L’angiografia coronarica rimane ancora la più importante tecnica per lo studio e la terapia della cardiopatia ischemica. Da alcuni anni l’ultrasonografia intracoronarica (IVUS) rappresenta una nuova metodica diagnostica e terapeutica nel laboratorio di emodinamica e permette di avere informazioni aggiuntive circa la morfologia della placca aterosclerotica. Questa tecnica deve essere considerata supplementare e non alternativa alla coronarografia. Scopo di questo articolo è la descrizione di materiali, tecnica di esame ed interpretazione diagnostica delle immagini IVUS e delle sue applicazioni terapeutiche alla luce di una completa revisione della recente letteratura e dalle esperienze del nostro Centro.
L’IVUS valuta la progressione della placca aterosclerotica che si manifesta con un aumento dello spessore intimale e permette una parziale caratterizzazione della composizione della placca aterosclerotica. Dal confronto con studi istopatologici emerge il fatto che una bassa ecodensità all’IVUS è correlata con la presenza di materiale altamente cellulare (ad esempio restenosi) di trombo o di placca ricca di lipidi; placche fibrose o fibrocalcifiche al contrario, presentano più elevata ecodensità simile o superiore a quella dell’avventizia, ed il fenomeno dello “shadowing” e della riverberazione identifica la presenza della calcificazione. Il rimodellamento coronarico, positivo quando si manifesta una dilatazione compensatoria da parte della parete del vaso, inverso, o negativo, se accompagnato da una riduzione critica del lume vasale totale, non può essere riconosciuta con l’angiografia, ma è ben identificato con l’IVUS. Il rimodellamento positivo si manifesta nel 35-50% dei casi, e si associa più frequentemente a infarto miocardico o angina instabile, mentre il rimodellamento negativo è relativamente più raro (15-34% dei casi) ed è tipico della restenosi dopo angioplastica coronarica.
Stenosi ostiali o in sede di biforcazioni vasali sono mal valutabili per incuneamento del catetere guida o sovrapposizione di branche. L’IVUS non soffre di queste limitazioni e può risolvere il dilemma di stenosi angiograficamente di gravità intermedia o di lesioni ambigue. Nel paziente sottoposto a trapianto cardiaco l’IVUS fornisce informazioni sulla progressione della malattia coronarica più precocemente rispetto all’angiografia. La presenza o assenza di significativa iperplasia intimale 1 anno dopo trapianto è indice con valore prognostico indipendente.
Lo studio ultrasonografico può essere eseguito con sicurezza nella gran parte dei casi e permette di valutare la composizione della placca, la sua eccentricità e lunghezza, modificando considerevolmente le strategie di trattamento. Questa informazione si traduce in un miglioramento del risultato finale, con un risparmio complessivo di tempo e costo di materiale per la scelta più adeguata di diametro e lunghezza del pallone e dello stent. Dopo angioplastica la presenza di dissezioni residue è mal evidenziata da una tecnica planare come l’angiografia che spesso mostra solo un aspetto di opacizzazione incompleta con contorni indistinti e piccoli difetti di riempimento. Questa limitazione non è presente con l’IVUS che permette di determinare con precisione la placca residua ed il diametro luminale minimo, elementi predittivi di restenosi. I dati IVUS dei vari trial di aterectomia direzionale concordano sul fatto che la restenosi angiografica si riduce con l’uso di protocolli più aggressivi e con l’ottenimento di un lume più ampio con maggiore rimozione di placca. L’IVUS ha avuto un ruolo fondamentale nel definire la tecnica divenuta routine nell’impianto di stent: l’espansione ad alta pressione. Infatti stent ipoespansi (6-8 atm) portavano ad un’alta incidenza di trombosi intrastent la quale non era tanto legata all’intrinseca trombogenicità della protesi quanto all’imperfetta espansione della protesi ed al mancato accollamento alla parete vasale. L’IVUS ha dimostrato che la restenosi intrastent è dovuta alla proliferazione intimale all’interno o ai bordi dello stent, mentre lo stent non ha recoil a distanza.
In conclusione, nessuno può negare un ruolo essenziale dell’IVUS come metodo di ricerca ideale nella quantizzazione in vivo della proliferazione intimale delle coronarie, con applicazione nella valutazione del meccanismo di interventi di angioplastica e restenosi e nello studio della progressione della malattia coronarica. L’IVUS, però, non riesce ancora a mutare da tecnica di “ricerca” a metodo di frequente applicazione clinica anche per l’assenza o i risultati contraddittori degli studi randomizzati e permane discordanza relativamente all’utilità del suo uso routinario nell’angioplastica.