Impatto della pandemia COVID-19 sui trial clinici in cardiologia

Giuseppe Di Pasquale1, Aldo P. Maggioni2, Paolo Verdecchia3

1Editor, Giornale Italiano di Cardiologia

2Centro Studi ANMCO, Heart Care Foundation, Firenze

3Fondazione Umbra Cuore e Ipertensione-ONLUS e S.C. Cardiologia, Ospedale S. Maria della Misericordia, Perugia

Con l’inizio della pandemia COVID-19 nel marzo 2020 c’è stata un’esplosione di trial clinici condotti in pazienti COVID-19. Tranne che in poche eccezioni come gli studi RECOVERY1-3 e Solidarity4, si è trattato tuttavia di una sostanziale frammentazione della ricerca clinica, con la conduzione di numerosi trial su casistiche spesso numericamente limitate e di debole qualità metodologica che non hanno prodotto risultati significativi5,6.

Parallelamente, si è verificato un rallentamento dei trial in altre aree terapeutiche come la Cardiologia, registrando in alcuni casi una sospensione nell’arruolamento dei pazienti ed in altri casi, addirittura, la prematura interruzione degli studi. Inoltre, in alcuni trial clinici che sono stati portati a termine, la pandemia COVID-19 ha determinato un significativo impatto sui risultati dei trial. Si stima che migliaia di trial, circa l’80% dei trial non-COVID-19, siano stati rinviati o interrotti7. L’interruzione precoce dei trial, con conseguente accorciamento del follow-up, insieme ad un aumento delle sospensioni dei trattamenti in studio e dei pazienti persi al follow-up, può comportare dati mancanti o incompleti nella valutazione degli endpoint, compromettendo i risultati del trial. D’altra parte, l’interruzione nell’arruolamento dei pazienti, con conseguente riduzione del “sample size” inizialmente previsto, può condizionare una riduzione della potenza statistica necessaria per evidenziare gli effetti degli interventi sperimentali, con conseguenti possibili risultati “falsi negativi”.

La pandemia COVID-19 ha comportato dei rischi addizionali per i pazienti e i ricercatori coinvolti nei trial clinici. Per i pazienti si sono presentati rischi potenziali di esposizione all’infezione durante le visite cliniche previste dal protocollo, ma anche la riduzione dell’assistenza sanitaria e le difficoltà di un accurato monitoraggio degli effetti degli interventi oggetto della sperimentazione. Analogamente, la necessità di ridurre i rischi del contagio anche per i ricercatori e lo staff dedicato alla ricerca ha portato a sostituire molte visite cliniche con controlli da remoto. La pandemia COVID-19 ha inoltre determinato un impatto sul coordinamento dei trial, l’attività degli steering committee, dei comitati di validazione degli eventi, dei laboratori centralizzati, dei comitati etici e delle agenzie regolatorie.

In considerazione delle criticità dei trial clinici, condotti in corso di pandemia COVID-19, molte agenzie regolatorie nazionali e regionali hanno emanato documenti di indirizzo per la conduzione dei trial clinici durante la crisi pandemica. A tale proposito la Heart Failure Association della Società Europea di Cardiologia ha pubblicato nel 2020 un position paper relativo alla conduzione dei trial clinici nello scompenso cardiaco durante la pandemia COVID-198. Un documento analogo è stato pubblicato sempre nel 2020 a cura dell’Heart Failure Academic Research Consortium costituito da stakeholder (clinici, ricercatori, pazienti, Food and Drug Administration [FDA], National Institutes of Health [NIH] e rappresentanti dell’Industria) americani ed europei9.

Sulla base di queste raccomandazioni e di quelle emanate dalla European Medicines Agency10, dalla FDA11 e dall’NIH12 è stato suggerito che il piano di analisi statistiche dei trial clinici randomizzati eseguiti durante la pandemia COVID-19 includano: (1) un’analisi di sensibilità prespecificata pre-COVID-19 dell’endpoint primario e degli endpoint secondari con interruzione del follow-up al momento della prima diagnosi di COVID-19 fatta in ogni nazione partecipante al trial; (2) un’analisi dei dati prima della data di dichiarazione di pandemia COVID-19; (3) una revisione prespecificata dell’analisi statistica prima della chiusura del database.

A tale proposito gli Editor di JAMA Network Open in un editoriale hanno pubblicato raccomandazioni per gli autori relative al reporting degli studi clinici impattati dalla pandemia COVID-1913. In considerazione della possibilità di dati incompleti a causa di dropout e/o pazienti persi al follow-up viene richiesto ai ricercatori di includere nella pubblicazione una tabella di confronto tra i partecipanti con dati completi e quelli con dati incompleti, stratificati per braccio di trattamento.

POSSIBILI SPIEGAZIONI

Numerosi sono i fattori in grado di influenzare i risultati dei trial clinici condotti durante la pandemia COVID-19. Questi comprendono: fattori organizzativi associati alla conduzione del trial, fattori associati alla patologia oggetto del trial, fattori relativi al paziente.

Tra i fattori organizzativi vanno considerati la riduzione del numero delle visite di controllo da effettuare nel corso del trial, con conseguente potenziale riduzione dell’aderenza al trattamento, delle variazioni terapeutiche del farmaco sperimentale e dell’intensificazione della terapia di base.

Tra i fattori correlati alla patologia oggetto del trial va considerato l’impatto che il COVID-19 e il lockdown possono avere determinato in termini di possibile miglioramento o peggioramento della malattia cardiovascolare, come ad esempio lo scompenso cardiaco. Un eventuale sbilanciamento, anche di entità limitata, tra i bracci di randomizzazione ai diversi trattamenti in termini di insorgenza di COVID-19 potrebbe condizionare uno sbilanciamento finale in termini di endpoint, e quindi complicarne l’interpretazione in una logica “intention-to-treat”.

I fattori relativi al paziente includono l’aderenza all’assunzione del farmaco sperimentale e alla trasmissione dei dati prevista in diverse sperimentazioni cliniche, e anche le possibili violazioni del protocollo. Non va trascurata la possibilità che il lockdown imposto dalla pandemia COVID-19 possa avere determinato effetti capaci di impattare sfavorevolmente sulla morbilità e mortalità cardiovascolare. La riduzione dell’attività fisica imposta dal lockdown può determinare conseguenze cardiovascolari sfavorevoli anche attraverso un possibile incremento ponderale secondario alla sedentarietà, l’incremento del fumo e abitudini alimentari meno sane14.

Va inoltre considerato che il timore dei pazienti di recarsi in ospedale per evitare l’esposizione al coronavirus può condizionare una riduzione della comparsa o della segnalazione di alcuni eventi cardiovascolari, come ad esempio i ricoveri per infarto e per scompenso cardiaco che nei trial sullo scompenso costituiscono spesso una componente fondamentale dell’endpoint primario. Numerosi report provenienti da diversi paesi hanno infatti dimostrato durante la prima ondata della pandemia COVID-19 una riduzione delle ospedalizzazioni per infarto miocardico di circa il 30-50%15,16 e per scompenso cardiaco variabile dal 25% al 75%, in media circa il 40%, rispetto all’anno 2019 pre-COVID-1917-20. Al contrario, oltre alle morti direttamente causate dal COVID-19, esiste la possibilità di un aumento degli eventi di morte cardiovascolare extraospedaliera e morte per tutte le cause per le quali è stato documentato un aumento durante la pandemia COVID-1921,22. Infine la valutazione dei tradizionali endpoint dei trial clinici, quali gli accessi in Pronto Soccorso, le ospedalizzazioni e la mortalità, può essere confusa dai segni, sintomi e biomarker del COVID-19 che si sovrappongono allo scompenso cardiaco. Tutto questo può avere complicato l’aggiudicazione degli eventi e di conseguenza l’interpretazione dei dati.

STUDI CLINICI INFLUENZATI DAL COVID-19

Lo studio AFFIRM-AHF23 è stato uno dei primi trial influenzati dalla pandemia COVID-19 poiché il follow-up di una quota significativa di pazienti cadeva durante la pandemia COVID-19, a causa della quale lo sponsor e lo steering committee dello studio hanno deciso che in sostituzione delle visite cliniche pianificate i pazienti avrebbero potuto essere contattati anche telefonicamente per raccogliere informazioni relative agli endpoint di efficacia e sicurezza24. Lo studio si proponeva di valutare l’effetto del carbossimaltosio ferrico sugli outcome in confronto al placebo in pazienti stabilizzati dopo un episodio di scompenso cardiaco acuto. Al follow-up di 52 settimane l’endpoint primario, costituito da ospedalizzazione per scompenso cardiaco e morte cardiovascolare, non ha raggiunto, anche se per poco, il convenzionale livello di significatività statistica (hazard ratio [HR] 0.79, intervallo di confidenza [IC] 95% 0.62-1.01; p=0.059). L’analisi di sensibilità prespecificata pre-COVID-19 ha evidenziato invece un beneficio significativo del carbossimaltosio ferrico sull’endpoint primario combinato (HR 0.75, IC 95% 0.59-0.96; p=0.024). Gli autori hanno ipotizzato che l’incompletezza del follow-up, la riduzione delle ospedalizzazioni e una riduzione complessiva della compliance determinate dalla pandemia COVID-19 potrebbero aver diluito la capacità di dimostrare differenze significative a favore del trattamento attivo.

Lo studio IAMI è un altro trial clinico randomizzato i cui risultati sono stati influenzati dalla pandemia COVID-1925. Lo studio si proponeva di confrontare la vaccinazione antinfluenzale con il placebo somministrati in pazienti con infarto miocardico recente trattato con angioplastica primaria e aveva come endpoint primario un composito di morte per tutte le cause, infarto miocardico o trombosi di stent a 12 mesi. A causa della pandemia COVID-19, il Data Safety and Monitoring Board in data 7 aprile 2020 ha raccomandato di sospendere l’arruolamento ritenendo che una verosimile riduzione della trasmissione dell’influenza grazie al lockdown e alle misure di protezione individuali, insieme alle morti da COVID-19 in entrambi i bracci del trial, avrebbero reso difficile l’interpretazione dei risultati. Lo studio, che prevedeva di arruolare 4400 pazienti, si è limitato ad arruolare 1272 pazienti nel braccio vaccino e 1260 nel braccio placebo. Nonostante la riduzione del “sample size” nel follow-up di 12 mesi l’endpoint primario è risultato significativamente ridotto nel gruppo vaccino (HR 0.72, IC 95% 0.52-0.99; p=0.0040) ma non si è osservata una riduzione significativa dell’infarto miocardico (HR 0.86, IC 95% 0.50-1.46; p=0.57) a differenza di quanto osservato in altri trial simili25,26.

Lo studio per il quale è stato analizzato in maggiore dettaglio l’impatto della pandemia COVID-19 è il trial GUIDE-HF che ha confrontato in modo randomizzato la gestione dello scompenso cardiaco guidata dalla misurazione della pressione polmonare valutata attraverso un sensore di pressione impiantabile verso la “usual care” con un endpoint primario di morte per tutte le cause ed eventi di scompenso a 12 mesi27. L’incidenza dell’endpoint primario è risultata significativamente ridotta nel gruppo trattamento in confronto al gruppo controllo nel periodo pre-COVID-19. Tuttavia questa differenza non risultava più evidente durante la pandemia COVID-19. In una recente pubblicazione ad hoc gli autori hanno esaminato in dettaglio i fattori che possono avere contribuito a determinare la perdita delle differenze nell’endpoint primario, inclusi gli eventi scompenso, tra i gruppi intervento e controllo durante la pandemia COVID-1928. Infatti, nel periodo pre-COVID-19 il tasso di eventi dell’endpoint primario è risultato essere pari a 0.553 eventi/anno-paziente nel braccio trattamento vs 0.682 nel braccio controllo (HR 0.81, p=0.049) mentre durante il COVID-19 queste differenze non risultavano più evidenti (HR 1.11, p=0.526). Le variazioni dell’HR durante il COVID-19 sembrano essere prevalentemente dovute ad una riduzione dell’incidenza di eventi nel braccio controllo durante il COVID-19 in confronto con l’incidenza nel braccio controllo nel periodo pre-COVID-19. Durante il COVID-19 le ospedalizzazioni si sono infatti ridotte del 20% e gli accessi urgenti in ospedale per la somministrazione del diuretico per via endovenosa si sono dimezzati.

Un altro studio che potrebbe avere ricevuto un impatto negativo da parte del COVID-19 nell’ultimo periodo di follow-up è stato il PARADISE-MI che per poco non è riuscito a dimostrare la superiorità di sacubitril/valsartan su ramipril in pazienti con infarto miocardico acuto complicato da disfunzione ventricolare sinistra o presenza di congestione polmonare29. Anche per questo studio, come per altri studi nello scompenso cardiaco, la riduzione delle ospedalizzazioni per cause cardiovascolari, in particolare per infarto miocardico e scompenso, potrebbe avere ridotto la numerosità degli eventi di ospedalizzazione per scompenso che costituiva un componente dell’endpoint primario, riducendo di conseguenza la possibilità di raggiungere livelli convenzionali di significatività statistica30. Infatti, in una successiva analisi che ha incluso tutti gli eventi riportati dai ricercatori, e non solo quelli successivamente validati dal comitato indipendente di validazione, l’aumento della numerosità degli eventi ha consentito il raggiungimento dei livelli convenzionali di significatività statistica31. È inoltre possibile che la pandemia COVID-19 abbia reso più difficile la validazione degli eventi da parte del comitato di aggiudicazione riducendo il numero degli eventi validati.

Una situazione analoga a quella del PARADISE-MI si può essere verificata nel corso dello studio dal-GenE, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati32. In un’analisi retrospettiva dello studio dal-Outcomes è emerso che l’effetto di dalcetrapib sugli eventi cardiovascolari veniva influenzato da un polimorfismo del gene della ciclasi di tipo 9 (ADCY9). Lo studio dal-GenE è stato condotto per testare questa ipotesi farmacogenetica randomizzando pazienti con il genotipo AA, emerso come profilo genetico favorevole al trattamento con dalcetrapib, da 1 a 3 mesi dopo un infarto miocardico acuto. L’endpoint primario era un composito di morte cardiovascolare, arresto cardiaco resuscitato, infarto e ictus non fatali. Al termine dello studio si è evidenziato un trend favorevole a dalcetrapib che però non raggiungeva il livello convenzionale di significatività statistica (HR 0.88, IC 95% 0.75-1.03). Gli effetti della pandemia, presente nei 17 mesi finali di follow-up, sui risultati dello studio sono stati quindi analizzati dagli autori. Nel corso della pandemia si è osservata una riduzione del numero di infarti miocardici non fatali rispetto a quelli pre-COVID-19 e del numero di decessi, con un cambiamento del rapporto tra mortalità per infarto miocardico non fatale e quella per tutte le cause. Una analisi condotta fino al 23 gennaio 2020 evidenziava che l’endpoint primario dello studio si verificava nel 6.9% e nell’8.4% dei pazienti rispettivamente nei gruppi dalcetrapib e placebo (HR 0.82, IC 95% 0.68-0.98).

CONCLUSIONI

Numerosi sono gli insegnamenti che derivano dalla pandemia COVID-19 anche per quanto riguarda la ricerca clinica. Le problematiche emerse nella conduzione dei trial clinici nel corso della pandemia meritano un’adeguata attenzione perché possano essere prese in considerazione non solo qualora si presentassero in futuro nuove situazioni di emergenza sanitaria, ma anche al di fuori di esse. È risultata evidente la necessità di costituire network estesi di ricerca, possibilmente finanziati dal Sistema Sanitario Nazionale, in grado di condurre in tempi brevi studi semplici, randomizzati e di grandi dimensioni. È auspicabile inoltre una semplificazione degli studi clinici insieme ad un miglioramento e una diffusione della conduzione di trial in modalità dematerializzata. Questa metodologia prevede la possibilità di eseguire visite essenzialmente online, adeguata soluzione agli aspetti etici legati alle visite online in fase di approvazione del protocollo, definizione di uno staff dedicato e preparato per le visite da eseguire necessariamente a domicilio, recapito a domicilio (home delivery) dei farmaci e familiarizzazione del paziente ai sistemi di monitoraggio remoto.

La partecipazione dei pazienti all’interno di un trial clinico randomizzato rappresenta un valore etico. Un paziente che accetta di entrare in una sperimentazione clinica compie infatti un gesto di grande altruismo nei confronti della comunità33. In considerazione di questo è importante che i pazienti vengano arruolati in trial rigorosamente condotti e di ampie dimensioni in grado di portare un contributo allo sviluppo delle conoscenze scientifiche34. Le criticità che hanno impattato i trial clinici di cardiologia condotti durante la pandemia COVID-19 vanno conosciute e prevenute potendo influenzare i risultati di studi clinici eseguiti in un contesto pandemico e in parte anche in condizioni di normale situazione sanitaria.

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