Dislipidemia e prevenzione secondaria del rischio cardiovascolare: dalle linee guida alla pratica clinica

Alessio Mattesini1, Giulia Masiero2, Lucia Barbieri3, Giampiero Vizzari4, Fabio Tarantino5,
Alessio La Manna6, Ciro Mauro7, Ugo Limbruno8, Stefano Rigattieri9, Battistina Castiglioni10,
Alfredo Marchese11, Giuseppe Musumeci12, Giuseppe Tarantini2

1AOU Careggi, Firenze

2Università degli Studi, Padova

3ASST Santi Paolo e Carlo, Milano

4Ospedale “Giovanni Paolo II”, ASP 7 Ragusa, Università degli Studi di Messina

5Ospedale Bufalini, AUSL Romagna, Cesena

6Centro Alte Specialità e Trapianti, Ospedale Gaspare Rodolico, Catania

7Ospedale Antonio Cardarelli, Napoli

8Ospedale Misericordia, Grosseto

9Ospedale Sandro Pertini, Roma

10Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Varese

11Anthea Hospital GVM Care & Research, Bari

12Ospedale Santa Croce e Carle, Cuneo

Despite improvements in the treatment and prevention of risk factors (i.e. dyslipidemia), cardiovascular disease (CVD) remains one of the leading causes of morbidity and mortality in countries with a high degree of socio-economic development. As a matter of fact, in the last decades, several trials and meta-analysis highlighted the impact of treatments targeted to lowering cholesterol levels (particularly LDL-cholesterol) on outcomes of patients affected by CVD, both in terms of primary and secondary prevention. The main international CVD guidelines recommend lifestyle modifications and optimal lipid-lowering therapy in individuals with established CVD. The aim of the present document is to describe the dimension of the problem and the available therapies, offering a practical pharmacological flow-chart useful for accurate monitoring and intensive treatment of dyslipidemias in this patient population.

Key words. Dyslipidemia; LDL-cholesterol; Lipid-lowering therapy; Secondary prevention.

LA DIMENSIONE DEL PROBLEMA E LE BASI PER AFFRONTARLO

Nonostante le innovazioni tecnologiche e le sempre più numerose risorse terapeutiche, la malattia cardiovascolare aterosclerotica rappresenta a tutt’oggi la prima causa di morte e disabilità nei paesi ad alto grado di sviluppo socio-economico1. In Europa, ogni anno, 4 milioni di persone muoiono a causa di patologie cardiovascolari con un maggiore interessamento (55% dei casi) del sesso femminile, anche se la percentuale di uomini risulta molto maggiore per quanto riguarda l’incidenza in giovane età2. L’aterosclerosi è una malattia infiammatoria cronica a lenta evoluzione la cui eziopatogenesi è multifattoriale e, tra i principali fattori di rischio, la dislipidemia, ed in particolare i livelli di colesterolo trasportato dalle lipoproteine a bassa densità (C-LDL), la fanno da protagonisti3,4. Il ruolo del colesterolo nel rischio cardiovascolare, infatti, dipende non solo dai suoi livelli plasmatici totali, ma anche dalla sua distribuzione nelle lipoproteine. Il C-LDL è potenzialmente patogeno, mentre quello trasportato dalle lipoproteine ad alta densità (C-HDL) è indice di un ruolo protettivo delle lipoproteine stesse nei confronti dell’aterosclerosi5. La dimensione del problema vede un 23% di donne e un 21% di uomini ipercolesterolemici in Italia, mentre le percentuali arrivano fino al 37% per quanto riguarda il riscontro di valori di colesterolemia borderline.

Dal 1980 al 2000 è stata riportata una significativa riduzione dei decessi per cardiopatia ischemica (42 930 morti in meno) sia grazie alle evoluzioni in termini di trattamento, come l’introduzione nella pratica clinica dell’angioplastica coronarica e di nuove strategie farmacologiche, che grazie ad un miglioramento in termini di prevenzione, con una percentuale riportata di riduzione della colesterolemia totale del 23% circa in 20 anni6. Numerosi trial clinici e metanalisi negli ultimi decenni hanno infatti dimostrato come una terapia ipolipemizzante mirata alla riduzione dei livelli di C-LDL migliori l’outcome clinico del paziente sia in termini di mortalità che morbilità per cause cardiovascolari7,8. Il beneficio netto riportato è dimostrato sia per quanto riguarda i pazienti trattati in prevenzione primaria che secondaria. Le linee guida delle principali Società Scientifiche di Cardiologia e dell’Aterosclerosi americane ed europee raccomandano l’impiego di terapia ipolipemizzante ottimale, in prima istanza con statine, in tutti i pazienti che hanno in anamnesi un evento cardiovascolare documentato9,10. I pazienti con patologia coronarica conclamata, stabile o instabile, andati incontro o meno a rivascolarizzazione coronarica si qualificano comunque automaticamente come pazienti ad altissimo rischio, nonostante nella quasi totalità dei casi, una terapia ipolipemizzante ottimale sia stata impostata fin dall’evento acuto. Nonostante infatti numerosi studi abbiano dimostrato una riduzione variabile dal 20% al 45% del rischio cardiovascolare con l’introduzione della terapia con statine, il rischio residuo risulta comunque ancora non accettabile (Figura 1)11-16. Da qui la necessità di un monitoraggio continuo e accurato e di un trattamento intensivo della dislipidemia in questa categoria di pazienti.

STRATEGIE DI PREVENZIONE: LA GESTIONE DEL PAZIENTE CON CARDIOPATIA ISCHEMICA

Il trattamento ipolipemizzante in prevenzione secondaria dovrebbe garantire il raggiungimento di un valore di C-LDL il più basso possibile (“the lower the better”). In questa classe di pazienti, infatti, il target di C-LDL dovrebbe essere <70 mg/dl (<1.8 mmol/l) (Figura 2). Anche per valori inferiori a tale soglia, sono sempre indicate le modifiche dello stile di vita per migliorare il profilo lipidico, con la possibilità di ricorrere al trattamento farmacologico (linee guida ESC, classe IIa/A), poiché anche la riduzione al di sotto degli obiettivi target ha dimostrato di diminuire gli eventi cardiovascolari9. Per valori >100 mg/dl (>2.6 mmol/l), entrambe le strategie terapeutiche (modifiche dello stile di vita e terapia farmacologica) sono fortemente indicate (linee guida ESC, classe I/A). Target secondari da prendere in considerazione sono il colesterolo non-HDL (<2.6 mmol/l o 100 mg/dl) o l’apolipoproteina B <80 mg/dl (classe IIa/B) (Tabella 1).

Il primo passo da far perseguire al nostro paziente riguarda seguire un corretto stile di vita. Il controllo dietetico-nutrizionale ha dimostrato di influenzare direttamente o indirettamente (modulazione dei comuni fattori di rischio quali glicemia, lipidemia, pressione arteriosa) l’aterogenesi vascolare, con un effetto non ben definito sulla prevenzione cardiovascolare, per la difficoltà di valutare l’impatto specifico dei singoli elementi della dieta17,18. Le modifiche comportamentali con maggiore effetto sui lipidi plasmatici (colesterolo totale e C-LDL) sono costituite dalla riduzione di grassi saturi e del colesterolo nella dieta, dall’incremento di fibre, di prodotti ricchi in fitosteroli, a base di riso rosso, oltre che dalla riduzione del peso corporeo/incremento dell’attività fisica. La dieta mediterranea, caratterizzata da elevato consumo di frutta, vegetali, cereali integrali, legumi, noci, pesce, olio extravergine d’oliva e prodotti a basso contenuto calorico, ha dimostrato un’influenza significativa in termini di riduzione dei fattori di rischio e prevenzione cardiovascolare19,20. Gli acidi grassi mono- e polinsaturi hanno dimostrato di poter ridurre i valori ematici di C-LDL, se sostituiti nella dieta a quelli saturi, seppur con evidenze contrastanti. L’assunzione giornaliera di colesterolo dovrebbe comunque essere ridotta al di sotto dei 300 mg/die, specie in pazienti con alterato profilo lipidico.







STRATEGIE DI TRATTAMENTO A DISPOSIZIONE

La terapia con statine rappresenta tuttora il “gold standard” per il trattamento della dislipidemia nel paziente con cardiopatia ischemica. Il paziente, al momento della dimissione, avrà quindi già impostato una strategia di trattamento che dovrà poi essere gestita in maniera ottimale sul territorio con periodici controlli del profilo lipidico e follow-up clinico relativo alla tolleranza al farmaco, al fine di impostare un percorso di gestione “sartoriale” adatto al singolo paziente21. Nel caso in cui il profilo lipidico non risulti ottimale o la terapia in atto sia scarsamente tollerata, l’utilizzo di medicinali in associazione o dell’avvio dei nuovi farmaci inibitori della proproteina della convertasi subtilisina/kexina tipo 9 (PCSK9) risultano d’obbligo per una corretta gestione del nostro paziente.

Statine

Le statine, tra i farmaci più studiati nell’ambito della prevenzione cardiovascolare, riducono la sintesi epatica di colesterolo inibendo l’attività dell’HMG-CoA reduttasi, con conseguente iperespressione dei recettori LDL degli epatociti ed aumentata ricaptazione del colesterolo plasmatico. Altri effetti antinfiammatori e antiossidanti delle statine, definiti “pleiotropici”, sono emersi da alcuni studi con potenziali azioni sulla prevenzione cardiovascolare22,23.

Numerosi trial clinici nell’ambito del trattamento ipolipemizzante hanno evidenziato i benefici della terapia statinica ad alte dosi in pazienti con sindrome coronarica acuta. In diversi studi questi farmaci hanno dimostrato di prevenire l’aterosclerosi, di rallentarla o di favorirne la regressione, con conseguente riduzione della morbilità e mortalità correlate.

Il grado di riduzione del C-LDL da parte delle statine è dose-dipendente, varia tra le diverse molecole (maggiore per atorvastatina, simvastatina e rosuvastatina) oltre che da paziente a paziente, sia per variabilità genetica interindividuale che per scarsa compliance al trattamento (come emerso da trial clinici e metanalisi)24,25.

Nella metanalisi della Cholesterol Treatment Trialists’ Collaboration, che ha riunito più di 170 000 pazienti da 26 trial, è stata riportata una riduzione di mortalità da tutte le cause del 10% e di mortalità cardiovascolare del 20%, per ogni mmol/l (40 mg/dl) di riduzione di C-LDL, prevalentemente nelle classi di pazienti a più alto rischio cardiovascolare26. Il beneficio clinico ottenuto dipende strettamente dall’entità di questa riduzione.

In un approccio terapeutico mirato al paziente, bisognerebbe sempre valutare il profilo di rischio cardiovascolare iniziale ed identificare l’obiettivo terapeutico, ossia il valore soglia di C-LDL da raggiungere e la percentuale di riduzione richiesta, così da poter selezionare farmaco e dosaggio più indicati.

Secondo le più recenti linee guida delle Società Europee di Cardiologia ed Aterosclerosi sulla gestione delle dislipidemie, le statine dovrebbero essere prescritte alla dose massima tollerata dal paziente, al fine di raggiungere il target di C-LDL specifico9. I pazienti con pregressa cardiopatia ischemica devono essere considerati a rischio molto alto, e quindi con un target ottimale di C-LDL <70 mg/dl, o di riduzione di C-LDL ≥50%. In questa classe di pazienti il trattamento farmacologico è sempre fortemente raccomandato (classe I/B) quando la concentrazione di C-LDL supera i 100 mg/dl, mentre può essere preso in considerazione anche per valori <70 mg/dl.

Questi valori target (LDL <70 mg/dl o colesterolo non-HDL <100 mg/dl) rappresentano un obiettivo fondamentale da raggiungere e mantenere nel follow-up a lungo termine dei pazienti post-sindrome coronarica acuta.

Se la dose massima tollerata di statina non è in grado di raggiungere l’obiettivo target si può ricorrere ad associazioni farmacologiche.

Gli effetti collaterali più diffusi di questa classe di farmaci sono i disturbi muscolari, che vanno dal dolore (mialgia) senza modifiche della creatinchinasi con una frequenza del 5-15%, fino a forme meno comuni ma ben più gravi di rabdomiolisi (aumento da 10 a 40 volte della creatinchinasi), necrosi muscolare e mioglobinuria con casi estremi di insufficienza renale terminale ed exitus. La diagnosi di mialgia è solitamente clinica, i sintomi sono generici ma si risolvono alla sospensione della statina. Nei pazienti a più alto rischio cardiovascolare la diagnosi dovrebbe essere supportata da positività degli esami strumentali e di laboratorio, prima di sospendere la terapia; una valida alternativa in questi pazienti consiste nel ricorrere a dosaggi inferiori ma tollerati di statine, opportunamente embricati con un inibitore dell’assorbimento del colesterolo o, se possibile, con un inibitore di PCSK9 (v. avanti).

Altri effetti avversi descritti possono essere un lieve rialzo dell’alanina aminotransferasi, indice di danno epatico, seppur non clinicamente rilevante, e un rischio (relativo 9%, assoluto 0.2%) di sviluppare diabete mellito di tipo 2. Tuttavia, il beneficio delle statine in termini di prevenzione cardiovascolare supera nettamente l’importanza di questi effetti indesiderati secondari.

In caso d’intolleranza alle statine è possibile considerare l’impiego di farmaci alternativi (acido nicotinico, sequestranti biliari, ecc.) seppur con minore probabilità di raggiungere i valori target.

Ezetimibe

L’ezetimibe inibisce l’assorbimento intestinale del colesterolo proveniente dalla dieta e di quello biliare, aumentando di conseguenza l’espressione dei recettori LDL epatici con richiamo del colesterolo plasmatico.

Il trial IMPROVE-IT ha arruolato una popolazione di 18 144 pazienti con pregressa sindrome coronarica acuta. Nel gruppo trattato con l’associazione di statina ed ezetimibe è stata evidenziata una riduzione significativa di eventi cardiovascolari e di ictus al follow-up a 7 anni27.

Il trattamento con ezetimibe deve essere preso in considerazione sia in caso di intolleranza alle statine, sia quando la loro somministrazione alla dose massima raccomandata o tollerata non consenta il raggiungimento dei valori di C-LDL target. Questa associazione (separatamente o in forma precostituita) è stata recepita dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) nella Nota 13, per i pazienti in prevenzione secondaria non a target con monoterapia, dimostrando di potenziare in maniera significativa la riduzione dei valori ematici di colesterolo28.

Resine sequestranti gli acidi biliari

Colestiramina, colestipolo e la più recente colesevelam sono resine capaci di legare gli acidi biliari e sequestrarli dalla circolazione enteroepatica. L’aumentata produzione di bile nel fegato per sostituire quella dispersa (utilizzando le riserve di colesterolo epatico per la sintesi degli acidi biliari), porta a un aumento di espressione dei recettori LDL con conseguente riduzione del C-LDL circolante, fino al 18-25% in alcuni studi.

I principali effetti indesiderati di questa classe di farmaci sono gastrointestinali, soprattutto nausea, dispepsia, flatulenza o costipazione. Alcuni accorgimenti per migliorare la compliance dei pazienti consistono nell’assunzione di abbondanti quantità di acqua con il farmaco e nell’incremento graduale della dose in fase iniziale.

Inibitori di PCSK9

La proproteina PCSK9 è coinvolta nel catabolismo dei recettori LDL, destinati alla ricaptazione del C-LDL dal sangue all’epatocita. Questa nuova classe di farmaci, costituita da anticorpi monoclonali, tramite la riduzione dei livelli plasmatici di PCSK9, causa un aumento dell’espressione dei suddetti recettori con conseguente ricaptazione e riduzione del C-LDL plasmatico29.

Gli inibitori di PCSK9 (attualmente disponibili alirocumab ed evolocumab) hanno dimostrato di ridurre fino al 60% del C-LDL plasmatico, indipendentemente dalla coesistenza di altra terapia ipolipemizzante, con una riduzione proporzionale degli eventi cardiovascolari confermata sia dai trial di fase 3 (FOURIER ed ODYSSEY LONG TERM) che da successive metanalisi30-33.

La modalità di assunzione mediante iniezione sottocutanea ogni 2 settimane rende l’interazione con altri farmaci pressoché assente, mentre gli unici effetti indesiderati riguardano la dolenzia in sede di puntura o sintomi simil-influenzali (Tabella 2).

PREVENZIONE SECONDARIA

Nella Figura 3 è riportata una flow-chart farmacologica finalizzata ad un monitoraggio accurato e al trattamento intensivo della dislipidemia.







RIASSUNTO

La dislipidemia risulta uno dei principali fattori di rischio della malattia cardiovascolare aterosclerotica che rappresenta a tutt’oggi la prima causa di morte e disabilità nei paesi ad alto grado di sviluppo socio-economico. Numerosi trial clinici e metanalisi hanno infatti dimostrato negli ultimi decenni come una terapia ipolipemizzante mirata alla riduzione dei livelli di colesterolo (principalmente LDL) migliori l’outcome clinico dei pazienti affetti da aterosclerosi sia in termini di mortalità che di morbilità per cause cardiovascolari e sia in prevenzione primaria che secondaria. Le linee guida delle principali Società Scientifiche americane ed europee raccomandano l’impiego di un corretto stile di vita e di una terapia ipolipemizzante ottimale in tutti i pazienti che hanno in anamnesi un evento cardiovascolare documentato. Il presente documento mira a descrivere la dimensione del problema e le possibilità terapeutiche a disposizione, presentando una flow-chart farmacologica finalizzata ad un monitoraggio accurato e al trattamento intensivo della dislipidemia in questa categoria di pazienti.

Parole chiave. Dislipidemia; Colesterolo LDL; Prevenzione secondaria; Terapia ipolipemizzante.

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