Il registro OIBOH (Optimal Intensification therapy
in a Broad Observed High risk patient population
with coronary disease): studio italiano osservazionale di prevenzione secondaria dopo evento coronarico
durante la pandemia COVID-19

Maurizio del Pinto1, Andrea Santucci1, Franco Guarnaccia2, Cristina Tutarini3, Carmine Musto4

1S.C. Cardiologia, Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Perugia

2ARCA Regione Campania

3Cardiologia, Ospedale San Giovanni Battista di Foligno (PG)

4U.O.C. Cardiologia Interventistica, A.O. San Camillo Forlanini, Roma

Background. In Italy, the COVID-19 outbreak has had a dramatic impact on clinical healthcare in both the in-hospital and ambulatory setting. This has been a relevant issue among clinicians and public policy makers in order to improve organization in various clinical scenarios.

Methods. The OIBOH (Optimal Intensification therapy in a Broad Observed High risk patient population with coronary disease) registry is a cross-sectional study, designed to evaluate ambulatory cardiologists’ capability in identifying very high-risk patients after a recent coronary event (<12 months). After initial clinical evaluation of a very high-risk patient at ambulatory visit, baseline clinical characteristics and treatment were recorded in an electronic database.

Results. In 134 ambulatory centers, 1428 patients were enrolled among 3227 all-comers screened for coronary disease from October 2020 to March 2021. Enrolled patients had to be diagnosed with acute (ACS) or chronic coronary syndrome (CCS) on coronary angiography during the last 12 months. ACS as index event was recorded in 93% of patients whereas CCS in 7%. Mean age was 67 ± 10 years, 25% were female. Coronary revascularization was performed in 96.1% of ACS patients and 67.6% of CCS patients. Diabetes was present in 46% and 47% of ACS and CCS patients, respectively. More than 65% of patients suffered from multivessel disease. A high prevalence of peripheral artery disease was recorded (17.5% in ACS patients and 19.6% in CCS patients). Blood pressure and heart rate were well controlled (128 ± 25.2 mmHg and 65 ± 12.3 bpm in ACS patients; 127 ± 23.4 mmHg and 67 ± 13.2 bpm in CCS patients). In contrast, LDL-cholesterol was not appropriately controlled, with mean values of 88.8 ± 38.6 mg/dl and 86 ± 36.6 mg/dl in ACS and CCS patients, respectively. Only 16.4% of ACS patients reached the guideline-recommended target levels of LDL-cholesterol. Despite the large use of statin therapy (>90% of patients), high-intensity statin therapy either alone or in association with ezetimibe was underprescribed (55.6% and 22.4%, respectively, in ACS patients). Use of PCSK9 inhibitors was remarkably low (2.5%). In patients receiving dual antiplatelet therapy (DAPT), ticagrelor 90 mg was the most commonly used agent in association with aspirin, particularly in ACS patients (80%). In the vast majority of very high-risk patients (>90%), prolonged DAPT beyond 12 months with low-dose ticagrelor 60 mg bid was prescribed.

Conclusions. Long-term management of coronary artery disease patients is complex, especially during the COVID-19 pandemic. The OIBOH registry has highlighted a high capability of ambulatory cardiologists to identify very high-risk patients that could benefit from extended DAPT with ticagrelor 60 mg bid, though more intense LDL-cholesterol lowering should be pursued. In the near future, digital medicine and artificial intelligence may help clinicians to optimize their performance.

Key words. Acute coronary syndrome; Chronic coronary syndrome; COVID-19; High-risk patient; Registry; Residual cardiovascular risk.

INTRODUZIONE

Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte in Europa ed in Italia1. Stringenti evidenze provenienti da trial clinici hanno indotto la Società Europea di Cardiologia (ESC) ad aggiornare le linee guida sul trattamento delle sindromi coronariche croniche (SCC) per raccomandare strategie terapeutiche tese a ridurre il rischio di nuovi eventi cardiovascolari attraverso la riduzione del colesterolo LDL (C-LDL) e la prosecuzione della duplice terapia antiaggregante piastrinica (DAPT) nei pazienti a rischio più elevato2,3. La popolazione di pazienti dopo sindrome coronarica acuta (SCA) o dopo rivascolarizzazione per coronaropatia cronica è complessivamente considerata dalle linee guida ad alto rischio cardiovascolare residuo. Esiste però una sottopopolazione di pazienti a rischio cardiovascolare residuo molto alto che è identificabile attraverso fattori di rischio aggiuntivi, come peraltro delineato dai criteri di arruolamento di importanti trial clinici di prevenzione secondaria, i cui risultati hanno reso necessario aggiornare le linee guida di trattamento dei pazienti con SCC4-8.

Lo studio IMPROVE-IT4 ha randomizzato pazienti dopo SCA stabilizzata tipo infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), angina instabile/infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) ad ezetimibe verso placebo in aggiunta a simvastatina 40 mg. Nei pazienti con STEMI era necessario avere, oltre alla deviazione persistente del tratto ST ≥0.1 mV e alla alterazione degli indici di miocardionecrosi, o un infarto anteriore o almeno 50 anni di età. Nei pazienti con angina instabile/NSTEMI, invece, era necessaria un’età >50 anni e la presenza di almeno un fattore di rischio aggiuntivo tra pregresso infarto miocardico, diabete mellito, arteriopatia periferica (PAD) o malattia cerebrovascolare, storia di bypass aortocoronarico negli ultimi 3 anni o malattia coronarica multivasale (almeno due arterie epicardiche con stenosi >50%). I pazienti con tre o più caratteristiche di rischio molto alto avevano una maggiore ricorrenza di eventi (40% vs 14%) e un beneficio clinico maggiore dall’aggiunta di ezetimibe alla terapia standard (6.3% vs 2.2% di riduzione di rischio assoluto).

Lo studio PEGASUS-TIMI 545 ha randomizzato pazienti di almeno 50 anni di età con pregresso infarto miocardico acuto a distanza di 1-3 anni a prolungamento della DAPT con ticagrelor 60 o 90 mg bid vs placebo in aggiunta ad aspirina. Dovevano essere presenti almeno uno tra i seguenti fattori di rischio aggiuntivi: età ≥65 anni, diabete mellito in terapia, pregresso infarto miocardico, malattia coronarica multivasale o insufficienza renale con clearance della creatinina <60 ml/min. Nel sottogruppo di pazienti ad altissimo rischio residuo con concomitante diabete, PAD e insufficienza renale l’aggiunta di ticagrelor 60 mg ha determinato un beneficio significativamente maggiore rispetto a coloro in cui tali fattori di rischio aggiuntivi non erano presenti.

Lo studio FOURIER6 ha randomizzato pazienti con malattia aterosclerotica come infarto, ictus o PAD sintomatica ad evolocumab o placebo in aggiunta a terapia con statine. Era necessario un valore basale di C-LDL ≥70 mg/dl (1.8 mmol/l) e la presenza di almeno un fattore di rischio aggiuntivo tra diabete, età >65 anni, infarto o ictus pregresso, fumo. Lo studio ha evidenziato come il beneficio clinico di una intensa terapia ipolipemizzante con evolocumab sia nettamente superiore nella sottopopolazione di pazienti con malattia coronarica multivasale residua, multipli infarti miocardici o recente infarto miocardico indice (meno di 2 anni al momento della randomizzazione). In tali pazienti ad altissimo rischio residuo la riduzione assoluta di nuovi eventi cardiovascolari a 3 anni superava il 3% rispetto a coloro senza tali caratteristiche9.

Infine, lo studio ODYSSEY OUTCOMES7 ha arruolato pazienti con recente infarto miocardico acuto (da 1 a 12 mesi) e C-LDL ≥70 mg/dl a trattamento con alirocumab 75 o 150 mg 2 volte al mese o placebo. Si è osservato che i pazienti classificati ad altissimo rischio (63%) secondo la definizione dell’American Heart Association/American College of Cardiology (Tabella 1) avevano un rischio triplo di eventi rispetto ai pazienti di una categoria di rischio inferiore (2.1% vs 0.8%) con una riduzione a 4 anni di 5 eventi/100 pazienti trattati vs 1.6 eventi/100 pazienti trattati. Il dato era ancora più evidente nei pazienti con elevato rischio poligenico (6% vs 1.5% di riduzione del rischio assoluto)10.




Le linee guida multisocietarie statunitensi per la gestione della colesterolemia in prevenzione secondaria individuano pazienti ad alto e altissimo rischio in modo molto stringente e differente rispetto alle linee guida europee11. Vengono considerati ad altissimo rischio quei pazienti che, oltre ad una malattia cardiovascolare aterosclerotica manifesta, hanno storia clinica di multipli eventi cardio-cerebrovascolari o un singolo evento cardio-cerebrovascolare maggiore associato a condizioni di elevato rischio (Tabella 1).

Le linee guida europee sulle dislipidemie2 e sulla gestione delle SCC3, invece, definiscono a rischio altissimo qualsiasi soggetto che sia andato incontro ad un evento vascolare. Questo comporta anche indicazioni differenti, ad esempio nella gestione dei livelli di colesterolemia: le linee guida statunitensi indicano un valore soglia di 70 mg/dl (1.8 mmol/l) di C-LDL prima di associare una terapia non statinica, mentre le linee guida europee definiscono un valore target di C-LDL <55 mg/dl (<1.4 mmol/l) da raggiungere dopo 4-6 settimane da un evento coronarico acuto prima di associare una terapia non statinica.

Le linee guida statunitensi e quelle europee sono invece sostanzialmente concordi nell’indicare la prosecuzione della DAPT oltre 12 mesi nei pazienti ad altissimo rischio con storia di infarto miocardico che abbiano ben tollerato la DAPT e che non siano ad alto rischio di sanguinamento3,11. In particolare, le linee guida europee3, basandosi sui dati dello studio PEGASUS-TIMI 545, raccomandano l’utilizzo di ticagrelor 60 mg bid nei pazienti ad elevato rischio cardiovascolare residuo, indicazione recepita anche nel piano terapeutico disponibile in Italia, rinnovabile anche oltre il terzo anno di trattamento12.

MATERIALI E METODI

Disegno dello studio osservazionale

È uno studio “cross-sectional” pianificato per arruolare 1500 pazienti con malattia coronarica ad altissimo rischio residuo condotto nel periodo ottobre 2020-marzo 2021 in 134 centri cardiologici ambulatoriali di 19 città del territorio italiano (per l’elenco dei coordinatori e dei ricercatori dei centri partecipanti, vedere Addenda supplementare online). La scelta del periodo di osservazione, pianificata nel maggio del 2020, aveva lo scopo di verificare l’accuratezza diagnostica e la stratificazione prognostica di centri cardiologici territoriali (al di fuori dei centri ospedalieri di riferimento) durante la pandemia COVID-19 in Italia. Nel momento di progettazione e raccolta dati dello studio si erano verificati in Europa circa 20 milioni di casi di contagio da SARS-CoV-2, la maggior parte dei quali in Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Russia13. Durante la prima ondata pandemica da SARS-CoV-2 in Italia, a causa del sovraffollamento degli ospedali per ricoveri di malati COVID-19, dell’adozione di misure di distanziamento fisico, della modifica strutturale delle organizzazioni ospedaliere e della chiusura di molti ambulatori specialistici nel territorio, vi è stata una importante sottodiagnosi e mancata ottimizzazione delle terapie nelle patologie coronariche sia acute che croniche.

Tutto ciò ha determinato un drammatico cambiamento nella modalità di erogazione delle visite ambulatoriali specialistiche per molte patologie cardiache croniche come lo scompenso cardiaco14. Per tale motivo è stato chiesto agli specialisti cardiologi ambulatoriali del territorio partecipanti al registro di individuare i pazienti ad altissimo rischio residuo tra tutti coloro che presentassero una storia di coronaropatia. Tale screening andava eseguito sulla base della semplice visita ambulatoriale programmata: una volta che il cardiologo aveva identificato il paziente ad altissimo rischio residuo, procedeva a compilare una scheda di raccolta dati (case report form, CRF) in formato elettronico senza riportarne le generalità, dopo averne ottenuto il consenso. Per essere eleggibile alla registrazione il paziente doveva avere: un’età >18 anni; disporre di una misura del valore di C-LDL negli ultimi 3-6 mesi; poter dichiarare con precisione la terapia in atto; essere stato sottoposto a coronarografia entro i 12 mesi precedenti alla visita (evento indice) con dimostrazione di una coronaropatia significativa, o per una SCA o elettivamente nel contesto di coronaropatia stabile; non era mandatorio per l’inclusione nello studio che l’angiografia fosse stata seguita da rivascolarizzazione.

Determinante era il tempo di esecuzione della coronarografia/rivascolarizzazione (evento indice) che doveva essere occorso entro i 12 mesi precedenti. Per consentire un agile espletamento della visita cardiologica specialistica ambulatoriale il tempo a disposizione per riempire la CRF non doveva eccedere 5-7 min (per il modello di CRF, vedere Addenda supplementare online).

Nella CRF andava riportata la presenza di precedente SCA o pregresse rivascolarizzazioni coronariche rispetto all’evento indice, con particolare riguardo a quelle avvenute negli ultimi 24 mesi. Veniva quindi completata la CRF con dati biometrici, fattori di rischio, parametri di laboratorio degli ultimi 3-6 mesi, terapia in atto ed eventuale indicazione alla prosecuzione della DAPT oltre il tempo previsto dalla struttura cardiologica ospedaliera che aveva trattato il paziente per l’evento indice. Per rendere tale aspetto più oggettivo veniva richiesto il calcolo del DAPT score15 per identificare i pazienti che potevano beneficiare dell’estensione della DAPT con ticagrelor a dosaggio di 60 mg bid.

Non erano arruolabili i pazienti con evento indice oltre i 12 mesi dalla data della visita.

Raccolta dati

Come detto precedentemente, la raccolta dati doveva essere effettuata su CRF elettronica e comprendere dati demografici, anamnesi medica completa con particolare riguardo ai fattori di rischio aggiuntivi condizionanti la prognosi cardiovascolare, valori pressori e di colesterolemia, terapia in atto al momento della visita. Sono stati esaminati 3227 pazienti, “all-comers”, con coronaropatia nota. Di questi sono risultati eleggibili alla raccolta dati del registro 1428 pazienti, identificati dai centri di specialistica cardiologica territoriale come ad altissimo rischio residuo. In un sottogruppo di 591 pazienti della coorte totale sono state analizzate anche le caratteristiche angiografiche.

Obiettivi ed outcome

L’obiettivo primario era quello di valutare la capacità clinica di individuare pazienti ad altissimo rischio cardiovascolare residuo nel breve tempo concesso in un contesto specialistico ambulatoriale. Tale contesto è necessariamente limitato dall’attuale organizzazione sanitaria territoriale che richiede tempi contingentati per la visita del paziente, specie in periodo pandemico. Secondo obiettivo era effettuare una descrizione completa dell’utilizzo di terapie in prevenzione secondaria raccomandate dalle linee guida europee in pazienti ad elevato rischio cardiovascolare residuo dopo un evento coronarico recente. Terzo obiettivo era verificare se l’accuratezza prognostica definita in ambito ospedaliero, ove il paziente era stato trattato per la coronaropatia, osservato per giorni e quindi dimesso, fosse seguita dall’instaurazione di adeguata terapia di prevenzione secondaria, specie nei pazienti ad altissimo rischio cardiovascolare residuo.

La prevenzione secondaria riveste un ruolo essenziale e nonostante si cerchi di ottimizzare la strategia terapeutica, il rischio che si verifichino nuovi eventi avversi cardiovascolari maggiori dopo il primo anno dall’evento indice, è ancora di circa il 20% nei successivi 3 anni16.

I principali outcome erano: a) la capacità clinica, senza preventivo utilizzo di score “time-consuming” (visto il contesto definito prima), di individuare i pazienti ad altissimo rischio cardiovascolare residuo (come definito nelle linee guida statunitensi per il controllo della colesterolemia); b) la corretta prescrizione della terapia al momento della dimissione; c) la percentuale di pazienti a target di C-LDL (secondo le linee guida europee per il trattamento delle dislipidemie); d) l’individuazione dei pazienti candidati alla prosecuzione della DAPT con ticagrelor 60 mg bid oltre il periodo indicato in dimissione, attraverso la conferma di elevato rischio ischemico calcolato con il DAPT score.

Analisi statistica

Tutte le analisi sono descrittive. Tutti i pazienti eleggibili al registro sono stati categorizzati dopo l’evento indice come portatori di fattori di rischio aggiuntivi ad alto impatto prognostico come: diabete mellito, PAD, insufficienza renale cronica. I dati sono stati raggruppati per presentazione (SCA o SCC), in base alla condizione clinica che aveva portato i pazienti all’esecuzione della coronarografia indice. È stato inoltre valutato un sottogruppo di pazienti con SCA che hanno presentato un ulteriore evento coronarico entro i 24 mesi precedenti quello di arruolamento. Le variabili continue sono riportate come media e deviazione standard, le variabili categoriche come numero di casi e percentuale sul totale del gruppo.

RISULTATI

Caratteristiche della popolazione arruolata

In totale sono stati osservati 3227 pazienti “all-comers”, di cui 1428 (il 44.2%) soddisfacevano i criteri di eleggibilità provenienti dai 134 centri partecipanti distribuiti sul territorio nazionale. A titolo di esempio, nello studio europeo DA VINCI17, che ha analizzato il pattern di trattamento in prevenzione primaria e secondaria di pazienti con malattia aterosclerotica in Europa, i pazienti con patologia coronarica arruolati erano 622.

Gli eventi indice sono così suddivisi: 1326 pazienti (93%) con recente SCA e 102 (7.1%) con SCC. Tra i pazienti con SCA, 537 (40.5%) avevano una diagnosi di STEMI, dei quali 269 (50%) STEMI anteriore, 655 una diagnosi di NSTEMI (49.4%) e 134 una diagnosi di angina instabile (10.1%).

Il sesso femminile rappresentava il 25% del campione totale. La rivascolarizzazione è stata eseguita nel 96.1% dei pazienti arruolati per SCA (n=1274) e nel 67.6% (n=69) di quelli con SCC. Il 29.3% dei pazienti con SCA come evento indice aveva storia di pregresse rivascolarizzazioni, di cui il 22.9% eseguite per pregressa SCA. Inoltre, un paziente su 10 (10.7%) tra quelli arruolati per recente SCA aveva storia di multiple SCA (>2).

Di particolare rilievo è il profilo dei fattori di rischio associati all’evento indice (ricordiamo che per essere arruolati i pazienti dovevano aver eseguito una coronarografia per SCA o SCC negli ultimi 12 mesi dall’osservazione). Il 50% circa dei pazienti era diabetico (47% e 46% dei pazienti con SCC e SCA, rispettivamente).

Oltre l’80% dei pazienti era iperteso. La familiarità per coronaropatia era presente in oltre il 45% dei pazienti. I dati complessivi delle caratteristiche cliniche, procedurali e di laboratorio della popolazione in base alla presentazione clinica sono illustrate nella Tabella 2.







Profilo di rischio cardiovascolare

Come detto in precedenza uno degli obiettivi principali dello studio era quello di valutare la sensibilità clinica degli specialisti cardiologi del territorio in un contesto molto particolare: individuare rapidamente nel poco tempo concesso per le visite ambulatoriali programmate i pazienti ad altissimo rischio cardiovascolare residuo (vale a dire non tutti coloro che avevano avuto un singolo evento coronarico come indicato dalle linee guida europee3) adottando criteri aggiuntivi di rischio come quelli indicati in Tabella 111. Il tutto doveva avvenire rapidamente e in un numero inferiore di pazienti (vista la chiusura di parte delle visite prenotabili) che inderogabilmente avevano bisogno di un controllo clinico, in ragione delle ristrettezze temporali e di logistica ambulatoriale imposte dalla pandemia COVID-19. Una volta individuato il paziente ad altissimo rischio, veniva arruolato e compilata in breve tempo la CRF elettronica. A questo punto il paziente veniva individuato come meritevole di stretto follow-up clinico-terapeutico per implementare le strategie di prevenzione secondaria raccomandate dalle linee guida. La capacità diagnostica dei colleghi di specialistica ambulatoriale è risultata eccellente come evidenziato dall’altissimo profilo di rischio cardiovascolare residuo dei pazienti arruolati. In generale è emerso un buon controllo dei valori pressori con valori medi di pressione arteriosa sistolica 127 ± 23.4 mmHg nei pazienti con SCC e di 128 ± 25.2 mmHg nei soggetti con recente SCA. È risultato buono anche il controllo della frequenza cardiaca con valori di 67 ± 13.2 b/min e di 65 ± 12.3 b/min, rispettivamente. Questo implicitamente riflette un adeguato utilizzo di terapie consolidate da molti anni come gli antipertensivi e i betabloccanti in prevenzione secondaria.

Di particolare interesse, oltre alla citata elevata prevalenza di pazienti diabetici (circa il 50% della popolazione arruolata), è la rilevante presenza di PAD (diagnosticata come pregressa rivascolarizzazione periferica, indice caviglia-braccio patologico, positività alla diagnostica vascolare periferica eco-Doppler, diagnosi clinica di claudicatio intermittens), identificata rispettivamente nel 19.6% e nel 17.5% dei pazienti con SCC e SCA e la familiarità per coronaropatia presente nel 47% e 48.4%, rispettivamente.

L’insufficienza renale cronica era presente nel 20.5% dei pazienti con SCC e nel 15.8% dei pazienti con SCA.

Con particolare riguardo alle recenti novità introdotte dalle linee guida europee per il trattamento dello scompenso cardiaco18, si evidenzia come nella popolazione arruolata la storia di scompenso cardiaco congestizio sia presente nel 7.8% e 7% rispettivamente dei pazienti con SCC e SCA e una frazione di eiezione <35% nel 6.9% e 5.6% rispettivamente. Pur non essendo un registro per la rilevazione dell’insufficienza cardiaca, il fatto che circa un paziente su 10 abbia avuto una storia di scompenso cardiaco unitamente all’elevata prevalenza di pazienti diabetici (circa il 50% della popolazione arruolata) impone una particolare attenzione all’adozione di strategie terapeutiche di recente introduzione come l’utilizzo degli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 nel post-infarto19.

In un sottogruppo di pazienti (n=591, il 41% della popolazione arruolata), scelti con un processo di alternanza (venivano scelti per l’analisi di volta in volta il secondo paziente registrato, poi il terzo paziente registrato e quindi il primo paziente registrato di ogni terna consecutiva), era prevista l’analisi delle caratteristiche angiografiche e procedurali (Tabella 3).




Si delinea una coorte di pazienti con un quadro epidemiologico caratterizzato da elevatissimo rischio cardiovascolare residuo.

Terapie di prevenzione secondaria

La terapia ipolipemizzante ed antitrombotica osservata nella popolazione arruolata (Tabella 4) riflette sostanzialmente quella prescritta alla dimissione ospedaliera dopo l’evento indice e la diagnosi angiografica di coronaropatia.

Terapia ipolipemizzante

L’utilizzo di una terapia con statine è presente nel 90% dei soggetti, indipendentemente dal tipo di evento indice; in particolare vengono utilizzate statine ad alta intensità (atorvastatina 40/80 mg e rosuvastatina 20/40 mg) nel 47% dei pazienti con SCC e nel 55.6% dei pazienti con SCA, mentre l’associazione di statina ad alta intensità ed ezetimibe è presente solo nel 14.7% e 22.4%, rispettivamente (Tabella 4). Estremamente ridotto, nel 2% e 2.5% dei pazienti, risulta l’utilizzo degli inibitori di PCSK9.

Il sottoutilizzo delle terapie ipolipemizzanti in prevenzione secondaria, sia di molecola che di dosaggio, rispetto all’elevato profilo di rischio dei pazienti è un problema generalmente diffuso come dimostrato da recenti dati di registro sia europei che statunitensi17,20. È altresì ampiamente noto come la drastica riduzione dei valori di C-LDL in prevenzione secondaria, specie nei pazienti ad elevatissimo rischio cardiovascolare, correli direttamente con la netta riduzione di eventi cardiovascolari futuri21. Il dato di sottoutilizzo di terapie ipolipemizzanti ben codificate è confermato dall’analisi del nostro registro. I valori di C-LDL raggiunti nella popolazione di pazienti analizzati sono di 86 ± 36.6 mg/dl nel gruppo SCC e 88.8 ± 38.6 mg/dl nel gruppo SCA. Tali valori sono ampiamente al di sopra dei target raccomandati dalle linee guida europee per il controllo della colesterolemia2. Infatti solo il 16.6% dei pazienti con SCC e il 16.4% dei pazienti con SCA ha raggiunto i valori target raccomandati (<55 mg/dl). Se analizziamo il profilo lipidico nel sottogruppo di pazienti con più di una SCA negli ultimi 2 anni, in cui il target di C-LDL raccomandato dalle linee guida europee è <40 mg/dl, osserviamo che solo il 4.9% dei pazienti raggiunge tale target, il 21.1% raggiunge valori di C-LDL <55 mg/dl e il 38.7% valori <70 mg/dl.

Il dato risulta clinicamente e prognosticamente molto rilevante se si considera la collinearità tra riduzione assoluta dei livelli di C-LDL e la riduzione di eventi (Figura 1)22.




Complessivamente le cose non migliorano neanche se si tengono presenti i valori raccomandati dalle precedenti linee guida del 2016, in cui venivano raccomandati valori target <70 mg/dl (Figura 2)2,23.




Terapia antitrombotica

La terapia antiaggregante piastrinica ha un ruolo essenziale nella prevenzione di nuovi eventi cardiovascolari. Nella popolazione esaminata, una singola terapia antiaggregante piastrinica (SAPT) era somministrata nel 21.5% dei pazienti con SCC e nell’8.5% dei pazienti con SCA come evento indice, prevalentemente rappresentata da aspirina (Tabella 4). La DAPT era presente al momento dell’arruolamento rispettivamente nel 78.5% e 91.5% dei pazienti. Come atteso, la DAPT con clopidogrel era più frequentemente assunta dai pazienti con SCC rispetto a quelli con SCA (25.5% vs 9.6%). Va notato come ticagrelor (al dosaggio di 90 mg bid) sia largamente rappresentato in tutta la popolazione dei pazienti arruolati (51% nel gruppo SCC e 80% nel gruppo SCA), essendo ovviamente maggiormente utilizzato dopo un evento coronarico acuto. La DAPT con prasugrel era utilizzata in una minoranza di pazienti (1% e 2.2% nei due gruppi, rispettivamente). Ricordiamo come sia molto importante la compliance del paziente alla DAPT. Sono state esaminate le cause di sospensione della DAPT nei due gruppi di pazienti: la sospensione si è verificata nel 13.7% dei pazienti con SCC e nel 7.2% dei pazienti con SCA. Analizzandone le cause (categorizzate come: 1-indicazione medica, 2-mancata compliance, 3-necessità di chirurgia) emerge come la sospensione della DAPT su consiglio medico si sia verificata nell’11% dei pazienti con SCC (imputabile verosimilmente alla breve durata della DAPT visto il contesto cronico) e nel 5.4% dei pazienti con SCA. Risulta molto bassa una sospensione per mancata compliance (2% nel gruppo SCC e 0.8% nel gruppo SCA) così come per necessità di chirurgia non cardiaca (1% nel gruppo SCC e 1.1% nel gruppo SCA).

La storia di sanguinamenti non legati alla procedura di rivascolarizzazione è presente nel 2.9% dei pazienti con SCC e nel 2% dei pazienti con SCA; si può perciò affermare che l’eventuale interruzione della DAPT non riconosca come ragione principale il manifestarsi di problemi emorragici, in entrambi i gruppi di pazienti.

Va notato come gli specialisti ambulatoriali abbiano individuato e oggettivato, anche tramite il calcolo del DAPT score, una popolazione di pazienti ad altissimo rischio, raccomandando la prosecuzione della DAPT con bassa dose di ticagrelor oltre il tempo raccomandato in dimissione, specie nel gruppo di pazienti con SCA, nel 93.1% dei casi. Ciò è confermato anche dal fatto che l’indicazione a proseguire la DAPT sia stata ampiamente posta anche nel gruppo di pazienti con SCC (85.1%), pur non essendo questa una popolazione in cui tale raccomandazione sia suffragata da dati di letteratura (a meno che non sia presente in anamnesi la storia di pregresso infarto miocardico negli ultimi 2 anni, come indicato anche nel piano terapeutico).

La prevalenza di fibrillazione atriale era presente in una minoranza di pazienti (5.9% nel gruppo SCC e 3.2% nel gruppo SCA) così come la prescrizione di terapia anticoagulante orale (4.9% nel gruppo SCC e 2.3% nel gruppo SCA), a conferma dal fatto che sia stata selezionata una popolazione di pazienti ad altissimo rischio residuo da trattare con sola terapia antiaggregante.

Utilizzo degli score di rischio

Come precedentemente descritto nella metodologia, agli specialisti ambulatoriali non era richiesto l’utilizzo di score per identificare i pazienti a più alto rischio cardiovascolare residuo. Al contrario, solo dopo l’arruolamento e la compilazione della CRF elettronica veniva loro richiesto il calcolo del DAPT score15 attraverso un punteggio calcolato elettronicamente. Questo per oggettivare l’eventuale indicazione alla prosecuzione della DAPT con bassa dose di ticagrelor. Per verificare comunque l’elevato profilo di rischio della popolazione arruolata abbiamo calcolato, con un’analisi post-hoc, il REACH score di questi pazienti. Il REACH score24 è uno dei modelli di rischio validati nei pazienti ambulatoriali con diagnosticata malattia aterotrombotica coronarica recente (<1 anno) per predire il rischio di ulteriori eventi cardiovascolari compresa la morte cardiovascolare.

Il calcolo del DAPT score ha mostrato valori medi di 1.8 ± 1.6 nel gruppo SCC e 2.3 ± 1.8 nel gruppo SCA, confermando l’identificazione di una popolazione relativamente giovane (età media 67 ± 10 anni) e ad elevato rischio di eventi futuri, soprattutto nel gruppo arruolato per SCA recente come evento indice.

Il dato è stato confermato anche attraverso il calcolo del REACH score (Figura 3) che ha mostrato un’elevata probabilità di eventi a soli 20 mesi dal momento dell’osservazione.




I punteggi di REACH score per evento cardiovascolare a 20 mesi (mediana ± deviazione standard) sono risultati pari a 12 ± 2.2 nel gruppo SCC e 14 ± 2.9 nel gruppo SCA con una probabilità mediana di eventi cardiovascolari a 20 mesi del 5.4% nei pazienti con SCC e del 7.3% nei pazienti con SCA e di mortalità cardiovascolare rispettivamente dell’1.8% e 2.3%.

DISCUSSIONE

L’analisi dell’ampia coorte di pazienti arruolati ha evidenziato, in un contesto ambulatoriale extraospedaliero, un’elevata capacità clinica di individuare pazienti ad altissimo rischio cardiovascolare residuo. Ciò è di particolare rilievo se si considera che la rilevazione è stata effettuata durante la seconda drammatica ondata pandemica in Italia tra ottobre 2020 e marzo 2021. Il risultato correlato a questo primo obiettivo, e cioè la capacità di individuare i pazienti ad altissimo rischio senza l’utilizzo di score, è stato ampiamente positivo, come confermato dall’analisi post-hoc attraverso il calcolo del REACH score. La distribuzione del REACH score nella popolazione arruolata dimostra ampiamente come tale capacità di individuazione sia molto elevata nel contesto extraospedaliero.

Il secondo obiettivo prefissato, e cioè l’analisi delle terapie raccomandate in prevenzione secondaria, descrive un’estrema attenzione delle cardiologie extraospedaliere nel definire tale dato, sia in termini di dosaggio che di molecola. A fronte di un elevato utilizzo di statine, in oltre il 90% dei pazienti, l’utilizzo di una terapia con statina ad alta intensità si osserva solo in un paziente su due, mentre la terapia di associazione con ezetimibe è riservata ad una percentuale di pazienti variabile tra il 14% e il 22% (SCC e SCA, rispettivamente). Risulta inoltre estremamente basso l’utilizzo di inibitori di PCSK9 (tra il 2% e il 2.5%).

Diverso è il profilo di utilizzo della DAPT, ove si rileva un corretto impiego di molecole (80% con ticagrelor nei pazienti con SCA) e una buona aderenza alla terapia (solo il 7.3% di pazienti sospende la DAPT nel gruppo SCA). Risulta confortante la bassa incidenza di eventi emorragici non legati alla procedura emodinamica (<3%), dato che correla anche con la buona aderenza alla terapia.

Da ultimo andando ad analizzare la capacità di accuratezza prognostica e la conseguente instaurazione di una corretta terapia di prevenzione secondaria abbiamo rilevato come la percentuale di pazienti ad altissimo rischio che raggiunge il target di C-LDL raccomandato dalle linee guida europee sia estremamente bassa (solo il 16.4% dei pazienti nel gruppo SCA). Tutto ciò inevitabilmente riflette un inadeguato utilizzo della terapia ipolipemizzante sin dal momento della dimissione ospedaliera, sia in termini di molecole, che di dosaggio e associazione. Per quanto attiene alla DAPT, si osserva come l’indicazione al proseguimento della terapia (anche attraverso il calcolo del DAPT score) venga correttamente posta dai cardiologi del territorio in una elevata percentuale di pazienti ad altissimo rischio, in accordo con quanto raccomandato dalle linee guida europee sulle SCC3 e concordemente al piano terapeutico vigente in Italia per ticagrelor 60 mg12.

Un cenno particolare merita il dato inerente la prevalenza di PAD. La prevalenza osservata nella popolazione del nostro registro (19.6% nella popolazione con SCC e 17.5% in quella con SCA) è molto superiore rispetto a quanto osservato in letteratura ove varia tra il 6% e il 13%25. Questo dato risulta comunque coerente con l’elevata prevalenza di malattia diabetica come detto in precedenza. La PAD non solo è un determinante di aumentato rischio cardiovascolare quando si manifesta da sola, ma può anche condizionare la scelta di una specifica terapia antipiastrinica quando presente in pazienti stabili con precedente infarto miocardico, nei quali incrementa notevolmente il rischio di nuovi eventi cardiovascolari26-29. In generale le caratteristiche cliniche dei pazienti affetti da concomitante PAD e coronaropatia provengono da studi clinici randomizzati in contesti clinici molto selezionati e spesso si ha una sotto-rappresentazione della prevalenza di PAD nei pazienti con coronaropatia30.

Il nostro registro per le caratteristiche di selezione dei pazienti ad altissimo rischio residuo, selezione imposta dalla pandemia COVID-19, ha ben evidenziato come tale patologia sia molto prevalente nei pazienti con precedente infarto miocardico e altre caratteristiche di rischio elevato. Tali pazienti hanno non solo più eventi cardiovascolari ma generalmente tendono a manifestare recidive ischemiche in tempi più brevi rispetto ai pazienti senza associata PAD25 imponendo in tal modo al clinico un follow-up molto stretto. Tale necessità confligge con l’attuale organizzazione della specialistica cardiologica ambulatoriale cui viene richiesta, senza selezione, assistenza clinica a tutti i pazienti con problematiche cardiovascolari, ritardando così spesso l’osservazione dei malati a rischio più elevato. La necessità di selezionare pazienti ad altissimo rischio ha identificato una categoria di pazienti in cui è presente un’estesa coronaropatia con molteplici fattori di rischio aggiuntivi ad elevato impatto prognostico. Una malattia coronarica multivasale è presente in oltre il 60% dei pazienti con un’elevata presenza di patologia del tronco comune, corrispettivo anatomico dell’elevata prevalenza di diabete, insufficienza renale cronica e PAD.

La capacità clinica unitamente all’utilizzo di vari score di rischio per predire eventi clinici trombotici ed emorragici dopo un evento coronarico rimane tuttora insufficiente nella gestione di una terapia individualizzata (medicina di precisione). Le informazioni scientifiche basate sull’evidenza provenienti da trial clinici randomizzati, da dati di registro e da linee guida obbligano il clinico ad un aggiornamento continuo con l’obiettivo di migliorare la salute dei pazienti. Tuttavia, purtroppo, anche l’applicazione apparentemente semplice di raccomandazioni terapeutiche ben definite, come la drastica riduzione dei livelli di C-LDL o la prosecuzione della terapia antiaggregante, è ancora riservata nella pratica clinica quotidiana ad una netta minoranza di pazienti. Far ricadere la colpa di questo sui singoli professionisti medici della salute non è una risposta. La risposta è ben più complessa e richiede analisi approfondite di quanto accade nella realtà clinica. L’organizzazione della medicina territoriale dovrà far fronte in futuro ad esigenze profondamente diverse rispetto alle attuali e a quelle pre-pandemia. La pandemia da SARS-CoV-2 ha evidenziato come i professionisti della salute abbiano una notevole resilienza e flessibilità nell’approntare modelli organizzativi. Purtroppo l’organizzazione logistica della Sanità paga lo scotto di notevoli ritardi nell’applicazione di tecnologie ormai consolidate in altri settori. Va da ultimo ricordato come spesso la specialistica cardiologica ospedaliera al momento della dimissione, anche qui per fenomeni complessi legati all’organizzazione, spesso non risulti aderente alle indicazioni provenienti dalle linee guida, specie per quanto attiene la bassa prescrizione di terapie d’associazione con statina ad alta intensità ed ezetimibe ed utilizzo di inibitori di PCSK9. Risulta infatti del tutto insoddisfacente il livello di C-LDL raggiunto dai pazienti del registro al momento dell’osservazione dopo evento indice. Questo comporta che la specialistica ambulatoriale intervenga poi in una fase successiva per correggere tale discrepanza.

Direzioni future

L’idea di un registro di pazienti ad altissimo rischio con evidenza angiografica di malattia coronarica, diagnosticata con coronarografia eseguita tra i 6 e 12 mesi precedenti la visita e l’arruolamento per una SCC o una SCA, è nata dall’evidenza che durante la pandemia molto spesso i malati più gravi non ricevessero adeguata assistenza medica sul territorio. Questo ha determinato la necessità di approntare uno strumento semplice per dimostrare la capacità diagnostica della specialistica territoriale nell’individuare la popolazione di pazienti a più stretto bisogno di ottimizzare le terapie raccomandate in prevenzione secondaria. La complessità nell’assistenza specialistica cardiologica è sicuramente rilevante visto che il clinico nel proporre adeguamenti terapeutici e necessità di stretto follow-up deve tener conto di molteplici fattori nel breve tempo consentito dalla visita ambulatoriale programmata. Tale aspetto riveste grande importanza in molte altre patologie croniche come peraltro già indicato nel Piano Nazionale della Cronicità del 2016, che purtroppo risulta ancora largamente inattuato, specie nel punto in cui si indica la necessità di stretta interdipendenza tra l’ospedale che attua piani di cura per l’acuzie e la specialistica ambulatoriale di territorio deputata alla presa in carico del paziente cronico31. Tale aspetto è stato reso ancor più importante proprio durante la pandemia da SARS-CoV-2 come ben sappiamo. E proprio per questo si è tornati a parlare con grande enfasi della necessità di potenziare la Medicina di Territorio nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza32. Purtroppo le difficoltà insite in tale progettualità sono molteplici ed il percorso da attuare potrebbe risentire di importanti differenze nelle varie regioni italiane. Allo stesso tempo si è aperto un ampio dibattito sull’utilizzo della tecnologia digitale in ambito medico-assistenziale sia per lo sviluppo di database appropriati ad ogni singola patologia che per l’utilizzo della telemedicina. Con il nostro studio abbiamo voluto dimostrare come “il capitale umano di professionisti della salute” sia ampiamente disponibile e altamente formato essendo stato in grado di evidenziare una popolazione di pazienti ad altissimo rischio.

Rimane da risolvere un aspetto esiziale: come gestire la grande quantità di informazioni cliniche e di laboratorio dei pazienti più complessi? Una soluzione potrebbe derivare dall’utilizzo della tecnologia digitale più avanzata come lo sviluppo di software di intelligenza artificiale ad hoc per ogni singolo problema clinico. I sistemi di intelligenza artificiale descritti in letteratura ed utilizzati nella pratica clinica sono orientati essenzialmente a quattro rilevanti categorie nella ricerca ed assistenza in Sanità: 1) diagnosi, 2) stima del rischio di morbilità e mortalità, 3) predizione e sorveglianza di pandemie, 4) pianificazione di politiche sanitarie33.

È dimostrato in letteratura come dal punto di visita clinico la performance degli score di rischio esistenti, nel nostro caso nei pazienti dopo un evento coronarico, sia relativamente bassa. Ciò è imputabile ad una non appropriata selezione dei pazienti a rischio veramente molto elevato. I sistemi di intelligenza artificiale o “machine learning” potrebbero essere in grado di superare gli attuali sistemi analitici applicando specifici algoritmi ad ampi database con numerose variabili multidimensionali (analisi di segni clinici ed analisi di segnali – di laboratorio, di parametri biometrici) in grado di cogliere relazioni non lineari tra caratteristiche cliniche e segnali di laboratorio per predire il rischio del paziente. Ad esempio nel caso del nostro registro definire il rischio ischemico ed emorragico nel singolo paziente con l’utilizzo di determinate terapie antitrombotiche34. Le premesse fisiopatologiche del rischio trombotico in un paziente con recente SCA variano nel corso del tempo e i dati provenienti in letteratura indicano come una DAPT prolungata con ticagrelor 60 mg bid sia stata verificata entro i primi 3 anni dall’evento acuto in pazienti ad elevatissimo rischio cardiovascolare residuo (Figura 4)5,35.




Tale rischio prosegue nel tempo e dopo i primi 3 anni sembrerebbe che la persistente generazione di trombina, sempre in pazienti ad elevatissimo rischio con PAD associata, possa essere mitigata dall’utilizzo di basse dosi di rivaroxaban a 2.5 mg bid. In entrambi gli studi citati nella Figura 4 il beneficio clinico netto tra riduzione di eventi ischemici ed incremento di sanguinamenti risulta a favore della duplice terapia (sia antiaggregante che antitrombotica). Ma se si considera la complessità del singolo paziente ad altissimo rischio cardiovascolare residuo (Figura 5), come i pazienti arruolati nel nostro registro, si può vedere come molteplici fattori rientrino nel calcolo di questo rischio e come la complessità della terapia e delle evidenze scientifiche, in questo caso correlate all’utilizzo di inibitori di PCSK9 in pazienti a diverso intervallo di tempo dall’evento coronarico acuto, possa risultare problematica per il clinico, dovendo assistere una grande quantità di pazienti in un tempo oggettivamente limitato.




Analizzando la Figura 5 si può notare come la problematica acuta riconosca una determinata incidenza epidemiologica. Qui il clinico interviene nelle fasi iniziali del lungo percorso del paziente cronico. Il rischio reale è la perdita della popolazione, molto più ampia, che affronta la fase cronica di elevata prevalenza della malattia polivascolare con associati fattori di rischio. La progettazione, lo sviluppo e l’utilizzo di sistemi di medicina digitale e di intelligenza artificiale sarà il necessario sviluppo di un’assistenza medica sempre più complessa in una popolazione sempre più complessa. La base di partenza sarà comunque sempre la creazione di specifici database, da parte dei clinici (Figura 6), da cui partire per lo sviluppo di piattaforme digitali di data sharing per pazienti particolarmente complessi.




La nostra specialistica ambulatoriale di territorio ha dimostrato di poter essere all’altezza di tale compito individuando specifiche popolazioni di pazienti ad alto ed altissimo rischio, potendo così contribuire in modo determinante allo sviluppo di idonee soluzioni digitali.




RIASSUNTO

Razionale. In Italia la pandemia COVID-19 ha determinato importanti riorganizzazioni logistiche nell’erogazione delle cure ospedaliere e di specialistica ambulatoriale. Ciò ha spinto clinici e decisori pubblico-amministrativi della Sanità ad adottare nuovi modelli organizzativi in molteplici scenari clinici.

Materiali e metodi. Il registro OIBOH (Optimal Intensification therapy in a Broad Observed High risk patient population with coronary disease) è uno studio osservazionale “cross-sectional” condotto in vari centri italiani di cardiologia ambulatoriale per valutare durante la pandemia COVID-19 la capacità di identificare in breve tempo i pazienti ad altissimo rischio cardiovascolare residuo dopo un evento coronarico recente (<12 mesi). Successivamente alla valutazione clinica iniziale, venivano arruolati i pazienti ritenuti ad altissimo rischio, registrando le caratteristiche cliniche e di trattamento in una scheda di raccolta dati elettronica.

Risultati. Al registro hanno partecipato 134 centri di cardiologia ambulatoriale che hanno arruolato 1428 pazienti su 3227 esaminati fra quelli che avevano avuto accesso ad una visita cardiologica durante la pandemia nel periodo ottobre 2020-marzo 2021. Il criterio di arruolamento era costituito dall’aver avuto una diagnosi di coronaropatia confermata angiograficamente negli ultimi 12 mesi, per sindrome coronarica acuta (SCA) o cronica (SCC). La SCA come evento indice era presente nel 93% dei pazienti arruolati mentre la SCC nel 7%. L’età media era 67 ± 10 anni, il 25% era di sesso femminile. Il 96.1% dei pazienti con SCA e il 67.6% dei pazienti con SCC sono stati sottoposti a rivascolarizzazione coronarica. Il 46% e 47% dei pazienti con SCA e SCC, rispettivamente, era diabetico. Oltre il 65% dei pazienti presentava una malattia coronarica multivasale. È stata osservata una importante prevalenza di arteriopatia periferica (17.5% nei pazienti con SCA e 19.6% nei pazienti con SCC). I valori di pressione arteriosa e frequenza cardiaca risultavano ben controllati (128 ± 25.2 mmHg e 65 ± 12.3 b/min nei pazienti con SCA; 127 ± 23.4 mmHg e 67 ± 13.2 b/min nei pazienti con SCC). Viceversa, è stato riportato uno scarso controllo dei livelli di colesterolemia LDL, con un valore medio di 88.8 ± 38.6 mg/dl nei pazienti con SCA e 86 ± 36.6 mg/dl nei pazienti con SCC. Solo il 16.4% dei pazienti con SCA raggiungeva i livelli raccomandati dalle attuali linee guida europee. Nonostante l’estensivo uso di statine (>90%), si è rilevato un utilizzo limitato dell’associazione statina ad alta intensità + ezetimibe (solo il 22.4% dei pazienti). Estremamente basso è stato l’utilizzo di inibitori di PCSK9 (2.5%). La duplice terapia antiaggregante piastrinica (DAPT) è risultata complessivamente ben condotta fin dalla dimissione ospedaliera. Nei pazienti in DAPT, l’inibitore P2Y12 più utilizzato è risultato il ticagrelor alla dose di 90 mg, soprattutto dopo un evento coronarico acuto (in circa l’80% dei pazienti con SCA). Nella stragrande maggioranza dei casi (>90%) i cardiologi ambulatoriali hanno posto indicazione a prosecuzione della DAPT oltre i 12 mesi con aspirina e ticagrelor 60 mg bid.

Conclusioni. La gestione del paziente con coronaropatia in fase cronica stabilizzata è molto complessa. Tale complessità logistico-gestionale si è accentuata durante la pandemia COVID-19. Il registro OIBOH ha evidenziato un’ottima capacità di identificare le problematiche clinico-prognostiche delle cardiologie ambulatoriali italiane, specie nei pazienti ad altissimo rischio residuo. Rimangono importanti aree di miglioramento come uno stretto controllo della colesterolemia LDL, mentre altre raccomandazioni delle linee guida, come la prosecuzione della DAPT con ticagrelor 60 mg oltre i 12 mesi, risultano ben applicate. L’implementazione dell’assistenza con la medicina digitale e l’intelligenza artificiale potrebbe migliorare di molto la performance dei clinici.

Parole chiave. COVID-19; Paziente ad alto rischio; Registro; Rischio cardiovascolare residuo; Sindrome coronarica acuta; Sindrome coronarica cronica.

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