Legge Gelli-Bianco: bilancio a 5 anni dalla sua emanazione

INTRODUZIONE

Uno degli obiettivi della Legge n. 24/2017 “Gelli-Bianco” (L.24/17) era quello di limitare il fenomeno, ormai diffuso, della medicina difensiva, ovvero l’inadeguata prescrizione da parte dell’operatore sanitario di esami diagnostici, trattamenti ed altre procedure, al solo fine di prevenire qualsivoglia responsabilità personale, seppure ben consapevole dei risvolti economici e sociali di un siffatto abuso delle risorse del Sistema Sanitario Nazionale1-3. Scopo del legislatore era dunque quello di implementare delle linee guida di riferimento nonché buone pratiche clinico-assistenziali, uniformando le procedure mediche, nei limiti del caso specifico, secondo la cosiddetta medicina basata sull’evidenza, proponendosi di ridurre in tal modo il margine di errore4. Tale legge, però, non ha inciso sul regime della responsabilità della struttura sanitaria che era e resta di tipo contrattuale, preservando in tal modo i vantaggi in capo al paziente vittima di errore di malasanità. Tali benefici consistono nel poter richiedere il risarcimento dei danni nel corso del ben più ampio regime di prescrizione decennale, fornendo la mera prova di sussistenza di un contratto di spedalità con la struttura. In tal senso, non si può non apprezzare l’intento di massima valorizzazione del diritto alla salute in capo al cittadino, sia sotto il profilo etico che costituzionale. La L.24/17 disciplina diversamente la responsabilità del sanitario che risponde, invece, a titolo extracontrattuale. Ed è questo il vero profilo innovativo che dovrebbe incidere sulla diversa posizione del sanitario. Lo stesso, infatti, potrà andare esente da condanna laddove il paziente non dimostri il nesso di causalità tra condotta del sanitario ed evento dannoso. In tal modo la L.24/17 dirotta la richiesta risarcitoria del paziente verso la struttura, creando una sorta di argine a protezione della posizione del singolo operatore5. L’obbligo assicurativo gravante sulla struttura sanitaria a copertura del sanitario coinvolto nel sinistro dovrebbe costituire, infine, la “chiusura del cerchio”. Tuttavia, vi sono alcuni punti controversi meritevoli di analisi.

CRITICITÀ E PUNTI CONTROVERSI

L’azione di rivalsa prevista dall’articolo 13

Nella prassi applicativa lo “scudo protettivo” di cui si discute si è dimostrato essere idoneo a limitare solo parzialmente la responsabilità dell’operatore sanitario. La struttura sanitaria, infatti, dopo aver risarcito il danno al paziente – in caso di colpa grave del sanitario – ha titolo per esercitare la cosiddetta azione di rivalsa nei confronti del medico dichiarato responsabile del sinistro che rimane spesso estraneo al contenzioso, senza dunque coltivare difesa alcuna. Trattasi di problema di comunicazione assai rilevante sotto il profilo formale e sostanziale. Al sanitario, infatti, la suindicata volontà di futura rivalsa viene preannunciata dalla struttura a mezzo di una mera comunicazione a mezzo di posta elettronica certificata o raccomandata di contenuto del tutto generico e come tale affatto decifrabile. Si ritiene, pertanto, del tutto inadeguato l’iter ed il meccanismo che consente alla struttura l’introduzione dell’azione di rivalsa in caso di accertata colpa grave del sanitario. Volendone approfondire i passaggi, la L.24/17 prevede espressamente all’articolo 13 “l’obbligo di comunicazione all’esercente la professione sanitaria del giudizio basato sulla sua responsabilità”. Ancora, “le strutture sanitarie e sociosanitarie […] e le imprese di assicurazione […] comunicano all’esercente la professione sanitaria […] l’avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato, con invito a prendervi parte. L’omissione, la tardività o l’incompletezza delle comunicazioni di cui al presente comma preclude l’ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa di cui all’articolo 9”.

Si tratta dell’unico atto a garanzia del sanitario. È in questa fase che al sanitario è dato di:

• inviare la denuncia di sinistro alla propria compagnia per la responsabilità civile professionale (RCP) (per colpa grave);

• confrontarsi con la struttura sanitaria al fine di difendere il proprio operato anche a mezzo di invio di apposita relazione inerente al caso concreto;

• sollecitare la fattiva partecipazione della propria compagnia di RCP alla fase stragiudiziale.

Si da addivenire ad un accordo complessivo, tra struttura sanitaria e paziente, idoneo a scongiurare la futura azione di rivalsa. Il tenore dell’avviso di cui all’articolo 13 della L.24/17 si riduce, tuttavia, a mera “comunicazione di stile” che non tutela, come dovrebbe, le ragioni del sanitario coinvolto. Il sanitario, infatti, ne ignora l’effettiva rilevanza, nonché le stesse conseguenze giuridiche, stante la carenza di qualsivoglia debita e precisa informativa in merito. Oltretutto, la partecipazione spontanea delle compagnie di assicurazione per la RCP del sanitario è fenomeno, ad oggi, raro se non sconosciuto. Le compagnie intervengono solo su chiamata in causa, la quale presuppone, tuttavia, l’avvenuta costituzione in giudizio del sanitario. Si torna dunque al punto di partenza: il sanitario è costretto ad esercitare sin dall’accertamento tecnico preventivo (ATP) le proprie difese e deve farlo con la massima consapevolezza.

La risoluzione transattiva, il giudizio di rivalsa amministrativa ed il ruolo del consulente tecnico d’ufficio

Ulteriore aspetto che merita di essere approfondito è quello che concerne le determinazioni assunte dalla struttura sanitaria relativamente al contenzioso proposto dal danneggiato. Ovvero, in che misura, ed in quale fase, la struttura può (o dovrebbe) avvalersi della risoluzione transattiva in luogo della scelta di proseguire il contenzioso giudiziale in essere? È questo uno snodo fondamentale che incide in modo diretto sulla posizione del sanitario nell’ottica della futura azione di rivalsa. A tale decisione l’azienda ospedaliera dovrebbe, infatti, giungere solo a seguito di una scrupolosa ed approfondita analisi e valutazione del caso concreto. La soluzione transattiva deve risultare oggettivamente vantaggiosa, cioè idonea ad abbattere il rischio di un’eventuale soccombenza giudiziale da cui deriverebbero maggiori esborsi per la pubblica amministrazione. La transazione deve, pertanto, presentare i caratteri della ragionevolezza e dell’economicità, specie laddove si tratti di richieste risarcitorie ingenti. Tali elementi, come ovvio, difettano laddove la richiesta del paziente appaia, sin da subito, come infondata o comunque meritevole di ulteriore approfondimento da parte di un consulente tecnico d’ufficio (CTU). Si tratta di analisi e valutazioni dirimenti che vengono affidate al direttore generale, al responsabile dell’ufficio legale, nonché di medicina legale. Accade purtroppo, tuttavia, che siffatte determinazioni vengano assunte sulla base di ragioni di mera opportunità e di pura convenienza della struttura sanitaria e del proprio assicuratore. Si pensi al caso in cui sia la compagnia assicurativa della struttura a suggerire la transazione, stante la presenza di una franchigia a carico della struttura assicurata. Trattasi allora di scelte basate su motivazioni del tutto disancorate dalla responsabilità del sanitario, in merito alla cui effettiva sussistenza non viene svolta alcuna indagine. Di qui, talvolta, la determinazione della struttura e del proprio assicuratore di definire il sinistro a mezzo di atto transattivo nella piena consapevolezza di poter esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del sanitario. Parlare di criticità ed anomalia del sistema appare riduttivo, soprattutto in considerazione della carenza di linee guida univoche6 ed adeguata definizione dei presupposti (minimi e concreti) della colpa grave, che sancirebbe la legittimità della rivalsa da parte della struttura. All’azione di rivalsa si dovrebbe dare avvio solo nell’acquisita e concreta possibilità di poter dimostrare in giudizio la colpa grave del sanitario, che avvallerebbe l’azione stessa. Le relazioni ministeriali, invero, sono spesso generiche e si fondano su procedimenti istruttori (tra cui gli ATP) ai quali il sanitario spesso neppure ha preso parte causa le criticità testé citate. Ne discende la necessità di implementare, quanto prima, quel modello organizzativo di alta efficienza e competenza della gestione del rischio (clinico in particolare), cosiddetto “risk management”. Trattasi di quello stesso modello fortemente voluto dalla stessa Legge Gelli-Bianco al quale, tuttavia, non si è data, ad oggi, alcuna attuazione7. Infine, è necessario sottolineare l’importanza che ad un ATP prenda parte lo specialista in materia e che sia aggiornato, ma il profilo del consulente del giudice dovrebbe anche essere caratterizzato adeguatamente. Considerato che il CTU rappresenta la figura che rende scientifico il confronto e ne condiziona, a volte in modo determinante, l’esito5, traspare l’esigenza di intervenire sui metodi che attengono ai criteri di selezione, eventualmente anche con il supporto delle varie associazioni professionali.

L’irretroattività della Gelli-Bianco, la “responsabilità solidale” e i limiti della rivalsa

Pacificamente irretroattiva, la L.24/17 si applica solo ai sinistri verificatisi in data successiva alla sua entrata in vigore8. Ben diversa è la posizione del sanitario a seconda che il sinistro sia antecedente o successivo alla stessa. Nel primo caso l’azione di rivalsa da parte della struttura sanitaria, che ha risarcito il sinistro al paziente danneggiato, sarà integrale nei suoi confronti, senza poter invocare l’eventuale assenza della colpa grave. Un divario importante e per certi versi inconcepibile. È intervenuta, pertanto, la Corte di Cassazione per mitigare la marcata differenza determinata dal regime temporale del sinistro. Si tratta della nota sentenza dell’11 novembre 2019 n. 28987 che ha posto il tema del limite quantitativo della rivalsa nei confronti del sanitario. Il caso posto all’attenzione della Cassazione riguardava una domanda di risarcimento di danni richiesta da un paziente nei confronti di una struttura sanitaria privata e di un operatore sanitario in seguito ad intervento di mastoplastica erroneamente eseguito e non rimediato dalle successive operazioni. La Corte d’Appello confermava la sentenza del Tribunale che condannava sia il medico che la struttura al risarcimento dei danni, dichiarandoli solidalmente responsabili per il pagamento. La struttura aveva però dedotto che il danno al paziente era da imputarsi alla sola ed esclusiva responsabilità in capo al medico e che nulla poteva essere imputato alla struttura. Di qui il ricorso in Cassazione ai fini della rivalsa integrale. La Corte, tuttavia, respinge il ricorso, affermando che in forza del “contratto di spedalità”, la struttura è garante della prestazione posta in essere dal medico. A base dell’orientamento citato è l’articolo 7 della legge Gelli-Bianco, che suddivide la responsabilità della struttura sanitaria (pubblica o privata) e quella dell’esercente la professione sanitaria. L’articolo 7 crea dunque un doppio binario risarcitorio, configurando la “responsabilità solidale”, con diritto alla rivalsa in ragione della gravità della colpa dell’operatore sanitario e dell’entità delle conseguenze derivate. La responsabilità civile per l’attività sanitaria lesiva va ricollegata congiuntamente sia al medico per il compimento del fatto dannoso che alla struttura per l’inesatto allestimento dell’organizzazione nella quale si inserisce la prestazione dannosa. Secondo l’articolo 7 la casa di cura risponde “ex contractu” ai sensi degli articoli 1218 (sulla responsabilità cosiddetta “da inadempimento delle obbligazioni”) e 1228 del codice civile (“salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”) per le condotte dolose o colpose del sanitario, della cui opera si sia avvalsa nell’adempimento della prestazione di cura ed assistenza, siano lo stesso dipendente o non dipendente della struttura, ancorché scelto dal paziente, oppure, ancora, esercente la professione sanitaria che opera in regime di intramoenia, o nell’ambito di attività di sperimentazione e ricerca clinica o convenzionato con il sistema sanitario o attraverso la telemedicina. L’articolo in esame ribadisce la natura contrattuale della struttura sanitaria: per effetto del ricovero si conclude tra paziente e struttura un contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria con il quale la seconda si assume l’obbligo di eseguire una molteplicità di prestazioni (diagnostiche, terapeutiche, assistenziali). Nel caso specifico, la sentenza della Cassazione ipotizza tre diverse soluzioni in materia di responsabilità medica, al fine di identificare i limiti dell’azione di rivalsa promossa dalla struttura nei confronti del medico:

• “danno da malpractice addebitato alla sola struttura senza diritto di rivalsa nei confronti del medico, quando la condotta degli operatori si ritenga inserita, senza deviazioni, nel percorso attuativo dell’obbligazione assunta, collocandosi ”tout court” nell’area del rischio dell’impresa sanitaria (questo però contrasterebbe con l’articolo 9 della Gelli-Bianco);

• danno da malpractice addebitata, in sede di rivalsa, al solo sanitario nel caso di colpa esclusiva di quest’ultimo nella produzione dell’evento di danno, con diritto di rivalsa integrale (anche tale soluzione tuttavia è esclusa dalla Gelli-Bianco);

• danno da malpractice ripartito tra struttura e sanitario, anche in ipotesi di colpa esclusiva di quest’ultimo, salvo i casi, del tutto eccezionali, di inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza da quel programma condiviso di tutela della salute (si pensi al sanitario che esegua senza plausibile ragione un intervento di cardiochirurgia fuori della sala operatoria dell’ospedale)”.

Secondo la Corte di Cassazione, la terza ipotesi è quella più conforme alla disciplina normativa in materia di responsabilità medica solidale tra struttura e operatore sanitario. La Cassazione ha quindi precisato che se la struttura si avvale delle opere prestate dal sanitario, in caso di danni cagionati da questo al paziente ne risponde ed è responsabile in relazione al “rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi (l’operatore sanitario) nell’adempimento dell’obbligazione assunta (la prestazione sanitaria)”. Viene inoltre sottolineato che per vincere la presunzione di suddivisione paritaria dell’obbligazione solidale derivante da una corresponsabilità a carico della struttura e del medico, non è sufficiente dimostrare che la prestazione sanitaria è riconducibile esclusivamente alla condotta lesiva dell’operatore, ma spetterà alla struttura dimostrare “non soltanto la colpa esclusiva del medico, ma la derivazione causale dell’evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità”, e quindi portare in giudizio la prova della “responsabilità del medico intesa come grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile malpractice”. In tale caso sarà possibile anche il recupero dell’intera somma pagata dalla struttura. Nel caso trattato dalla sentenza in esame, la Cassazione ha respinto il ricorso promosso dalla struttura, poiché difettava la prova della sussistenza dell’imprevedibile e del tutto dissonante malpractice medica.

Strettamente correlato, l’articolo 9 della Legge Gelli-Bianco chiarisce inoltre il limite qualitativo della rivalsa della struttura sanitaria verso l’operatore, confinata infatti solo al caso di dolo o colpa grave di quest’ultimo. Dunque, il risarcimento corrisposto dalla struttura sanitaria al paziente per colpa lieve del medico, rimane a carico della struttura, che non può esercitare l’azione di rivalsa, ma che invece secondo l’articolo 7 risponde per le condotte dolose e colpose degli operatori, senza alcuna rilevanza del grado di colpa del prestatore (lieve o meno).

La responsabilità penale, l’articolo 590 sexies e la necessità del ragionamento controfattuale

La Legge Gelli-Bianco ha introdotto un articolo distinto per i reati di omicidio e lesioni personali commessi da medici nell’esercizio della propria professione. Si tratta dell’articolo 590 sexies del codice penale, che esclude la punibilità, indipendentemente dal grado di colpa del sanitario, quando l’evento (morte o lesioni personali) si sia verificato nonostante il rispetto delle raccomandazioni previste dalle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali, a condizione che le stesse risultino adeguate alle specificità del caso concreto. Nuovamente però, affiorano più ombre che luci. La norma ammette e non incrimina solo l’imperizia, non la negligenza o imprudenza che invece erano contemplate, per la colpa lieve, dalla precedente Legge Balduzzi9. La Legge Gelli-Bianco regola più approfonditamente l’applicabilità delle linee guida, che rappresentano il metro di valutazione della colpa: l’articolo 6 non fa più distinguo alcuno tra colpa lieve e grave (Tabella 1).

Data la discordanza con la Legge Balduzzi, la Cassazione è intervenuta con tre sentenze fondamentali:

• la sentenza 50078/17 conferma che la causa di non punibilità della L.24/17 opera solo nelle ipotesi di imperita applicazione delle linee guida, indipendentemente dal grado di colpa;

• la sentenza 8770/2017 chiarisce che l’applicazione della causa di non punibilità si applica in caso di imperizia dell’operatore sanitario che si è discostato solo marginalmente dalle linee guida (Tabella 2)10-12;

• la sentenza 28187/17 sottolinea che il rispetto delle linee guida da parte del medico non esclude la punibilità della sua condotta.

Quest’ultima sentenza merita di essere approfondita. Secondo la Cassazione l’articolo 6 non prevede alcuna automatica esenzione da responsabilità: non è sufficiente, per risultare esenti da responsabilità, l’aver osservato le linee guida, che comunque devono essere adeguate al caso concreto e non genericamente invocate. Inoltre, è sottolineata la possibile non applicabilità delle linee guida o raccomandazioni laddove vi siano particolari condizioni del paziente. La colpa, infine, va valutata in concreto e non in astratto, ovvero basandosi sul caso specifico13,14.

La Cassazione provvede a chiarire un ulteriore aspetto della responsabilità medica, in caso di accusa di negligenza. In sostanza e per quanto utile ai fini della revisione: in caso di omicidio o lesioni colpose non vi è automaticamente responsabilità del medico, ed è dunque il giudice a dover dimostrare che la specifica attività chiesta al sanitario se realizzata avrebbe verosimilmente scongiurato o ritardato l’evento lesivo. Tale onere è stato stabilito dalla Cassazione con sentenza 4063 del 2021, riferita a un paziente deceduto per emorragia cerebrale nel 2013, per cui prima dell’entrata in vigore della Legge Gelli-Bianco. Un paziente affetto da cefalea e cervicalgia era trasportato tramite ambulanza in pronto soccorso. A seguito di tomografia computerizzata (TC), il radiologo certificava l’assenza di elementi patologici, per cui il paziente veniva dimesso con prescrizione di terapia analgesica e miorilassante. Successivamente, colpito da un’acuta cefalea finiva in uno stato di coma. Le condizioni si aggravavano nonostante l’intervento chirurgico praticato, con esito mortale dovuto ad emorragia cerebrale. La Corte, condividendo le giustificazioni espresse dal giudice, ha confermato la responsabilità dell’imputato radiologo, osservando che tutti gli specialisti interpellati avevano concordato sull’erronea interpretazione della TC. Aggiungeva, inoltre, che la constatazione di un altro radiologo, che ammetteva di non riuscire ad interpretare correttamente la TC nonostante la considerevole esperienza, dimostrava come l’imputato fosse stato negligente nel rilasciare la certificazione. La negligenza era accresciuta dall’ammissione del ricorrente secondo cui le immagini radiologiche fossero inadeguate, per cui solo un radiologo esperto e specializzato avrebbe potuto individuare la patologia. “Fatta tale premessa, occorre rilevare come la Corte territoriale, nella disamina dei fatti, non abbia offerto un quadro soddisfacente della vicenda nella parte in cui si è occupata di illustrare gli aspetti riguardanti i profili di colpa emergenti in capo al sanitario, il rapporto di causalità tra condotta ed evento, il giudizio controfattuale”. La Cassazione sottolinea che la motivazione aveva tralasciato di indicare:

• se il caso concreto fosse regolato da linee guida o da buone pratiche clinico-assistenziali;

• il nesso di causalità;

• il grado della colpa, in relazione al quale si doveva considerare l’aspetto della difficoltà di lettura della TC, ammesso da uno dei componenti del collegio peritale esperto in radiologia.

Proprio dall’imprescindibile grado della colpa discendono conseguenze rilevantissime, come messo in evidenza dalla difesa. Infatti, secondo il principio di retroattività favorevole, cardine della norma penale (comma 2, 3 e 4 dell’articolo 2 del codice penale), “se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”. Il grado della colpa, alla luce del decreto Balduzzi, era la premessa indispensabile per discernere l’ambito del penalmente rilevante in ambito medico (“l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”). In conseguenza di tale assetto normativo ed interpretativo, si doveva anche verificare in concreto quale fosse la legge penale più favorevole, in quanto si trattava di fatti risalenti ad epoca antecedente alla Legge Gelli-Bianco ed in virtù di quanto previsto dalle disposizioni che stabiliscono la retroattività della legge più favorevole. Come detto, il decreto Balduzzi risulta più favorevole per comportamenti connotati da negligenza o imprudenza con configurazione di colpa lieve, in quanto solo per il decreto Balduzzi erano esenti da responsabilità, quando provato il rispetto delle linee guida o delle buone pratiche accreditate. “In conclusione, la Corte di merito avrebbe dovuto verificare l’esistenza di linee guida, stabilire il grado di colpa tenendo conto del discostamento da tali linee guida o, comunque, del grado di difficoltà dell’atto medico, stabilendo la qualità della colpa (imprudenza, negligenza o imperizia) ed il suo grado al fine di verificare se il caso rientrasse in una delle previsioni più favorevoli. Parimenti carente è il giudizio controfattuale, che non viene percorso dal giudice d’appello il quale non si interroga, come avrebbe dovuto, sulle conseguenze salvifiche di un intervento appropriato del sanitario”. Infine, “l’errore, ex se, non vale a tradursi nell’immediato riconoscimento della responsabilità penale”. Ne è derivato l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte di Appello.

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE

Tenendo in considerazione le note criticità analizzate, dalla sua entrata in vigore la Legge Gelli-Bianco è stata più volte sottoposta a vaglio interpretativo della Corte di Cassazione per poter dirimere i numerosi dubbi e controversie. In attesa del parere del Consiglio di Stato in merito ai decreti attuativi attualmente in esame, che hanno come obiettivi, tra gli altri, di uniformare i contratti assicurativi e favorire la sicurezza dell’operatore sanitario (già approvati dalla Conferenza Stato-Regioni)15 bisognerà pertanto prestare massima attenzione alle seguenti incombenze (Tabella 3): scegliere accuratamente, con l’assistenza di un legale, la polizza professionale, in modo da evitare che la sua sottoscrizione diventi mera adesione alle clausole predisposte (a volte imposte) dall’assicuratore; documentare in modo chiaro ed univoco, nel corso di nuova stipula di contratto RCP, la sinistrosità attuale e pregressa tramite appositi questionari, in modo da evitare eccezioni di copertura; stipulare una concorrente polizza di tutela legale che intervenga a copertura delle spese di causa e che sia attivabile contestualmente a quella per la RCP; richiedere alla compagnia per la RCP l’immediata conferma di operatività della garanzia e/o eventuali ostative, indi il relativo numero di sinistro; utilizzare la posta elettronica certificata per le comunicazioni alla struttura sanitaria ed alla compagnia assicurativa; documentare in modo chiaro ed univoco le proprie scelte sui consensi e nei referti.

GLOSSARIO

• Risoluzione transattiva: accordo raggiunto tra le parti (il danneggiato e la struttura sanitaria), volto ad evitare l’atto di citazione in giudizio.

• Ragionamento controfattuale: giudizio di accertamento di nesso causale, ovvero la verifica che laddove la condotta del sanitario fosse stata possa in essere, l’evento contestato non si sarebbe verificato.

• Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: la differenza sostanziale è l’onere della prova. Nella responsabilità contrattuale l’onere della prova ricade sul debitore (la struttura sanitaria), il quale deve dimostrare che il danno sia riconducibile a causa a lui non imputabile; diversamente nella responsabilità extra-contrattuale è il soggetto danneggiato (il paziente) a dover provare il fatto illecito e il relativo nesso causale con l’evento accorso.

• Contratto (atipico) di spedalità: complesso rapporto di assistenza sanitaria che si instaura tra la struttura sanitaria ed il paziente, comprendente, oltre alla principale assistenza medico-chirurgica, una serie di obblighi cosiddetti accessori (messa a disposizione del personale medico, infermieristico ed ausiliario, dei medicinali, delle attrezzature tecniche necessarie e nelle prestazioni alberghiere) fino alla dimissione del paziente.

• Procedura stragiudiziale: procedura extragiudiziale, in quanto si svolge senza un procedimento civile, volta a raggiungere un accordo di risarcimento tra le parti ed evitare pertanto un processo civile.

• Responsabilità solidale: configura la condivisione di responsabilità, imputabile sia alla struttura sanitaria che all’operatore coinvolto.

• Imperizia: messa in atto da parte dell’operatore di una condotta diversa rispetto a quella che avrebbero posto in essere la maggior parte dei colleghi nella medesima situazione, violando pertanto una specifica indicazione medica (per ignoranza o inabilità).

• Negligenza: noncuranza, mancanza di attenzione nei confronti dell’assistito durante l’iter diagnostico-terapeutico.

• Imprudenza: messa in atto di un atteggiamento precipitoso, avventato, con insufficiente ponderazione dei rischi da parte dell’operatore.

• Colpa lieve e grave: un evento si definisce colposo quando il soggetto, pur potendo prevedere le conseguenze dannose o pericolose del suo operato, ha agito con scarsa attenzione o con leggerezza, senza cioè adottare quelle precauzioni che avrebbero impedito il verificarsi dell’evento. Non esiste una distinzione univoca tra colpa lieve e grave. Per definire il grado di colpa la Cassazione (sentenza n. 18347 del 12 maggio 2021) ha definito che devono essere prese in considerazione alcune circostanze: il livello di specializzazione del soggetto agente e le condizioni in cui operava; il contesto ambientale in cui il sanitario si è trovato ad agire; le ragioni d’urgenza; le eventuali difficoltà di comprendere, ed interpretare, le informazioni cliniche; il grado di novità della situazione data dall’emergenza sanitaria. In particolare si può parlare di colpa “grave” solo quando si sia in presenza di una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento”. L’agire del sanitario ricade nella colpa grave quando risulta “marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente”.