LA DISSEZIONE CORONARICA SPONTANEA: QUANDO AGLI ESPERTI BISOGNEREBBE RACCOMANDARE DI NON RACCOMANDARE

Lettera all’Editor. Lo scienziato o l’esperto nelle loro raccomandazioni per il trattamento della malattia dovrebbero basarsi su dati scientifici solidi, mentre il medico nel trattamento del “suo” malato dovrebbe decidere secondo la sua competenza ed esperienza informando il paziente delle conoscenze consolidate e delle incertezze inerenti alla sua malattia. Da queste interazioni deriva la decisione condivisa finale tra scienziato, medico, paziente, sul “che fare” nel caso specifico e se un determinato trattamento fa “probabilmente bene”, “probabilmente male” o è indifferente. In caso di perfetta ignoranza terapeutica è meglio non fare niente lasciando la malattia alla sua evoluzione naturale o pensare ad un placebo se la volontà del medico è quella di dover fare qualcosa ad ogni costo anche come diritto alla speranza del paziente, in attesa di una sperimentazione clinica che chiarisca cosa fare.

Nella pregevole e completa rassegna di Biolè et al.1 viene evidenziato che: 1) la tipologia più frequente della dissezione coronarica spontanea (SCAD) è l’ematoma intramurale 2a e 3, a verosimile maggior rischio di espansione e quindi di compressione del vero lume ed ostruzione al flusso; 2) gli eventi clinici post-dimissione avvengono più frequentemente nel primo mese caratterizzati prevalentemente da reinfarto e da angioplastica coronarica non programmata associati ad un ematoma intramurale non evoluto; 3) il miglior trattamento è quello di un approccio conservativo efficace nell’80% dei casi; 4) il periodo di osservazione indicato va prolungato fino a circa una settimana in quanto questa particolare sindrome coronarica acuta (SCA) tende a guarire spontaneamente; 5) emerge il problema se fare o non fare un trattamento antiaggregante singolo (SAPT) o doppio (DAPT) nella fase acuta e come profilassi alla dimissione nei pazienti non sottoposti a trattamento invasivo.

Questa particolare SCA, di origine non aterosclerotica, rappresenta il 4% di tutte le SCA, ma il 22-35% di quelle in donne di età <60 anni. È caratterizzata dalla compressione del lume coronarico da parte di un falso lume contenente sangue generato da un flap intimale o da un ematoma di parete per emorragia dei vasa vasorum. Quindi a differenza della stragrande maggioranza delle SCA l’elemento fisiopatologico iniziale è l’emorragia e non la trombosi. In una recente revisione sistematica di studi autoptici di pazienti deceduti in seguito a SCAD la trombosi del vero lume coronarico era presente solo nel 2.5% dei casi e del falso lume nel 13%. Questi dati impongono una rapida revisione dell’utilità della terapia antiaggregante semplice o doppia nella SCAD2.

Volendo sintetizzare noi oggi sappiamo che: 1) l’evento primario di questa patologia è un’emorragia; 2) la trombosi secondaria è presente in una esigua minoranza di casi e soprattutto è di incerto significato; 3) nessuna sperimentazione clinica ha dimostrato l’efficacia della terapia antitrombotica in questo tipo di SCA; 4) la terapia della SCAD viene estrapolata dai grandi trial che hanno valutato la terapia antiaggregante nella SCA in cui le donne rappresentavano meno di un terzo dei casi ed erano più anziane di quelle con SCAD.

Quindi dal punto di vista logico e puramente fisiopatologico la terapia antitrombotica non sarebbe indicata né come SAPT né come DAPT. Come riportato nella rassegna, nelle linee guida gli esperti sono divisi nelle raccomandazioni. Correttamente nelle linee guida della Società Europea di Cardiologia sull’infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST viene asserito che la terapia medica della dissezione coronarica non è stabilita3. I pochi dati osservazionali suggeriscono che la DAPT può peggiorare gli esiti clinici (DISCO e Spanish Registry on SCAD)4,5. Logica quindi vorrebbe l’applicazione di un postulato chiave della metodologia scientifica: dichiarare la perfetta ignoranza terapeutica e fare una ricerca clinica controllata e randomizzata mettendo in questo caso a confronto il placebo con la terapia antiaggregante per chiarire l’incertezza ed il bisogno clinico inevaso.

Nonostante questo, nella pratica clinica, circa i due terzi dei pazienti con SCAD vengono dimessi con DAPT e quasi tutti gli altri con SAPT. Quasi nessuno senza terapia antitrombotica. Questi provvedimenti potrebbero favorire l’espansione dell’ematoma e quindi peggiorare il quadro clinico e l’evoluzione della malattia, venendo meno al principio “primum non nocere”. Non è condivisibile quindi l’affermazione contenuta nella rassegna “Non vi è nessuna evidenza circa la possibilità di non somministrare alcun antiaggregante”. Semmai dovrebbe essere il contrario: è la proposta terapeutica della somministrazione dell’antiaggregante che dovrebbe dimostrare evidenza di efficacia e sicurezza e, semmai, bisognerebbe porsi il quesito del perché una terapia senza prove di efficacia sia entrata così diffusamente nella pratica clinica in una patologia con meccanismo più emorragico che trombotico.

Se nel trattamento dei pazienti vogliamo seguire il metodo scientifico abbiamo bisogno di rigore e onestà intellettuale per evitare, nel XXI secolo, le critiche che già Voltaire faceva nel XVIII secolo: “I medici somministrano farmaci di cui sanno pochissimo a malati di cui sanno meno ancora per guarirli di malattie di cui non sanno niente”. Nell’era della medicina di precisione se non sappiamo se una terapia fa bene o fa male bisogna prendere atto dell’incertezza e disegnare e fare la necessaria sperimentazione per valutare gli esiti clinici prima di raccomandarla e di introdurla nella pratica clinica. In assenza di conoscenza bisogna avere l’umiltà di lasciare la malattia alla sua evoluzione spontanea per evitare che il rimedio sia peggiore del male. È il solo modo etico per fare una buona medicina ed un buon servizio al paziente. Basarsi su convinzioni o ipotesi di accademia, sia pur ampiamente diffuse, può essere utile nello stimolare la ricerca ma non per indicare o stabilire una terapia efficace. In questi casi l’esperto dovrebbe evitare di raccomandare e lasciare la decisione empirica alla condivisione tra medico e paziente sulla base degli incerti dati a disposizione.

Franco Cosmi

Già Direttore Cardiologia, Ospedale di Cortona (AR)

e-mail: francocosmi@virgilio.it

BIBLIOGRAFIA

1. Biolè C, Giacobbe F, Bianco M, et al. La dissezione coronarica spontanea: update sul trattamento e sulle strategie per migliorare il percorso diagnostico-terapeutico. G Ital Cardiol 2022;23:611-9.

2. Jaspan VN, Rapkiewicz AV, Reynolds HR. The presence of thrombus in spontaneous coronary artery dissection: a systematic review of autopsy findings. Am Heart J Plus 2022;15:100135.

3. Collet JP Thiele H, Barbato E, et al. 2020 ESC Guidelines for the management of acute coronary syndromes in patients presenting without persistent ST-segment elevation. Eur Heart J 2021;42:1289-367.

4. Cerrato E, Giacobbe F, Quadri G, et al. Antiplatelet therapy in patients with conservatively managed spontaneous coronary artery dissection from the multicentre DISCO registry. Eur Heart J 2021;42:3161-71.

5. Garcia-Guimaraes M, Masotti M, Sanz-Ruiz R, et al. Clinical outcomes in spontaneous coronary artery dissection. Heart 2022;108:1530-8.