Tasso di embolia polmonare acuta nei pazienti ospedalizzati per COVID-19 in Italia. Metanalisi aggregata

Marco Zuin1, Claudio Bilato2, Laura Quadretti3, Marco Vatrano4, Monica Navaro5, Gianluca Rigatelli6, Giovanni Zuliani1, Loris Roncon6

1Sezione di Medicina Interna e Cardio-Respiratoria, Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università degli Studi, Ferrara

2U.O.C. Cardiologia, Ospedali dell’Ovest Vicentino, Azienda ULSS 8 Berica, Arzignano (VI)

3Dipartimento di Medicina e Cardiologia, Casa di Cura Madonna della Salute, Porto Viro (RO)

4U.O.C. Cardiologia-UTIC-Emodinamica e Cardiologia Interventistica, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro

5U.O.C. Igiene e Sanità Pubblica, Azienda AULSS 5 Polesana, Rovigo

6U.O.C. Cardiologia, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Rovigo

Background. Acute pulmonary embolism (PE) represents a frequent and prognostically relevant complication of COVID-19.

Methods. We performed a systematic review and meta-analysis, according to the PRISMA guidelines to determine the in-hospital incidence of acute PE, based on Italian studies published on this issue. We searched PubMed and Scopus to locate all articles published between February 2020 to October 15, 2021, reporting the incidence of acute PE in Italian COVID-19 patients. The pooled in-hospital incidence of acute PE was calculated using a random-effect model and presented with relative 95% confidence interval (CI).

Results. We analysed data from 3287 Italian COVID-19 patients (mean age 65.7 years) included in 20 studies. The pooled in-hospital incidence of acute PE was 20% (95% CI 13.4-28.7%; I2 = 95.1%); the incidence was lower among patients hospitalized in intensive care unit (ICU) (32.3%; 95% CI 20.2-44.0%; I2 = 77.2%) compared to those admitted in general wards (47.6%; 95% CI 18.7-78.2%; I2 = 94.4%). Meta-regression showed a significant direct correlation of acute PE incidence using age, male gender and previous coronary artery disease as moderating variables. Conversely, an inverse correlation was observed in relation to the use of anticoagulation at therapeutic dose. Prophylactic and therapeutic anticoagulation was administered in 80.2% of patients (95% CI 72.5-86.2%; I2 = 91.0%); the former regimen was more frequently used compared to the latter (63.5% vs 14.3%; p<0.001). Computed tomography angiography (CTPA) was used only in 10.7% of infected patients across 7 studies.

Conclusions. One in five COVID-19 patients experienced acute PE as complication of the infection during hospitalization. The in-hospital incidence of acute PE was lower in ICU compared to general wards. CTPA was scantly used. Early prophylactic anticoagulation was associated with a lower incidence of acute PE.

Key words. COVID-19; Epidemiology; Incidence; Pulmonary embolism.

INTRODUZIONE

L’Italia è stata duramente colpita dalla pandemia COVID-19 con 4 968 341 casi e 133 486 decessi al 26 novembre 2021. Sin dalle prime fasi di questa emergenza sanitaria internazionale, sia studi in vitro che in vivo hanno dimostrato un’azione pro-coagulante del virus SARS-CoV-2 in grado di generare una condizione trombofilica immunomediata determinante fenomeni trombotici sia sul versante arterioso che venoso, ai quali concorrono anche la tempesta citochinica innescata dall’infezione e fenomeni microtrombotici originati a seguito di danno endoteliale1-3. A conferma di ciò, numerose analisi osservazionali condotte in diverse parti del mondo hanno evidenziato un maggior rischio di embolia polmonare (EP) acuta in questi pazienti4-7. Il nostro gruppo di ricerca, nella prima fase della pandemia, attraverso una metanalisi basata su 23 studi internazionali per un numero totale di 7178 pazienti (età media 60.4 anni) con infezione da COVID-19 ha riportato una incidenza di EP acuta del 14.7% nei pazienti ricoverati in reparti di degenza ordinaria e del 23.4% in quelli degenti in unità di terapia intensiva (UTI)8. Tuttavia, ad oggi, il tasso intraospedaliero dell’EP acuta nei pazienti COVID-19 in Italia rimane sconosciuto. In tal senso, la gestione di questi pazienti sul territorio nazionale non può prescindere da un’adeguata conoscenza del suo impatto epidemiologico, al fine di adeguare le risorse e gli interventi terapeutici. Inoltre, è altresì importante conoscere l’epidemiologia dell’EP nei pazienti COVID-19 congiuntamente ai relativi fattori di rischio, ricoverati in reparti con diverse intensità di cure, quali degenze ordinarie o subintensive ed UTI al fine di instaurare un’adeguata profilassi, precoce diagnosi e trattamento. Pertanto, scopo del presente studio è analizzare il tasso intraospedaliero di EP acuta da COVID-19 sul territorio italiano attraverso una revisione sistematica della letteratura e una metanalisi basata sugli studi che hanno arruolato coorti italiane.

MATERIALI E METODI

Criteri di ricerca e disegno dello studio

Questo studio è stato condotto in accordo con le linee guida PRISMA9. La ricerca della letteratura è stata eseguita interrogando i database PubMed e Scopus, usando come parole chiave “Pulmonary Embolism” [Titolo/Abstract] AND “COVID-19” [Titolo/Abstract], ed estrapolando solamente gli studi condotti su coorti italiane a partire da febbraio 2020 fino al 15 ottobre 2021, che riportavano dati sul tasso intraospedaliero di EP acuta in pazienti con diagnosi confermata di SARS-CoV-2. Inoltre, le bibliografie degli studi selezionati sono state a loro volta valutate per identificare ulteriori studi potenziali da includere nella valutazione.

Scopo dello studio

Lo scopo dell’analisi è stato in primo luogo quello di stimare il tasso intraospedaliero di EP acuta nei pazienti affetti da COVID-19 in Italia. Come esiti secondari sono stati selezionati il tasso intraospedaliero di EP acuta nei pazienti ricoverati in reparti di degenza ordinaria o UTI (qualora riportati) e l’utilizzo di terapia anticoagulante sia a dose profilattica che terapeutica.

Criteri di inclusione, raccolta dei dati e valutazione della qualità degli studi

Gli articoli da includere nell’analisi sono stati valutati da due autori indipendentemente (M.Z. e L.R.). Eventuali discrepanze nella selezione dello studio sono state risolte consultando un terzo autore (C.B.). Sono stati esclusi dalla selezione casi clinici, revisioni della letteratura, abstract di congressi, editoriali, lettere e studi con meno di 10 pazienti. L’estrazione dei dati è stata condotta in modo indipendente da due autori (M.Z. e C.B.). Nello specifico, per ogni studio incluso sono stati estratti i seguenti dati: numero di pazienti arruolati, età media, sesso, i casi di EP acuta, la prevalenza delle comuni comorbilità cardiovascolari (con particolare attenzione su quelle che hanno dimostrato di essere associate alla mortalità nei pazienti COVID-19) quali ipertensione arteriosa, diabete mellito, malattia coronarica10-13, neoplasie nonché l’utilizzo e il dosaggio (se riportato) di anticoagulanti. La qualità degli studi inclusi è stata valutata utilizzando la scala di valutazione di Newcastle-Ottawa (NOS)14.

Sintesi dei dati ed analisi statistica

Le variabili continue sono state espresse come media ± deviazione standard o come mediana con corrispondente range interquartile, mentre le variabili categoriche come percentuali. Le statistiche di incidenza sono state calcolate utilizzando il tasso di eventi con i rispettivi intervalli di confidenza (IC) al 95%, utilizzando la funzione “event rate”. In particolare, il tasso cumulativo ospedaliero di EP acuta (n/N), definito come il rapporto tra i pazienti che hanno manifestato EP acuta (n) e il numero di pazienti arruolati in ciascuno studio (N), ricoverati nei reparti generali e nelle UTI, è stato raggruppato ed analizzato utilizzando il modello ad effetti “random”. Le sottoanalisi per i pazienti ricoverati in reparti ordinari o in UTI sono stati condotti con il medesimo approccio. L’eterogeneità statistica è stata valutata con l’indice I2 di Higgins. Nello specifico, un valore di I2 = 0 indica un’eterogeneità bassa, mentre un valore compreso tra il 25% ed il 75% ed uno maggiore del 75% indicano rispettivamente un’eterogeneità media ed alta15. Al fine di escludere la presenza di bias di pubblicazione, sono stati analizzati la simmetria del funnel plot ed il test di Egger. Per valutare ulteriormente l’impatto di potenziali fattori confondenti di base, è stata eseguita un’analisi di meta-regressione multivariata ad effetti “random” utilizzando età, sesso (maschile), obesità, ipertensione arteriosa, diabete mellito, cancro, coronaropatia, broncopneumopatia cronica ostruttiva, ictus ed uso di terapia anticoagulante (dose profilattica e terapeutica) come variabili moderatrici. La differenza tra l’utilizzo dell’anticoagulazione a dosaggio profilattico e terapeutico è stata valutata con il test del chi-quadro. Tutte le metanalisi sono state condotte utilizzando il software Comprehensive Meta-Analysis, versione 3 (Biostat, Englewood, NJ, USA).

RISULTATI

Risultati della ricerca e studi inclusi nell’analisi

Utilizzando i criteri di ricerca sopramenzionati sono stati individuati inizialmente 2536 articoli. Dopo aver escluso gli studi duplicati (n = 642) ed aver eseguito uno screening preliminare basato su titolo e/o abstract (n = 1255), sono stati valutati 639 testi integrali di relativi articoli. Di questi ultimi, 619 sono stati esclusi in accordo con i criteri di inclusione, permettendo di individuare 20 studi inclusi nell’analisi finale (Figura 1)16-35.




Caratteristiche della popolazione analizzata e qualità degli studi

Complessivamente, sono stati analizzati 3287 soggetti italiani (età media 65.7 anni) con diagnosi confermata di COVID-19, arruolati in 14 studi monocentrici e 6 multicentrici. Le caratteristiche generali della popolazione considerata sono presentate nella Tabella 1.







Nonostante le principali comorbilità di tali soggetti non fossero analizzate e riportate sistematicamente dai vari studi considerati, l’ipertensione arteriosa risultava essere la patologia cronica con maggiore prevalenza (50.5%; n = 1235/2443), seguita da diabete mellito (21.3%, n = 509/2381), coronaropatia (16.7%, n = 307/1834) e cancro (11.8%; n = 171/1447). Dati inerenti alla prevalenza di EP acuta nei pazienti ospedalizzati in UTI o in degenze ordinarie erano presentati in nove16-18,21,23,24,28,32,34 e sette studi18,21,23,24,26,28,32, rispettivamente. La valutazione della qualità degli studi attraverso la NOS ha dimostrato che le analisi considerate erano di qualità moderata-alta14. I dati i relativi a tromboprofilassi, imaging, funzione respiratoria, parametri bioumorali e necessità di supporto ventilatorio in pazienti con diagnosi di EP acuta ed infezione da SARS-CoV-2 sono riportati nella Tabella 2.




Tasso intraospedaliero di embolia polmonare acuta

Il tasso cumulativo ospedaliero di EP acuta nei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 variava dal 2.8% al 60% nei 20 studi considerati per l’analisi16-35. Il modello di metanalisi a effetti “random” dimostrava un tasso aggregato di EP acuta del 20% (IC 95% 13.4-28.7%; I2 = 95.1%) (Figura 2A).




La valutazione della simmetria del funnel plot (Figura 2B) così come il test di Egger (t = 0.98, p=0.33) escludevano la presenza di bias di pubblicazione.

Tasso intraospedaliero di embolia polmonare acuta in terapia intensiva e degenza ordinaria

Una sottoanalisi eseguita allo scopo di valutare il tasso intraospedaliero di EP acuta nei pazienti ospedalizzati in UTI e reparti di degenza ordinaria mostrava come il tasso nei singoli studi avesse un’ampia variabilità (dal 4.2% al 90% e dal 2.5% al 86.8% nei due gruppi, rispettivamente). Nello specifico, il modello a effetti “random”, applicato ai pazienti ospedalizzati in UTI evidenziava un tasso aggregato del 32.3% (IC 95% 20.2-44.0%; I2 = 77.2%) (Figura 3). Al contrario, la medesima analisi applicata ai soggetti COVID-19 ricoverati in degenze ordinarie riportava un tasso aggregato del 47.6% (IC 95% 18.7-78.2%; I2 = 94.4%) (Figura 4).




Utilizzo dell’angio-tomografia

Gli studi considerati in questa metanalisi non hanno purtroppo riportato sistematicamente l’utilizzo dell’angio-tomografia computerizzata (TC) polmonare nella diagnosi di EP acuta. Tuttavia, 14 delle indagini analizzate16,18,19,21-23,25-29,32-35, basate su 2447 pazienti (età media 70.2 anni) affetti da COVID-19 hanno permesso di valutare come tale metodica di imaging fosse utilizzata solo nel 14.9% dei casi. Tra questi, evidenze radiologiche di EP acuta sono state riscontrate nel 38.4% dei casi.

Somministrazione della terapia anticoagulante

Undici analisi17-22,24,26,27,32,33 riportavano l’utilizzo della terapia anticoagulante, somministrata con posologia profilattica o terapeutica. Uno studio non specificava esattamente il numero di pazienti che erano trattati con terapia anticoagulante, riportando che i pazienti erano generalmente trattati con tromboprofilassi a dosi intermedie e terapeutiche; pertanto, il medesimo non è stato considerato nella valutazione metanalitica34. Nello specifico, la terapia anticoagulante risultava somministrata, indipendentemente dalla posologia, nell’80.2% dei pazienti (IC 95% 72.5-86.2%; I2 = 91.0%) (Figura 4A). L’ispezione visuale del relativo funnel plot (Figura 5A), così come il test di Egger (t=1.81, p=0.10) escludevano la presenza di bias di pubblicazione.

Nello specifico, la terapia anticoagulante risultava più frequentemente somministrata con posologia profilattica (n = 1013/1594)17-22,26,27,32 rispetto a quella terapeutica (n = 157/1097)18,19,22,26,32 (63.5% vs 14.3%, p<0.001) (Figura 5B).

Inoltre, i pazienti ricoverati in UTI ricevevano più frequentemente una terapia anticoagulante rispetto a quelli ospedalizzati in degenza ordinaria (53.4% vs 26.8%, p=0.01) e nella maggior parte dei casi questa era a dosi terapeutiche (62.1%).

Meta-regressione

Per valutare l’impatto di potenziali fattori confondenti di base, la meta-regressione (Tabella 3) ha evidenziato una correlazione diretta tra l’età (p=0.002), il sesso maschile (p=0.01) e la presenza anamnestica di coronaropatia (p=0.03) e la proporzione di EP acuta nei pazienti con infezione da COVID-19. Al contrario, quando la somministrazione della terapia anticoagulante a dosi terapeutica è stata considerata come variabile moderatrice, è emersa una correlazione inversa con il tasso di EP acuta nei medesimi soggetti (p=0.02).




DISCUSSIONE

I risultati dell’analisi evidenziano come un paziente italiano su cinque, ospedalizzato per infezione da COVID-19, sviluppi come complicanza un’EP acuta durante la degenza, specialmente in soggetti anziani, maschi e con pregressa coronaropatia. In particolare, il tasso intraospedaliero di EP acuta è risultato più alto nei pazienti ricoverati in degenze ordinarie rispetto a quelli trattati in UTI. Tuttavia, è chiaramente emerso come solo una minima parte dei pazienti consideratati sia stata sottoposta ad angio-TC polmonare, indicando quindi che il risultato determinato dall’analisi è probabilmente sottostimato e, pertanto, i casi non diagnosticati possono aver contribuito in modo decisivo all’alta mortalità di tale patologia infettiva. Comunque, come emerso dalla meta-regressione, la somministrazione di terapia anticoagulante a dose terapeutica è risultata associata ad una minor tasso di EP acuta.

I nostri dati epidemiologici sembrano evidenziare un tasso intraospedaliero più alto di EP acuta nei pazienti COVID-19 italiani, quando confrontati con quelli derivanti da studi internazionali o metanalisi basate su popolazioni eterogenee7,8,36. Tale discrepanza potrebbe essere dovuta al fatto che l’Italia è stata il primo paese occidentale colpito dalla pandemia COVID-19 e, pertanto, molte delle conoscenze relative alle complicanze di tale infezioni, così come l’effetto pro-coagulante del virus, sono state scoperte durante l’emergenza sanitaria mentre altre nazioni colpite in seguito potrebbero aver beneficiato di maggiori informazioni rispetto alla patogenesi e al trattamento della malattia, riducendo di conseguenza la proporzione della complicanza37,38.

Complessivamente, i tassi osservati nei pazienti ricoverati in degenze ordinarie o in UTI risultano in linea con quelli presentati nei singoli studi revisionati che descrivevano entrambi i contesti di ricovero. Il minor tasso di EP acuta nei pazienti ricoverati in UTI sembra essere giustificato da un uso maggiore e più aggressivo dell’anticoagulazione, sin dalle prime fasi del ricovero, come evidenziato dai risultati. Al contrario, pazienti con quadri non critici, pertanto trattabili in contesti di degenza ordinaria, potrebbero aver ricevuto una terapia anticoagulante meno frequentemente e forse prediligendo la dose profilattica39,40.

Ovviamente, essendo i nostri risultati basati su pazienti ospedalizzati, lasciano al di fuori della valutazione la notevole porzione di pazienti infettati da COVID-19 e trattati a domicilio; per tali categorie, studi adeguati sono necessari per valutare la migliore strategia terapeutica in grado di ridurre i casi di EP acuta intraospedalieri.

Sicuramente una valutazione accurata della nostra analisi statistica permette di evidenziare e ribadire la genesi immuno-trombotica dell’ostruzione dell’albero arterioso polmonare2,3. Infatti, la prevalenza di cancro e l’assenza di una correlazione di tale condizione morbosa con la proporzione di EP acuta nei soggetti considerati, consentono di sottolineare la scarsa azione dei comuni fattori di rischio per il tromboembolismo venoso in questo scenario.

Lo scarso utilizzo dell’angio-TC polmonare, usata generalmente nei quadri di rapido deterioramento della funzione respiratoria e/o emodinamica, porta a riflettere sulla necessità di “intercettare” precocemente l’EP acuta, con utilizzo di indici indiretti di sovraccarico ventricolare destro, quali l’ecocardiogramma transtoracico, l’ECG e la valutazione dei peptidici natriuretici in modo seriato8. Infatti, i pochi pazienti inclusi nella nostra analisi che non eseguivano angio-TC, invece, hanno ricevuto diagnosi di EP acuta in base ai reperti della compressione ultrasonografica e concomitante sintomatologia oppure alla luce dei reperti ecocardiografici, quali segni di disfunzione ventricolare destra e spesso in occasione di un peggioramento improvviso della funzione respiratoria o decadimento della stabilità emodinamica con contestuale aumento dei valori di D-dimero. Al contempo, è necessario promuovere la creazione di percorsi intraospedalieri ad hoc per i pazienti COVID-19 che necessitano di TC, in modo da ridurre i potenziali contagi e disseminazione dell’infezione durante il trasferimento dei pazienti e per il personale coinvolto. Infatti, non possiamo escludere che difficoltà di natura logistica abbiano notevolmente ridotto e/o impedito l’utilizzo adeguato della metodica nei pazienti con sospetto clinico di EP acuta.

Un’importante questione irrisolta è rappresentata dalla tempistica con cui l’EP acuta insorge nei pazienti COVID-19. La revisione di studi internazionali fa presupporre una latenza media di circa 10 giorni tra il ricovero e l’esecuzione dell’angio-TC polmonare, tuttavia generalmente eseguita in caso di peggioramento della funzione respiratoria e/o compromissione del quadro emodinamico. Gli studi revisionati non hanno valutato sistematicamente questo intervallo di tempo, impedendo una più approfondita disamina dell’argomento. Tuttavia, non si può escludere che fenomeni trombotici privi di un significativo impatto emodinamico possano essere già presenti sin dalle prime fasi dell’infezione e pertanto la diagnosi di EP acuta rappresenti solo la punta dell’iceberg del fenomeno immuno-trombotico. Al contempo, numerose variabili potrebbero intervenire nella genesi del tromboembolismo polmonare, quali l’immobilizzazione prolungata e l’utilizzo di taluni trattamenti che possano aumentare il rischio di tromboembolismo venoso.

La precedente letteratura scientifica sull’epidemiologia dell’EP acuta ha ormai reso ben nota la correlazione con l’età e la presenza di coronaropatia, anche in termini prognostici41. Tuttavia, nei pazienti con infezione da COVID-19 è emerso come l’età, il sesso maschile e l’insorgenza di EP acuta rappresentino fattori prognostici indipendenti di aumentata mortalità nel breve termine4. Risulta quindi evidente come pazienti anziani, maschi e coronaropatici debbano ricevere uno stretto monitoraggio e una pronta valutazione in caso di sospetto e/o reperti clinici di potenziale EP acuta, spesso evidenziata solo da un repentino peggioramento del quadro emodinamico e/o respiratorio. Purtroppo, ad oggi, non sono stati osservati benefici clinici rilevanti, in termini di sopravvivenza, nei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 trattati con anticoagulanti a dosi intermedie o alte indipendentemente dalla gravità del quadro clinico e dall’intensità di cure richieste42,43.

Limitazioni

La nostra analisi contiene delle limitazioni intrinseche. Innanzitutto, la natura osservazionale degli studi revisionati e con i loro bias intrinseci hanno sicuramente influenzato i nostri risultati, come evidenziato dall’alta eterogeneità osservata. Tuttavia, quest’ultima è stata mitigata ed in parte spiegata dalla meta-regressione eseguita. Inoltre, la mancanza di protocolli di screening sistemici per EP acuta negli studi considerati ha sicuramente portato a sottostimare il tasso intraospedaliero di tale evento. Al contempo, lunghi periodi di ospedalizzazione e pertanto di immobilizzazione possono aver influenzato l’insorgenza di eventi tromboembolici, specialmente se i pazienti non erano trattati con dosi adeguate di terapia anticoagulante. Inoltre, l’assenza di dati specifici rispetto all’età dei pazienti ricoverati in degenze ordinarie o in UTI, non ha permesso di valutare come l’aspetto demografico possa aver contribuito al diverso tasso di EP acuta nei diversi contesti di ricovero. Sebbene la popolazione analizzata sia di numero considerevole, non siamo in grado di esprimere risultati né commenti riguardo all’omogeneità del tasso intraospedaliero di EP acuta su tutto il territorio nazionale, in quanto la maggior parte degli studi revisionati sono stati condotti nel nord Italia che, come noto, è stato maggiormente colpito dalla pandemia COVID-19. In tal senso sono necessari studi epidemiologici basati sui dati derivanti dalle schede di dimissioni ospedaliera dei pazienti COVID-19, i quali saranno sempre comunque gravati da una sottostima intrinseca del tasso intraospedaliero di EP a causa dell’assenza di uno screening sistematico per tale patologia, come prima citato. Al contempo, l’assenza di un resoconto sistematico della tipologia di anticoagulante scelto (eparina non frazionata, a basso peso molecolare, anticoagulanti orali inibitori del fattore X attivato) non ha permesso una valutazione approfondita dell’impiego di tali farmaci e la loro potenziale relazione con lo scopo dello studio. Infine, i risultati presentati nella meta-regressione devono essere interpretati con cautela in quanto la stessa è soggetta a potenziali “ecological bias”.

CONCLUSIONI

Tra i pazienti italiani ospedalizzati per infezione da COVID-19, uno su cinque ha presentato un’EP acuta. Il tasso intraospedaliero di EP è risultato direttamente correlato con l’età, il sesso maschile, la pregressa coronaropatia ed inversamente con la somministrazione di terapia anticoagulante a dosi terapeutiche. È necessaria una promozione attiva dei percorsi diagnostici per EP acuta, specialmente riguardante l’imaging con angio-TC, al fine di ridurre l’insorgenza di tale complicanza immuno-trombotica.

RIASSUNTO

Razionale. L’embolia polmonare (EP) acuta rappresenta una complicanza frequente e prognosticamente rilevante dell’infezione da COVID-19.

Materiali e metodi. Abbiamo eseguito una revisione sistematica e metanalisi, secondo le linee guida PRISMA, per determinare il tasso ospedaliero di EP acuta, sulla base di studi italiani pubblicati sul tema. Abbiamo utilizzato PubMed e Scopus per individuare tutti gli articoli pubblicati tra febbraio 2020 e il 15 ottobre 2021, riportanti l’incidenza di EP acuta nei pazienti italiani con COVID-19. Il tasso ospedaliero aggregato di EP acuta è stato calcolato utilizzando un modello a effetti casuali e presentato con relativo intervallo di confidenza (IC) al 95%.

Risultati. Complessivamente sono stati analizzati i dati di 3287 pazienti italiani con COVID-19 (età media 65.7 anni) inclusi in 20 studi. Il tasso ospedaliero aggregato per EP acuta è stato del 20% (IC 95% 13.4-28.7%; I2 = 95.1%); questo risultava minore tra i pazienti ricoverati in unità di terapia intensiva (UTI) (32.3%; IC 95% 20.2-44.0%; I2 = 77.2%) rispetto a quelli ricoverati in reparti di degenza ordinaria (47.6%; IC 95% 18.7-78.2%; I2 = 94.4%). La meta-regressione ha mostrato una correlazione diretta significativa con la proporzione di EP acuta utilizzando l’età, il sesso maschile e la precedente malattia coronarica come variabili di moderazione. Al contrario, è stata osservata una correlazione inversa rispetto all’uso di anticoagulanti a dosi terapeutiche. L’anticoagulazione profilattica e terapeutica è stata somministrata nell’80.2% dei pazienti (IC 95% 72.5-86.2%; I2 = 91.0%); il primo regime è stato utilizzato più frequentemente rispetto al secondo (63.5% vs 14.3%; p<0.001). L’angio-tomografia è stata utilizzata solo nel 10.7% dei pazienti COVID-19 in 7 studi.

Conclusioni. In Italia, un paziente COVID-19 su cinque ha manifestato EP acuta come complicanza dell’infezione durante il ricovero. Il tasso intraospedaliero di EP acuta era inferiore in UTI rispetto a quella delle degenze ordinarie. L’angio-tomografia è stata scarsamente utilizzata. L’anticoagulazione profilattica precoce era associata ad un minor tasso di EP acuta.

Parole chiave. COVID-19; Embolia polmonare; Epidemiologia; Incidenza.

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