In questo numero

covid-19 e cardiologia




Follow-up di pacemaker e defibrillatori in era COVID-19

Come è noto, la pandemia COVID-19 sta causando una notevole ridefinizione delle attività cardiologiche ambulatoriali, inclusi i controlli periodici dei dispositivi elettronici impiantabili (pacemaker, defibrillatori, ecc.). Maria Selina Argnani et al. del Centro Cardiologico di Ravenna hanno implementato un sistema di monitoraggio remoto per identificare i pazienti da richiamare ai controlli in presenza. Gli autori dimostrano che il rinvio dei controlli in persona non ha comportato rischi per il paziente in caso di follow-up a distanza basato sul monitoraggio remoto. Al contrario, in assenza di monitoraggio remoto, il ritardo oltre i termini raccomandati si è associato ad un aumento non significativo dell’incidenza di eventi severi, sebbene in numero limitato e senza decessi correlati. •




Ipertensione dopo vaccinazione anti-COVID-19

Tra le reazioni avverse ai vaccini anti-COVID-19, alcuni dati hanno mostrato un rialzo pressorio acuto e significativo in pazienti individuali. Come è noto, i vaccini approvati in Europa inducono la sintesi endogena della proteina Spike del SARS-CoV-2. Una volta sintetizzate dalle cellule vaccinate, le proteine Spike si legano ai recettori cellulari ACE2 provocando la loro internalizzazione, degradazione e perdita delle attività catalitiche, con conseguente ridotta formazione di angiotensina1,7, di cui è nota l’attività vasodilatatrice, antitrombotica ed antinfiammatoria. Ciò potrebbe favorire un rialzo acuto dei valori di pressione arteriosa sistemica. Fabio Angeli et al. prendono in esame questi aspetti analizzando i dati, ancora scarsi, presenti in letteratura. •

editoriali




L’imprescindibile importanza del nome, della definizione e della classificazione…

“È importante saper nominare bene le cose: attraverso le parole si definisce, si riconosce, si sceglie, si educa, si vive”. E si cura meglio! La colta e dotta riflessione di Maria Frigerio a proposito della definizione universale e classificazione dell’insufficienza cardiaca recentemente pubblicata, potrebbe apparire uno splendido esercizio letterario e speculativo. Invece la sua consigliatissima lettura, anche ai non particolarmente addentro al mondo dello scompenso cardiaco (o meglio…: dell’insufficienza cardiaca), ci invita a riflettere sulla necessità e sui limiti delle definizioni e delle classificazioni in medicina. Imprecisioni e ambiguità di natura linguistica possono contribuire a rendere ancora più difficile la gestione delle malattie. Ne è esplicito esempio proprio lo scompenso cardiaco che per le sue molteplici e dinamiche manifestazioni cliniche, la necessità inderogabile di inquadramento fenotipico e funzionale, presuppone e richiede un omogeneo utilizzo di terminologie e definizioni precise e condivise che possano universalmente contribuire a migliorarne la cura. •




Le novità nelle linee guida europee 2021 sullo scompenso cardiaco

L’anticipazione delle nuove linee guida della Società Europea di Cardiologia è solitamente accompagnata da un’attesa crescente, che poi si tramuta, una volta pubblicate, in atteggiamenti che vanno da una minuziosa e a volte poco produttiva analisi delle novità, dalla comparazione con le precedenti versioni, a un quasi timoroso approccio ed utilizzo, per la sempre più corposa mole di informazioni, indicazioni e raccomandazioni in esse contenute, che spesso ne condizionano le ricadute e la facilità di implementazione nella pratica clinica. Gianfranco Sinagra et al. ci presentano le nuove linee guida sulla diagnosi e sul trattamento dello scompenso cardiaco acuto e cronico recentemente pubblicate, fornendoci in maniera chiara e concreta, grazie alla sua notoria capacità di sintesi analitica e critica, quanto di più significativo e impattante è contenuto nelle 128 pagine delle linee guida, e quali ancora gli argomenti controversi e non ancora appieno definiti. •

questioni aperte




L’unione ha la forza… di sconfiggere l’arresto cardiaco

L’arresto cardiaco è la terza causa di decesso in Europa, ha spesso causa cardiaca, ma nonostante i trattamenti tempestivi ed efficaci disponibili – il cosiddetto “bundle of care” – è ancora ridotto il numero di pazienti dimessi vivi e con modesti danni neurologici. Questa consapevolezza ha stimolato la nascita di Centri per l’Arresto Cardiaco dove le strategie più efficaci per migliorare la prognosi dei pazienti rianimati dopo arresto cardiaco possono essere implementate nel modo più efficace. Federico Semeraro et al., analizzando la lunga esperienza dell’Ospedale Maggiore di Bologna, descrivono una prima applicazione nella realtà italiana del modello “Cardiac Arrest Center” alla base del quale vi è senza dubbio non solo un approccio multidisciplinare, ma anche l’obiettivo di seguire un percorso di sistema (“Systems Saving Lives”). Questi concetti sono sinteticamente ripresi e commentati nell’ampio editoriale di Alessandro Proclemer il quale ribadisce la necessità di integrare nel complesso modello di gestione avanzata dell’arresto cardiaco tutti gli snodi decisionali della catena di sopravvivenza, di creare percorsi assistenziali integrati, di stimolare una forte collaborazione professionale, di confrontare in modo costruttivo le esperienze e di raccoglierle in un registro nazionale. L’unione di queste caratteristiche descrive il modello organizzativo di un Centro per l’Arresto Cardiaco e la sua forza. •

rassegne




La difficoltà di traslare alcune tecnologie dalla rivascolarizzazione percutanea a quella chirurgica

La riserva frazionale di flusso (FFR) è nata per la rivascolarizzazione percutanea. Era ben evidente anche al papà dell’angioplastica coronarica (Andreas Roland Gruentzig) come la scelta di procedere o no a rivascolarizzazione esclusivamente sulle proiezioni angiografiche fosse limitata. Nei decenni successivi proprio per ovviare a questa limitazione è stata sviluppata la metodica FFR. Nata come strumento per aiutare il cardiologo interventista a identificare le lesioni che potevano giovarsi di impianto di stent, la metodica ha dimostrato la sua validità e riproducibilità in diversi scenari clinici. Pertanto, non sorprende che molti cardiologi abbiano ipotizzato una sua utilità anche nella rivascolarizzazione chirurgica. In particolare, la FFR poteva essere utile nel confermare la presenza di una malattia multivasale, nel guidare una rivascolarizzazione completa e in uno scenario più futuristico anche suggerire quali condotti impiegare (arteria vs vena). In questo numero del Giornale, Massimo Di Marco et al. riassumono le principali evidenze e gli studi condotti sull’argomento. Il titolo del presente riassunto un po’ spoilera le conclusioni della rassegna, perché non necessariamente quello che è nato per una metodica di rivascolarizzazione sempre si dimostra utile ed efficace in un contesto differente. •




Processo all’insulina nella terapia del diabete mellito di tipo 2

Nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 la terapia insulinica potrebbe paradossalmente aumentare la mortalità totale e quella per cause cardiovascolari. I meccanismi di questo effetto non sono ben noti. In particolare, nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca, in quelli ad alto rischio cardiovascolare ed in quelli con elevata resistenza all’insulina, questi indizi sono suffragati da studi importanti, anche se non esistono prove definitive derivate da studi randomizzati. Nella loro rassegna, Franco Cosmi et al. fanno notare che l’elevato grado di sospetto sugli effetti avversi da insulina indurrebbe la scelta preferenziale di altri farmaci antidiabetici (inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2, agonisti del recettore del glucagon-like peptide-1 e la metformina) e l’individuazione di target glicemici meno stringenti, associati ad un più basso rischio di ipoglicemia. •

studio osservazionale




Un ponte tra ospedale e territorio

La prognosi intraospedaliera dei pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA) è notevolmente migliorata negli ultimi 20 anni grazie alle reti per l’infarto, ma permane un elevato tasso di eventi cardiovascolari avversi a medio-lungo termine. Nicola Locuratolo et al. presentano i risultati del progetto PONTE-SCA Puglia realizzato dal Dipartimento Cardiovascolare della ASL di Bari attraverso il quale è stato attuato un follow-up strutturato del paziente dimesso dopo SCA utilizzando un software condiviso dai centri ospedalieri e del territorio, con uno specifico database alimentato direttamente dalla cartella clinica elettronica. Il progetto ha consentito di migliorare l’adesione terapeutica dei pazienti, il raggiungimento dei target di colesterolo LDL e di ottenere outcome cardiovascolari favorevoli ad 1 anno di follow-up, confrontati con i principali studi nazionali ed internazionali osservazionali e di registro. L’esperienza pilota PONTE-SCA costituisce sicuramente un utile riferimento per quanti intendono implementare un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale che preveda una gestione integrata ospedale-territorio per i pazienti dimessi dopo SCA. •

casi clinici




Le alternative ci sono, basta pensarci!

Il rapido utilizzo dei farmaci antiaggreganti nelle sindromi coronariche acute rappresenta l’approccio farmacologico prioritario, spesso esclusivo, assieme alle statine e raccomandato da tutte le linee guida. La non infrequente limitazione all’uso dell’aspirina per intolleranza – allergie – controindicazioni o ipersensibilità, di solito è affrontata con protocolli non brevi di desensibilizzazione o, in casi estremi, “aggirata” utilizzando altri antiaggreganti, antagonisti del recettore P2Y12. La situazione si complica quando vi sono limitazioni anche per questi ultimi, come nel caso proposto da Matteo Bianco et al., in cui una intercorrente emesi con conseguente malassorbimento ne condizionava l’utilizzo in un paziente con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST. L’utilizzo del cangrelor, potente antiaggregante inibitore del recettore P2Y12 disponibile per via endovenosa, ha permesso agli autori di “saltare” efficacemente tutti gli ostacoli producendo un’adeguata antiaggregazione in attesa dei tempi necessari alle successive procedure di desensibilizzazione all’aspirina. In sintesi: mai disperare e sfruttare al meglio, in particolare nel paziente con sindrome coronarica acuta, tutte le opportunità terapeutiche disponibili. •




Raggiungere il target LDL: il cardiologo nel labirinto

Con il progressivo abbassamento dei valori target di colesterolemia nelle ultime linee guida europee, la strategia da adottare per mettere al sicuro i nostri pazienti ad alto rischio è sempre più complessa; e le cose si complicano ancor di più quando, come spesso accade nella realtà di tutti i giorni, il quadro clinico vede aggiungersi ai problemi cardiovascolari altre patologie, e con queste altre terapie che devono convivere con quelle cardiovascolari. Questo è proprio lo scenario del caso clinico proposto da Antonella Spinelli et al., utile esempio di come sia necessario per il cardiologo destreggiarsi nel labirinto di copatologie, politerapie e scarsa aderenza terapeutica per giungere ai risultati sperati. Nel caso descritto si combinano la condizione di rischio cardiovascolare molto alto (paziente con multipli eventi coronarici), gli effetti collaterali della statina inizialmente assegnata (atorvastatina), lo stato psichico del paziente (depressivo, con uso di sertralina) e l’entrata in scena di una copatologia ematologica (la mielofibrosi idiopatica) che richiede una sua terapia (ruxolitinib) poco compatibile con alcuni dei farmaci già in corso. Su questo sfondo gli autori ben delineano una strategia risultata efficace e cioè la sostituzione dell’atorvastatina con l’associazione ezetimibe/rosuvastatina e della sertralina con un percorso di supporto cognitivo-comportamentale: questo approccio ha consentito di evitare l’interferenza farmacologica con l’antitumorale, senza però rinunciare alla statina e anzi sfruttandone gli effetti pleiotropici antinfiammatori, utili in questo caso, insieme alla terapia cognitivo-comportamentale, anche a migliorare la condizione di disagio depressivo del paziente. •