Razionale. Scopo dello studio è stato quello di confrontare i risultati del protocollo classico di cardioversione della fibrillazione atriale (FA) con shock monofasico con un nuovo protocollo con shock bifasico. Secondo scopo del lavoro è stato valutare l’eventuale danno miocardico da shock bifasico.
Materiali e metodi. Centosessantaquattro pazienti, con FA persistente e refrattaria a cardioversione farmacologica (208 episodi di FA) erano stati sottoposti, durante trattamento farmacologico, a: gruppo A, shock bifasico in base al peso corporeo (50 J se < 60 kg, 70 J se tra 61 e 84 kg e 100 J se > 84 kg); il secondo e il terzo shock erano rispettivamente di intensità doppia e tripla rispetto al primo; e gruppo B, shock monofasico sequenziale di 200, 300 e 360 J. In caso di recidiva il paziente rimaneva nello stesso gruppo. Nei pazienti del gruppo A è stata valutata la troponina I basale ed a 6, 12 e 24 ore dalla cardioversione.
Risultati. I due gruppi erano simili per quanto riguarda l’età, il sesso, il peso corporeo, le dimensioni dell’atrio sinistro, la frazione di eiezione, la cardiopatia sottostante, la durata della FA ed i farmaci antiaritmici. La percentuale di cardioversioni efficaci era del 92% con shock bifasico e 89% con shock monofasico. Si sono avute le seguenti percentuali di cardioversione efficace al primo, secondo e terzo shock: gruppo A 57, 89, 99% e gruppo B 22, 71, 100%. La troponina I, valutata nel gruppo A, non ha avuto un incremento significativo.
Conclusioni. L’impiego dello shock bifasico consente l’utilizzo di minore intensità di corrente rispetto allo shock monofasico con percentuali di efficacia totale paragonabili. Lo shock bifasico consente inoltre una maggiore percentuale di successo con l’impiego degli shock alle più basse energie. L’analisi della curva di troponina I nei pazienti sottoposti a cardioversione con shock bifasico ha escluso danno miocardico indotto dalla procedura in questi pazienti.