L’iperpotassiemia nello scompenso cardiaco:
eziologia, epidemiologia e prognosi

Simona Romani1, Gianfranco Sinagra2

1Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Milano

2Dipartimento Cardiotoracovascolare, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (ASUGI), Università degli Studi di Trieste

Hyperkalemia (HK) is a common condition among heart failure (HF) patients, either due to their comorbidities, such as chronic renal failure, or due to the administration of therapies capable of promoting an increase in serum potassium (K+), such as renin-angiotensin-aldosterone system inhibitors (RAASi). RAASi are among the most important treatments for HF, especially in patients with reduced ejection fraction. This class of drugs, acting on the neurohormonal mechanisms, that lead to the worsening of hemodynamic compensation, has shown to improve the prognosis of HF patients, both in terms of mortality and HF hospitalizations. HK is a major cause of dose reduction, or even discontinuation, of RAASi, thus, indirectly worsening HF patient’s prognosis. Pharmacological strategies for HK treatment in outpatients have long been based solely on therapies of dubious efficacy, such as sodium polystyrene sulfonate, which are difficult to administer in an extended period of time. Reasonably, the use of the new K+ binders (patiromer and sodium zirconium cyclosilicate) in clinical practice, allowing to reduce serum K+ levels without discontinuing RAASi therapy, will improve the prognosis of patients with HK and HF.

Key words. Heart failure; Hyperkalemia; Renin-angiotensin-aldosterone system inhibitors.

IPERPOTASSIEMIA E SCOMPENSO CARDIACO: EZIOLOGIA

Il potassio (K+) è un metallo alcalino, che forma sali, facilmente solubili in acqua. Nell’organismo umano, il K+ si trova prevalentemente sotto forma di ione intracellulare, mentre il suo livello plasmatico è normalmente mantenuto entro limiti ristretti (in genere, da 3.5 a 5.0 mmol/l) da molteplici meccanismi omeostatici. Tale stretta regolazione è essenziale per una vasta gamma di processi fisiologici vitali, tra cui il potenziale di membrana cellulare a riposo e la propagazione dei potenziali d’azione nei tessuti neuronali, muscolari e cardiaci, insieme alla secrezione e all’azione ormonale, al tono vascolare, al controllo della pressione arteriosa, della motilità gastrointestinale, dell’omeostasi acido-base, del metabolismo del glucosio e dell’insulina, dell’azione dei mineralocorticoidi e dell’equilibrio di fluidi ed elettroliti1. L’alterazione dei livelli plasmatici di K+ è pertanto una condizione potenzialmente molto pericolosa, che si associa ad un’aumentata mortalità2. Quando i livelli sierici di K+ superano i 5 mmol/l, si parla di iperpotassiemia (HK). In accordo con i valori adottati dalla Società Europea di Cardiologia (ESC), l’HK può essere suddivisa in tre gradi di severità: lieve (K+ <5.5 mmol/l), moderata (K+ 5.5 mmol/l ≤ K+ ≤6.0 mmol/l) e severa (K+ >6.0 mmol/l)3.

L’HK è una condizione di frequente riscontro nei pazienti affetti da scompenso cardiaco (SC), i quali sovente presentano anche insufficienza renale cronica (IRC) e assumono farmaci che riducono l’eliminazione renale di K+.

Il rene è il principale responsabile del mantenimento dell’omeostasi del K+ nell’organismo umano, bilanciandone l’assunzione e l’escrezione4. Un progressivo peggioramento della funzione cardiaca può portare ad un parallelo peggioramento della funzione renale, una condizione chiamata sindrome cardiorenale. I meccanismi alla base di questa sindrome sono molteplici: (a) una ridotta perfusione renale, (b) le anomalie neurormonali, con un’aumentata produzione di mediatori vasocostrittori (adrenalina, angiotensina, endotelina) ed un’alterata sensibilità e/o un alterato rilascio dei mediatori vasodilatatori (peptidi natriuretici, monossido di azoto), (c) le alterazioni microvascolari e macrovascolari5. Lo sviluppo di IRC, portando ad un alterato funzionamento del principale sistema di regolazione del K+ sierico, si associa pertanto frequentemente all’HK.

Analogamente, l’utilizzo di farmaci che interferiscono con il complesso sistema omeostatico del K+ può favorire lo sviluppo di HK. Tra questi farmaci troviamo in particolar modo gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA), che comprendono gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II (ARB), gli antagonisti dei recettori dei mineralcorticoidi (MRA) e gli inibitori dell’angiotensina e della neprilisina (ARNI). Il SRAA è un complesso sistema ormonale che svolge un ruolo fondamentale nell’omeostasi cardiovascolare. L’attivazione ormonale inizia con la produzione di renina da parte delle cellule iuxtaglomerulari renali e, attraverso una cascata di reazioni che coinvolgono l’enzima ACE e l’ormone angiotensina, porta alla produzione di aldosterone. Quest’ultimo è un ormone steroideo, prodotto dalla zona glomerulare della corticale del surrene, che ha un’azione sodio-ritentiva e potassio-espulsiva. Gli ACE-inibitori e gli ARB, diminuendo i livelli sierici di aldosterone, tendono ad incrementare i livelli di K+. Analogamente gli MRA, antagonizzando l’azione dell’aldosterone sui recettori dei mineralcorticoidi, possono portare allo sviluppo di HK.

Gli inibitori del SRAA costituiscono uno dei principali trattamenti dello SC, soprattutto nei pazienti che presentano una frazione di eiezione ridotta (HFrEF)3. Infatti, tra i principali meccanismi compensatori che si attivano in seguito alla compromissione della funzione cardiaca, troviamo l’attivazione del sistema nervoso simpatico (adrenergico) e del SRAA, che mantengono la portata cardiaca attraverso una maggiore ritenzione di sale e acqua, la vasocostrizione arteriosa periferica e l’incremento della contrattilità miocardica6. Questi meccanismi, inizialmente benefici, si rivelano deleteri nel lungo termine, portando ad un peggioramento del compenso emodinamico e avendo un effetto dannoso sul sistema cardiovascolare. L’introduzione della terapia con inibitori del SRAA ha permesso di rivoluzionare la prognosi dei pazienti con SC, rallentando la progressione della malattia e riducendo sia le ospedalizzazioni per SC, sia la mortalità7-12. Nel trial CONSENSUS, il primo importante studio sugli ACE-inibitori, condotto su pazienti con SC in classe NYHA IV, vi fu una riduzione della mortalità per tutte le cause del 40% a 6 mesi nei pazienti in enalapril rispetto a quelli che non assumevano il farmaco (26% vs 44%, p=0.002) e del 31% a 12 mesi (36% vs 52%, p=0.001)13. Nel recente trial PARADIGM-HF, condotto su pazienti con SC e frazione di eiezione (FE) ≤40%, si dimostrava una riduzione della mortalità per cause cardiovascolari e delle ospedalizzazioni per SC del 20% nei pazienti che assumevano sacubitril/valsartan rispetto a quelli in enalapril (22% vs 27%, p<0.001)12.

Oltre agli inibitori del SRAA, anche altri farmaci impiegati nel trattamento dello SC possono favorire, in misura minore, lo sviluppo di HK, è il caso dei beta-bloccanti, soprattutto quelli non cardioselettivi. Precedenti studi hanno dimostrato un incremento di 0.3 mmol/l del K+ dopo la somministrazione di beta-bloccanti; tale incremento arrivava a 1 mmol/l nei pazienti con IRC severa14,15. Infatti, questi farmaci possono interferire con l’assorbimento cellulare di K+, diminuendo l’attività della pompa sodio-potassio adenosina trifosfatasi. Inoltre, bloccano l’effetto stimolante del sistema nervoso simpatico sul rilascio di renina16.

Infine, l’HK si associa ad altre condizioni di frequente riscontro nei pazienti con SC, come l’età avanzata e il diabete mellito17. Il rilascio postprandiale di insulina agisce non solo nel regolare le concentrazioni sieriche di glucosio, ma anche nello spostare il K+ alimentare all’interno delle cellule, fino a quando il rene espelle il carico di K+ introdotto con la dieta, ristabilendo così il normale contenuto totale di K+ del corpo4. I pazienti diabetici, pertanto, presentano spesso alterazioni dei livelli sierici di K+.

Per via di tutti i meccanismi sopra elencati, l’HK costitui­sce un importante problema nei pazienti con SC ed è uno dei principali ostacoli alla titolazione della terapia anti-neurormonale. Valori di K+ >5.5 mmol/l conducono spesso alla sospensione della terapia con ACE-inibitori/ARB, o a dimezzare la dose di MRA3,18. Inoltre, l’interruzione o l’utilizzo a dosi non ottimali degli inibitori del SRAA portano a un peggioramento prognostico che si traduce in un aumento della mortalità cardiovascolare19.

Le strategie farmacologiche per il trattamento a lungo termine dell’HK nei pazienti ambulatoriali sono state per lungo tempo basate unicamente su terapie di dubbia efficacia, come il sodio polistirene sulfonato. Infatti, l’impiego in cronico di questo farmaco può causare eventi avversi rilevanti, come la necrosi del colon, ed effetti collaterali gastrointestinali, talvolta difficili da tollerare20.

Nelle nuove linee guida ESC sullo SC3, riprendendo il concetto anticipato nel documento di consenso ESC 201821, vengono menzionati i nuovi leganti del K+ (patiromer sorbitex calcio e ciclosilicato di sodio e zirconio) come opzione per il trattamento dell’HK, al fine di consentire l’inizio o l’utilizzo quanto più ottimale possibile della terapia con inibitori del SRAA. Le due molecole, infatti, sono efficaci nel trattamento dell’HK, nel mantenimento della normokaliemia nel tempo e nella prevenzione degli episodi ricorrenti di HK, e possono quindi essere prese in considerazione per il trattamento dell’HK. In particolare, nei pazienti con HK cronica o ricorrente in trattamento con inibitori del SRAA, un legante del K+ può essere iniziato non appena il livello di K+ sierico è >5 mmol/l; il trattamento con inibitori del SRAA, quando possibile, deve essere somministrato a dosi ottimali. È raccomandata la riduzione o l’interruzione della terapia con inibitori del SRAA solamente quando il livelli sierici di K+ sono >6.5 mmol/l3 (Tabella 1).




La somministrazione dei nuovi leganti del K+ è consigliata nei pazienti con K+ tra 5 e 6.5 mmol/l che assumono dosaggi massimali di inibitori del SRAA (così da non doverne potenzialmente ridurre la dose) e nei pazienti con i medesimi valori di K+ che non assumono inibitori del SRAA alle dosi massimali, in modo da poterne eventualmente incrementare il dosaggio. In caso di valori di K+ compresi tra 4.5 e 5 mmol/l, si consiglia di titolare gli inibitori del SRAA fino alla dose ottimale, monitorando periodicamente i livelli di K+, e di iniziare i nuovi agenti se questi superino i 5 mmol/l22.

DATI EPIDEMIOLOGICI: INCIDENZA E PREVALENZA DELL’IPERPOTASSIEMIA NEI PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO

L’HK è una condizione di comune riscontro nella pratica clinica23,24, ma dati epidemiologici su prevalenza ed incidenza nei pazienti con SCC sono limitati e discordanti, in parte anche a causa dell’eterogeneità dei cut-off adottati in letteratura. Infatti, studi di registro condotti su pazienti con SC hanno documentato una incidenza molto variabile di HK (tra l’11% e il 39%) considerando un follow-up medio di 2 anni25-27. Tuttavia, questi dati suggeriscono che l’incidenza reale dell’HK sia superiore a quella riportata nei trial22 e che le terapie farmacologiche anti-neurormonali costituiscano delle cause frequenti di disionia, anche severa28.

Secondo i dati forniti dai grandi registri amministrativi statunitensi, nella popolazione generale la prevalenza annua di HK, definita come K+ ≥5 mmol/l in due prelievi ematici, oscilla tra l’1.18% e l’1.57%. Tra le principali condizioni che si associano ad una maggior prevalenza di HK troviamo lo SC (3.1%/anno), con rischio incrementale quando questo si associa ad IRC (9.64%/anno). Viceversa, tra i pazienti con HK, SC e IRC sono condizioni di frequente riscontro (48.4%). Altre patologie che si associano ad una incrementata prevalenza di HK sono il diabete (3.9%) e l’ipertensione (2.6%). In assenza di queste comorbilità, il rischio di sviluppare HK è molto più basso e la prevalenza annua si attesta sullo 0.48%29.

Studi di registro condotti in Europa rilevano, invece, una prevalenza più alta di HK. I dati dell’ESC-HFA EORP (Heart Failure Association EURObservational Research Programme) Heart Failure Long-Term Registry, che arruola pazienti con diagnosi di SC sia acuto che cronico, mostrano una prevalenza di HK del 17%, definita sempre come K+ ≥5 mmol/l. In questi pazienti bisogna, poi, prestare particolare attenzione al diabete, all’età avanzata, al sesso maschile e all’IRC, che si associano ad un ulteriore incremento del rischio di sviluppare HK30. L’HK determina frequentemente l’interruzione o una riduzione del dosaggio della terapia con inibitori del SRAA30. Secondo ulteriori dati di questo registro europeo, meno di un terzo dei pazienti arruolati riceve dosi target di inibitori del SRAA (29.3% per gli ACE-inibitori; 24.1% per gli ARB; 30.5% per gli MRA). L’HK impedisce di incrementare la dose di ACE-inibitore nel 2.6%, di ARB nel 2.2% e di MRA nell’11.9% dei casi, rappresentando una controindicazione all’assunzione dei farmaci per HFrEF in una percentuale non trascurabile di casi (ACE-inibitori/ARB nell’8.5% e MRA nel 35% dei pazienti)31.

L’importante ruolo giocato dall’HK nell’ostacolare la titolazione della terapia con inibitori del SRAA è stato confermato da uno studio condotto su un’ampia popolazione statunitense di pazienti (n = 205 108) in trattamento con questi farmaci per diverse condizioni cliniche. Nel 47% dei casi, dopo il riscontro di HK moderata-grave (K+ ≥5.5 mmol/l), i pazienti in trattamento con una dose massimale di inibitore del SRAA sono andati incontro a una riduzione della terapia, mentre i pazienti in trattamento con dosi non massimali di inibitore del SRAA andavano incontro a una sospensione della terapia nel 27% dei casi19.

Pertanto, lo sviluppo di HK, frequente nei pazienti con SC e in trattamento con inibitori del SRAA, ha ragionevolmente un impatto prognostico negativo laddove determini la riduzione della dose o la sospensione della terapia con inibitori del SRAA.

Inoltre, un altro dato allarmante evidenziato da uno studio di coorte basato sui dati raccolti in un registro danese, che includeva oltre 1.8 milioni di abitanti tra il 2000 e il 2012, è che spesso l’HK può essere ricorrente. Quasi la metà (43.2%) di tutti i pazienti con un primo evento di HK ha avuto un secondo evento, mentre il rischio di andare incontro ad un terzo o quarto evento era rispettivamente del 54.3% e del 60.1%, con un tempo successivamente più breve tra gli episodi (rispettivamente 6.2 mesi tra il primo e il secondo evento, 5.3 mesi tra il secondo e il terzo e 4.6 mesi tra il terzo e il quarto)26.

CONSEGUENZE DELL’IPERPOTASSIEMIA: PROGNOSI E OUTCOME CLINICI

Nei pazienti con SC, i valori di K+ correlano con la mortalità per tutte le cause seguendo una relazione a forma di U, con un rischio di eventi avversi aumentato nel caso di valori di K+ sopra o sotto il cut-off di normalità30,32. Pazienti con K+ pari a 4.2 mmol/l presentano la prognosi migliore, mentre al di sopra e al di sotto di questo cut-off gli eventi avversi iniziano ad aumentare proporzionalmente ai valori dello ione33.

Precedenti studi di registro hanno evidenziato come i valori sierici di K+ non incrementino il rischio di per sé, ma conducendo ad una riduzione o sospensione della terapia con inibitori del SRAA30,34. Infatti, nei pazienti con HFrEF, una buona aderenza alla terapia con inibitori del SRAA, definita come l’assunzione di almeno il 50% dei dosaggi raccomandati dalle linee guida18, si associa a una migliore prognosi, sia in termini di mortalità che di ospedalizzazioni per SC35. L’HK, l’ipotensione, il peggioramento della funzionalità renale e l’età avanzata sono i principali fattori associati a una riduzione della dose o alla sospensione della terapia per SC35,36.

Un recente studio, condotto su una popolazione inglese di pazienti con SC, ha analizzato il ruolo dell’HK sulle modifiche terapeutiche apportate alla terapia con inibitori del SRAA e il conseguente impatto prognostico. All’aumentare dei valori di K+, sempre più pazienti riducevano o sospendevano la terapia con inibitori del SRAA (per valori di K+ ≥5 mmol/l, odds ratio [OR] 1.33, intervallo di confidenza [IC] 95% 1.08-1.62; per valori di K+ ≥6 mmol/l, OR 3.19, IC 95% 1.86-5.47). Tali modifiche terapeutiche si associavano a un impatto prognostico negativo notevole; infatti, i tassi di mortalità erano 141.7 (IC 95% 136.4-147.3) morti per 1000 anni-paziente nei pazienti in terapia con inibitori del SRAA a un dosaggio <50% della dose massimale indicata dalle linee guida18, rispetto a 12.5 (IC 95% 10.9-14.4) nei soggetti che ricevevano dosi di inibitori del SRAA ≥50% della dose target. Analogamente, considerando gli eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE), definiti come l’insorgenza di aritmie, infarto miocardico, SC e ictus cerebrale, i pazienti in trattamento con dosi massimali di inibitori del SRAA presentavano un numero di eventi nettamente più basso rispetto ai soggetti in terapia con dosi subottimali di farmaco (148.5, IC 95% 142.7-154.5 vs 290.4, IC 95% 282.6-298.3 eventi per 1000 anni-paziente)37.

Tali dati sono stati confermati anche da uno studio osservazionale retrospettivo condotto su 48 333 pazienti con SC. I pazienti con HK e non in trattamento con inibitori del SRAA presentavano una prognosi nettamente peggiore rispetto ai pazienti senza HK e in terapia con inibitori del SRAA. I MACE, definiti come morte, infarto miocardico, ictus e ospedalizzazione per SC, si verificavano nel 63% della popolazione nel primo gruppo (morte 62%, infarto miocardico <1%, ictus 1% e ospedalizzazioni per SC 5%) e nel 25% della popolazione nel secondo (morte 21%, infarto miocardico <1%, ictus 2%, ospedalizzazioni per SC 6%) durante un follow-up medio di 3 anni. I pazienti senza HK, ma non in trattamento con inibitori del SRAA presentavano un rischio incrementato di MACE rispetto ai pazienti in trattamento con inibitori del SRAA, sia con HK (hazard ratio [HR] 0.67, IC 95% 0.64-0.70, p<0.001), che senza HK (HR 0.51, IC 95% 0.49-0.54, p<0.001)38.

Un recente studio multicentrico italiano, condotto su 8270 pazienti con diagnosi di SC, è giunto a risultati simili. I pazienti con HK avevano un rischio di presentare MACE (definiti come infarto miocardico, ictus o sviluppo di malattia vascolare periferica) maggiore del 37% e morte maggiore del 70% rispetto ai pazienti senza HK (p<0.001 per entrambi). Una drammatica riduzione dell’aderenza alla terapia con inibitori del SRAA veniva osservata dopo lo sviluppo di HK (K+ ≥5.5 mmol/l), con il 21.7% dei pazienti che sospendeva la terapia e il 36.4% che veniva considerato come non aderente al trattamento (ossia assumeva il farmaco per meno dell’80% del tempo). Nel gruppo dei pazienti con HK, il tasso di incidenza di mortalità per tutte le cause era 12.8/100 anni-persona tra i pazienti aderenti e 35.4/100 anni-persona tra i pazienti non aderenti alla terapia. Dopo l’insorgenza di HK, la mancata aderenza agli inibitori del SRAA è risultata associarsi a un aumento del 39% di rischio di eventi cardiovascolari (p=0.105) e un rischio raddoppiato di mortalità (p<0.001)39.

Tali dati confermano il ruolo prognostico della terapia con inibitori del SRAA nello SC e del trattamento puntuale dell’HK. Pertanto, è importante monitorare i livelli sierici di K+ e valutare l’introduzione in terapia dei nuovi chelanti del K+ in presenza di HK, al fine di evitare la sospensione o la riduzione del dosaggio degli inibitori del SRAA.

In sintesi, l’HK è una condizione di frequente riscontro nei pazienti con SC, sia in ragione delle loro comorbilità (es. IRC) sia dell’assunzione di terapie in grado di favorire l’incremento del K+ sierico (es. inibitori del SRAA). Lo sviluppo di HK porta ad una riduzione del dosaggio e talvolta alla sospensione della terapia con inibitori del SRAA, comportando di conseguenza un effetto prognostico potenzialmente negativo, sia in termini di mortalità sia di ospedalizzazioni per SC. La disponibilità di nuovi farmaci chelanti del K+, patiromer e ciclosilicato di sodio e zirconio, permette di ridurre i livelli sierici di K+ senza sospendere la terapia con inibitori del SRAA, offrendo una nuova possibilità terapeutica per affrontare un problema a lungo irrisolto. Ragionevolmente, l’impiego di questi nuovi farmaci nella pratica clinica migliorerà la prognosi dei pazienti con HK e SC.

RIASSUNTO

L’iperpotassiemia (HK) è una condizione di frequente riscontro nei pazienti affetti da scompenso cardiaco (SC), sia in ragione delle loro comorbilità, come l’insufficienza renale cronica, sia dell’assunzione di terapie in grado di favorire l’incremento di potassio (K+) sierico, come gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA). Gli inibitori del SRAA costituiscono uno dei principali trattamenti per lo SC, soprattutto nei pazienti con frazione di eiezione ridotta. Tale classe di farmaci, agendo sui meccanismi neurormonali che portano al peggioramento del compenso emodinamico, ha dimostrato di migliorare la prognosi dei pazienti con SC, sia in termini di mortalità che di ospedalizzazioni per riacutizzazione dello scompenso. L’HK è una delle principali cause della riduzione del dosaggio o, addirittura, della sospensione degli inibitori del SRAA e porta, quindi, indirettamente ad un peggioramento della prognosi. Le strategie farmacologiche per il trattamento dell’HK nei pazienti ambulatoriali sono state per molto tempo basate unicamente su terapie di dubbia efficacia, come il sodio polistirene sulfonato, difficilmente applicabili nel lungo periodo. Ragionevolmente, l’impiego dei nuovi chelanti del K+ (patiromer e ciclosilicato di sodio e zirconio) nella pratica clinica, permettendo di ridurre i livelli sierici di K+ senza sospendere la terapia con inibitori del SRAA, migliorerà la prognosi dei pazienti con HK e SC.

Parole chiave. Inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone; Iperpotassiemia; Scompenso cardiaco.

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