La rottura di cuore rappresenta una complicazione dell’infarto catastrofica e generalmente inaspettata (anche se non sempre imprevedibile), tanto da essere stata definita come una vera e propria sfida per il cardiologo ospedaliero. Infatti non esistono strumenti sufficientemente attendibili per prevedere nel singolo paziente l’imminenza dell’evento, mentre la diagnosi precoce, possibile grazie alla combinazione di criteri clinici ed ecocardiografici, consente di modificare la prognosi solo in una minoranza dei casi, non potendo dunque essere considerata una soluzione soddisfacente del problema. Partendo da questi presupposti, la sfida è destinata a risolversi sfavorevolmente per il cardiologo.
In questo contesto appare particolarmente significativa l’osservazione che i pazienti trattati con angioplastica coronarica primaria presentano bassissima incidenza di rottura di cuore. L’angioplastica primaria (diversamente dalla trombolisi sistemica) sembra dunque in grado di prevenire la rottura di cuore, a condizione che venga opportunamente impiegata. La sfida nei confronti della rottura di cuore postinfartuale potrà infatti essere vinta nella misura in cui sarà possibile sottoporre ad angioplastica primaria anziché a trombolisi sistemica i pazienti con infarto miocardico acuto suscettibili di trattamento riperfusivo, almeno fino a quando non siano disponibili nuovi presidi farmacologici di ricanalizzazione che consentano un analogo effetto protettivo.