Allo scopo di migliorare la capacità di stima del rischio cardiovascolare si osserva la continua ricerca di nuovi marcatori di rischio, tra i quali il più promettente sembra essere il dosaggio della proteina C-reattiva (PCR). Sistemi di valutazione del rischio cardiovascolare, quali il Reynolds score, che integrino il dosaggio della PCR in aggiunta ai classici fattori di rischio cardiovascolare hanno dimostrato di migliorare la capacità di individuare soggetti a maggior rischio, da sottoporre ad interventi più efficaci di prevenzione cardiovascolare. L’ipotesi di utilizzo della PCR come guida in prevenzione primaria è stata testata per la prima volta nello studio JUPITER, ampio trial randomizzato di confronto tra rosuvastatina 20 mg e placebo, consentendo l’ingresso al trial esclusivamente sulla base dell’esistenza di uno stato infiammatorio (PCR >2 mg/l), prescindendo dalla presenza dei classici fattori di rischio cardiovascolare (LDL <130 mg/dl). L’utilizzo di rosuvastatina 20 mg rispetto al placebo ha determinato una riduzione significativa dell’endpoint primario composito (mortalità cardiovascolare, infarto miocardico, ictus ischemico, ospedalizzazione per angina instabile e rivascolarizzazione miocardica), confermando anche in prevenzione primaria l’esistenza di una relazione continua tra riduzione dei valori di colesterolo e beneficio clinico. L’elevata prevalenza di sindrome metabolica nella popolazione del trial conferma l’esistenza di un legame tra questa condizione e la presenza di uno stato infiammatorio e l’elevata incidenza di eventi verificatisi nel gruppo placebo suggerisce un ruolo importante rivestito dalla PCR nell’individuare soggetti a maggior rischio cardiovascolare. La maggiore riduzione di eventi cardiovascolari si è verificata nel sottogruppo di pazienti che raggiungevano contemporaneamente il “doppio target”, lipidico ed infiammatorio, analogamente a quanto riportato dallo studio PROVE IT-TIMI 22 in un contesto di prevenzione secondaria. La presenza di uno stato infiammatorio può consentire di individuare pazienti con una maggiore vulnerabilità nei quali la terapia con statine sia in grado di determinare un beneficio maggiore, riducendo oltre che il colesterolo LDL anche lo stato infiammatorio e conseguentemente gli eventi clinici cardiovascolari.