Presentazione

Cari Lettori,

questo Supplemento del Giornale Italiano di Cardiologia a cura della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (SICI-GISE) si apre con due rassegne sul trattamento transcatetere di valvulopatie combinate. La prima, curata da Francesca Lanni et al. del gruppo di Avellino, riguarda l’associazione tra stenosi aortica (SA) e insufficienza valvolare mitralica (IM). Sono analizzate le problematiche di valutazione dell’IM nei pazienti con SA, l’impatto prognostico dell’IM in questi pazienti e delineate le possibili strategie terapeutiche. Altrettanto o forse ancora più complessa dal punto di vista fisiopatologico è l’associazione tra IM severa e insufficienza tricuspidale severa. Si tratta di una popolazione di pazienti estremamente eterogenea, per i quali la comprensione dei meccanismi eziopatogenetici sottostanti le due valvulopatie diventa fondamentale per garantire un trattamento efficace. È un ambito per il quale le poche evidenze sul trattamento del duplice vizio valvolare derivano prevalentemente dall’esperienza cardiochirurgica ma nel quale l’introduzione di interventi transcatetere potrebbe modificare indicazioni, timing e ordine cronologico di riparazione delle due valvole. Marco Toselli et al. di Cotignola (RA), Parma e Ferrara, partendo da alcuni casi clinici, analizzano in particolare il ruolo dell’insufficienza tricuspidale nel duplice vizio valvolare, il ruolo dell’ipertensione polmonare, il ruolo della dilatazione dell’anello tricuspidale, i risultati attualmente disponibili del trattamento combinato e lo sviluppo delle tecniche percutanee. Vi sono inoltre importanti spunti pratici per un algoritmo decisionale.

La terza rassegna insiste sul trattamento transcatetere delle valvulopatie, questa volta focalizzandosi sull’insufficienza aortica (IAo) pura, una patologia ancora di frontiera per l’impianto transcatetere di valvola aortica (TAVI). Infatti, non essendo ancora disponibili dispositivi dedicati al trattamento dell’IAo pura, in assenza di significative calcificazioni valvolari, gli interventi di TAVI effettuati su questi pazienti restano off-label. Matteo Casenghi et al. del gruppo di San Donato (MI) riassumono le problematiche tecniche spesso associate a queste procedure e i risultati clinici fin qui disponibili, insieme ai criteri di selezione dei pazienti. In attesa che i dispositivi dedicati al trattamento dell’IAo pura in fase avanzata di sviluppo o di iniziale commercializzazione abbiano documentazione di efficacia e siano resi disponibili per uso clinico.

La quarta rassegna, curata da Stefano Benenati et al. del gruppo di Genova, è un manuale pratico, ma con solide basi scientifiche, per la creazione di un percorso integrato per la cura dello shock cardiogeno. L’argomento è estremamente importante. Nonostante i numerosi sforzi volti all’individuazione di nuovi e più efficaci presidi diagnostici e terapeutici, lo shock cardiogeno rimane infatti una patologia ad elevata morbilità e mortalità. Dai numerosi studi clinici emerge un messaggio molto chiaro: la risposta terapeutica migliore non è individuabile in alcun singolo dispositivo o farmaco ma deve essere basata su una strategia terapeutica e su percorsi di assistenza condivisi e integrati, disegnati e gestiti sinergicamente da un team multidisciplinare. Questo manoscritto sintetizza il percorso gestionale che, sulla scia delle precedenti esperienze nazionali ed internazionali, la regione Liguria attua sul proprio territorio a partire dal 2019 e “rappresenta un tentativo non soltanto a dipanare i fondamenti scientifici su cui il percorso ligure si fonda, ma altresì ad esemplificare, con taglio pratico e applicativo, gli scenari di gestione dei pazienti affetti da shock cardiogeno”.

Come di consuetudine, il Supplemento si chiude con alcuni casi clinici. La prima serie di casi è presentata da Miriam Compagnone et al. di Forlì e riguarda il trattamento di lesioni coronariche complesse con litotrissia intravascolare. Abbiamo già dato rilevanza in passato alle difficoltà del trattamento con angioplastica coronarica di lesioni coronariche severamente calcifiche e alla descrizione dei nuovi strumenti tecnici a nostra disposizione per migliorare i risultati procedurali e clinici di queste procedure. La litotrissia intravascolare rappresenta senza dubbio uno dei più semplici e promettenti, come documentato dai casi qui descritti. Il secondo caso clinico, da parte di Alberto Monello et al. di Piacenza, descrive invece il recupero di uno stent, accidentalmente staccato dal sistema di rilascio, con l’ingegnosa ”loop snare technique”.

Buona lettura,

Francesco Saia

Guest Editor GIC