La rottura di cuore è una complicanza fatale dell’infarto del miocardio e può interessare con maggior frequenza la parete libera del ventricolo sinistro, il setto interventricolare ed il muscolo papillare, ma anche la parete libera del ventricolo destro e più raramente l’atrio. Questa complicanza è responsabile del 10-15% delle morti ospedaliere dopo infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST. Età avanzata, sesso femminile, primo infarto ed ipertensione (nella fase acuta dell’infarto) sono i più importanti fattori di rischio di rottura cardiaca. Essa si verifica tipicamente tra 4 e 7 giorni dopo l’infarto ma può manifestarsi entro la prime 24-48h, specialmente in pazienti sottoposti a terapia fibrinolitica ed in cuori che presentano le seguenti caratteristiche: 1) recente occlusione coronarica, 2) necrosi transmurale, 3) ridotto sviluppo di circoli collaterali e 4) minima o assente fibrosi miocardica. La rottura va sospettata in presenza di destabilizzazione emodinamica improvvisa e rapidamente progressiva. Quindi, dopo una rapida diagnosi e stabilizzazione, il paziente può essere operato. L’alto tasso di mortalità tra 5 e 14 giorni dopo l’infarto giustifica l’urgenza del trattamento chirurgico che prevede infartectomia ed utilizzo di patch in Dacron e colle biologiche. Anche strategie percutanee sono state recentemente utilizzate in pazienti con alto rischio chirurgico. A seguire sono descritte le tecniche chirurgiche della rottura di cuore di più frequente utilizzo. Attualmente una diagnosi precoce e il trattamento chirurgico sono cruciali per un risultato favorevole.