In questo numero

editoriali

Linee guida nord-americane sulle sindromi coronariche acute: analisi critica rispetto a quelle europee

Stefano Savonitto e Stefano De Servi presentano un’interessantissima analisi critica delle recenti linee guida nord-americane sulle sindromi coronariche acute, in particolare focalizzate sull’infarto miocardico di tipo 1. Gli autori sottolineano alcuni aspetti comuni, ma anche altri divergenti, rispetto alle linee guida europee, sempre in un’ottica di impatto sulla pratica clinica. È evidente che le linee guida nord-americane godono, rispetto a quelle europee, del fatto di essere state prodotte più di recente, potendo quindi utilizzare i risultati di importanti recenti trial, come quello sulla pompa microassiale (Impella) nello shock cardiogeno. Gli autori segnalano il fatto che le linee guida nord-americane, rispetto a quelle europee, tendono a presentare le loro raccomandazioni, nel 25% dei casi con livello di evidenza A (LoE A), in assenza di un’estesa analisi e discussione dell’evidenza scientifica a supporto. Tra gli aspetti da segnalare, il suggerimento di una rivascolarizzazione completa nei pazienti con STEMI e lesioni multivasali ovviamente in assenza di shock cardiogeno. Un aspetto un po’ discutibile è quello di avere posto in LoE A la duplice terapia antiaggregante per 12 mesi in assenza di alto rischio emorragico, ma di aver posto in LoE A anche la doppia terapia antiaggregante per solo 1 mese in pazienti non necessariamente definibili ad alto rischio emorragico. •

Lo studio SOUL con semaglutide: analisi critica

Giuseppe Patti e Luca Cumitini presentano un’analisi critica dello studio SOUL, recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine. Si tratta di uno studio di superiorità, in cui 9650 pazienti di età ≥50 anni con diabete mellito di tipo 2 e precedente malattia cardiovascolare o renale cronica sono stati randomizzati a semaglutide per via orale o placebo “on top” della terapia di base e seguiti in media per oltre 4 anni. La semaglutide ha significativamente ridotto, del 16% (p=0.006), il rischio dell’endpoint primario composito costituito da morte cardiovascolare, infarto non fatale o ictus non fatale. È interessante notare che la riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori nel gruppo semaglutide si verifica piuttosto precocemente, prima ancora che il farmaco abbia ridotto in misura importante il peso corporeo. Gli autori fanno notare che questo aspetto supporta le numerose evidenze sperimentali secondo le quali questo farmaco, della famiglia degli agonisti del glucagon-like peptide-1, potrebbe esercitare effetti importanti ai fini della riduzione del rischio cardiovascolare (effetti antinfiammatori, miglioramento della funzione endoteliale, riduzione dello stress ossidativo, effetti antipertensivi, ecc.). •

intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale anche nei trial clinici?

Sappiamo bene quanto i trial clinici tradizionali siano complessi, di lunga durata, costosi e spesso poco rappresentativi della popolazione generale. L’avvento dell’intelligenza artificiale (IA) non poteva non trovare applicazioni anche nel settore della ricerca clinica ed in particolare in quello dei trial clinici controllati randomizzati. Christian Basile et al. presentano un’interessantissima rassegna che ci aiuta a capire in che modo l’IA possa in qualche modo entrare nel campo della trialistica. L’IA può essere utilizzata in ciascuna delle varie fasi di pianificazione ed esecuzione di un trial clinico randomizzato, e per ciascuna di queste fasi l’IA ha indubbiamente caratteristiche positive ma anche potenzialmente negative, se non addirittura pericolose in termini di interpretazione finale dei risultati. In generale, l’IA è in grado di leggere database immensi, selezionando i pazienti potenzialmente più idonei ad un trial con la massima precisione sulla base di varie caratteristiche, incluso ovviamente tutto ciò che è imaging (ECG, radiografia, ecocardiografia, ecc.). L’IA è anche potenzialmente in grado di definire i gruppi randomizzati di pazienti da seguire nel tempo, alla ricerca di eventi cardiovascolari maggiori. Da questo punto di vista, l’IA può servirsi di tecniche di monitoraggio remoto (ECG, tecniche di misurazione pressoria, ecc.). Come sottolineato dagli autori, esistono vari problemi non solo tecnici, ma anche di natura etica e legale, da chiarire con la massima accuratezza. •

questioni aperte

Ricercare l’ischemia per interpretare i sintomi, non per decidere la rivascolarizzazione: un cambio di paradigma

Lo studio ISCHEMIA ha cambiato il paradigma terapeutico della sindrome coronarica cronica, dimostrando che la rivascolarizzazione non migliora la prognosi cardiovascolare (endpoint composito primario di morte, infarto miocardico, rivascolarizzazione ripetuta, angina) rispetto alla terapia medica ottimizzata in pazienti con ischemia moderato-severa e stenosi critiche ma con buon controllo dei fattori di rischio. Pur con limiti metodologici (basso rischio dei pazienti, follow-up breve), il trial ha evidenziato l’inadeguatezza di un approccio interventistico sistematico. Le attuali linee guida americane ed europee raccomandano la rivascolarizzazione solo in casi selezionati: angina ingravescente nonostante terapia medica, malattia del tronco comune, malattia trivasale complessa o coinvolgimento del ramo interventricolare anteriore prossimale. In tutti gli altri pazienti, la strategia preferibile resta la terapia medica finalizzata alla stabilizzazione delle lesioni aterosclerotiche. Stefano Urbinati, nel suo manoscritto, sollecita una riflessione critica, invitando a superare l’automatismo della rivascolarizzazione basata unicamente su criteri anatomici e a rivalutare l’indicazione interventistica caso per caso. •

rassegne

Possiamo abbassare di più il rischio cardiovascolare residuo?

La rassegna di Simona Giubilato e Leonardo De Luca analizza il ruolo promettente dell’icosapent etile nel ridurre il rischio cardiovascolare residuo associato ad alterati livelli plasmatici di lipoproteine ricche in trigliceridi. Gli autori dapprima analizzano la relazione tra rischio cardiovascolare, trigliceridemia e il colesterolo delle lipoproteine “remnant” (ricche in trigliceridi). Successivamente passano in rassegna in maniera molto dettagliata le evidenze scientifiche a supporto di icosapent etile. In particolare, vengono analizzati i risultati molto soddisfacenti dello studio REDUCE-IT, che ha dimostrato come questo estere stabile altamente purificato dell’acido eicosapentaenoico riduca gli eventi cardiovascolari nei pazienti con moderata ipertrigliceridemia a rischio molto alto o alto con diabete. Tale riduzione risulta essere molto “robusta” (quasi del 5% in termini di rischio assoluto) a fronte di un profilo di sicurezza estremamente favorevole (NNH a 5 anni superiore a 2000!). Gli autori arricchiscono la pubblicazione illustrando i presunti meccanismi molecolari e cellulari responsabili degli effetti benefici dell’icosapent etile e proponendo una puntuale “place in therapy” della molecola alla luce della normativa AIFA recentemente promulgata. •

Nuovi farmaci per lo scompenso cardiaco: e il rene?

La malattia renale cronica, il diabete mellito e lo scompenso cardiaco rappresentano tre condizioni croniche strettamente interconnesse tra loro da un punto di vista fisiopatologico, tanto da coniare il termine di “sindrome cardio-renale-metabolica”. Ognuna di esse aumenta il rischio di insorgenza e di progressione delle altre, determinando un circolo vizioso che esita in un aumento del numero di ospedalizzazioni e mortalità dei pazienti che ne sono affetti. A nome dell’Area Cardiorenale e Metabolica e dell’Area Scompenso Cardiaco ANMCO, Manuela Benvenuto et al. riassumono le evidenze a disposizione riguardo l’efficacia degli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 e gli antagonisti dei recettori dei mineralcorticoidi non steroidei. Queste nuove classi farmacologiche hanno infatti dimostrato di ridurre gli eventi cardiovascolari, l’incidenza e la progressione dello scompenso cardiaco e della malattia renale cronica. •

Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: è tutto chiaro?

La cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva è una malattia genetica che provoca l’ispessimento del muscolo cardiaco e può portare a gravi complicanze, tra cui aritmie e insufficienza cardiaca. Il “gold standard” terapeutico è chirurgico e prevede la miectomia settale che consiste nella rimozione parziale del setto ipertrofico. In alcuni casi, ad essa si associa la correzione delle anomalie mitraliche in quanto la valvola mitrale può contribuire all’ostruzione del tratto di efflusso del ventricolo sinistro. Esistono anche tecniche mini-invasive, come la miectomia transapicale, che mostrano risultati promettenti ma necessitano di ulteriori studi. In alternativa, l’ablazione alcolica del setto è una procedura percutanea che riduce lo spessore del setto, ma può esitare nell’impianto di pacemaker e presenta rischi a lungo termine. Altre tecniche includono l’ablazione con radiofrequenza e la stimolazione biventricolare. La terapia medica, come i beta-bloccanti e i calcio-antagonisti, è la prima linea per i pazienti sintomatici. In questo numero del Giornale, Maria Sabrina Ferrante et al. cercano di fare un punto della situazione, chiaro e preciso, sull’attuale panorama terapeutico della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva il cui trattamento dipende, in ultima analisi, dalle caratteristiche individuali del paziente e dall’esperienza del singolo centro. •

Win ratio: potenziali vantaggi e svantaggi di un nuovo metodo statistico

Il win ratio è un innovativo metodo statistico introdotto nel 2012 per l’analisi degli endpoint compositi degli studi clinici randomizzati. La sua capacità di considerare l’importanza clinica dei singoli componenti di un endpoint composito (es. morte ed ospedalizzazione per scompenso) definendo così una gerarchia di eventi sulla base della loro severità, è sicuramente uno dei punti di forza di tale metodologia. Grazie a queste sue caratteristiche, l’utilizzo del win ratio sta progressivamente crescendo, specialmente nei trial di ambito cardiologico. In questa rassegna, Paolo Verdecchia et al., oltre ad illustrare in maniera chiara e dettagliata il funzionamento di questo nuovo metodo statistico, riportano esempi del suo utilizzo in letteratura e confrontano il win ratio con le tradizionali tecniche statistiche “time to event”, permettendo così al lettore di comprendere i vantaggi e gli svantaggi di tale metodologia. •

Alfabetizzazione digitale

Nel contesto sanitario l’alfabetizzazione digitale, ovvero la capacità di comprendere le informazioni derivate dagli strumenti digitali per prendere decisioni appropriate riguardo alla propria salute, ha un impatto sempre più importante su comportamenti e stili di vita, da qui la necessità di promuovere il processo di alfabetizzazione digitale. Maria Teresa Manes et al., dopo aver focalizzato l’attenzione sui mezzi disponibili per conoscere l’attuale livello di competenza nell’impiego di strumenti digitali per scopi legati alla salute, analizzano le evidenze dell’impatto dell’alfabetizzazione digitale sulle modifiche degli stili di vita. Uno sguardo particolare è dedicato al ruolo cruciale che ha avuto l’alfabetizzazione digitale in ambito sanitario durante la pandemia COVID-19, che è stata catalizzatrice della diffusione e dell’utilizzo degli strumenti digitali per condividere informazioni. Infine, la rassegna discute le disparità tuttora esistenti per quanto riguarda l’alfabetizzazione digitale in sanità, disparità anagrafiche e legate al sesso, e riporta alcuni dati sull’impatto che ha l’alfabetizzazione digitale sulla salute cardiovascolare. Come sottolineato da Eugenio Santoro nel suo editoriale di accompagnamento, aumentare le competenze digitali sanitarie significa rendere ogni cittadino capace di partecipare attivamente al proprio percorso di cura dialogando efficacemente con i professionisti sanitari anche attraverso strumenti digitali. •

studio osservazionale

Il rischio cardiovascolare residuo nei pazienti con sindrome coronarica acuta: dati del registro JET-LDL

La moderata ipertrigliceridemia è un’importante componente del rischio cardiovascolare residuo nei pazienti post-sindrome coronarica acuta nonostante l’adeguato controllo del colesterolo LDL e lo studio REDUCE-IT ha dimostrato che questi soggetti traggono un enorme beneficio dal trattamento con icosapent etile. Francesco Maria Sparasci et al. hanno voluto verificare il burden di rischio cardiovascolare residuo secondario all’ipertrigliceridemia nei 1095 individui con sindrome coronarica acuta in terapia ipolipemizzante ottimale, arruolati nel registro JET-LDL, calcolando quanti di essi avrebbero potuto giovarsi della terapia con icosapent etile. Nonostante la riduzione significativa dei trigliceridi osservata dopo 3 mesi, ben il 15.6% dei pazienti rientrava nei criteri di inclusione laboratoristici del REDUCE-IT, ma solo lo 0.2% soddisfaceva i criteri AIFA di rimborsabilità. Tali osservazioni suggeriscono che una porzione non trascurabile dei pazienti del mondo reale con sindrome coronarica acuta presenta un rischio residuo correlato all’ipertrigliceridemia significativo e correggibile. Per contro, gli attuali criteri di rimborsabilità sembrano limitare la possibilità di tali strategie terapeutiche. •

caso clinico

Svelato l’oggetto non identificato…

La pratica medica riserva sempre delle sorprese, perché la varietà di presentazione dei quadri clinici differisce in ogni paziente e spesso ci troviamo di fronte a quadri veramente difficili da decifrare. In questo numero del Giornale, Annita Bava et al. riportano un caso clinico originale in cui un voluminoso aneurisma dell’arteria circonflessa si presenta come massa retroatriale sinistra e responsabile di un quadro clinico di infarto miocardico acuto. Il caso fornisce una brillante iconografia ecografica e tomografica della massa e soprattutto consente di esaminare la letteratura per cercare di avere suggerimenti utili per il trattamento di questa malformazione. Infatti, i dati in letteratura sono discordanti, vanno da un atteggiamento conservativo ai tentativi di embolizzazione/chiusura con diversi materiali. •

position paper

Gestione multidisciplinare dei pazienti oncologici portatori di dispositivo da sottoporre a trattamento radioterapico

In questo position paper ANMCO, Maria Laura Canale et al., sulla base delle evidenze scientifiche della letteratura, forniscono una serie di raccomandazioni pratiche ai clinici coinvolti nel continuum di cura dei pazienti oncologici portatori di dispositivi cardiovascolari impiantabili da sottoporre a radioterapia. Gli autori forniscono un’ampia panoramica sull’elettrofisiologia oncologica e sui potenziali danni ai dispositivi derivanti dal trattamento radioterapico. Al fine di ridurre quanto più possibile il rischio di malfunzionamento dei dispositivi si raccomanda una valutazione accurata e completa del tipo di radioterapia, del piano di trattamento e delle problematiche cardiache sottostanti. Vengono approfondite l’importanza della stratificazione preliminare del rischio prima della radioterapia, del corretto timing delle valutazioni cardiologiche durante il trattamento e le più opportune strategie di follow-up. Si sottolinea inoltre come una corretta gestione di questo complesso contesto clinico non possa prescindere da un approccio integrato multidisciplinare tra cardiologi, elettrofisiologi, oncologi, radioterapisti e fisici medici al fine di garantire la massima efficacia e sicurezza del trattamento. •

imaging integrato
online only

Risonanza magnetica cardiaca e tecniche di mapping: insostituibile guida verso la diagnosi corretta

Partendo dal sospetto clinico e dall’ECG, vengono utilizzate in modo sequenziale diverse metodiche di imaging cardiovascolare, evidenziando per ciascuna di esse i pro, i contro e il valore aggiunto nello specifico caso clinico, fino a giungere alla diagnosi corretta e al trattamento più appropriato. •