5-7%) benché peggiori di quelli dei pazienti più giovani6,7,15,16. L’impatto dello SCC sulla prognosi e sulla qualità di vita in questi pazienti resta tuttavia ancora da determinare6,17. Con l’aumentare dell’età, la cardiopatia ischemica si fa tuttavia meno aggressiva, e meno aggressivo deve essere a nostro parere anche l’approccio del cardiochirurgo. A maggior ragione in condizioni di ridotta funzione cardiaca, è necessario intervenire solo dove veramente serve (pazienti sintomatici, vitalità cardiaca residua dimostrata) tentando se possibile di minimizzare i rischi dell’intervento prediligendo tecniche off-pump e riducendo al minimo la manipolazione dell’aorta e il tempo dell’intervento. Un approccio ibrido e graduale si può ben prestare a questo contesto, mediante il confezionamento di un’anastomosi chirurgica con arteria mammaria interna-discendente anteriore off-pump e successivo completamento della rivascolarizzazione dei restanti vasi mediante angioplastica coronarica percutanea.
Stenosi aortica
La stenosi aortica è spesso causa di scompenso nella persona molto anziana: la sua prevalenza, infatti, aumenta con l’età e dal 3% al 9% degli ultra80enni ha una stenosi aortica almeno moderata18. L’età avanzata e una ridotta frazione di eiezione sono state generalmente associate a peggiori outcome a breve e a lungo termine19,20. Nei pazienti ultra80enni, a fronte di una mortalità precoce attorno al 2-7%, la sostituzione valvolare aortica consente tuttavia il recupero di un’aspettativa di vita comparabile a quella della popolazione generale (circa 6 anni nelle passate due decadi) insieme ad un netto incremento della qualità di vita7,9,21. La mortalità dei pazienti ultra80enni è elevata, ma legata alla naturale aspettativa di vita e alle comorbosità intrinseche di questa fascia di popolazione (in particolare l’insufficienza renale e la patologia polmonare)9,19,21. Gli effetti della disfunzione ventricolare sono più difficili da valutare, perché manca una robusta letteratura focalizzata sul problema. I dati dall’STS database su 1000 pazienti ultra80enni (operati dal 1999 al 2007) con frazione di eiezione <30% riportano una diminuzione della sopravvivenza rispetto a quelli con frazione di eiezione >30% (91 vs 94.6% a 30 giorni e 22.6 vs 36.9% a 8 anni), con una diminuzione dell’aspettativa di vita a 4.9 anni 9. Una serie più recente comprendente 38 pazienti affetti da SCC ha riportato, rispetto al gruppo senza scompenso, una sopravvivenza a 30 giorni del 94.7 vs 97.8% e a 4 anni del 68.0 vs 81.0%22. In tutti i pazienti con disfunzione sistolica, è fondamentale la presenza di riserva contrattile, indice di un importante afterload mismatch piuttosto che di fibrosi cicatriziale, che si associa ad una minore mortalità operatoria (perché il cuore del paziente è in grado di rispondere agli inotropi durante e dopo l’intervento) ed a migliori rimodellamento e prognosi a lungo termine.
Recentemente, l’impianto transcatetere di valvola aortica (TAVI) si è dimostrato superiore alla terapia medica in pazienti inoperabili con tecnica chirurgica convenzionale23, e non inferiore alla chirurgia nei pazienti ad alto rischio ad un follow-up di 2 anni, in termini di mortalità, sintomi ed efficacia emodinamica. Oltre al rischio di ictus, la maggiore incidenza di insufficienza paravalvolare resta però un importante problema che in questi pazienti incide significativamente sulla mortalità24.
Alla luce delle evidenze disponibili, benché si associno ad un maggior rischio operatorio, l’età avanzata e la disfunzione ventricolare non sono di per sé controindicazioni assolute alla chirurgia, che rimane il trattamento gold standard; la TAVI è al momento indicata nei pazienti inoperabili o ad elevato rischio chirurgico quando l’Heart Team consideri l’opzione chirurgica non preferibile10. Nel paziente a rischio intermedio (come potrebbe essere un 85enne senza altre grosse comorbosità) la ­TAVI non è al momento consigliata, nell’attesa dei risultati di studi randomizzati25. Nell’ambito della TAVI, è importante ricordare inoltre che l’accesso transfemorale è la prima opzione, ma le possibili alternative transapicale, aortica e ascellare richiedono un cardiochirurgo, che è pertanto una delle figure centrali delle procedure transcatetere, non solo come membro dell’Heart Team nel processo decisionale, ma come diretto operatore sul campo.
Insufficienza mitralica
L’insufficienza mitralica è una patologia particolarmente frequente nell’anziano, con una prevalenza del 10% sopra i 75 anni18. Ciò nonostante solo una minoranza di questi pazienti arriva all’intervento, perché ritenuti a rischio eccessivo a causa di una ridotta frazione di eiezione ventricolare sinistra, delle comorbosità e dell’età avanzata26. Nell’anziano con SCC esistono fondamentalmente due tipi di insufficienza mitralica: l’insufficienza di tipo degenerativo, più rara, e l’insufficienza di tipo funzionale, legata al rimodellamento ventricolare ad origine ischemica o idiopatica, che è la forma più frequente.
Considerato che nel paziente anziano si pone indicazione all’intervento solo in caso di sintomi rilevanti, cruciale è la definizione del rischio operatorio. Un paziente di 82 anni con diagnosi recente di SCC e senza altre grosse comorbosità potrà verosimilmente beneficiare dell’intervento. Se affetto da insufficienza organica l’intervento preferibile è la riparazione valvolare, che offre anche nell’ultra80enne risultati quanto mai gratificanti27. Al contrario, nella patologia di tipo funzionale l’intervento chirurgico non ha effetto sicuro sulla riduzione della mortalità a distanza nonostante agisca positivamente sui sintomi e sul rimodellamento ventricolare28-31. I pazienti gravemente sintomatici nonostante terapia medica massimale, inoperabili o ad alto rischio chirurgico e con adeguata aspettativa di vita, possono beneficiare di un approccio percutaneo. L’unica tecnica approvata ed usata su vasta scala è il sistema MitraClip, derivato dalla tecnica chirurgica edge-to-edge, che ha mostrato, anche nei pazienti ad alto rischio, una buona efficacia nel medio termine, in particolare per miglioramento dei sintomi e della qualità di vita, a fronte di un bassissimo rischio operatorio (mortalità intraospedaliera 2%, a 12 mesi 12%)32,33. Al momento si trova nelle sua fasi preliminari in Europa lo studio RESHAPE (prospettico, randomizzato, multicentrico) con l’obiettivo di stabilire l’efficacia e la sicurezza della MitraClip nei confronti della terapia standard in pazienti sintomatici affetti da insufficienza mitralica funzionale e disfunzione ventricolare sinistra.
Il paziente senza cardiopatia strutturale
Alcuni pazienti affetti da SCC non presentano un substrato strutturale aggredibile chirurgicamente. In questi casi i fattori condizionanti e scatenanti lo SCC sono soprattutto la cardiomiopatia dilatativa idiopatica, l’ipertensione arteriosa e le aritmie.
Negli ultra80enni con SCC l’ablazione chirurgica della fibrillazione atriale isolata è attualmente sconsigliata e il trattamento della fibrillazione atriale si fonda sulla terapia medica34. L’ablazione potrebbe essere contemplata in un paziente a basso rischio in associazione ad un intervento per una cardiopatia strutturale. Qualora si tratti tuttavia di una fibrillazione persistente o permanente, come è spesso nell’anziano con SCC, l’unica tecnica veramente efficace rimane la Maze completa biatriale, che allunga inevitabilmente i tempi di clampaggio aortico e pertanto viene normalmente evitata nei pazienti anziani (al di sopra dei 75 anni) o con disfunzione ventricolare. Talvolta la chirurgia può essere d’aiuto per l’impianto epicardico di elettrodi di stimolazione nell’ambito di una terapia di resincronizzazione o per l’accesso subxifoideo o toracotomico per l’ablazione epicardica di tachicardie ventricolari.
L’uso di assistenze meccaniche ventricolari sta prendendo sempre maggiore spazio nel trattamento dei pazienti affetti da SCC terminale, grazie al miglioramento degli outcome, non solo come bridge al trapianto ma anche come destination therapy35. Tuttavia, gli ultra80enni sono considerati al momento una popolazione troppo anziana e generalmente non candidabile a questo tipo di approccio, a causa del grande numero di comorbosità (specialmente insufficienza renale), dell’elevato rischio operatorio e della breve aspettativa di vita naturale.
Nuove tecnologie sono in fase di sviluppo per trattare i pazienti affetti da SCC e senza nessun’altra opzione terapeutica. Un dispositivo interessante è il CorCap, una “rete” che viene posizionata attorno al cuore e funge da supporto passivo. I risultati a 5 anni mostrano che il sistema è sicuro ed efficace in termini di rimodellamento inverso e di miglioramento dei sintomi36.
RIASSUNTO
Gli ultra80enni affetti da scompenso cardiaco cronico presentano frequentemente diverse comorbosità ed un certo grado di fragilità intrinseca. Queste si associano ad un aumentato rischio operatorio e possono inficiare i miglioramenti, in termini di sopravvivenza e qualità della vita, ottenuti generalmente dalle moderne tecniche chirurgiche. La selezione dei pazienti è perciò fondamentale: diversi score sono disponibili per valutare il rischio chirurgico, e la valutazione della qualità di vita, attesa ed osservata, rimane altrettanto fondamentale. In questo scenario complesso, un approccio Heart Team è fortemente consigliato, per garantire ad ogni persona un trattamento individualizzato: è bene infatti evitare di perseguire ad ogni costo un approccio chirurgico completo, facendo solo ciò da cui il paziente può trarre reale beneficio, omettendo sapientemente ciò che è superfluo. Questi pazienti, inoltre, beneficiano spesso significativamente di un periodo preoperatorio di ottimizzazione clinica e di un approccio graduale. Con un’adeguata selezione, le moderne tecniche chirurgiche di bypass aortocoronarico, sostituzione valvolare aortica e plastica/sostituzione mitralica (le più frequenti in questi pazienti) si associano a risultati ragionevolmente buoni. Nuove tecnologie stanno emergendo per trattare pazienti inoperabili o ad elevato rischio chirurgico, promettendo di espandere l’offerta terapeutica per gli anziani affetti da scompenso cardiaco cronico, ma non possono mai prescindere da un approccio integrato Heart Team.
Parole chiave. Anziani; Chirurgia cardiaca; Chirurgia valvolare; Scompenso cardiaco cronico.
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