LA DISSEZIONE CORONARICA SPONTANEA: QUANDO AGLI ESPERTI BISOGNEREBBE RACCOMANDARE DI NON RACCOMANDARE

Risposta. Ringrazio il Dr. Cosmi per aver fornito un importante spunto di riflessione sul trattamento della dissezione coronarica spontanea (SCAD), ma non solo. La medicina basata sull’evidenza deve fornire le basi scientifiche su cui il medico poi, in scienza e coscienza, deve prendere decisioni condivise con il paziente. È assolutamente condivisibile il modus operandi descritto per arrivare alla decisione terapeutica “più corretta”. Nel caso della SCAD, si è storicamente commesso l’errore di accomunare la terapia per la patologia dissecante a quella per la patologia ateromasica-trombotica, arrivando così alla prescrizione di una duplice terapia antiaggregante (DAPT) nella maggior parte dei pazienti pur in assenza di evidenze a supporto. Bisogna analizzare le ragioni “storiche” che hanno condotto a ciò: differenti opinioni di esperti sul ruolo della trombosi nella fisiopatologia della SCAD (se non come primum movens, almeno come complicante), ma soprattutto una comprensione dettagliata della patologia che si è avuta solo in tempi recenti grazie allo sviluppo di metodiche di imaging intracoronarico. Vi è stata dunque, pur in assenza di evidenze, l’idea che la terapia antiaggregante potesse giovare a questa categoria di pazienti. Cercare di cambiare una pratica clinica in atto da tempo è molto più difficile rispetto a cercare di dare indicazioni su una nuova patologia. Una volta generata l’ipotesi che la DAPT potesse non essere la terapia corretta in questi casi, il passo successivo è perciò quello di portare prove a sostegno, che è quello che si è cercato di fare mediante la nostra ricerca; dovendo cercare di modificare una pratica in uso, si è però costretti a lavorare per step, per cui ci si è concentrati dapprima sul dimostrare la non necessità di somministrare due antiaggreganti; raggiunto questo obiettivo, messe in discussione le abitudini, ci si può concentrare sull’obiettivo successivo, dimostrare che primum non nocere, e che l’assenza di terapia in questi casi può essere meglio. Questo è l’obiettivo che si è prefissato un gruppo di lavoro spagnolo1 e che vorrebbe realizzare anche il nostro gruppo. Per le ragioni prettamente storiche e di pratica clinica sopra esposte, nella rassegna siamo stati costretti ad affermare che “non vi è nessuna evidenza circa la possibilità di non somministrare alcun antiaggregante”. Abbiamo però cercato di mostrare le ombre ancora presenti sull’argomento, descrivendo il poco che si sa (un antiaggregante pare essere meglio di due) e ciò che non si sa (se nessun antiaggregante sia meglio in senso assoluto). Solo la ricerca futura potrà gettare luce sull’argomento.

Carloalberto Biolè

S.C.D.O. Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria San Luigi Gonzaga, Orbassano (TO)

e-mail: c.biole@sanluigi.piemonte.it

BIBLIOGRAFIA

1. Alfonso F, de la Torre Hernández JM, Ibáñez B, et al. Rationale and design of the BA-SCAD (Beta-blockers and Antiplatelet agents in patients with Spontaneous Coronary Artery Dissection) randomized clinical trial. Rev Esp Cardiol (Engl Ed) 2022;75:515-22.