È ormai ampiamente dimostrato come la terapia dell’ipertensione arteriosa sia in grado di ridurre il rischio di mortalità e morbilità cardiovascolare sia nel soggetto giovane che nell’anziano. In letteratura c’è ampio consenso sull’importanza singola e combinata della pressione arteriosa sistolica, diastolica e pulsatoria o differenziale come fattori di rischio cardiovascolare indipendenti.
L’obiettivo terapeutico nei pazienti ipertesi è quello di ottenere la massima riduzione del rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare. Ciò implica il trattamento ottimale della pressione arteriosa e la riduzione degli eventuali fattori di rischio aggiuntivi. Mentre c’è ampia concordanza nel trattare il rischio individuale e le eventuali condizioni cliniche associate, rimangono ancora dubbi sulla classe farmacologica da scegliere per trattare l’ipertensione arteriosa diastolica, sistolica, l’alta differenziale o combinazioni di queste forme.
Il JNC VI indica come farmaci di prima scelta i betabloccanti ed i diuretici, che figurano comunque anche nelle linee guida WHO-ISH in prima linea insieme però ai calcioantagonisti, ACE-inibitori, antagonisti dell’angiotensina II ed alfabloccanti. L’efficacia ipotensiva è sovrapponibile per le varie classi con variazioni individuali, mentre è molto diversa la tollerabilità e di conseguenza la compliance farmacologica
Tutte le classi farmacologiche hanno ampiamente dimostrato la loro efficacia nel ridurre il rischio cardiovascolare nell’ipertensione quando paragonati al placebo. Nei confronti tra le varie classi farmacologiche sussistono invece delle importanti differenze. I diuretici ed i betabloccanti seppur gravati da effetti collaterali si sono sempre dimostrati efficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare oltre che le varie forme di ipertensione arteriosa. Gli ACE-inibitori hanno ampiamente documentato la loro efficacia in pazienti complicati da scompenso cardiaco e diabete. I calcioantagonisti si sono dimostrati utili nella prevenzione dello stroke con risultati contrastanti per la cardiopatia ischemica. Gli alfabloccanti hanno dato risultati negativi nei pazienti con scompenso cardiaco, mentre risultano efficaci specie nelle ipertensioni prevalentemente diastoliche del giovane. Gli antagonisti dell’angiotensina II risultano efficaci e ben tollerati, ma mancano ancora dati sufficientemente validati nei confronti delle altre classi farmacologiche.