Fibrillazione atriale (FA) e scompenso cardiaco (SC) sono due malattie diffuse e spesso coesistenti, sia perché condividono analoghe situazioni patologiche antecedenti, sia perché ognuna di esse può in modo diretto portare all’altra.
La FA viene oggi ritenuta il risultato dell’interazione di elementi patogenetici di profilo differente (elettrici, anatomici, funzionali) che si intersecano in vari modi e con varia importanza. L’aritmia causa modificazioni elettriche e anatomiche del miocardio atriale, che favoriscono la sua cronicizzazione. Essa influenza inoltre in modo negativo la funzione dei ventricoli: l’assenza di contrazione atriale si traduce in una significativa riduzione di portata cardiaca; l’irregolarità del ciclo RR influenza negativamente la meccanica della contrazione; l’elevata frequenza può portare alla tachicardiomiopatia. È dimostrato che una FA rapida e persistente che insorga in un cuore anche originariamente privo di alterazioni può costituire il fattore causale unico di una disfunzione ventricolare che, se non trattata, può portare allo SC.
Lo SC è la via finale comune di situazioni di base differenti, accomunate dalla presenza di una disfunzione ventricolare, che causa l’attivazione di una serie di meccanismi neuroendocrini i quali se da un lato attenuano le conseguenze negative della disfunzione ventricolare, dall’altro lato esercitano effetti miocardiotossici (rimodellamento, apoptosi, aritmie), che aggravano la disfunzione stessa, dando luogo ad un circolo vizioso che porta alla sindrome clinica dello scompenso cardiaco. Tra le aritmie che complicano lo SC, la FA è la più frequente. La particolare tendenza dello scompenso a sviluppare FA ha diverse motivazioni: a) la dilatazione atriale tipica dello scompenso aumenta la“massa critica”; b) lo “stretch” atriale favorisce la comparsa di automatismo patologico e riduce in modo disomogeneo la velocità di conduzione; c) l’attivazione neuroendocrina tipica dello scompenso incrementa l’automatismo atriale, accorcia i periodi refrattari delle miocellule, incrementa la fibrosi interstiziale; d)nello SC vi è una sostanziale “ristrutturazione” della matrice extracellulare, con incremento di collagene, il che favorisce blocchi di conduzione locali e fenomeni di rientro.
Tra FA e SC c’è pertanto una sorta di intreccio assimilabile ad un vero e proprio circolo vizioso nel quale è spesso difficile, nel singolo caso, individuare il punto di partenza.
Dai dati finora disponibili emerge che il peso prognostico della FA nello SC è funzione della severità della compromissione funzionale: così nello SC severo la FA non ha un impatto aggiuntivo sulla mortalità; nello SC lieve o moderato, al contrario, la presenza di FA peggiora ulteriormente la prognosi.
La gestione terapeutica della FA nello scompenso è condizionata da un lato dalle già esposte considerazioni prognostiche e dall’altro dalle evidenze disponibili, circa la sostanziale sovrapponibilità dell’outcome in una popolazione numerosa e variegata di pazienti in larga parte cardiopatici, gestiti con le due strategie, “rhythm control” vs “rate control”. Essa può beneficiare della cosiddetta “non channel target therapy”.