In questo numero

editoriali




Lo studio THEMIS

Sebbene l’aspirina (ASA) eserciti benefici indubbi nell’ambito della prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari, soprattutto nei pazienti diabetici, la situazione è molto meno chiara nell’ambito della prevenzione primaria. Recenti studi hanno infatti messo in discussione il ruolo dell’ASA, e della terapia antiaggregante in generale, nei pazienti diabetici senza documentata patologia cardiovascolare. In questo numero del Giornale, Leonardo De Luca commenta lo studio THEMIS (The Effect of Ticagrelor on Health Outcomes in Diabetes Mellitus Patients Intervention Study) che aveva lo scopo di indagare se i pazienti di età >50 anni con diabete di tipo 2 e coronaropatia nota (intesa come storia di angioplastica coronarica o di bypass o documentazione di stenosi angiografica ≥50% in almeno un’arteria coronaria nativa), senza storia di pregresso ictus o infarto, potessero trarre beneficio, in termini di riduzione del rischio di eventi trombotici, dalla terapia antiaggregante con ticagrelor in aggiunta all’ASA a basso dosaggio (70-150 mg/die). Lo studio ha prodotto un perfetto equilibrio tra benefici ischemici e rischi emorragici ed ha generato interessanti spunti di riflessione sulla definizione moderna di prevenzione primaria, nonché sulla non trascurabile differenza tra significatività statistica e significato clinico dei risultati di un trial. •




Per un punto PARAGON-HF perse... o forse no

Uno degli studi che sicuramente ha generato più scalpore all’ultimo Congresso della Società Europea di Cardiologia è il PARAGON-HF, che ha valutato l’efficacia e la sicurezza di sacubitril/valsartan nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata. Lo scalpore è nato dal fatto che, dopo il risultato schiacciante del farmaco nel ridurre gli eventi avversi nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta, ci si aspettava un altrettanto clamoroso risultato in quest’altra ampia categoria di pazienti in cui, ad oggi, non esiste una terapia prognosticamente efficace. Contro ogni aspettativa, lo studio PARAGON-HF di poco non ha raggiunto la significatività statistica in termini di riduzione degli eventi. Michele Senni e Giuseppe Di Tano ci illustrano come, al di là del punto di vista prettamente statistico, i dati dello studio possono essere utili nella gestione dei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata, soprattutto in determinate sottocategorie. •




Le nuove linee guida ESC sulle tachicardie sopraventricolari

A distanza di 15 anni la Società Europea di Cardiologia (ESC) ha pubblicato nel 2019 le nuove linee guida per la gestione dei pazienti con tachicardia sopraventricolare che introducono numerose differenze relativamente alla gestione farmacologica e soprattutto l’ablazione transcatetere. Massimo Zecchin ed Elisabetta Bianco illustrano in questo editoriale le principali novità che, in assenza di nuovi studi clinici, derivano tuttavia dal consenso degli esperti. Molte delle raccomandazioni hanno infatti un livello di evidenza di tipo C. In generale viene ridimensionato il ruolo della terapia farmacologica e privilegiata l’indicazione all’ablazione transcatetere, in particolare nelle tachicardie da rientro atrioventricolare e nelle tachicardie atriali focali. Tutto questo era comunque già evidenziato nelle linee guida nordamericane del 2015 e nel documento di consenso del 2017 della European Heart Rhythm Association affiliata all’ESC. Questo apre forse una discussione su quando è realmente necessario procedere ad una riedizione delle linee guida. •




Quando le linee guida non aiutano

Le linee guida costituiscono un riferimento indispensabile per assumere decisioni cliniche nella pratica clinica quotidiana. Nonostante il loro costante aggiornamento sono tuttavia presenti ancora molte “zone grigie” in contesti nei quali mancano solide evidenze scientifiche (gaps in evidence). In questo numero del Giornale, nel quale sono pubblicati due contributi sulle “zone grigie” riguardanti la fibrillazione atriale e la cardiologia interventistica strutturale, un autorevole editoriale di accompagnamento di Luigi Tavazzi fa il punto su linee guida e grey zones. L’editoriale fa un’analisi critica della metodologia alla base dell’acquisizione delle evidenze incorporate nelle linee guida che purtroppo non contemplano i dati provenienti dalla ricerca osservazionale. Altre due criticità sono rappresentate dall’indipendenza delle linee guida, in relazione ai possibili e talora numerosi conflitti di interesse dei loro estensori, e dalla qualità dei dati e solidità delle evidenze. È verosimile che l’incertezza resterà anche quando si affermerà l’intelligenza artificiale. L’avvento delle linee guida ha sicuramente portato ad un superamento dell’autoreferenzialità nelle decisioni cliniche, retaggio di un passato non molto lontano. L’incertezza e le aree grigie se da un lato generano apprensione e desiderio di nuove conoscenze, dall’altro riaffermano il ruolo dell’arte medica che rischia di essere sacrificato nell’era delle grandi tecnologie e della medicina computerizzata. •

questioni aperte




Anticoagulanti orali diretti e fibrillazione atriale: è tutto chiaro?

Per la prevenzione del rischio tromboembolico della fibrillazione atriale ormai da vari anni usiamo i nuovi anticoagulanti orali (forse non più tanto nuovi!), che costituiscono attualmente il trattamento di prima scelta. Il loro impiego è stato esteso, tanto che ad oggi sono controindicati solamente nei pazienti portatori di protesi valvolari meccaniche e di stenosi mitralica. Nelle linee guida, punto di riferimento oggettivo per operare scelte terapeutiche corrette, rimangono però delle zone grigie, dove le raccomandazioni non sono supportate da solide evidenze.
Giuseppe Di Pasquale e altri esperti sul tema si sono confrontati e hanno analizzato criticamente le poche incertezze che rimangono circa l’utilizzo degli anticoagulanti orali diretti nel contesto della fibrillazione atriale. I gaps in evidence riguardano la profilassi antitrombotica nella fibrillazione atriale subclinica rilevata da dispositivi impiantati, nella fibrillazione atriale nel paziente oncologico, nella fibrillazione atriale con CHA2DS2-VASc score = 1 o CHA2DS2-VASc = 2 se donna e da ultimo nella fibrillazione atriale associata a sindrome coronarica acuta/stenting coronarico. Gli Autori concludono con dei take home messages, molto utili nella pratica clinica quotidiana. •




Testa a testa tra cardiologia strutturale e cardiochirurgia

Negli ultimi anni l’innovazione nell’ambito della cardiologia interventistica strutturale ha portato ad un vero e proprio duello tra la strategia percutanea nel trattamento delle valvulopatie e la cardiochirurgia. Infatti, parallelamente alle tecniche di avanguardia della cardiologia interventistica, la cardiochirurgia ha sviluppato tecniche sempre meno invasive e dispositive sempre più maneggevoli. In questa rassegna
Maria Frigerio et al. riportano le opinioni degli esperti derivanti da un convegno nazionale tenutosi a Bergamo nel 2018 con lo scopo di evidenziare le zone grigie nella strategia di trattamento dei pazienti da sottoporre a cardiologia strutturale. Tra le principali tematiche affrontate troviamo la durabilità delle bioprotesi, l’utilizzo del trattamento percutaneo anche nei pazienti a basso rischio chirurgico e il trattamento mediante impianto di clip mitralica. •

rassegna




Scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata: un modello clinico per la medicina personalizzata?

Lo scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata è paragonabile ad un “buco nero” in ambito cardiovascolare. Il perché siamo ancora sostanzialmente disarmati nei confronti di una sindrome epidemiologicamente tanto comune, rappresenta a tutt’oggi un quesito senza risposta. Un elemento certo, come emerge dalla meticolosa ed aggiornata rassegna di Mauro Gori et al., è legato al fatto che in un apparente quadro clinico comune confluiscono condizioni etiologicamente e fenotipicamente estremamente eterogenee tra loro, condizionate inoltre da un elevato numero di comorbilità. Ciò spiega in parte il fallimento di recenti trial nel dimostrare una significativa evidenza terapeutica per alcuni farmaci notoriamente invece efficaci nello scompenso cardiaco a funzione sistolica ridotta. Le razionali considerazioni degli Autori, peraltro tra i maggiori esperti sull’argomento, rappresentano un forte stimolo per il cardiologo clinico ad orientarsi verso la cura di specifici fenotipi, utilizzando terapie dimostratesi almeno efficaci in determinati sottogruppi di pazienti: in pratica un primo passo verso una medicina personalizzata, in attesa che l’analisi di big-data e l’uso del “machine learning” possano aggiungere ulteriori elementi alla conoscenza dei meccanismi fisiopatologici alla base dello scompenso a frazione di eiezione preservata. •

metanalisi




Datemi un cavallo… per aiutare il cuore! Ma quale?

Lo shock cardiogeno rappresenta l’ultima sfida da vincere per il trattamento delle cardiopatie acute in quanto la mortalità, nonostante la rivascolarizzazione, gli inotropi e le altre terapie di supporto, rimane inaccettabilmente alta. È evidente che l’incapacità del cuore a mantenere una portata cardiaca sufficiente è il punto di partenza di questa sindrome da cui discendono gli effetti negativi sistemici. Il clinico confida molto nei sistemi di assistenza ventricolare (VAD), dal più semplice contropulsatore aortico all’ECMO, sperando che l’incremento della portata cardiaca e la riduzione del carico del ventricolo possano interrompere la spirale negativa dello shock, ma gli effetti favorevoli che si osservano spesso nell’immediato, difficilmente si traducono in una riduzione degli eventi. Da dove nasce questa discrepanza? Ne sono responsabili i diversi profili di rischio dei pazienti, le differenti manifestazioni cliniche dello shock, i tempi di trattamento variabili, o i VAD più o meno efficienti e complessi? I singoli studi non hanno dato certezze, per questo Antonella Negro et al. hanno cercato di incrementarne il livello di evidenza con una metanalisi dei VAD ad inserzione percutanea, la quale ha confermato un profilo di sicurezza o efficacia molto simile tra VAD e controlli. L’interessante commento editoriale del gruppo di Federico Pappalardo analizza i punti di forza dell’Health Technology Assessment, ma soprattutto i limiti che una metanalisi nel contesto dello shock ha (casistiche limitate, eterogenee, studi randomizzati vs registri, definizioni di shock ed obiettivi variabili, sistemi più o meno efficaci). Inevitabilmente l’editoriale si conclude con più domande che risposte ed un invito ad approfondire la ricerca. Perché al clinico è così evidente che quando il cuore non ce la fa più... un cavallo serve! •

studio osservazionale




ETNA-AF: dati basali italiani versus europei

Lo studio ETNA-AF (Edoxaban Treatment in Routine Clinical Practice for Patients With Non-Valvular Atrial Fibrillation), studio di fase 4 voluto dalla European Medicines Agency attualmente in corso, ha l’obiettivo di confermare i risultati del trial clinico ENGAGE AF-TIMI 48 in pazienti del mondo reale non selezionati con fibrillazione atriale. Il registro ha coinvolto diversi centri e complessivamente ha arruolato 13 980 pazienti in Europa e 3512 pazienti in Italia, che verranno seguiti per 4 anni. Letizia Riva et al. presentano i dati basali della popolazione italiana arruolata confrontandoli con quelli della popolazione europea. L’ampio spettro di pazienti arruolati consentirà di avere una visione d’insieme delle caratteristiche della popolazione affetta da fibrillazione atriale e di fare un confronto con i dati provenienti da altri registri nazionali e da altre realtà europee. •

caso clinico




Attenzione alle “grandi simulatrici”

Le vasculiti rientrano tra le malattie il cui esordio clinico può essere così atipico ed eterogeneo che il sospetto clinico rappresenta la fase cruciale nel determinare il ritardo diagnostico, e l’estrema variabilità di esordio le consegna di diritto a far parte delle malattie cosiddette “grandi simulatrici”. La diagnosi presuppone oltre alla conoscenza della malattia un’attenta osservazione dei segni e dei sintomi e una spiccata capacità clinico-deduttiva. In questo numero del Giornale, Gianluca Vergine et al. propongono un caso clinico molto interessante per i suoi aspetti atipici che riguardano in particolare l’età alla presentazione e la sintomatologia di esordio. L’ecocardiografia, che fortunatamente nella maggior parte dei pazienti pediatrici permette la valutazione del primo tratto dei rami coronarici e in particolare del ramo interventricolare anteriore, può rivelarsi la metodica chiave per orientare la diagnosi in modo specifico e quindi iniziare precocemente la terapia. La tempestività dell’inizio della terapia d’altra parte rappresenta un fattore cruciale per una buona risposta o lo sviluppo di casi di resistenza. Il caso clinico presentato costituisce un ottimo spunto per una puntualizzazione dettagliata su una malattia che, seppur rara, rappresenta la prima causa di malattia acquisita in età pediatrica. •

registri




Dati 2018 dal Registro Italiano Pacemaker e Defibrillatori

In questo numero del Giornale vengono pubblicati i dati del Bollettino Periodico del Registro Italiano Pacemaker e Defibrillatori relativo all’anno 2018 a cura di Alessandro Proclemer et al. per conto dell’Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC). Dal Registro Pacemaker che ha coinvolto 180 centri per un totale di 23 912 impianti emerge una stabilità rispetto agli anni precedenti per quanto riguarda le indicazioni all’impianto ed una prevalenza della modalità di stimolazione DDD insieme ad un basso tasso di impianto di pacemaker biventricolari. Il Registro Defibrillatori ha coinvolto 433 centri per un totale di 18 353 impianti, dei quali la maggioranza in prevenzione primaria e con un utilizzo
ampio di defibrillatori biventricolari.
Il registro annuale dell’AIAC, pur con i limiti di includere solo una parte dei laboratori di elettrostimolazione italiani, riveste un ruolo importante per monitorare l’attività aritmologica italiana e verificare l’aderenza alle linee guida nella pratica clinica. •