In questo numero

editoriali




TAVI, fibrillazione atriale ed edoxaban: un trio vincente

Sempre più pazienti vengono sottoposti ad impianto transcatetere di valvola aortica (TAVI) e sempre più pazienti con il passare degli anni sono affetti da fibrillazione atriale. Con quali farmaci possiamo prevenirne il rischio tromboembolico? In questo editoriale Piera Capranzano illustra, oltre alle varie strategie antitrombotiche già in uso, lo studio controllato randomizzato ENVISAGE-TAVI AF, che ha confrontato edoxaban vs antagonisti della vitamina K (AVK) in questa popolazione di pazienti con l’obiettivo di dimostrane la non inferiorità. Edoxaban è risultato non inferiore ad una terapia con AVK di elevata qualità (tempo in range terapeutico 63.5%) nell’endpoint clinico netto composito di eventi ischemici e sanguinamenti maggiori. Nonostante sia stato osservato un aumento delle emorragie gastrointestinali in corso di edoxaban, i sanguinamenti minacciosi per la vita sono stati numericamente inferiori con edoxaban rispetto agli AVK. A fronte di evidenze precedenti provenienti da studi osservazionali, che hanno mostrato risultati controversi riguardo all’efficacia e alla sicurezza degli anticoagulanti orali diretti nei pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a TAVI, e da studi esplorativi edoxaban nell’ENVISAGE-TAVI AF si è dimostrato una valida opzione terapeutica. •




Ricordiamoci che in principio c’è sempre la fisiologia…

La ripetitiva routine clinica, le necessarie anche se spesso eccessive attenzioni rivolte verso le terapie, per non parlare dell’inderogabile approccio “gestionale” dei pazienti cardiopatici ci hanno in parte distratto dalle lontane nozioni sulla fisiologia della funzione cardiaca, riposte oramai nel cassetto degli studi universitari. Il Prof. Maurizio Guazzi dà l’impressione di volerci riportare, con la sua magistrale lezione sulla diastole, in un’aula universitaria, per ricordarci quanto sia stretto e diretto il legame tra la fisiologia e la clinica, in particolare per alcuni fenotipi clinici di frequente osservazione. La lettura del suo editoriale ci permette di approfondire e aggiornarci su un tema, quello della funzione diastolica, spesso considerata “passiva” o di supporto alla funzione sistolica e che invece, non soltanto per i recenti riconoscimenti nosografici che caratterizzano una delle forme più comuni di scompenso cardiaco, ma anche per la disponibilità di nuove e sofisticate metodiche diagnostiche, riveste un’importanza peculiare nei meccanismi patologici di diverse cardiopatie. •

pdta in cardiologia




Piccoli cuori crescono… la telemedicina come aiuto per assisterli al meglio

Il numero dei pazienti adulti con cardiopatia congenita è in aumento e gli specialisti con le competenze necessarie per gestire questa categoria di pazienti non sono numerosi e spesso sono concentrati in centri Hub. La gestione di questa popolazione con l’ausilio della telemedicina potrebbe garantire continuità assistenziale ed implementare i rapporti tra centri Hub e centri Spoke facilitando le risposte cliniche per i pazienti ed evitando loro frequenti spostamenti. Gianluca Trocchio et al. propongono un modello di presa in carico e di gestione integrata di questi pazienti con l’ausilio della telemedicina, in particolare con l’utilizzo di teleconsulti e televisite. La loro proposta prevede una iniziale stratificazione del rischio dei pazienti adulti con cardiopatia congenita sulla base della quale verrà impostato il percorso di presa in carico integrata. Gli spunti di questo lavoro sono molto attuali ed importanti, ma in particolare due aspetti sono da sottolineare: applicazione della telemedicina con rapporto medico-medico e medico-paziente (teleconsulto e televisita) e “sovvertimento” dell’oramai superato modello Hub & Spoke con frecce direzionali solo verso il centro Hub e sostituzione dello stesso con presenza di frecce bidirezionali che determinano, già nella veste grafica, il concetto di network di cura. Trocchio et al. hanno ben interpretato il nuovo concetto di telemedicina, la declinazione delle varie possibilità che essa offre e l’applicazione delle stesse adattandola ad un network di cura per una popolazione che oggi presenta difficoltà di gestione tangibili. La lettura di questo documento da un lato rende edotti di come può essere implementata la gestione in rete della popolazione adulta con cardiopatia congenita, ma dall’altro ci apre la mente su quanto importante potrà essere l’applicazione delle varie possibilità della telemedicina ad altre popolazioni cardiologiche. •

rassegne




I disegni di studio utilizzati nella ricerca epidemiologica delle malattie croniche

L’acquisizione degli aspetti fondamentali della metodologia nella ricerca clinica è in realtà un aspetto fondamentale, sebbene ampiamente sottovalutato negli attuali percorsi formativi dei giovani medici. È fondamentale non solo per chi pianifica ed esegue ricerche cliniche, ma anche per tutti i medici che quotidianamente leggono ed interpretano, sulla letteratura medica internazionale, i risultati di tanti studi clinici. Giuseppina Crugliano et al. cercano di chiarire, con grande semplicità e immediatezza, alcuni aspetti relativi alla ricerca clinica, verosimilmente applicabili non solo all’epidemiologia delle malattie croniche, ma anche a molti altri tipi di ricerca.•




Sanguinamento in corso di terapia anticoagulante orale: Hercule Poirot indaga

In questo numero del Giornale, Letizia Riva e Giuseppe Di Pasquale illustrano una nuova prospettiva di diagnosi precoce di neoplasia occulta a seguito di un episodio di sanguinamento in corso di terapia anticoagulante orale. È noto che nell’ambito di un aumento del rischio emorragico secondario alla terapia antitrombotica, alcuni sanguinamenti siano di origine neoplastica. I pazienti affetti da fibrillazione atriale con emorragia gastrointestinale in corso di warfarin hanno una probabilità 6 volte maggiore di ricevere una diagnosi di cancro rispetto ai soggetti che non hanno avuto sanguinamenti e allo stesso modo nei pazienti con ematuria la probabilità di cancro è quasi tripla. Seppure gli anticoagulanti orali diretti comportino un rischio emorragico minore rispetto agli antagonisti della vitamina K, nella presente rassegna viene documentato come in presenza di una lesione neoplastica, in particolare gastrointestinale, questi farmaci inducano sanguinamenti numericamente sovrapponibili a quelli che si verificano in corso di altri trattamenti anticoagulanti. Tali sanguinamenti, se indagati approfonditamente, possono portare ad una diagnosi precoce di cancro, che nella maggiore parte dei casi risulta in stadio iniziale. Gli autori concludono quindi che un evento avverso come il sanguinamento può diventare una favorevole opportunità. •

studio osservazionale




Pacemaker leadless: stato dell’arte nella Regione Lombardia

I pacemaker leadless sono stati recentemente introdotti nella pratica clinica, ma non sono ancora disponibili linee guida che indichino in quali pazienti possano essere i dispositivi di prima scelta. La survey disegnata da Luca Rosario Limite et al. si propone di fornire informazioni sull’utilizzo del pacemaker leadless nella pratica clinica, valutando in quali pazienti e con quali indicazioni viene effettuato questo tipo di impianto nonché le eventuali complicanze intraospedaliere in 11 centri della Regione Lombardia che hanno risposto al questionario. Su un totale di 411 pazienti portatori di pacemaker leadless, l’impianto è stato effettuato prevalentemente in pazienti di età compresa tra 65 e >80 anni (69.9% dei casi), mentre soltanto in un centro l’impianto è stato effettuato in pazienti di età <18 anni (0.18% dei casi). L’indicazione principale all’impianto di un pacemaker leadless è stata la fibrillazione atriale a bassa risposta ventricolare (circa nel 50% dei casi); altre indicazioni sono state il blocco atrioventricolare, la disfunzione sinusale e gli episodi sincopali (rispettivamente nel 24%, 15% e 10% dei casi). Nella maggior parte dei centri, questa metodica di stimolazione è stata utilizzata in pazienti ad elevato rischio infettivo dopo l’estrazione di cateteri endocardici a causa di problemi infettivi. Per quanto riguarda le complicanze, soltanto 2 centri ad alto volume hanno riportato un tasso di complicanze intraospedaliere del 2.1% e 8% rispettivamente; le complicanze sono state principalmente di natura vascolare a livello dell’accesso venoso e in un caso si è trattato di un versamento pericardico. Nessuna complicanza è risultata fatale. Nel valutare i risultati di questa survey è necessario considerare che soltanto 11 su 17 centri, che impiantano comunemente pacemaker leadless in Regione Lombardia, hanno risposto al questionario e che la risposta era su base volontaristica. Inoltre, la survey è stata condotta in una singola regione del Nord Italia e con numeri di procedure significativamente diversi tra i singoli centri (quasi il 60% dei casi sono stati eseguiti in 3 centri). Quindi, i risultati potrebbero non essere applicabili a realtà diverse in differenti regioni italiane anche e soprattutto per quanto riguarda le complicanze. •

casi clinici




Meglio rimandare a domani quello che non puoi fare oggi: un caso di “Rota-staged PCI”

Le lesioni coronariche calcifiche rappresentano una importante sfida in cardiologia interventistica, a causa delle difficoltà tecniche procedurali riscontrate nonché dell’elevata incidenza di fallimento procedurale a breve e lungo termine e di complicanze acute come la dissezione o la perforazione coronarica. La gestione di queste lesioni diviene anche più complessa nel contesto di un infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) in cui vi è anche un carico trombotico intracoronarico. In questo numero del Giornale, Antonio Gabriele Franchina et al. riassumono la letteratura attualmente disponibile sull’argomento e descrivono la gestione di un paziente di 67 anni presentatosi per STEMI, con un’arteria coronarica occlusa ma al contempo severamente calcifica. Dopo ricanalizzazione acuta del vaso mediante dilatazione con pallone e somministrazione della doppia terapia antiaggregante piastrinica, è stata programmata a 6 giorni un’ulteriore angioplastica di ottimizzazione mediante aterectomia rotazionale (“Rota-staged PCI”) ed impianto di stent, ottenendo un ottimale risultato angiografico e clinico finale. •




Questa polmonare qui devi metterla là!

L’intervento di Ross, che prende il nome dal chirurgo che per primo l’ha eseguita nel 1967, Donald Ross, a Londra, in Inghilterra, è una procedura molto complessa, nota anche come procedura di commutazione o di autotrapianto polmonare, e consiste nella sostituzione di una valvola aortica malata con la valvola polmonare dello stesso paziente; si procede quindi alla sostituzione della valvola polmonare con un allotrapianto polmonare (impianto di homograft). Un comico negli anni ’80 cantava “questa macchina qui devi metterla là”. Ecco, parafrasando questa frase potremmo dire “questa polmonare (valvola) qui devi metterla là (al posto della valvola aortica)”. Tra le indicazioni maggiori per questa procedura troviamo: 1) valvulopatia aortica nei bambini con stenosi aortica congenita (indicazione più comune); 2) valvulopatia in donne in età fertile che desiderano avere figli con valvola aortica bicuspide e anulus aortico piccolo; 3) alcune variazioni della malattia ostruttiva del deflusso ventricolare sinistro; 4) alcune forme di rigurgito aortico adulto con aorta dilatata; 5) endocardite valvolare nativa o protesica a seconda dell’estensione della malattia. Ed è proprio l’ultimo caso quello riportato nel lavoro di Domenico Paparella et al. Un giovane di 28 anni con una endocardite su valvola aortica e mitralica. Come riportano gli autori, prima dell’intervento è stato necessario un briefing per valutare in Heart Team una serie di fattori, dall’età alle condizioni socio-culturali, alla possibile aderenza o meno alla terapia anticoagulante e si è stabilito che questa procedura potesse rappresentare quella più adeguata al paziente. •

position paper




Attrezzarsi per sdoganare una procedura ancora poco utilizzata!

Nell’enorme espansione odierna della cardiologia interventistica strutturale, la procedura di chiusura dell’auricola sinistra ricopre il ruolo del fratello di mezzo poco considerato tra il fratello maggiore su cui poggia la famiglia (la TAVI) e il fratello più piccolo (MitraClip). In effetti, i numeri di procedure di chiusura dell’auricola sinistra sono relativamente stabili (e bassi) negli anni. Questo va sicuramente imputato all’incredibile profilo di efficacia e sicurezza dei nuovi anticoagulanti orali, ma rimane la convinzione che a molti pazienti non sia offerta un’opzione terapeutica alternativa che invece sarebbe disponibile. In questo numero del Giornale, Sergio Berti et al. della Società Scientifica SICI-GISE rianalizzano gli standard ottimali per eseguire questa procedura. Il percorso e gli standard sono rivisti alla luce di nuove evidenze scientifiche e soprattutto ci sono interessanti aperture e opzioni anche per i centri non dotati di cardiochirurgia on-site. •