Gli anticoagulanti orali diretti nei pazienti con fibrillazione atriale sottoposti ad impianto transcatetere di valvola aortica: nuove evidenze dallo studio ENVISAGE-TAVI AF

Piera Capranzano

Divisione di Cardiologia, Ospedale Policlinico, Università degli Studi, Catania

La procedura di impianto transcatetere di valvola aortica (TAVI) rappresenta attualmente il trattamento standard in una popolazione sempre più ampia di pazienti con stenosi aortica. L’evoluzione tecnologica delle protesi, la migliorata esperienza degli operatori e i progressi tecnici della procedura di TAVI hanno portato ad una progressiva riduzione sia delle complicanze peri-procedurali che degli eventi avversi a medio e lungo termine dopo l’intervento. Tuttavia, i pazienti sottoposti a TAVI sono particolarmente soggetti sia alle complicanze tromboemboliche cerebrali che a quelle emorragiche, sulla prevenzione delle quali gioca un ruolo fondamentale la selezione di un’ottimale terapia antitrombotica peri- e post-procedurale. In particolare, l’ictus che si può verificare dopo la TAVI è dovuto sia al materiale che si stacca dalla protesi che alla fibrillazione atriale, una patologia riscontrabile in una rilevante proporzione (circa 30%) di pazienti sottoposti a TAVI. Negli anni passati, a causa della mancanza di evidenze solide sulla strategia antitrombotica ottimale dopo la TAVI, nella pratica clinica si è osservata una larga eterogeneità nell’uso di regimi terapeutici includenti farmaci anticoagulanti e/o antiaggreganti1. Recentemente, sono stati resi disponibili i risultati di studi randomizzati dedicati a valutare la relativa efficacia e sicurezza di diversi regimi antitrombotici in pazienti sottoposti a TAVI sia in assenza che in presenza di concomitanti indicazioni all’anticoagulazione orale2. Nel primo gruppo di pazienti sottoposti a TAVI, cioè quelli privi di patologie in cui è indicata l’anticoagulazione orale, gli studi randomizzati attualmente disponibili hanno esaminato le seguenti strategie antitrombotiche di confronto post-TAVI: 1) doppia vs singola terapia antiaggregante; 2) terapia antipiastrinica vs. anticoagulazione orale. Nel secondo gruppo di pazienti sottoposti a TAVI, cioè quelli che hanno comorbilità per le quali è indicata l’anticoagulazione orale, in particolare la fibrillazione atriale, gli studi randomizzati hanno confrontato le seguenti strategie antitrombotiche post-TAVI: 1) anticoagulanti orali diretti (DOAC) vs antagonisti della vitamina K (AVK); 2) anticoagulanti orali con o senza farmaco antipiastrinico associato.

In tale contesto, l’ENVISAGE-TAVI AF (Edoxaban versus Standard of Care and Their Effects on Clinical Outcomes in Patients Having Undergone Transcatheter Aortic Valve Implantation-Atrial Fibrillation) è uno studio randomizzato che ha confrontato l’efficacia e la sicurezza di un DOAC, edoxaban, con quelle degli AVK in pazienti (n = 1426) con fibrillazione atriale sottoposti a TAVI3. L’endpoint primario di efficacia è stato un composito clinico netto che comprendeva la morte per tutte le cause, l’infarto miocardico, l’ictus, il tromboembolismo sistemico, la trombosi clinica della valvola e i sanguinamenti maggiori definiti secondo la classificazione dell’International Society on Thrombosis and Haemostasis (ISTH). L’endpoint primario di sicurezza ha incluso solo i sanguinamenti maggiori ISTH, definiti come emorragia clinicamente manifesta con riduzione dell’emoglobina >2 g/dl, necessità di trasfusioni, emorragia sintomatica in organi critici o sanguinamento fatale. Lo studio è stato adeguatamente disegnato per dimostrare la non-inferiorità di edoxaban vs AVK per l’endpoint primario clinico netto, con un margine di non-inferiorità del limite superiore dell’intervallo di confidenza (IC) di 1.38, simile a quello usato nei trial registrativi dei DOAC. L’analisi statistica del trial prevedeva di testare primariamente la non-inferiorità per l’endpoint primario di efficacia, e se quest’ultima veniva soddisfatta, di proseguire gerarchicamente a testare la non-inferiorità per l’endpoint primario di sicurezza e solo successivamente la superiorità per i due endpoint precedenti. I pazienti sono stati randomizzati con un rapporto 1:1 da 12 h a 5 giorni dopo la procedura di TAVI effettuata con successo. Prima della randomizzazione era necessario prespecificare se si voleva aggiungere la terapia antipiastrinica, il cui uso opzionale veniva lasciato a discrezione dell’investigatore. I pazienti arruolati avevano un’età media di 82.1 anni, una clearance della creatinina media di 58 ml/min e il 47.5% erano donne. L’uso della terapia antipiastrinica è stato specificato prima della randomizzazione in 328 pazienti (46.0%) del gruppo edoxaban e in 359 (50.4%) del gruppo AVK. Alla randomizzazione, il 46% dei pazienti presentava i criteri per l’aggiustamento della dose di edoxaban e ha ricevuto il dosaggio ridotto di 30 mg/die. Durante un follow-up medio di 554 giorni nel gruppo edoxaban e di 530 giorni nel gruppo AVK, la non-inferiorità di edoxaban vs AVK per l’endpoint primario di efficacia è stata soddisfatta con incidenze annuali del 17.3% con edoxaban vs 16.5% con AVK (hazard ratio [HR] 1.05, IC 95% 0.85-1.31; p per non-inferiorità = 0.01). Diversamente, edoxaban non ha raggiunto la non-inferiorità rispetto all’AVK per l’endpoint primario di sicurezza, essendo stato associato ad una più elevata incidenza per anno di sanguinamenti maggiori ISTH (9.7% vs 7.0%; HR 1.40, IC 95% 1.03-1.91; p per non-inferiorità = 0.93]. Nonostante l’incremento dei sanguinamenti maggiori, l’endpoint clinico netto si è mantenuto simile nei due gruppi poiché l’incidenza annuale della mortalità o dell’ictus è stata numericamente più bassa nel gruppo edoxaban vs AVK (10.0% vs 11.7%; HR 0.85, IC 95% 0.66-1.11).

La differenza tra i due gruppi in termini di sanguinamenti è stata guidata dalle emorragie gastrointestinali che sono state più frequenti con edoxaban. Nonostante tale aumento, i sanguinamenti minacciosi per la vita sono stati numericamente inferiori con edoxaban rispetto ad AVK (1.6% vs 1.9%). Inoltre, i sanguinamenti fatali si sono verificati con una bassa incidenza dell’1% in entrambi i gruppi. Infatti, quasi la totalità dei sanguinamenti gastrointestinali (98.2%) sono stati clinicamente gestibili e trattati con successo. Soltanto una delle 56 emorragie gastrointestinali del gruppo edoxaban è stata fatale in una paziente che si presentava ad elevato rischio con diverse comorbilità (carcinoma epatocellulare o mammario, anemia macrocitica, gastrite cronica con metaplasia, pregresso ictus ischemico, ipertensione e coronaropatia trattata con pregresse angioplastiche). È importante sottolineare come la maggior parte di tali comorbilità non sono misurate negli score di rischio emorragico comunemente utilizzati4. Infine, l’incidenza delle emorragie intracraniche è stata numericamente più bassa nel gruppo edoxaban rispetto ad AVK (1.5% vs 2.1%), con una differenza che non ha raggiunto la significatività statistica probabilmente a causa del basso numero di eventi verificatisi su un numero totale di pazienti inclusi nello studio che è molto più basso rispetto a quello dei pazienti inclusi nei trial registrativi dei DOAC, dove questi ultimi sono stati associati ad una riduzione statisticamente significativa delle emorragie intracraniche rispetto agli AVK.

L’ENVISAGE-TAVI AF è il primo studio randomizzato specificatamente disegnato per confrontare la non-inferiorità di un DOAC vs AVK su un numero adeguato di pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a TAVI. Prima dei risultati dello studio ENVISAGE-TAVI AF i dati di confronto tra DOAC e AVK dopo TAVI in pazienti con fibrillazione atriale derivavano da studi osservazionali che hanno mostrato risultati controversi riguardo al profilo di efficacia e sicurezza dei DOAC, verosimilmente come risultato dell’influenza di diverse variabili confondenti residue5-8. Nonostante i limiti di tali dati, sulla base della plausibilità fisiopatologica, vari documenti di consenso tra esperti hanno indicato i DOAC come una possibile opzione terapeutica nei pazienti con fibrillazione atriale che vengono sottoposti a TAVI9,10. I risultati dello studio ENVISAGE-TAVI AF supportano tali indicazioni dimostrando la non-inferiorità di edoxaban vs AVK riguardo all’endpoint clinico netto composito di eventi ischemici e sanguinamenti maggiori, nonostante questi ultimi siano stati più frequenti nel gruppo edoxaban. Inoltre, la non-inferiorità è stata raggiunta nonostante l’edoxaban sia stato confrontato ad una terapia con AVK di elevata qualità, come dimostrato dalla rilevante percentuale media (63.5%) di tempo in cui l’international normalized ratio (INR) si è mantenuto in range terapeutico. L’aumento dei sanguinamenti maggiori con un DOAC rispetto agli AVK apparirebbe in controtendenza rispetto ai precedenti trial registrativi dove i DOAC hanno consistentemente dimostrato un migliore profilo di sicurezza rispetto agli AVK. Tale discrepanza è verosimilmente da correlare al fatto che la popolazione inclusa nello studio ENVISAGE-TAVI AF presenta un più elevato rischio emorragico rispetto a quella inclusa nei precedenti trial di DOAC vs AVK nei pazienti con fibrillazione atriale, come naturale conseguenza dell’età più avanzata e dell’elevato carico di comorbilità, includenti soprattutto le patologie gastrointestinali e le alterazioni della coagulazione, che contraddistinguono i pazienti più comunemente sottoposti a TAVI nella pratica clinica corrente4. Inoltre, è importante sottolineare che in tale popolazione già particolarmente vulnerabile, nello studio ENVISAGE-TAVI AF ha ulteriormente gravato sul rischio emorragico l’elevata proporzione d’uso di farmaci antiaggreganti (63%).

Un’analisi dello studio ENVISAGE-TAVI AF ha mostrato che l’uso concomitante della terapia antiaggregante è stato associato ad un aumento del rischio emorragico senza benefici aggiuntivi sugli endpoint ischemici. I sanguinamenti maggiori sono stati simili tra edoxaban e AVK nei pazienti che non hanno ricevuto la terapia antiaggregante mentre sono stati aumentati da edoxaban nel gruppo di pazienti in cui è stato aggiunto l’antiaggregante, probabilmente per un più intenso effetto sinergico tra DOAC e antipiastrinico sui sanguinamenti gastrointestinali. L’impatto sfavorevole dell’aggiunta dell’antipiastrinico all’anticoagulante in pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a TAVI è stato confermato nel trial POPUular TAVI in cui l’incidenza dei sanguinamenti è stata più elevata nel gruppo di pazienti randomizzati alla combinazione clopidogrel più terapia anticoagulante orale rispetto a quella osservata tra i pazienti trattati con la sola terapia anticoagulante11. Sulla base di tali risultati, un recente documento di consenso europeo ha ritenuto preferibile l’utilizzo della singola terapia anticoagulante dopo TAVI in pazienti con fibrillazione atriale10. I risultati dello studio ENVISAGE-TAVI AF forniscono maggiore evidenza di supporto all’indicazione di non associare la terapia antiaggregante nei pazienti sottoposti a TAVI con indicazione all’anticoagulazione orale.

Oltre all’associazione con la terapia antiaggregante, un altro importante fattore che nello studio ENVISAGE-TAVI AF ha influenzato i sanguinamenti è stato l’aggiustamento del dosaggio di edoxaban. Edoxaban ha aumentato i sanguinamenti rispetto agli AVK solo nel sottogruppo che non ha aggiustato il dosaggio, mentre il beneficio clinico netto e i sanguinamenti maggiori sono stati simili tra i due gruppi di trattamento nei pazienti in cui erano presenti i criteri per la riduzione della dose di edoxaban. Di nota, la mortalità per tutte le cause è stata significativamente ridotta da edoxaban vs AVK nel sottogruppo di pazienti trattati con aggiustamento della dose (8.1% vs 12.7% per anno; HR 0.64, IC 95% 0.43-0.96). Dall’altro lato è importante notare che l’aumento dei sanguinamenti con edoxaban nel sottogruppo che non ha ricevuto un aggiustamento del dosaggio non ha influenzato la mortalità che si è mantenuta simile tra edoxaban e AVK. Infine, nel sottogruppo di pazienti sottoposti ad aggiustamento della dose, edoxaban al dosaggio più basso ha mantenuto una buona efficacia con simili incidenze di ictus rispetto agli AVK (2.3% e 3.0%, rispettivamente; HR 0.80, IC 95% 0.36-1.78).

I motivi per cui i sanguinamenti sono stati aumentati da edoxaban rispetto agli AVK solo nel gruppo trattato senza aggiustamento del dosaggio non sono ben definiti e ulteriori dati sui pazienti che hanno sanguinato sono necessari per un’accurata interpretazione dei risultati dello studio. I dati al momento disponibili farebbero ipotizzare che il dosaggio non aggiustato di edoxaban potrebbe essere stato “eccessivo” solo per specifici pazienti sottoposti a TAVI noti per essere caratterizzati da una peculiare intrinseca vulnerabilità clinica, motivo per cui i risultati dello studio ENVISAGE-TAVI AF non vanno estrapolati al di fuori dello specifico contesto clinico valutato. In particolare, può essere meramente speculato che una rilevante proporzione di pazienti avessero frequentemente altre caratteristiche associate ad un elevato rischio di sanguinamento ma che non rientrano tra i criteri specifici per la riduzione del dosaggio dei DOAC, e/o avessero criteri di aggiustamento “borderline”, cioè con valori superiori ma molto vicini alle soglie richieste per la riduzione della dose. È possibile che questi ultimi pazienti, al momento dell’assegnazione del dosaggio, ricevessero correttamente 60 mg di edoxaban, ma avessero elevata probabilità di frequenti variazioni dei criteri di aggiustamento al follow-up, soprattutto della clearance della creatinina, che potevano rendere il dosaggio standard “eccessivo”. In tali pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a TAVI con elevato profilo di rischio emorragico che non hanno i criteri ben definiti per l’uso del basso dosaggio di un DOAC, una selezione individualizzata dell’anticoagulante ed un più stretto monitoraggio clinico e laboratoristico al follow-up potrebbero ridurre il rischio di eventi avversi associati alla terapia. Tuttavia, la definizione di un possibile dosaggio ottimale del DOAC in pazienti più anziani e più vulnerabili con fibrillazione atriale sottoposti a TAVI potrebbe essere meritevole di ulteriori studi. Infine, indipendentemente dalle caratteristiche di base specifiche della popolazione TAVI, il maggior rischio di sanguinamento con DOAC nello studio ENVISAGE-TAVI AF potrebbe essere anche conseguente alla più alta percentuale di interruzione degli AVK rispetto all’edoxaban durante il follow-up (40% vs 30%). Tale interruzione è stata progressivamente crescente soprattutto dopo il primo anno quando è stata anche più marcata la differenza nei sanguinamenti maggiori tra i due gruppi.

Un importante spunto di riflessione che emerge dallo studio ENVISAGE-TAVI AF è se il profilo di efficacia e sicurezza osservato con edoxaban rispetto agli AVK possa essere interpretato come un “effetto di classe” o debba essere attribuito soltanto allo specifico DOAC. In mancanza di dati di confronto con gli altri DOAC nei pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a TAVI non è possibile rispondere a tale domanda in maniera accurata e conclusiva. Attualmente, solo l’apixaban è stato confrontato agli AVK nei pazienti sottoposti a TAVI con randomizzazione stratificata nel sottogruppo che aveva indicazione all’anticoagulazione orale dello studio ATLANTIS (Anti-Thrombotic Strategy to Lower All cardiovascular and Neurologic Ischemic and Hemorrhagic Events after Trans Aortic Valve Implantation for Aortic Stenosis), presentato al congresso dell’American College of Cardiology 2021 e non ancora pubblicato. Nello studio ATLANTIS i pazienti sottoposti a TAVI venivano stratificati in un primo gruppo (strato 1) con indicazione alla terapia anticoagulante orale che veniva randomizzato ad apixaban o AVK ed un secondo gruppo (strato 2) senza indicazione alla terapia anticoagulante orale che veniva randomizzato ad apixaban o terapia antiaggregante. Il trial non ha raggiunto l’obiettivo primario che era quello di dimostrare la superiorità di apixaban vs la terapia standard, che includeva sia gli AVK che la terapia antipiastrinica, riguardo all’endpoint clinico netto ad 1 anno. Nel sottogruppo dei 451 pazienti con indicazione all’anticoagulazione orale, le incidenze dell’endpoint clinico netto e dell’endpoint di sicurezza composito di sanguinamenti minacciosi per la vita, fatali, disabilitanti o maggiori (definizione Bleeding Academic Research Consortium [BARC] 3 e 4) sono state simili tra apixaban e AVK. I risultati dell’ENVISAGE-TAVI AF e dell’ATLANTIS non possono essere confrontati a causa delle notevoli differenze tra i due studi (Tabella 1).




In particolare, il confronto tra DOAC vs AVK effettuato nello studio ATLANTIS rispetto a quello dello studio ENVISAGE-TAVI AF è basato su un sottogruppo del trial con un minor numero di pazienti (n = 451) che rappresentano meno di un terzo del totale dei pazienti randomizzati nel trial. Le dimensioni del campione erano adeguate a dimostrare la superiorità di apixaban rispetto alla terapia standard nella popolazione totale composta dai due strati e non aveva il potere statistico adeguato per ciascuno degli strati considerati separatamente. Inoltre, nel disegno dello studio ATLANTIS non è stata prespecificata un’analisi di non-inferiorità per il trial complessivo o per ciascuno degli strati12. Tuttavia, nello strato 1 di ATLANTIS, l’HR dell’endpoint primario clinico netto è stato di 1.02 (IC 95% 0.68-1.51), il cui limite superiore è ben oltre il limite di non-inferiorità di 1.38 stabilito nel trial ENVISAGE-TAVI AF. Pertanto, nello strato 1 di ATLANTIS apixaban non avrebbe raggiunto la non-inferiorità usando le definizioni applicate in ENVISAGE-TAVI AF. Altre importanti differenze tra i due studi includono il follow-up più breve e il minore uso di terapia antiaggregante nello studio ATLANTIS, con potenziali importanti implicazioni sulle incidenze di sanguinamenti. Inoltre, nello studio ATLANTIS non vi è informazione sul tempo dell’INR in range terapeutico, non permettendo quindi di valutare la qualità della terapia con AVK. Infine, nei due trial è stata adottata una diversa definizione di sanguinamenti, BARC nell’ATLANTIS e ISTH nell’ENVISAGE-TAVI AF, elemento che non consente un adeguato confronto tra i risultati dei due trial. Infatti, le due definizioni sono associate a differenti incidenze dei sanguinamenti, potenzialmente spiegando il fatto che nel braccio AVK la percentuale di sanguinamenti è stata più elevata nello studio ATLANTIS. Tuttavia, confrontando i sanguinamenti definiti con la classificazione BARC nei due trial appare che tali eventi siano stati più frequenti sia nel gruppo apixaban che AVK dell’ATLANTIS rispetto al gruppo edoxaban e AVK dello studio ENVISAGE-TAVI AF (Tabella 1). Tali più basse incidenze di sanguinamenti osservate nello studio ENVISAGE-TAVI AF sono state confermate nelle analisi che hanno tenuto conto della sospensione dei farmaci osservata durante l’intero periodo di follow-up dello studio (30% con edoxaban vs 40% con AVK). Tali percentuali di sospensione sono più elevate rispetto a quelle osservate nello studio ATLANTIS (8% con apixaban vs 14% con AVK), ma la differenza è compatibile e spiegabile con la diversa durata del follow-up nei due studi (fino a 3 anni in ENVISAGE-TAVI AF e fino ad 1 anno in ATLANTIS).

In conclusione, lo studio ENVISAGE-TAVI AF ha dimostrato che edoxaban non è inferiore all’AVK in termini di endpoint clinico netto includente gli eventi emorragici e ischemici, potendo quindi rappresentare una valida opzione terapeutica nei pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a TAVI. In particolare, l’inizio della terapia con il dosaggio standard di edoxaban da 60 mg dovrebbe essere riservato ai pazienti che presentano un basso rischio emorragico. Diversamente, sulla base dei dati dell’ENVISAGE-TAVI AF, il dosaggio di edoxaban da 30 mg, ove clinicamente indicato, potrebbe ragionevolmente rappresentare una terapia di scelta in pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a TAVI che devono iniziare la terapia anticoagulante orale.

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