Position paper ANMCO: Cardio-oncologia in era COVID-19

Irma Bisceglia1, Domenico Gabrielli2, Maria Laura Canale3, Giuseppina Gallucci4, Iris Parrini5, Fabio Maria Turazza6, Giulia Russo7, Nicola Maurea8, Vincenzo Quagliariello8, Chiara Lestuzzi9, Stefano Oliva10, Stefania Angela Di Fusco11, Fabiana Lucà12, Luigi Tarantini13, Paolo Trambaiolo14, Michele Massimo Gulizia15,16, Furio Colivicchi11

1Servizi Cardiologici Integrati, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, Roma

2U.O.C. Cardiologia, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, Roma

3U.O.C. Cardiologia, Ospedale Versilia, Lido di Camaiore (LU)

4Cardiologia, Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata (CROB) - IRCCS, Rionero in Vulture (PZ)

5S.C. Cardiologia, Ospedale Mauriziano, Torino

6S.C. Cardiologia, Istituto Nazionale Tumori, Fondazione IRCCS, Milano

7S.C. Cardiovascolare e Medicina dello Sport, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina-ASUGI, Trieste

8S.C. Cardiologia, Istituto Nazionale Tumori, IRCCS, Fondazione G. Pascale, Napoli

9Riabilitazione Cardiologica e Cardio-oncologica, Centro di Riferimento Oncologico-CRO di Aviano, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale-ASFO, Pordenone

10U.O.S.D. Cardiologia, Istituto Tumori Giovanni Paolo II, IRCCS, Bari

11U.O.C. Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri - ASL Roma 1, Roma

12Cardiologia-UTIC, Presidio Ospedaliero “Riuniti”, Grande Ospedale Metropolitano Bianchi-Melacrino-Morelli, Reggio Calabria

13S.O.C. Cardiologia Ospedaliera, Presidio Ospedaliero Santa Maria Nuova - AUSL RE, IRCCS, Reggio Emilia

14U.O.S. Terapia Intensiva Cardiologia, Presidio Ospedaliero Sandro Pertini, Roma

15U.O.C. Cardiologia, Ospedale Garibaldi-Nesima, Azienda di Rilievo Nazionale e Alta Specializzazione “Garibaldi”, Catania

16Fondazione per il Tuo cuore - Heart Care Foundation, Firenze

The COVID-19 pandemic and its impact on patients with cancer and cardiovascular disease have confirmed the particular vulnerability of this population. Indeed, not only a higher risk of contracting the infection has been reported, but also an increased occurrence of a more severe course and unfavorable outcome. Beyond the direct consequences of COVID-19, the pandemic has an enormous impact on global health systems. Screening programs and non-urgent tests have been postponed; clinical trials have suffered a setback. Similarly, in the area of cardiology care, a significant decline in ST-elevation myocardial infarction accesses and an increase in cases of late presenting heart attacks with increased mortality and complication rates have been reported. Health care systems must therefore get ready to tackle the “rebound effect” that will likely show a relative increase in the short and medium term incidence of diseases such as heart failure, myocardial infarction, arrhythmias and cardio- and cerebrovascular complications. Scientific societies are taking action to provide general guidance and recommendations aimed at mitigating the unfavorable outcomes of this pandemic emergency. Cardio-oncology, as an emerging discipline, is more flexible in modulating care pathways and represents a beacon of innovation in the development of multi-specialty patient management. In the era of the COVID-19 pandemic, cardio-oncology has rapidly modified its clinical care pathways and implemented flexible monitoring protocols that include targeted use of cardiac imaging, increased use of biomarkers, and telemedicine systems. The goal of these strategic adjustments is to minimize the risk of infection for providers and patients while maintaining standards of care for the treatment of oncologic and cardiovascular diseases. The aim of this position paper is to evaluate the impact of the COVID-19 pandemic on the management of cardio-oncologic patients with the-state-of-the-art knowledge about SARS-CoV-2 and COVID-19 in order to optimize medical strategies during and after the pandemic.

Key words. Biomarkers; Cancer; Cardio-oncology; Cardiovascular disease; Cardiovascular imaging; COVID-19; SARS-CoV-2; Telehealth.

1. Introduzione 801

2. Epidemiologia 802

3. Cancro, sistema cardiovascolare e COVID 19 802

3.1 Cancro e COVID-19 802

3.2 Malattie cardiovascolari e COVID-19 803

3.3 Cardio-oncologia e COVID-19 804

4. Strategie generali di approccio al paziente oncologico in corso di pandemia COVID-19 804

5. La consulenza cardio-oncologica in corso di pandemia COVID-19 805

5.1 La consulenza cardio-oncologica nei pazienti ambulatoriali 805

5.2 La consulenza cardio-oncologica nei pazienti ricoverati 807

6. Stratificazione del rischio pretrattamento 807

6.1 Rischio di essere infettati da SARS-CoV-2 807

6.2 Rischio di ritardare o interrompere le terapie antineoplastiche 807

6.3 Rischio di effetti collaterali cardiovascolari delle terapie antineoplastiche 807

7. Utilizzo delle tecniche ecocardiografiche 808

8. Monitoraggio della tossicità cardiaca 808

8.1 Valutazione basale del paziente 809

8.1.1 Antracicline 809

8.1.2 Trastuzumab 809

8.2 Monitoraggio in corso di terapia 809

8.2.1 Antracicline 809

8.2.2 Trastuzumab 809

8.3 Follow-up 809

8.4 Telemedicina, empowerment del paziente e del caregiver 810

9. Modulazione delle strategie terapeutiche nei pazienti con cancro e COVID-19 810

9.1 Scompenso cardiaco 810

9.2 Infarto miocardico 811

9.3 Sindrome Takotsubo 811

9.4 Miocardite 811

9.5 Valvulopatie 811

9.6 Trattamenti COVID-19 811

9.6.1 Steroidi 811

9.6.2 Farmaci sperimentali 812

10. Gestione della fibrillazione atriale nei pazienti oncologici in era COVID-19 812

10.1 Trattamento della fibrillazione atriale 812

10.2 Anticoagulanti orali diretti e farmaci per il COVID-19 813

11. Profilassi e trattamento delle complicanze tromboemboliche in corso di infezione da SARS-CoV-2 816

11.1 Gestione del tromboembolismo venoso nei pazienti ospedalizzati 816

11.1.1 Profilassi del tromboembolismo venoso nei pazienti ricoverati con COVID-19 e neoplasie 816

11.1.2 Profilassi post-dimissione nei pazienti oncologici con COVID-19 817

11.1.3 Profilassi del tromboembolismo venoso nei pazienti oncologici con COVID-19 non ospedalizzati 817

11.1.4 Terapia del tromboembolismo venoso nei pazienti ricoverati con COVID-19 e neoplasie 817

12. Gestione delle complicanze aritmiche e dei dispositivi nel paziente oncologico affetto da COVID-19 818

12.1 Gestione del paziente cardio-oncologico con COVID-19 819

13. Conclusioni 820

Riassunto 820

Bibliografia 820

ABBREVIAZIONI E ACRONIMI

ACE enzima di conversione dell’angiotensina

ACEI inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina

aPTT tempo di tromboplastina parziale attivata

ARB bloccanti i recettori dell’angiotensina

ARDS sindrome da distress respiratorio acuto

AVK antagonisti della vitamina K

COVID-19 malattia da coronavirus 2019

DOAC anticoagulanti orali diretti

EBPM eparina a basso peso molecolare

ENF eparina non frazionata

ESMO Società Europea di Oncologia Medica

FA fibrillazione atriale

FE frazione di eiezione

FECO Focused Echo in Cardio-Oncology

HR hazard ratio

IC intervallo di confidenza

ICI inibitori del checkpoint immunitario

IL interleuchina

OR odds ratio

MCV malattia cardiovascolare

POCUS Point-of-Care Ultrasound

RR rischio relativo

SARS-CoV-2 sindrome respiratoria acuta severa coronavirus 2

SCA sindrome coronarica acuta

STEMI infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST

TC tomografia computerizzata

TEV tromboembolismo venoso

TNF fattore di necrosi tumorale

TTS sindrome Takotsubo

1. INTRODUZIONE

Il cancro e le malattie cardiovascolari rappresentano le due cause più frequenti di morbilità e mortalità in tutto il mondo. Negli ultimi decenni, grazie alla diffusione dei programmi di screening e al miglioramento delle cure, abbiamo assistito a un rapido aumento della sopravvivenza al cancro, con più di 400 000 nuovi guariti o lungo-sopravviventi ogni anno. L’infezione da sindrome respiratoria acuta severa coronavirus 2 (SARS-CoV-2) nei pazienti affetti da cancro e malattie cardiovascolari ha avuto un impatto devastante confermando la vulnerabilità di queste popolazioni. Il SARS-CoV-2, l’agente causale della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) è un nuovo betacoronavirus zoonotico a RNA a singolo filamento1 e la sua forte contagiosità ha rapidamente trasformato la malattia in una pandemia con un impatto devastante in tutto il mondo. Nella prima ondata dell’infezione la febbre è stato il sintomo più frequente nei pazienti ospedalizzati (circa il 90%), seguito da tosse secca (60-86%) e dispnea (53-80%); gli altri sintomi osservati erano affaticamento (38%), nausea, vomito o diarrea (15-39%), cefalea e mialgia (15-55%), disturbi dell’olfatto e del gusto (64-89%); in circa il 3% dei pazienti l’anosmia e l’ageusia erano gli unici sintomi. Le anomalie di laboratorio nei pazienti ospedalizzati comprendevano linfopenia (83%), aumento dei marcatori dell’infiammazione come velocità di eritrosedimentazione, proteina C-reattiva, ferritina, fattore di necrosi tumorale (TNF)-α, interleuchina (IL)-1, IL-6 e anomalie della coagulazione quali allungamento del tempo di protrombina, trombocitopenia, incremento dei valori di D-dimero e ridotti valori di fibrinogeno. Caratteristica della malattia è risultata la presenza di infiltrati polmonari inferiori alla radiografia del torace e di opacità bilaterali dei lobi inferiori con aspetto a tipo “ground glass” e/o addensamenti alla tomografia computerizzata (TC) del torace. Le complicanze erano polmonite (75%), sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) (15%), insufficienza epatica acuta (19%), danno cardiaco con aumento della troponina (7-17%), insufficienza cardiaca, aritmie, miocardite; coagulopatie con tromboembolismo venoso (TEV) e arterioso (10-25%), insufficienza renale acuta (9%), manifestazioni neurologiche con alterato stato di coscienza (8%), eventi cerebrovascolari acuti (3%) e shock (6%). In pazienti severamente malati con COVID-19 è stata osservata la sindrome da tempesta delle citochine e la sindrome da attivazione dei macrofagi2. Dopo la prima ondata nel dicembre 2019 abbiamo aumentato le nostre conoscenze sul virus SARS-CoV-2. Abbiamo imparato che la proteina transmembrana spike (S) di SARS-CoV-2 ha una forte affinità per i recettori dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2) e utilizza questo recettore per entrare nella cellula ospite3, che i recettori ACE2 sono espressi non solo nelle cellule epiteliali del polmone, ma sono anche abbondanti nel sistema cardiovascolare e questo rende il COVID-19 una malattia sia polmonare che vascolare4. Oltre alle manifestazioni derivanti dall’infezione da SARS-CoV-2, la pandemia ha avuto un’importante ripercussione sui sistemi sanitari globali. I programmi di screening e gli esami ritenuti non urgenti sono stati rinviati con conseguenti ritardi diagnostici. Ritardi e rinvii hanno coinvolto non solo i trattamenti non urgenti ma anche la sperimentazione clinica che ha subito una battuta d’arresto. L’impatto mediatico della pandemia ha avuto come ulteriore effetto deleterio un ridotto accesso dei pazienti affetti da cancro agli ospedali per paura del contagio. La pandemia ha portato nel Regno Unito a riduzioni e ritardi nell’identificazione di nuovi tumori e nell’erogazione del trattamento ed è previsto che ciò si tradurrà in un eccesso di morti evitabili per i principali tipi di neoplasie5. Similmente, nell’area assistenziale cardiologica si osserva un significativo declino degli accessi per infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) e un aumento dei casi di infarti a presentazione tardiva con aumento dei tassi di mortalità e di complicanze. Uno studio condotto in Emilia Romagna attraverso i dati amministrativi ha documentato un eccesso di morti cardiache extraospedaliere del 17% nel primo semestre 2020 con un picco di +62% in aprile6. Osservazioni recenti provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti hanno riportato una riduzione di circa il 40% degli accessi in cardiologia interventistica per STEMI7,8. Uno studio monocentrico italiano ha mostrato una riduzione di circa il 37% dei ricoveri per sindrome coronarica acuta (SCA), particolarmente evidente nelle prime 2 settimane di lockdown, con un aumento del numero dei pazienti con infarto miocardico a presentazione tardiva, e una ridotta percentuale di ricorso ai trattamenti intensivi/interventistici9. I sistemi sanitari devono pertanto essere preparati ad un effetto “rebound” per un aumento relativo di incidenza a breve e medio termine di patologie come scompenso cardiaco, infarto miocardico, aritmie e complicanze cardio- e cerebrovascolari. Le Società Scientifiche si sono attivate per fornire raccomandazioni volte a mitigare gli esiti sfavorevoli di questa emergenza pandemica.

Fino a quando non sarà disponibile una terapia rivoluzionaria o non si otterrà una copertura vaccinale su larga scala, la pandemia COVID-19 rimarrà una costante all’interno della medicina e appare fondamentale lo sviluppo di politiche sanitarie che garantiscano sicurezza e cure appropriate. Scopo di questo position paper ANMCO è quello di valutare le implicazioni della pandemia nello studio e nella gestione dei pazienti cardio-oncologici utilizzando le intuizioni acquisite, al fine di orientare le strategie sia durante la pandemia che nella fasi future.

2. EPIDEMIOLOGIA

Per determinare l’impatto di una pandemia è necessario definire10:

• Tutte le manifestazioni cliniche della malattia (dal decorso asintomatico alla malattia severa). L’infezione da SARS-CoV-2 determina un ampio spettro di manifestazioni cliniche che vanno dalla completa assenza di sintomi alla malattia fatale. Una piccola percentuale di pazienti infettati da SARS-CoV-2 sviluppa una malattia severa (8-15%) con insufficienza respiratoria, ARDS, insufficienza multiorgano. La letalità varia da 0.3 morti per 1000 casi nei pazienti di età compresa tra 5 e 17 anni a 304.9 morti per 1000 casi tra i pazienti di età ≥85 anni negli Stati Uniti. La letalità nei pazienti ospedalizzati in terapia intensiva può raggiungere il 40%. Circa il 5% dei pazienti con COVID-19 e il 20% di quelli ospedalizzati presentano sintomi severi che necessitano di ricovero in terapia intensiva2.

• La trasmissibilità del virus. L’infezione da SARS-CoV-2 ha una contagiosità elevata, più alta di quella di SARS-CoV, le varianti sembrano dotate di una contagiosità ancora più elevata. L’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta (luglio 2020) che la trasmissione di SARS-CoV-2 si può verificare attraverso contatto diretto, indiretto o ravvicinato con persone infette attraverso secrezioni come la saliva e le secrezioni respiratorie o le goccioline respiratorie (“droplets”) che sono eliminate dalle persone infette quando tossiscono, starnutiscono, parlano o cantano. È possibile anche una trasmissione indiretta ad un ospite vulnerabile attraverso oggetti o superfici contaminati (trasmissione di fomiti). La trasmissione aerea si può verificare durante procedure mediche che generano aerosol11.

• I responsabili del contagio (ruolo dei pazienti asintomatici e pre-sintomatici), la durata del virus nelle secrezioni respiratorie. L’infezione può essere diffusa dai portatori asintomatici dell’infezione, dai pazienti pre-sintomatici e sintomatici. Il tempo medio dall’esposizione all’esordio della sintomatologia è di 5 giorni, la maggioranza delle persone sintomatiche (97%) manifesta i sintomi entro 11.5 giorni dall’infezione. Il numero di riproduzione base (R0) è definito come il numero medio di casi di ulteriore infezione che un caso può generare, è ipotizzato un range di R0 da 2.2 a 2.7 per le prime fasi dell’infezione da SARS-CoV-2 in Cina, ovvero una persona con infezione da SARS-CoV-2 poteva contagiare ~2.2-2.7 persone12.

• I fattori di rischio che determinano la severità della malattia o incrementano la mortalità, l’identificazione dei pazienti con un’alta probabilità di prognosi severa. Anche se i soggetti di ogni età e sesso sono suscettibili al COVID-19 è stato osservato che le malattie cardiovascolari (MCV) e il cancro hanno un ruolo di catalizzatori per SARS-CoV-2, esaltandone la virulenza13. I pazienti con entrambe le comorbilità (MCV conclamata e cancro) presentano gli effetti peggiori dell’infezione da SARS-CoV-214. Anche l’obesità costituisce un determinante importante per la mortalità; un report del Public Health England del luglio 2020 ha stimato che un indice di massa corporea tra 35 e 40 kg/m2 potrebbe aumentare del 40% la probabilità di un esito fatale da COVID-19, mentre un indice di massa corporea >40 kg/m2 potrebbe aumentare la probabilità di un esito fatale del 90%15.

3. CANCRO, SISTEMA CARDIOVASCOLARE E COVID-19

3.1 Cancro e COVID-19

I primi rapporti dalla Cina suggerivano che i pazienti con COVID-19 avevano più probabilità di avere una storia di cancro rispetto alla popolazione generale, sostenendo una potenziale suscettibilità della popolazione oncologica al COVID-19; il tasso di infezione riportato tra i pazienti affetti da cancro era il doppio del tasso di COVID-19 nella popolazione generale di Wuhan. Più precisamente, tra 1524 pazienti con cancro ammessi allo Zhongnan Ospedale di Wuhan, 0.79% aveva COVID-19 vs 0.37% della popolazione generale. Nei pazienti con cancro si è osservato un maggiore rischio di eventi gravi, intesi come percentuale di pazienti ricoverati in terapia intensiva con necessità di ventilazione invasiva o morte, rispetto ai pazienti senza cancro (39% vs 8%, p=0.0003); inoltre, i pazienti sottoposti a chemioterapia nei 14 giorni precedenti hanno richiesto più frequentemente un ricovero in terapia intensiva (hazard ratio [HR] 4.1, intervallo di confidenza [IC] 95% 1.086-15.322, p=0.037)16. In uno studio condotto su 218 pazienti ricoverati in un ospedale di New York si è osservata una mortalità per COVID-19 del 28% nei pazienti con cancro con un tasso di mortalità del 37% per i tumori maligni ematologici e del 25% per i tumori solidi. Probabilmente i pazienti ematologici sono più gravemente immunocompromessi essendo trattati con terapia mielosoppressiva e possono essere più sensibili alla sindrome da tempesta di citochine17,18. Va rilevato peraltro che non solo i pazienti con cancro attivo ma anche i sopravvissuti al cancro si sono mostrati più suscettibili al COVID-19 e l’età avanzata è stata l’unico fattore di rischio per eventi gravi (odds ratio [OR] 1.43, IC 95% 0.97-2.12, p=0.072)19. Sebbene gli studi citati abbiano dimostrato che i pazienti con cancro sono più suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 e a complicanze più gravi, i risultati sono stati ottenuti su casistiche con piccoli numeri di pazienti. Successivamente sono stati condotti studi su coorti più numerose. In uno di essi sono stati arruolati 928 pazienti e si è osservata una mortalità a 30 giorni del 13%; fattori specifici del cancro come l’Eastern Cooperative Oncology Group Performance Status ≥2 e il cancro attivo si sono mostrati associati ad un aumento della mortalità20. In un altro studio condotto su 800 pazienti con cancro e COVID-19 si è osservata una mortalità a 30 giorni del 28% e i fattori che hanno aumentato il rischio di morte sono stati: età avanzata (OR 9.42, IC 95% 6.56-10.02, p<0.001), sesso maschile (OR 1.67, IC 95% 1.19-2.34, p=0.003), storia di ipertensione (OR 1.95, IC 95% 1.36-2.80, p=0.002) e malattia cardiovascolare (OR 2.32, IC 95% 1.47-3.64, p=0.002). Si è inoltre osservato che né la chemioterapia citotossica praticata entro 4 settimane dallo sviluppo del COVID-19, né l’immunoterapia, la terapia target, l’ormonoterapia e la radioterapia hanno determinato un aumento del rischio di morte21. In un altro studio invece l’immunoterapia praticata nei 40 giorni precedenti l’infezione da COVID-19 si è dimostrata un predittore di ospedalizzazione e di decorso più sfavorevole sia nei pazienti trattati per tumore polmonare che per altre neoplasie22. Per quanto riguarda la tipologia di tumori, in un registro di tumori maligni toracici la mortalità si è mostrata particolarmente elevata e il fumo è stato il più potente predittore di morte nell’analisi multivariata23.

3.2 Malattie cardiovascolari e COVID-19

Fattori di rischio cardiovascolare (come il fumo, l’ipertensione, il diabete, l’obesità) e le MCV preesistenti sono stati associati a una maggiore suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2, oltre che a una maggiore gravità della malattia24-26. Dai primi studi pubblicati in Cina, è stata osservata una prevalenza di fattori di rischio e di MCV nei pazienti ricoverati per COVID-19 e, oltre a un decorso più grave della malattia, sono stati osservati anche tassi di mortalità più elevati27. Uno studio condotto su 138 pazienti ricoverati allo Zhongnan Hospital di Wuhan ha mostrato la coesistenza di ipertensione nel 31.2% dei casi, diabete nel 10.1%, MCV nel 14.5%, con una maggiore frequenza di ricoveri in terapia intensiva28. Il tasso di letalità osservato in un’ampia popolazione cinese (44 672 casi confermati) è stato del 2.3% ed è risultato elevato nei pazienti con comorbilità preesistenti: 10.5% per le MCV, 7.3% per il diabete, 6.3% per le malattie respiratorie croniche, 6.0% per l’ipertensione e 5.6% per il cancro29. Una metanalisi di 6 studi ha confermato un decorso 2 volte più grave della malattia nei pazienti ipertesi e un decorso 3 volte più grave nei pazienti con MCV30. Esiste una relazione bidirezionale tra fattori di rischio/MCV e COVID-19, la proteina spike del SARS-CoV-2 ha infatti un’elevata affinità per i soggetti con fattori di rischio o MCV preesistenti per una maggiore espressione dei recettori ACE2 a livello di endotelio vascolare, periciti, cardiomiociti, fibroblasti, adipociti del miocardio. ACE2 contrasta gli effetti negativi dell’angiotensina II con effetti vasodilatatori, antinfiammatori, antiossidanti e antifibrotici. L’attivazione di ACE2 determina una sua endocitosi e una down-regulation dell’attività cui consegue una up-regulation delle citochine infiammatorie e una diminuzione della degradazione dell’angiotensina II e diminuzione dell’angiotensina (1-7). L’aumento di angiotensina II e l’iperattivazione del recettori AT1 si traduce in disfunzione endoteliale, vasocostrizione, infiammazione, ipertrofia miocardica, diminuzione di ossido nitrico, aumento di endotelina con conseguente ipertensione arteriosa, danno miocardico e aritmie. Una diminuzione dell’angiotensina (1-7) comporta una riduzione dell’attivazione dei recettori Mas sulle piastrine, che, in combinazione con la up-regulation delle citochine infiammatorie, determina disfunzione piastrinica e trombosi intravascolare (infarto miocardico, ictus, tromboembolia venosa). In pratica, il danno miocardico può avvenire attraverso un triplice percorso: attivazione di ACE2, attivazione infiammatoria sistemica che porta all’attivazione immunitaria e “storm” di citochine, ipossiemia e aumento del “drive” adrenergico indotto dall’infezione (Figura 1).




Le manifestazioni cliniche cardiovascolari nei pazienti con COVID-19 sono rappresentate da miocarditi, cardiomiopatia da stress, aritmie, SCA con prevalenza di forme di tipo 2 determinate da ipossiemia o da disfunzioni microvascolari indotte da infezione dei periciti che determinano infarti senza ostruzioni coronariche significative31,32. È stato osservato che fino al 28% dei pazienti con COVID-19 ha un danno miocardico, espresso da un aumento dei valori di troponina33 e la presenza di danno miocardico è più spesso accompagnata da complicanze significativamente più elevate e da mortalità intraospedaliera. È stato anche recentemente osservato che il danno miocardico è accompagnato non solo da anomalie elettrocardiografiche ma, in due terzi dei pazienti, anche da anomalie ecocardiografiche che includono anomalie della cinesi segmentaria, disfunzione ventricolare sinistra, disfunzione diastolica di grado II o III, disfunzione ventricolare destra e versamenti pericardici34.

Durante la fase iniziale della pandemia c’è stata incertezza riguardo la sicurezza dell’uso degli ACE-inibitori (ACEI) o dei bloccanti i recettori dell’angiotensina (ARB) nei pazienti con COVID-19. Poiché l’ACE2 è un recettore per il SARS-CoV-2, nella comunità medica e scientifica si è inizialmente sollevato il timore che l’impiego di ACEI e ARB potesse determinare una up-regulation di ACE2 e provocare un aumento della mortalità e della gravità da COVID-1935. In effetti, gli obiettivi di ACE e ACE2 sono diversi nonostante l’elevata somiglianza strutturale tra i due enzimi. L’ACE converte l’angiotensina I in angiotensina II, mentre l’ACE2 degrada l’angiotensina II in angiotensina (1-7). Gli ACEI impediscono la conversione dall’angiotensina I all’angiotensina II, mentre gli ARB inibiscono il recettore AT1 dell’angiotensina II. Pertanto, nessuna delle due classi di farmaci agisce direttamente sull’ACE2. In uno studio recente condotto su due coorti indipendenti con scompenso cardiaco, l’impiego di ACEI/ARB non si è associato a un incremento di ACE2. Altri studi hanno eliminato i timori iniziali dimostrando non solo il potenziale beneficio degli ACEI/ARB nel trattamento di pazienti ospedalizzati con ipertensione con COVID-19, ma anche una riduzione della mortalità da COVID-19 in pazienti trattati rispetto a quelli non trattati36. Una recente metanalisi di 26 studi ha confermato che il trattamento con ACEI/ARB rispetto ad altri farmaci antipertensivi o non trattati è stato associato ad una riduzione della mortalità e ad un minor rischio di supporto ventilatorio tra i pazienti ipertesi infettati dal virus37. Molte Società Scientifiche, come American Heart Association, American College of Cardiology, Heart Failure Society of America, ESC Council on Hypertension e Chinese Society of Cardiology, hanno fornito raccomandazioni a favore della continuazione del trattamento con ACEI e ARB nei pazienti con ipertensione, insufficienza cardiaca e cardiopatia ischemica38-40.

3.3 Cardio-oncologia e COVID-19

Non sono disponibili in letteratura molti studi sulle complicanze cardiovascolari in pazienti affetti da cancro e COVID-19, perché gli studi hanno descritto separatamente i pazienti affetti da cancro e quelli con MCV. Nella popolazione cardio-oncologica, c’è un ulteriore livello di complessità diagnostica dovuto a fenomeni di “sovrapposizione” tra le complicanze da COVID-19, le complicanze del cancro e gli effetti cardiovascolari dei trattamenti oncologici. Infatti, gli aumenti di troponina possono anche essere indicativi di cardiotossicità subclinica indotta da trattamenti con antracicline e/o agenti anti-HER2, così come possono essere osservati in pazienti che ricevono inibitori della tirosinchinasi ad alto rischio protrombotico (ponatinib) o fluoropirimidine che inducono vasospasmo coronarico. I marcatori cardiaci elevati sono stati associati alla sindrome da rilascio di citochine da terapia antigenica chimerica (CAR-T)41,42, all’insufficienza cardiaca da uso di inibitori del proteasoma (carfilzomib), alla miocardite durante il trattamento con inibitori del checkpoint immunitario (ICI) che sono associati ad una mortalità del 25-50%43. Ad oggi, sono pochi i dati disponibili per trarre conclusioni definitive sull’esito clinico dei pazienti COVID-19 affetti da cancro e in trattamento con ICI, ma poiché il trattamento con ICI non può essere considerato altamente immunosoppressivo, evitare il trattamento per ridurre le infezioni da coronavirus potrebbe privare questi pazienti di una classe di farmaci altamente efficaci44. Infatti, studi recenti non solo confermano la sicurezza del trattamento con ICI dei pazienti affetti da cancro e COVID-19, ma indicano anche la sua potenziale utilità come immunostimolante45.

Molti di questi intricati processi possono confondere nel trattamento dei pazienti affetti da cancro e da COVID-19 e quindi una valutazione multidisciplinare, con la partecipazione di un cardio-oncologo, può essere fondamentale per garantire una gestione ottimale in questa popolazione ad alto rischio.

4. STRATEGIE GENERALI DI APPROCCIO AL PAZIENTE ONCOLOGICO IN CORSO DI PANDEMIA COVID-19

Il problema dei servizi cardio-oncologici nell’era COVID-19 ha aspetti diversi nei diversi contesti. I pazienti oncologici devono essere protetti dall’infezione da SARS-CoV-2, e questo può essere garantito solo in strutture COVID-free. In alcune regioni italiane è stata effettuata una rivalutazione dell’offerta sanitaria, con ospedali COVID-19 dedicati e altri ospedali COVID-free per garantire una regolare attività di reparti come neurochirurgia, stroke unit, cardiochirurgia, oncologia, medicina geriatrica46. Al contrario, la maggior parte degli ospedali generali con strutture di oncologia e radioterapia possono avere anche sezioni dedicate ai pazienti COVID-19; la sezione oncologica di solito segue le stesse precauzioni degli ospedali oncologici (test prima dell’ammissione per le cure), ma deve essere considerato il rischio di infezione in altre aree. Alcuni ospedali hanno pianificato accessi e percorsi “puliti” separati per evitare qualsiasi contatto tra pazienti fragili – che devono essere protetti – e pazienti infetti (o anche possibilmente infetti)47,48. Al fine di limitare il rischio – per un paziente oncologico – di essere infettato, si dovrebbe pianificare un percorso diverso. I pazienti infetti o positivi al tampone hanno di solito i loro trattamenti rinviati dagli oncologi, se questo non interferisce con la prognosi oncologica49. Quelli che hanno bisogno di un intervento chirurgico o di trattamenti medici urgenti devono essere inviati in un ospedale generale con strutture COVID-19 dedicate, anche se solitamente seguiti in un ospedale oncologico. Come regola generale, gli ospedali oncologici senza COVID-19 e gli ospedali generali dovrebbero essere aperti ad una cooperazione, offrendo la possibilità ai malati di cancro, ovunque siano seguiti abitualmente, di avere la loro valutazione cardiologica nel modo più sicuro sia per loro stessi che per gli altri pazienti. Gli ospedali oncologici dedicati sono, per quanto possibile, COVID-free. Ma sia in questi ospedali che negli ospedali generali, i pazienti oncologici che necessitano di visite/esami hanno un triage strutturato prima di entrare in ospedale. Le raccomandazioni generali per ridurre la trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2 sono riassunte nei lavori di Kampf e Zhou50,51. Nonostante queste precauzioni, anche in un ospedale oncologico, il rischio di infezione, eventualmente da parte di un portatore asintomatico, è ancora presente. Per ridurre il rischio di infezione, è importante ridurre le consulenze “faccia a faccia” quando sia possibile, secondo un’attenta valutazione sia del rischio oncologico e cardiologico dei pazienti, sia del rischio legato al COVID-1952. La Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) e la Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) hanno già pubblicato rispettivamente le raccomandazioni specifiche per la gestione della malattia cardiaca nei pazienti oncologici53 e una guida pratica clinica per la gestione della disfunzione miocardica dovuta al trattamento cardiotossico54. Nell’era della malattia pandemica queste raccomandazioni hanno richiesto una revisione al fine di non esporre i pazienti oncologici a ulteriori rischi di complicazioni cardiache52,55.

5. LA CONSULENZA CARDIO-ONCOLOGICA IN CORSO DI PANDEMIA COVID-19

La cardio-oncologia studia e tratta l’intersezione di due patologie che interessano entrambe, per definizione, pazienti “fragili”. Per questo, nel corso della pandemia COVID-19, i Servizi di Cardio-Oncologia e le Strutture Complesse di Cardiologia che si occupano di pazienti oncologici con o senza precedenti cardiovascolari, hanno dovuto fronteggiare una serie di problematiche particolarmente delicate, che hanno interessato essenzialmente l’ambito clinico e quello organizzativo:

1) i sottogruppi più a rischio sembrerebbero essere rappresentati da tutti coloro che sono in terapia per malattia oncologica attiva, in particolare quelli con segni/sintomi riconducibili a cardiotossicità, dai pazienti in trattamento con farmaci immunosoppressori (es. per malattie oncoematologiche) e da quelli che assumono specifici trattamenti antineoplastici o che sono stati sottoposti a trapianto di cellule staminali sempre nell’ambito di patologie oncoematologiche17,18. Per questo è emersa sin dall’inizio della pandemia l’assoluta necessità di proteggere questi sottogruppi di pazienti dall’eventualità di contrarre il COVID-19;

2) oltre al rischio rappresentato dall’infezione da SARS-CoV-2 i pazienti oncologici con o senza patologia cardiovascolare preesistente sono stati comunque coinvolti indirettamente dalla profonda riorganizzazione dei servizi sanitari sia territoriali che ospedalieri, dettata sia dalla necessità di ridurre le occasioni di contagio in ambito ospedaliero, che dalla riallocazione di risorse umane e strutturali alla gestione dei pazienti COVID-19. Questo ha determinato il rinvio e la riprogrammazione, sia a livello cardiologico che oncologico, di accertamenti diagnostici soprattutto di imaging avanzato e di procedure terapeutiche, con effetti che saranno evidenti già in un futuro prossimo56-59 e che per quanto riguarda i pazienti oncologici sono già stati stimati nel loro impatto sull’outcome60.

La consulenza cardio-oncologica è stata pesantemente coinvolta dalla riallocazione di risorse mediche e tecnologiche che ha avuto per obiettivo l’identificazione e il trattamento dei pazienti COVID-19. Per i pazienti cardio-oncologici una prima distinzione va fatta fra il livello ambulatoriale e quello ospedaliero, con una ulteriore differenziazione, non irrilevante in questo ambito, fra “Cancer Centers” (in genere privi di Pronto Soccorso e che per definizione dovrebbero essere COVID-free) e ospedale generale. In entrambi questi contesti la parola chiave è appropriatezza. La pandemia COVID-19 ha rappresentato e rappresenta un’occasione unica per una revisione ragionata sull’appropriatezza della nostra pratica clinica che, complice la rapida e tumultuosa crescita della cardio-oncologia, è ancora priva di linee guida condivise ed è frequentemente ancorata ad abitudini locali che da un lato non trovano riscontro in una letteratura che è comunque in crescita esponenziale e dall’altro comportano spesso uno spreco di risorse.

5.1 La consulenza cardio-oncologica nei pazienti ambulatoriali

In considerazione della facile trasmissibilità e della mortalità particolarmente elevata del COVID-19 nei pazienti ad alto rischio, la sola strategia efficace per contenere la diffusione della malattia è subito apparsa quella del distanziamento sociale61. Per i pazienti oncologici questo si traduce nella necessità di limitare l’accesso in ospedale solo a quelli per i quali sia realmente indispensabile.

La Figura 2 indica una piattaforma disegnata ad hoc, sostenuta da quattro pilastri che sono la limitazione degli accessi in ospedale, la diffusione della telemedicina, la restrizione delle sessioni di imaging e l’impiego più esteso e ragionato dei biomarker, con gli ultimi due punti che riguardano anche come vedremo i pazienti ricoverati52.




Nel caso dei pazienti oncologici senza precedenti anamnestici cardiovascolari, la collaborazione fra oncologo e cardiologo può aiutare a selezionare i pazienti per i quali è realmente necessaria una valutazione cardiologica clinica o strumentale attraverso un’accurata stratificazione di rischio sulla base dei soli criteri anamnestici, che può e deve avvenire nell’ambulatorio oncologico. Compito del cardiologo è fornire all’oncologo delle flow-chart semplici, la cui applicazione permetta di identificare rapidamente e con sicurezza i pazienti a basso rischio, per i quali la consulenza cardiologica in presenza non è necessaria una volta acquisiti ECG basale e, dove richiesto, un ecocardiogramma pre-trattamento.

Per i pazienti con patologia cardiovascolare nota non sempre è possibile differire o non eseguire i controlli clinici o strumentali con sicurezza: questa valutazione può e deve essere fatta direttamente dal cardiologo e, in epoca pre-COVID-19, quasi sempre avveniva tramite una visita cardiologica. Oggi, al fine di limitare l’accesso in ospedale o in ambulatorio ai pazienti che realmente ne necessitano, un primo approccio potrebbe prevedere un iniziale contatto telefonico volto ad accertare da parte del cardiologo la stabilità clinica del paziente, intesa come assenza negli ultimi 6-12 mesi di ricoveri ospedalieri per motivi cardiologici e comparsa/progressione di sintomi quali dispnea da sforzo, dolore toracico e/o sincope. Questa valutazione può essere eventualmente integrata da uno degli strumenti della telemedicina, ad esempio la trasmissione e la successiva archiviazione in loco degli esami strumentali in possesso del paziente. La pandemia COVID-19 ha messo sotto i riflettori la telemedicina, soprattutto negli Stati Uniti, dove nel 2020 il Congresso ha approvato una norma (Public Law 116-123, Coronavirus Preparedness and Response Supplemental Appropriations Act, 2020)62 che consente ad alcuni provider di addebitare a Medicare alcune prestazioni sanitarie fornite attraverso piattaforme di telemedicina. La diffusione della telemedicina in ambito cardiologico non era capillare, anche se in progressiva crescita, prima della pandemia COVID-1963. Le prime esperienze hanno riguardato pazienti ipertesi e pazienti con insufficienza cardiaca cronica avanzata, questi ultimi per molti versi assimilabili ai pazienti oncologici64. Nei primi mesi del 2020, in seguito alla diffusione pandemica del COVID-19, si è assistito alla rapida implementazione e all’impiego sempre più frequente di piattaforme online, alcune già note, altre addirittura concepite “ad hoc”, come strumento per ridurre al minimo indispensabile gli accessi dei pazienti in ospedale e dunque per contenere i contagi65,66. Va detto però che in molti paesi il quadro normativo e la possibilità di rimborso delle attività di telemedicina sono ancora molto carenti. Inoltre, anche se sicuramente molto utile per pazienti residenti in aree rurali o decentrate rispetto a Centri terziari di riferimento, l’impossibilità di disporre della tecnologia alla base della telemedicina potrebbe accentuare le disparità di accesso alle cure mediche specialistiche che sono già appannaggio delle fasce più svantaggiate della popolazione, come i pazienti di bassa condizione socio-economica, gli anziani e gli immigrati67. Per quello che riguarda specificamente la telemedicina in ambito cardio-oncologico, una survey internazionale condotta fra marzo e aprile 2020, che ha coinvolto oltre 1400 cardiologi ed oncologi di 43 paesi in grande maggioranza da Europa, Nord America e America Latina, ha dimostrato una rapida crescita della telemedicina già nei primi mesi della pandemia soprattutto in ambito accademico e universitario68. Questo lavoro documenta come, nonostante un’elevata percentuale globale di cardiologi e oncologi avesse precocemente fatto ricorso alla telemedicina, con un rilevante incremento fra marzo (82%) e aprile 2020 (91.5%), sussistessero comunque differenze significative fra aree geografiche diverse, con Europa (81%) ed America Latina (64%), significativamente indietro rispetto agli Stati Uniti (88%, con p=0.021 per Europa vs Stati Uniti e p<0.001 per America Latina vs Stati Uniti). In questo lavoro appare interessante notare come i cardiologi più spesso degli oncologi (92% vs 63%, p=0.01) riportassero la necessità di cancellare o posporre visite o trattamenti elettivi, dato spiegato in parte dal fatto che ai cardiologi più spesso che agli oncologi (46 vs 25%, p<0.001) venisse richiesto di modificare il loro ambito di competenze, con una più frequente ricollocazione all’interno di reparti dedicati alla cura dei pazienti COVID-19.

5.2 La consulenza cardio-oncologica nei pazienti ricoverati

All’interno di ospedali generali non COVID-free è necessario prevedere e organizzare per i pazienti oncologici percorsi protetti. Nei pazienti ricoverati più ancora che in quelli ambulatoriali potrebbero trovare applicazione l’impiego più estensivo dei biomarker per ridurre le sessioni di imaging e l’utilizzo di hardware portatili (Point-of-Care Ultrasound, POCUS). In questa popolazione di pazienti un problema che potrebbe originare dall’impiego più largo dei biomarker è rappresentato dalla diagnosi differenziale fra manifestazioni di cardiotossicità e possibile interessamento cardiaco in corso di infezione da SARS-CoV-2, considerando comunque che le prime sono molto più frequenti del secondo. La valutazione cardiologica preoperatoria clinica e strumentale dei pazienti da avviare a chirurgia oncologica, alla quale soprattutto nei Cancer Centers si fa largamente ricorso spesso in maniera inappropriata, andrebbe limitata ai casi nei quali il risultato della consulenza è in grado di modificare le scelte chirurgiche e/o la condotta terapeutica successive69.

6. STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO PRETRATTAMENTO

Nel processo decisionale sugli interventi clinici nei pazienti oncologici, tre tipi di rischi dovrebbero essere considerati e bilanciati nel processo decisionale: a) il rischio di essere infettati dal SARS-CoV-2; b) il rischio di ritardare o interrompere le terapie antineoplastiche; c) il rischio di effetti collaterali cardiovascolari delle terapie antineoplastiche.

6.1 Rischio di essere infettati da SARS-CoV-2

I pazienti con cancro attivo e anche i sopravvissuti a lungo termine possono essere a più alto rischio di essere infettati da SARS-CoV-2, soprattutto i pazienti con cancro ai polmoni o al colon70. Diversi studi hanno riportato un outcome clinico peggiore71,72. In Italia, il 20% dei pazienti morti di COVID-19 durante la fase iniziale dell’epidemia aveva un cancro attivo73. In uno studio cinese, il cancro era tra i fattori di rischio per il danno cardiaco durante COVID-1974. Tuttavia, altri studi non hanno confermato il rischio di un esito più grave nei pazienti con cancro75,76. Diversi aspetti peculiari della popolazione di cancro sono coinvolti in questo rischio. Degno di nota, non solo i pazienti con cancro attivo, o trattati di recente, ma anche molti sopravvissuti a lungo termine potrebbero essere a maggior rischio sia di infezione da SARS-CoV-2 che di decorso più grave del COVID-19. La linfopenia, l’alterazione del rapporto neutrofili/linfociti, la trombocitopenia e la pancitopenia sono tutti fattori di rischio sia per l’infezione che per il cattivo esito individuati da studi retrospettivi e prospettici sul COVID-1971,77,78. Uno studio retrospettivo su 205 pazienti cinesi con cancro ha confermato che la linfocitopenia e la recente chemioterapia erano un fattore di rischio per una prognosi sfavorevole79. Va inoltre sottolineato che i pazienti oncologici possono presentare una fragilità polmonare legata agli esiti dei trattamenti antineoplastici. Un’ampia varietà di farmaci antitumorali, da quelli più vecchi (come la bleomicina, gli agenti alchilanti e gli antimetaboliti) a quelli di più recente introduzione in terapia (come diversi anticorpi monoclonali) possono indurre un danno polmonare acuto o cronico80,81. La radioterapia toracica (soprattutto se usata per il cancro ai polmoni o per le masse mediastiniche) causa anche un danno polmonare acuto e una fibrosi polmonare cronica. Anche i pazienti che hanno avuto una completa guarigione dal loro cancro possono avere gravi disfunzioni polmonari molti anni dopo, come abbiamo imparato dall’esperienza con i sopravvissuti al cancro a lungo termine dell’infanzia e dell’adolescenza82,83.

6.2 Rischio di ritardare o interrompere le terapie antineoplastiche

Per quanto riguarda i pazienti oncologici, è necessario stratificarli come ad alto o basso rischio di progressione della malattia senza terapia oncologica. Nei pazienti ad alto rischio la terapia sarà iniziata secondo i criteri standard, mentre nei pazienti a basso rischio il tipo di trattamento, la modalità di somministrazione e la tempistica possono essere rimodulati. Inoltre, in considerazione dei possibili effetti di danno cardiovascolare da COVID-19, il trattamento attivo con agenti cardiotossici dovrebbe essere evitato. Le Società di Oncologia e le autorità nazionali hanno emesso linee guida sulla cura del cancro durante la pandemia, con indicazioni specifiche per i diversi tumori; c’è un consenso generale sul fatto che le terapie urgenti e salvavita dovrebbero essere continuate84,85.

6.3 Rischio di effetti collaterali cardiovascolari delle terapie antineoplastiche

Il ruolo delle comorbilità, come l’ipertensione, la cardiopatia ischemica, il diabete e la disfunzione ventricolare sinistra nell’influenzare la prognosi da COVID-19 è emerso in tutti gli studi epidemiologici sull’infezione da SARS-CoV-2; queste comorbilità sono comuni nei pazienti oncologici, sia come fattori di rischio comuni per il cancro, sia come conseguenze dei trattamenti antineoplastici: l’ipertensione può essere indotta o peggiorata dalle terapie antiangiogenetiche, così come l’ischemia cardiaca; il diabete può essere un effetto collaterale della terapia steroidea, la cardiopatia ischemica può essere anche una conseguenza tardiva della radioterapia toracica, o correlata ai trattamenti con fluoropirimidine e platini86,87. Il primo passo è valutare il rischio di cardiotossicità in un dato paziente con una data terapia. Il rischio cardiovascolare può essere definito utilizzando semplici diagrammi di flusso, che permettono l’identificazione rapida e sicura dei pazienti a basso rischio. La valutazione cardiologica pre-trattamento può essere omessa nei pazienti a basso rischio di cardiotossicità88, ovvero quelli che non presentano: a) una storia di MCV, b) due o più fattori di rischio cardiovascolare; c) storia di cardiotossicità; d) storia di precedente terapia cardiotossica e/o radioterapia. Nel paziente ad alto rischio una strategia terapeutica su misura dovrebbe essere pianificata insieme dal cardiologo e dall’oncologo, così come un follow-up rigoroso e tempestivo.

Essenzialmente possiamo avere diversi scenari:

1) Pazienti ad alto rischio di (o in corso di) infezione e basso rischio oncologico, che possono rinviare il trattamento.

2) Pazienti ad alto rischio oncologico e un normale rischio infettivo (sovrapponibili alla popolazione generale, seguiti in ospedali “sicuri”, in zone dove il rischio di infezione è minore) possono fare terapie con i normali schemi di trattamento e follow-up.

3) Pazienti con una forte indicazione alla terapia del cancro, alto rischio infettivo e alto rischio di cardiotossicità. Questi dovrebbero possibilmente ricevere terapie con ridotto rischio di cardiotossicità (per esempio, antracicline liposomiali invece delle antracicline standard, regimi che escludono i farmaci più pericolosi per quel paziente) e che richiedono il minimo numero di accessi per il trattamento (terapie orali preferibili a quelle infusionali, tranne nel caso di quelli a rischio di ischemia acuta) e per il monitoraggio.

7. UTILIZZO DELLE TECNICHE ECOCARDIOGRAFICHE

L’ecografia point-of-care (POCUS) è utilizzata di routine per ottimizzare la gestione del paziente anche in questo lungo periodo pandemico con il vantaggio di ridurre il contatto medico-paziente89. La POCUS a letto del paziente è focalizzata a uno specifico quesito clinico in differenti scenari come in terapia intensiva (Focused Intensive Care Echo, FICE)90 in sala d’emergenza (Focused Echocardiography In Emergency Life Support, FEEL)91 o in ambiente cardiologico (Focused Cardiac Ultrasound, FOCUS)92.

Recentemente è stato proposto l’acronimo FECO (Focused Echo in Cardio-Oncology)93 come protocollo di utilizzo in pazienti cardio-oncologici che potrebbe essere impiegato in corso di pandemia. La FECO fornisce risposte a quesiti critici che si generano durante il percorso di trattamento antineoplastico mediante l’utilizzo di un ecografo standard con ECG gating secondo protocolli standardizzati; permette lo studio anche di altri organi quali ad esempio il polmone e necessiterebbe di un sistema di storage elettronico. L’esame è caratterizzato da un approccio orientato per problemi, che deve dare risposte univoche con risposta bimodale (sì/no), utilizzando proiezioni dedicate, semiquantitativo, ripetibile e “time saving”. Nel paziente sintomatico la FECO è guidata dai sintomi mentre nel paziente asintomatico l’esame è guidato dal rischio di specifica tossicità. L’approccio è mirato al cuore, al polmone e alla vena cava ma con una “visione” per problemi e non per organo94. Nella diagnosi differenziale tra dispnea di origine cardiaca o di origine respiratoria95 si esegue una scansione del torace alla ricerca delle linee B polmonari (“comete”) con la pressoché certezza che la loro assenza, con la presenza delle linee A, esclude una causa cardiaca96. In caso di ipotensione un’ecoscopia del ventricolo sinistro potrebbe mostrare un “kissing ventricle” con una vena cava collassata97 e assenza di comete polmonari. Nei pazienti asintomatici a rischio per disfunzione ventricolare la FECO viene proposta nel follow-up98, a seconda del rischio basale di cardiotossicità, del trattamento somministrato e dell’eventuale insorgenza di sintomi. In quelli a rischio di patologia valvolare è fondamentale solo descrivere la severità della patologia valvolare e l’interessamento del ventricolo sinistro e/o destro. Il coinvolgimento del pericardio, frequente in varie neoplasie e/o effetto collaterale di trattamenti99-102, è stato spesso descritto nei pazienti COVID-19. Nei pazienti con patologia neoplastica e infezione da SARS-CoV-2, la diagnosi eziologica differenziale può risultare più complessa. I controlli seriati con FECO devono essere mirati all’identificazione di versamento pericardico e alla sua quantificazione accurata così da permettere un corretto monitoraggio. La conferma di tamponamento, costrizione e restrizione richiede uno studio ecocardiografico completo standard. Come descritto, il virus indice uno stato pro-trombotico103,104 che si può sommare a quello indotto dal tumore stesso o dai trattamenti antineoplastici. Nel caso in cui la tossicità attesa sia l’ipertensione polmonare in un paziente COVID-19 si pone il problema di una diagnosi differenziale. Il protocollo FECO per questa popolazione prevede la misurazione delle dimensioni ventricolari e l’individuazione di segni di sovraccarico delle sezioni destre. Dovrebbe inoltre essere evidenziata la presenza di effusione pericardica come segno prognostico negativo. Le informazioni essenziali sono l’evidenza di ipertensione polmonare e di disfunzione del ventricolo destro.

Si può concludere che la FECO in cardio-oncologia può avere un ruolo centrale nella gestione dei pazienti, assicurando un accesso ampio ed economico durante e dopo il trattamento, in presenza di indicazioni specifiche. La FECO potrebbe rappresentare un filtro per selezionare quei pazienti a rischio da indirizzare ad una eventuale valutazione ecografica completa. La FECO può consentire un’efficace valutazione del paziente evitando accessi inutili in ospedale e, quindi, riducendo il rischio di contagio non solo per i pazienti ma anche per il personale sanitario.

8. MONITORAGGIO DELLA TOSSICITÀ CARDIACA

La valutazione basale ed il monitoraggio della funzione cardiaca nei pazienti che ricevono terapie oncologiche potenzialmente cardiotossiche riveste un ruolo fondamentale nella gestione del paziente in quanto in grado di evitare o ridurre possibili complicanze cardiovascolari con impatto sia sulla terapia anticancro in atto che sulla sopravvivenza globale105. La necessità di ridurre al minimo le occasioni di potenziale contagio da COVID-19 impone una profonda riorganizzazione delle attività di monitoraggio cardiaco in pazienti oncologici basata su una stratificazione del rischio del paziente di sviluppare tossicità cardiaca ed una conseguente rimodulazione delle attività cliniche52.

È doveroso ricordare come tutte le raccomandazioni che possono essere fatte per rimodulare l’attività cardio-oncologica durante la pandemia sono frutto di consenso di esperti e sono da considerare temporanee.

Come principio generale è possibile suggerire di riservare l’imaging ai pazienti con maggiori probabilità di avere esami patologici o comunque a maggior rischio di sviluppare cardiotossicità nel breve-medio termine, soprattutto se è possibile instaurare un’eventuale terapia cardioprotettiva o modificare il trattamento oncologico programmato.

La riorganizzazione dei percorsi clinici deve ovviamente avvenire di concerto con l’onco-ematologia e deve prevedere il contributo di tutte le figure professionali coinvolte nella gestione dei pazienti e il medico di medicina generale. Qualora sia ritenuto indicato dall’oncologo o ematologo, le visite cardio-oncologiche potrebbero essere programmate nella stessa seduta di terapia così da limitare gli accessi in ospedale. Al fine di ridurre il tempo di contatto stretto tra operatore e paziente può essere ragionevole focalizzare in generale l’esame alla valutazione dei target di tossicità attesa. Le altre metodiche di imaging (TC, risonanza magnetica e metodiche di medicina nucleare)106,107, pur consentendo una maggiore distanza tra operatore e paziente, non possono essere proposte come sostitute dell’esame ecocardiografico su larga scala in quanto non uniformemente diffuse sul territorio, non sempre facilmente accessibili e con tempi di esecuzione molto maggiori. Può essere altresì suggerito, al fine di limitare i tempi di esecuzione, di rinunciare all’acquisizione dello strain longitudinale globale108. Nei centri che utilizzano regolarmente il dosaggio dei biomarker cardiaci per il monitoraggio della tossicità cardiaca da antracicline e trastuzumab (intesa esclusivamente come disfunzione ventricolare) è possibile implementare tale approccio e rimandare gli esami di imaging in quei pazienti asintomatici con valori di biomarker persistentemente bassi (<99° percentile) in considerazione del loro alto valore predittivo negativo109.

Le raccomandazioni che seguono sono state strutturate per il monitoraggio dei pazienti in trattamento con antracicline e/o trastuzumab che rappresentano la netta maggioranza di pazienti che seguono un monitoraggio strutturato. Comunque, i principi generali (dilazionare gli esami nei pazienti asintomatici e stabili a minor rischio di sviluppare tossicità) possono essere applicati, a seguito di una valutazione caso per caso, per il monitoraggio di tutti i pazienti cardio-oncologici.

Per quanto invece concerne la terapia con fluoropirimidine non vi sono indicazioni codificate per il follow-up ma viene sottolineato di preferire, qualora necessario, tecniche di stress imaging farmacologico evitando lo stress fisico in modo da ridurre potenziali occasioni di contagio.

Alcune tossicità polmonari e cardiovascolari da ICI possono mimare un’infezione da COVID-19 per cui è necessario eseguire uno screening sistematico per escludere l’infezione in pazienti in cui sospettiamo una tossicità di questo tipo110.

8.1 Valutazione basale del paziente

8.1.1 Antracicline

È ragionevole proporre una valutazione con imaging basale, indipendentemente dalle dosi, ai pazienti con cardiopatia nota o sospetta, ai pazienti con segni o sintomi di disfunzione ventricolare e ai pazienti con due o più fattori di rischio per cardiotossicità (tra cui età ≥60 anni, ipertensione, diabete, dislipidemia, fumo o obesità). Per i pazienti asintomatici e a basso rischio è possibile proporre il rinvio degli esami di imaging a dopo la fine delle restrizioni associate a COVID-19. Nel caso di pazienti che presentino quale unico fattore di rischio le alte dosi di antracicline programmate (≥250 mg/m2) si può soprassedere alla valutazione basale e rinviare l’imaging al raggiungimento di queste dosi o al completamento del trattamento55,111.

8.1.2 Trastuzumab

La valutazione basale dovrebbe essere riservata ai casi con cardiopatia nota, segni o sintomi di disfunzione cardiaca, due o più fattori di rischio che comprendono età ≥60 anni, ipertensione, diabete, dislipidemia, fumo, obesità e pretrattamento con antracicline. È possibile inoltre rinviare la valutazione dell’imaging basale qualora sia disponibile un esame eseguito nei 6 mesi precedenti con frazione di eiezione (FE) ≥55% e assenza di valvulopatia significativa111.

8.2 Monitoraggio in corso di terapia

8.2.1 Antracicline

Anche in considerazione della recente osservazione che, seppure la cardiossicità cumulativa sia frequente (37.5%), in realtà per la maggior parte dei casi si osservano forme lievi e moderate che non influenzano la mortalità, è possibile soprassedere ai controlli di routine durante il trattamento con antracicline riservandoli a situazioni che possano condizionare significativamente i comportamenti clinici con adozione di strategie cardioprotettive: comparsa di segni o sintomi di insufficienza cardiaca, necessità di implementare dosi di antracicline oltre i 400 mg/m2 o presenza di cardiopatia o fattori di rischio multipli e necessità di assumere dosi oltre 250 mg/m2. Nel caso vengano utilizzati biomarcatori per il riconoscimento precoce della cardiotossicità subclinica, si suggerisce di far coincidere il prelievo per i biomarcatori con il prelievo di routine eseguito per la terapia oncologica. Nel caso di rialzo significativo dei biomarker, il paziente verrà indirizzato a valutazione cardiologica111.

8.2.2 Trastuzumab

Nelle donne senza fattori di rischio cardiovascolare e non sottoposte a pretrattamento con antracicline può essere proposto di eseguire l’imaging a 6 e 12 mesi in caso di trattamento adiuvante. Nelle pazienti con precedente esposizione ad antracicline, fattori di rischio per MCV (età ≥60 anni, ipertensione, diabete, dislipidemia, fumo, obesità) con precedenti normali valori di FE considerare l’imaging a 3, 6 e 12 mesi durante il trattamento. Si conferma indicazione ai controlli trimestrali standard dettati dalle linee guida ESMO per le pazienti con MCV nota, segni o sintomi di scompenso, precedente riscontro di valori di FE al limite inferiore della norma o ridotti. Nel contesto metastatico, nel primo anno ripetere l’imaging ogni 6 mesi, dopo il primo anno differire qualunque tecnica di imaging se la paziente è asintomatica e presenta normali valori dei precedenti controlli. Le pazienti che presentino valori di FE ai limiti inferiori (50-55%), una FE ridotta su un esame precedente o qualsiasi segno o sintomo di insufficienza cardiaca dovrebbero continuare ad eseguire l’imaging come nella normale pratica clinica. Nel caso vengano utilizzati biomarker per il riconoscimento precoce della cardiotossicità subclinica, si suggerisce di far coincidere il prelievo per i biomarcatori con il prelievo di routine eseguito per la terapia oncologica. Nel caso di rialzo significativo del biomarker, il paziente verrà indirizzato a valutazione cardiologica111.

8.3 Follow-up

Per quanto riguarda la gestione del follow-up cardiologico dei pazienti sopravvissuti a neoplasie in età pediatrica, nell’adolescenza o in età adulta, appare ragionevole rinviare lo screening dei sopravvissuti asintomatici al termine della pandemia. Ovviamente tali pazienti accederanno immediatamente alla valutazione cardiologica in caso di comparsa di sintomi e/o segni suggestivi di tossicità cardiaca (Tabella 1).




8.4 Telemedicina, empowerment del paziente e del caregiver

La necessità di ridurre gli accessi in ospedale e, più in generale, di ridurre la mobilità personale, ha portato molti pazienti a trascorrere più tempo in casa spesso con i familiari. La diffusione, anche legata alla pandemia, di dispositivi tecnologici sanitari, la maggiore attenzione ad aspetti medici da parte dei pazienti e dei caregiver e la maggiore disponibilità di tempo permettono di implementare strategie domiciliari per il monitoraggio della tossicità cardiaca in corso di terapie oncologiche.

La consegna di un diario al paziente su cui annotare i principali parametri, l’eventuale comparsa di sintomi associata ad un consulto telefonico a cadenza programmata può rappresentare un primo filtro iniziale per decidere se rimandare o eseguire una valutazione cardiologica. Nei casi con maggiore attitudine alle nuove tecnologie e disponibilità di piattaforme internet per la comunicazione, il consulto telefonico può essere sostituito o integrato da un videoconsulto. Appare ovviamente fondamentale la figura di un infermiere dedicato e formato che possa gestire tale processo.

9. MODULAZIONE DELLE STRATEGIE TERAPEUTICHE NEI PAZIENTI CON CANCRO E COVID-19

9.1 Scompenso cardiaco

I pazienti con scompenso cardiaco hanno un aumentato rischio di ARDS e di morte quando sono infettati dai comuni virus influenzali, a causa dell’aumento della viscosità durante le malattie febbrili, dello stato protrombotico, degli effetti proinfiammatori, della disfunzione delle cellule endoteliali o di una sovra-infezione batterica112. Gli stessi meccanismi sono comuni nei pazienti COVID-19, con l’ulteriore frequente manifestazione di polmonite interstiziale e tromboembolia polmonare27,113.

• Diuretici. Le dosi devono essere regolate considerando sia il rischio di congestione polmonare e di peggioramento della FE che il rischio di ipovolemia, disidratazione (da perdite dovute a febbre, sudorazione, anoressia, aumento della frequenza respiratoria, spostamento dallo spazio intravascolare a quello extravascolare) e/o ipotensione correlata al COVID-19114.

• ACEI o ARB o inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina. L’ipotensione arteriosa dovuta all’infezione da COVID-19 o al trattamento antivirale può richiedere una riduzione della dose o la sospensione del farmaco.

• I betabloccanti possono essere iniziati o aumentati di dosaggio se i pazienti hanno tachicardia o una fibrillazione atriale (FA) rapida. Cautela deve essere usata in caso di ipotensione, gravi insufficienze respiratorie ed in pazienti trattati con agenti antivirali che possono diminuire la frequenza cardiaca.

• L’ivabradina è una valida alternativa per il controllo della frequenza cardiaca da sola o in associazione ai betabloccanti nei pazienti in ritmo sinusale.

• Gli anticoagulanti sono indicati in tutti i pazienti ospedalizzati con COVID-19, a causa dell’aumentato rischio di complicanze tromboemboliche soprattutto con elevati livelli di D-dimero o segni di coagulopatia indotta da sepsi115. Questo suggerimento può essere esteso ai pazienti con scompenso cardiaco ed è ancora più evidente nei pazienti con cancro attivo, che sono già ad alto rischio trombotico. Dosi profilattiche di eparina a basso peso molecolare (EBPM) sono consigliate a tutti i pazienti oncologici con scompenso cardiaco e COVID-19.

9.2 Infarto miocardico

L’angioplastica primaria è la terapia standard dello STEMI. Mentre per i pazienti senza malattia oncologica viene proposta la terapia fibrinolitica quando non è attuabile una coronarografia, i malati di cancro hanno tipicamente controindicazioni assolute o relative a questa terapia con un rischio elevato di sanguinamento. Nonostante una percentuale significativa di questi pazienti non necessiti di rivascolarizzazione miocardica avendo un’alta prevalenza di malattia coronarica non ostruttiva116, valutando rischi e benefici in questo particolare contesto, una strategia invasiva iniziale può essere appropriata.

La Society for Cardiovascular Angiography and Interventions (SCAI) e l’American College of Cardiology continuano a raccomandare l’angioplastica primaria come trattamento standard dei pazienti STEMI durante la pandemia117. La maggioranza dei pazienti con cancro e COVID-19 ha un infarto miocardico di tipo II a causa di uno stress acuto, ipossiemia o un’infiammazione eccessiva secondaria al rilascio di citochine118. In questi casi è ragionevole considerare una gestione conservativa diretta al trattamento della condizione acuta sottostante119. Anche nei pazienti con COVID-19 e diagnosi di infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST o angina instabile dovrebbe essere considerata una strategia conservativa. Una doppia terapia antiaggregante è solitamente suggerita nei pazienti oncologici; l’aspirina si è dimostrata sicura anche in presenza di trombocitopenia120,121. Tuttavia, deve essere presa in considerazione l’interazione tra il trattamento antivirale e gli agenti antipiastrinici. Prasugrel sembra non essere influenzato, mentre gli effetti del clopidogrel possono essere ridotti e gli effetti del ticagrelor possono essere potenziati122,123. Sebbene non siano disponibili dati clinici significativi, sulla base dei suoi potenziali benefici e dei dati di sicurezza, si consiglia di continuare a somministrare le statine in tutti i pazienti.

Per quanto riguarda i betabloccanti, devono essere presi in considerazione gli stessi pro e contro già menzionati sopra.

9.3 Sindrome Takotsubo

La sindrome Takotsubo (TTS) è frequente nei pazienti oncologici: in un ampio database multicentrico, il 16.6% di 160 pazienti era affetto da cancro124. Poiché lo stress emotivo è una delle principali cause di TTS, non è sorprendente che durante la pandemia COVID-19 l’incidenza di TTS sia aumentata dall’1.5-1.8% al 7.8%125. I pazienti emodinamicamente stabili possono essere trattati secondo le linee guida126. La terapia con betabloccanti può proteggere da fattori scatenanti stressanti e successivi picchi di catecolamine, associata ad un ACEI o un ARB, aggiungendo diuretici quando vi è un sovraccarico di volume.

9.4 Miocardite

La miocardite è stata descritta nei pazienti con COVID-19, anche se la sua vera incidenza è sconosciuta, perché la presentazione clinica, le alterazioni dell’ECG e il rialzo dei biomarcatori possono essere simili a quelli osservati nei casi di SCA, STEMI, scompenso cardiaco o shock cardiogeno127. Il razionale della terapia dipende dalla natura della miocardite: citopatica (dalla replicazione del virus) o immuno-mediata. La presenza del virus SARS-CoV-2 nel miocardio è stata riportata raramente128 e l’insorgenza ritardata dei segni/sintomi della miocardite è coerente con altri meccanismi patogenetici: endotelite, miocardite autoimmune legata alle citochine o reazione autoimmune secondaria al danno miocardico129,130. I dati attuali sull’uso dei glucocorticoidi rimangono controversi, non essendo stati condotti studi che ne confermino l’efficacia nella miocardite da COVID-19. Se da un lato è stato segnalato che la terapia con corticosteroidi potrebbe ritardare la clearance del virus, al contrario, in uno studio di Wuhan che ha coinvolto 84 pazienti con ARDS secondaria a COVID-19, la somministrazione di corticosteroidi ha ridotto la mortalità131. Le immunoglobuline si sono dimostrate utili in alcune forme di miocardite132. Ad oggi non esiste ancora un trattamento basato sull’evidenza per la miocardite da COVID-19; in letteratura i pazienti sono stati trattati con una varietà di approcci accanto al supporto e alla terapia dell’insufficienza cardiaca, con una mortalità del 27%133-136. Nel contesto di pazienti affetti da cancro, è della massima importanza fare una diagnosi differenziale tra la miocardite secondaria all’infezione da SARS-CoV-2 o alle terapie antineoplastiche (soprattutto agli ICI), l’ultima delle quali risponde alla terapia steroidea ad alte dosi137.

9.5 Valvulopatie

Durante e dopo la pandemia COVID-19, le risorse limitate nelle strutture di terapia intensiva o nei letti ospedalieri possono mettere in difficoltà la programmazione di interventi chirurgici di correzione valvolare. In questo contesto, dovrebbero essere promosse procedure meno invasive con un rischio basso/ragionevole di complicanze e un utilizzo minimo delle risorse, nonché un rischio limitato di esposizione per gli operatori sanitari. L’impianto transcatetere di valvola aortica138,139, volto a migliorare le condizioni del paziente, è segnalato come sicuro ed efficace anche nei pazienti oncologici, il cui intervento di chirurgia tradizionale è considerato ad alto rischio140. Tuttavia quando le condizioni cliniche del paziente lo permettano, la sostituzione valvolare percutanea dovrebbe essere posticipata con una priorità di riprogrammazione. Pazienti selezionati, affetti da rigurgito mitralico o rigurgito tricuspidale potrebbero ricevere un trattamento transcatetere piuttosto che un intervento cardiochirurgico tradizionale. Tuttavia, questi pazienti devono essere valutati con attenzione tenendo conto anche dei maggiori rischi per il team medico associati all’aerosol durante l’ecocardiografia transesofagea141. Se possibile in presenza di insufficienza mitralica di grado severo andrebbe ottimizzata la terapia in modo da rimandare l’impianto di MitraClip ad infezione COVID-19 risolta.

9.6 Trattamenti COVID-19

9.6.1 Steroidi

Gli steroidi sono impiegati nella polmonite grave da COVID-19 (nello studio RECOVERY l’incidenza di morte era più bassa nel gruppo trattato con desametasone rispetto a quello trattato secondo trattamento usuale nei pazienti che ricevevano ventilazione meccanica invasiva (29.3% vs 41.4%; rischio relativo [RR] 0.64, IC 95% 0.51-0.81) ed in quelli che ricevevano ossigeno senza ventilazione meccanica invasiva (23.3% vs 26.2%; RR 0.82, IC 95% 0.72-0.94), anche se non avevano effetti sul tasso di mortalità dei pazienti con una forma lieve della condizione142-144. Gli effetti collaterali comuni dei corticosteroidi usati per la polmonite includono diabete e ipertensione, ma non un aumento degli eventi avversi cardiaci e delle superinfezioni145.

9.6.2 Farmaci sperimentali

Una grande varietà di agenti antivirali e farmaci antinfiammatori sono stati testati per il trattamento del COVID-19; molti di essi possono avere effetti collaterali avversi cardiaci (come il prolungamento dell’intervallo QT e aritmie potenzialmente gravi) o interazioni metaboliche con alcuni farmaci cardiovascolari. Tra questi trattamenti, le interazioni farmacologiche che coinvolgono l’inibitore della proteasi dell’HIV lopinavir/ritonavir sono state le più frequenti, seguite da clorochina, idrossiclorochina e ruxolitinib, mentre anakinra, baricitinib, favipiravir, interferone-β, nitazoxanide, ribavirina, remdesivir, sarilumab e tocilizumab hanno mostrato una bassa propensione alle interazioni farmacologiche146,147. A causa della continua evoluzione dei trattamenti approvati per uso clinico, l’uso di un sito web costantemente aggiornato come https://www.covid19-druginteractions.org dovrebbe essere consultato prima di prescrivere qualsiasi nuovo farmaco.

10. GESTIONE DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE NEI PAZIENTI ONCOLOGICI IN ERA COVID-19

Una delle complicanze aritmiche da COVID-19 è la FA, il cui trattamento come è noto risulta particolarmente complesso nel paziente oncologico.

È ovvio che il meccanismo dell’infiammazione, già importante nel paziente oncologico, diventi ancor più pregnante nell’infezione da COVID-19. La fisiopatologia è legata ad un’abnorme risposta immunitaria con una sindrome da “storm” citochinico. C’è infatti un aumento dei marker di infiammazione come il TNF-α e le interleuchine IL-1β, IL-1RA, IL-7, IL-8, IL-9, IL-10, il fattore di crescita dei fibroblasti di base (FGF), il fattore stimolante le colonie di granulociti (GCSF), il fattore stimolante la colonia di granulociti-monociti (GMCSF), l’interferone-γ, l’interferon gamma-induced protein (IP10), la monocyte chemoattractant protein 1 (MCP1), le proteine infiammatorie dei macrofagi (MIP) 1A e 1B, il fattore di crescita di derivazione piastrinica (PDGF) e il fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF)148. Alcune citochine possono avere effetti sui cardiomiociti e questo può causare anche FA. La maggior parte di queste citochine sono regolate da un complesso multiproteico, chiamato NLRP3 inflammasoma. L’iperattivazione di tale complesso, indotto dal virus SARS-CoV-2, induce uno stato infiammatorio elevato nei cardiomiociti e nelle cellule endoteliali risultante nell’ipersecrezione di fattori di crescita e chemochine ad azione pro-fibrotica e pro-apoptotica. Di fatto, gli inibitori selettivi dell’NLRP3 sono attualmente in uso clinico per il miglioramento del distress respiratorio e per la prevenzione della FA e della miocardite in pazienti COVID-19. Vi sono evidenze in letteratura che l’idrossiclorochina può ridurre l’attività dell’NLRP3 nelle cellule infiammatorie. Anche il tocilizumab, un inibitore dell’IL-6, è stato utilizzato nei trial sul COVID-19.

10.1 Trattamento della fibrillazione atriale

Le linee guida della European Heart Rhythm Association hanno definitivamente abilitato l’utilizzo degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) nella FA149. Le sottoanalisi degli studi ARISTO­TLE150, ENGAGE AF-TIMI 48151 e ROCKET AF152 hanno confermato la possibilità di utilizzare apixaban, edoxaban e rivaroxaban nei pazienti oncologici. Più recentemente nella metanalisi di Cavallari et al.153 è stato dimostrato che, nei pazienti con FA e cancro, i DOAC sono tanto efficaci quanto gli antagonisti della vitamina K (AVK) nella prevenzione degli eventi trombotici e riducono il sanguinamento intracranico, rappresentando una valida e più pratica alternativa agli AVK in quella popolazione di pazienti ad alto rischio.

Anche la metanalisi di Deng et al.154 giunge alla conclusione che nei pazienti con FA e cancro i DOAC avevano valori simili di eventi trombotici e di sanguinamento, con una riduzione significativa di TEV ed emorragia celebrale intracranica.

Pertanto i DOAC sono sempre più largamente utilizzati in oncologia. Le indicazioni delle linee guida dello Scientific and the Standardization Committee dell’International Society on Thrombosis and Haemostasis sono le seguenti155:

• Nei pazienti con cancro in chemioterapia con una nuova FA, ad eccezione dei pazienti con cancro gastrointestinale luminale non operati o pazienti con anormalità attive della mucosa gastrointestinale come ulcere duodenali, gastriti, esofagiti o coliti, si suggerisce l’uso dei DOAC rispetto agli AVK o EBPM come terapia anticoagulante se non ci sono rilevanti interazioni cliniche farmacologiche.

• Nei pazienti con cancro e FA non valvolare che sono già in un regime di anticoagulazione prima di iniziare la chemioterapia, si raccomanda di continuare la stessa tipologia di anticoagulante se non ci sono interazioni farmacologiche cliniche rilevanti.

È ovvio comunque che in caso di infezione da COVID-19 bisogna tener conto degli aspetti legati allo stato di ipercoagulabilità. Infatti, i pazienti affetti da COVID-19 hanno una condizione di ipercoagulabilità maggiore rispetto alla popolazione generale: più del 25% dei pazienti COVID-19 sono affetti da TEV, correlato all’iperpolimerizzazione della fibrina. Tutto questo si aggiunge alla predisposizione all’aumento di trombosi venosa che è una prerogativa dei pazienti oncologici in quanto il TEV è la seconda causa di morte dopo il cancro stesso.

Nella gestione della FA è necessario valutare e gestire le interazioni farmacologiche e, trattandosi di pazienti affetti contemporaneamente da MCV, cancro e COVID-19, eventualmente in terapia oncologica, si rende necessaria una doppia valutazione riguardante le interazioni tra DOAC e farmaci antitumorali e tra DOAC e farmaci per il trattamento del COVID-19.

Tutti i DOAC sono substrati della P-glicoproteina, mentre per il citocromo P450 lo sono solo rivaroxaban e apixaban, minimamente edoxaban. L’interazione è legata al fatto che i farmaci oncologici (chemioterapici classici, biologici e ormonali) come anche i farmaci usati nel COVID-19, possono essere o induttori o inibitori di queste vie metaboliche. Anche se alcuni DOAC hanno minimi effetti sull’espressione dell’attività degli enzimi del citocromo P450, di fatto non vi è nessun impatto importante sulla farmacocinetica dei farmaci oncologici. Pertanto i DOAC non hanno effetti sul livello plasmatico dei farmaci oncologici e quindi sulla loro efficacia e/o tossicità. È ovviamente possibile una tossicità emorragica in relazione alla sede del tumore, caratteristiche del paziente e co-somministrazione di farmaci oncologici con una tossicità gastrointestinale intrinseca. Al contrario, i farmaci oncologici a seconda che siano inibitori o induttori delle vie metaboliche del citocromo o della P-glicoproteina, possono determinare un aumento o una riduzione dei livelli plasmatici dei DOAC, con evidenti conseguenze sulla sicurezza e sull’efficacia.

La Tabella 2 mostra le prevedibili interazioni farmacocinetiche tra i principali agenti antitumorali e i DOAC156.













10.2 Anticoagulanti orali diretti e farmaci per il COVID-19

La clorochina e l’idrossiclorochina possono aumentare i livelli plasmatici di dabigatran ed edoxaban i cui dosaggi dovrebbero essere ridotti, mentre non ci sono effetti su rivaroxaban ed apixaban. Il remdesivir, farmaco antivirale molto utilizzato, non ha effetti sul livello plasmatico di nessun DOAC. Gli antivirali lopinavir/ritonavir, atazanavir, inibitori del CYP3A4, possono aumentare moderatamente il livello plasmatico di dabigatran ed edoxaban, mentre aumentano notevolmente quello di apixaban e rivaroxaban156,157. Il tocilizumab e altri inibitori delle interleuchine, come il sarilumab, possono aumentare i livelli plasmatici di rivaroxaban ed apixaban. Il meccanismo alla base della possibilità dell’aumento plasmatico di questi due DOAC è legato al fatto che elevati livelli di IL-6 sopprimono le attività delle vie metaboliche del citocromo P450 e della P-glicoproteina158,159. Il trattamento con tocilizumab o sarilizumab consente il ripristino delle attività enzimatiche alle condizioni precedenti l’infezione da COVID-19160,161. Pertanto va usata cautela nei pazienti COVID-19 in trattamento con antagonisti del recettore IL-6 quando vengono utilizzati i DOAC metabolizzati dal citocromo P450 come apixaban e rivaroxaban. È pertanto consigliabile lo switch a EBPM a dose anticoagulante quando si somministrano farmaci che possono influenzare i livelli plasmatici dei DOAC. Inoltre è molto importante la gestione dei macrolidi, il più usato dei quali è l’azitromicina. I macrolidi sono lievi inibitori della P-glicoproteina, durante il trattamento con DOAC può verificarsi una sovresposizione ai DOAC per cui è necessario un monitoraggio156. In considerazione di questi rischi, in alcuni casi, si consiglia anche in ottemperanza alle linee guida, lo switch al trattamento con EBPM a dosaggio anticoagulante per il tempo strettamente necessario all’utilizzo dei macrolidi.

In conclusione, la popolazione dei pazienti con FA e infezione da COVID-19 è da ritenersi una popolazione ad alto rischio in cui bisogna individuare un trattamento antitrombotico ponendo una particolare attenzione alle interazioni dei DOAC con i farmaci antivirali e oncologici.

11. PROFILASSI E TRATTAMENTO DELLE COMPLICANZE TROMBOEMBOLICHE IN CORSO DI INFEZIONE DA SARS-CoV-2

Il cancro e alcune terapie antineoplastiche sono noti fattori di rischio per TEV162 e il COVID-19 sembra rappresentare un ulteriore fattore di rischio.

I dati della letteratura riportano un aumentato tasso di TEV nei pazienti ricoverati con COVID-19163. In uno studio osservazionale che ha valutato pazienti con COVID-19 e con neoplasia, gestiti sia ambulatoriamente che in regime di ricovero, il tasso di eventi tromboembolici è risultato pari a 3.5%. In questa popolazione di pazienti, il TEV risultava essere più comune tra coloro che erano in trattamento antineoplastico rispetto a quanti non erano trattati con chemioterapici (5.2% vs 2.2%) ed anche nei pazienti con progressione di malattia rispetto a quelli in remissione (7.1% vs 2.0%)164. Sebbene i meccanismi fisiopatologici alla base delle complicanze trombotiche nei pazienti con COVID-19 non siano definiti in maniera precisa, una severa risposta antinfiammatoria sistemica e l’attivazione delle cellule endoteliali secondaria alla loro infezione sembrano essere le principali cause dello stato protrombotico165. In questi pazienti, è stata riportata una coagulopatia caratterizzata da un incremento dei livelli di D-dimero e fibrinogeno, una moderata riduzione della conta piastrinica ed un allungamento del tempo di protrombina166. Tutte queste anomalie della coagulazione sono associate ad un aumentato rischio di eventi avversi, quali la necessità di ventilazione meccanica, di ricovero in terapia intensiva e di morte. È da sottolineare, inoltre, che all’interno delle piastrine dei pazienti affetti da COVID-19 è stata documentata la presenza del genoma del SARS-CoV-2167. È stato, dunque, ipotizzato che il meccanismo fisiopatologico alla base del TEV nei pazienti con COVID-19 coinvolgesse anche l’iperreattività delle piastrine, e fosse molto più piastrino-dipendente del TEV che si sviluppa in assenza di COVID-19168. In uno studio cinese che ha valutato il rischio di TEV con l’impiego dello score predittivo Padua, è stato riportato che il 40% dei pazienti ricoverati con COVID-19 era ad alto rischio di TEV169. In una metanalisi che ha incluso 18 093 pazienti ricoverati con COVID-19, l’incidenza complessiva aggregata di TEV era pari al 17%170. Nella pratica clinica, in tutti i pazienti ricoverati con COVID-19 il rischio di TEV dovrebbe essere valutato con il ricorso a strumenti di stima del rischio come il modello Caprini o lo score Padua171. Poiché i pazienti con COVID-19 possono rapidamente sviluppare complicanze, quali insufficienza renale, respiratoria o epatica, che a loro volta possono avere un impatto sia sul rischio trombotico che sul rischio emorragico, nei pazienti ricoverati la terapia antitrombotica dovrebbe essere iniziata precocemente ma anche con grande cautela.

Il COVID-19 amplifica il rischio di TEV del cancro e della terapie antineoplastiche. È stato osservato in uno studio retrospettivo che per primo ha confrontato pazienti ospedalizzati per COVID-19 senza cancro (n = 353) vs pazienti con cancro attivo (n = 45) un alto tasso di trombosi tra i pazienti ospedalizzati con COVID-19 con un’incidenza cumulativa del 18% a 28 giorni tra quelli senza cancro e del 14% tra quelli con cancro. Considerando che l’incidenza delle trombosi legata all’ospedalizzazione nei pazienti con cancro varia dal 2% al 22% lo studio ha sorprendentemente rilevato dati analoghi di TEV tra i pazienti COVID-19 con cancro e senza cancro. Questo potrebbe indicare che il marcato stato infiammatorio-trombotico del COVID-19 mette in ombra lo stato di ipercoagulabilità del cancro172.

11.1 Gestione del tromboembolismo venoso nei pazienti ospedalizzati

11.1.1 Profilassi del tromboembolismo venoso nei pazienti ricoverati con COVID-19 e neoplasie

In tutti i pazienti ricoverati con COVID-19 vanno implementate le strategie per la profilassi per il TEV. In primo luogo, andrebbe valutato sia il rischio di sanguinamento che quello trombotico testando l’assetto emocoagulativo, e quindi l’emocromo completo, il tempo di protrombina e di tromboplastina parziale attivata (aPTT), i livelli di fibrinogeno e di D-dimero. Inoltre, per un corretto inquadramento del rischio complessivo è necessario considerare anche l’eventuale presenza di comorbilità quali l’insufficienza renale o epatica.

In assenza di studi clinici randomizzati condotti nella popolazione di pazienti con COVID-19 la gestione farmacologica del TEV dovrà tener conto delle raccomandazioni recentemente pubblicate dal Global COVID-19 Thrombosis Collaborative Group166 e delle linee guida sul TEV in oncologia173,174. Il trattamento di prima scelta dovrebbe prevedere l’uso dell’EBPM (come l’enoxaparina 40 mg/die sottocute). Una possibile alternativa è il fondaparinux 2.5 mg/die sottocute. È ragionevole proporre che i pazienti con cancro attivo e forma severa di COVID-19, a causa del rischio trombotico molto elevato, ricevano dosi intermedie di EBPM e che il monitoraggio dei livelli di anti-Xa potrebbe ottimizzare l’anticoa­gulazione. Se la profilassi farmacologica è controindicata, la profilassi meccanica del TEV (compressione pneumatica intermittente) dovrebbe essere presa in considerazione nei pazienti immobilizzati175. Attualmente, in attesa dei risultati degli studi clinici randomizzati che sono in corso per valutare la profilassi più efficace nei pazienti con COVID-19 ed in considerazione dell’assenza di chiari benefici di dosaggi terapeutici o intermedi degli anticoagulanti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’uso di dosaggi standard per la profilassi del TEV in tutti i pazienti ricoverati con COVID-19176. La mono-somministrazione giornaliera di EBPM o fondaparinux è da preferire rispetto all’eparina non frazionata (ENF) in considerazione della minore esposizione del personale sanitario al rischio di infezione e all’effetto anticoagulante più stabile nel tempo. È necessario considerare che in particolari contesti clinici, come in caso di obesità o insufficienza renale, può essere necessario un adeguamento della dose o differenti strategie di intervento177,178.

11.1.2 Profilassi post-dimissione nei pazienti oncologici con COVID-19

Il ruolo della profilassi estesa dopo la dimissione dall’ospedale non è stato studiato nei pazienti con COVID-19. Tuttavia, nei pazienti con cancro attivo, la tromboprofilassi estesa con EBPM (fino a 6 settimane) sembra ragionevole dopo l’ospedalizzazione per COVID-19, soprattutto nei casi di mobilità ridotta e basso rischio di sanguinamento173.

11.1.3 Profilassi del tromboembolismo venoso nei pazienti oncologici con COVID-19 non ospedalizzati

I pazienti asintomatici o quelli con sintomi lievi sono spesso gestiti a domicilio. Il ruolo della tromboprofilassi in questo tipo di pazienti è incerto. Tuttavia, nei pazienti con cancro attivo e mobilità limitata che sono in quarantena, l’uso della profilassi farmacologica dovrebbe essere valutata rispetto ai rischi di sanguinamento173.

11.1.4 Terapia del tromboembolismo venoso nei pazienti ricoverati con COVID-19 e neoplasie

Nei pazienti ospedalizzati, l’anticoagulazione con eparina (EBPM o ENF) è preferita in quanto può essere temporaneamente sospesa e non ha interazioni farmacologiche note con le terapie sperimentali COVID-19. Va inoltre tenuto conto che i pazienti con COVID-19 possono rapidamente sviluppare complicanze quali insufficienza renale, respiratoria o epatica, che a loro volta possono avere un impatto sia sul rischio trombotico che sul rischio emorragico per cui nei pazienti ricoverati la terapia antitrombotica dovrebbe essere iniziata precocemente ma anche con grande cautela.

In pazienti ricoverati con COVID-19 e già in trattamento anticoagulante orale andrebbe considerato il passaggio ad una terapia anticoagulante parenterale175. In effetti, confrontati con gli anticoagulanti parenterali, gli anticoagulanti orali hanno un maggior rischio di interazioni farmacologiche con terapie in via di sperimentazione per il trattamento del COVID-19. Sono state già descritte le interferenze tra DOAC e farmaci utilizzati per il COVID-19. Ulteriori informazioni sulle potenziali interazioni farmacologiche degli anticoagulanti orali con i farmaci anti-COVID-19 sono disponibili sul sito https://www.covid19- druginteractions.org.

Un altro aspetto vantaggioso dell’anticoagulazione per via parenterale è la più breve durata dell’effetto anticoagulante, che può essere cruciale in caso di necessità di procedure invasive urgenti. È necessario considerare che i pazienti trattati con eparina sodica non frazionata richiedono un monitoraggio dell’effetto terapeutico attraverso prelievi ematici da eseguire più volte al giorno per il controllo dell’aPTT, esponendo dunque il personale sanitario ad un maggior rischio di contagio. Inoltre, i pazienti con malattie onco-ematologiche potrebbero presentare una trombocitopenia severa che può richiedere la trasfusione di piastrine (ad esempio se la conta piastrinica è <30 000/µl) prima di iniziare un trattamento anticoagulante179.

In caso di elevato sospetto clinico di embolia polmonare la diagnostica per immagini dovrebbe essere usata tempestivamente. Nei pazienti ricoverati in terapia intensiva, la difficoltà a mobilizzare pazienti ventilati meccanicamente e trasportarli in radiologia per l’esecuzione di una TC e la necessità di limitare l’esposizione degli operatori sanitari al COVID-19 può limitare il ricorso alla TC. Anche l’esecuzione dell’eco-Doppler degli arti inferiori può essere ostacolata da un eventuale decubito obbligato del paziente. Allorquando non sia possibile eseguire un’angio-TC polmonare, la comparsa di un’improvvisa insufficienza respiratoria, o l’evidenza di disfunzione ventricolare destra acuta e non spiegabile, può far avanzare il sospetto di embolia polmonare acuta. In considerazione della frequente presenza di aumentati livelli di D-dimero nei pazienti con forme più gravi di COVID-19 e dell’assenza di valori soglia prestabiliti per identificare un TEV ad alto rischio, in questi pazienti valori elevati di D-dimero non sono sufficienti per sollevare il sospetto di TEV. Inoltre, nei pazienti neoplastici è necessario considerare che aumentati livelli di D-dimero possono anche essere correlati alla stessa neoplasia180.

In pazienti con COVID-19 con un alto sospetto di embolia polmonare che non può essere confermato con la diagnostica per immagini ed in assenza di specifiche controindicazioni181, viene suggerito l’inizio di un trattamento con anticoagulanti parenterali a dosaggio terapeutico in considerazione dell’elevato rischio di rapido deterioramento clinico182. Nei pazienti con TEV e prolungati tempi di coagulazione (in particolar modo un prolungato aPTT), o con recidiva tromboembolica nonostante un’appropriata terapia anticoagulante, viene suggerita la ricerca degli anticorpi del lupus anticoagulant. Alla dimissione la terapia anticoagulante parenterale può essere convertita in anticoagulazione per via orale.

I DOAC dovrebbero essere preferiti rispetto agli AVK, che richiedono un monitoraggio periodico dell’anticoagulazione, con l’obiettivo di ridurre l’accesso dei pazienti ai servizi sanitari. La terapia anticoagulante dovrebbe essere proseguita per almeno 3 mesi181-183.

In conclusione, la profilassi e la terapia del TEV nei pazienti neoplastici con COVID-19 sono alquanto complesse. In considerazione delle poche evidenze disponibili in questa particolare popolazione di pazienti, la gestione è basata sulle raccomandazioni attualmente disponibili per i pazienti con malattie acute. Peraltro, il rischio particolarmente elevato sia di trombosi che di sanguinamento richiede un approccio personalizzato in ciascun singolo caso. Per identificare la strategia antitrombotica più appropriata in questo particolare contesto clinico saranno certamente utili i risultati di studi clinici prospettici.

12. GESTIONE DELLE COMPLICANZE ARITMICHE E DEI DISPOSITIVI NEL PAZIENTE ONCOLOGICO AFFETTO DA COVID-19

La gestione delle complicanze aritmiche nei pazienti oncologici assume particolare rilevanza nella pratica clinica poiché l’aumentato rischio di aritmie ascrivibile alle manifestazioni cardiotossiche delle terapie antineoplastiche si somma al rischio aritmico proprio dell’infezione da coronavirus. Con l’aumento dell’età media della popolazione generale il numero di pazienti affetti da cancro e concomitanti patologie aritmiche è in crescita esponenziale; per contro il sempre più ampio ricorso alla chemioterapia, alla terapia mirata, all’immunoterapia e alla radioterapia, determina un abnorme aumento delle complicanze aritmiche184 dovuto all’effetto dell’ischemia miocardica e dello scompenso cardiaco185. Le più comuni complicanze aritmiche sono la FA e le aritmie sopraventricolari, ma possono manifestarsi anche un prolungamento del QT e possibili aritmie ventricolari inclusa la torsione di punta (Tabella 3).




Il COVID-19, caratterizzato a sua volta da un rischio aritmico intrinseco, ha ulteriormente complicato lo scenario dominato dalla relazione tra cancro e aritmie, condividendo le complicanze aritmiche proprie del paziente neoplastico. L’infezione da COVID-19 può infatti indurre aritmie, non solo per effetto virale diretto ma anche a causa degli effetti sistemici della malattia e delle interazioni farmacologiche.

Questa associazione è estremamente preoccupante poiché il cancro e le patologie cardiovascolari sono le più diffuse al mondo, con un impatto devastante sui pazienti con COVID-19, rendendo la stratificazione del rischio, la prevenzione e una rapida ricognizione di questi pazienti un obiettivo sanitario importantissimo. Pertanto la valutazione di palpitazioni e sincopi e il monitoraggio delle aritmie cardiache deve far parte degli “standard of care” attuali. È interessante sottolineare come il report della National Health Commission of China abbia descritto che alcuni pazienti manifestino sintomi cardiaci come palpitazioni e oppressione toracica prima dei sintomi respiratori118.

Le aritmie ventricolari in particolare possono essere infatti anche la prima manifestazione clinica del COVID-19186. Altre manifestazioni aritmiche sono la FA, il flutter atriale, i blocchi atrioventricolari, la tachicardia ventricolare monomorfa, la tachicardia ventricolare polimorfa, la tachicardia ventricolare multifocale e la fibrillazione ventricolare. Tali aritmie sono state osservate anche associate a miocarditi virali da SARS-CoV-2134, conseguenza sia dell’insulto miocardico virale diretto e del conseguente coinvolgimento tissutale187 sia della migrazione extrapolmonare di macrofagi alveolari infetti che possono potenzialmente attaccare le vie di conduzione elettrica predisponendo al rischio aritmico. L’infezione da SARS-CoV-2 si caratterizza per un cospicuo rilascio di mediatori proinfiammatori che giocano un ruolo importante nella fisiopatologia delle complicanze aritmiche. Lo “storm” citochinico, il rilascio di agenti proinflammatori e l’attivazione dei linfociti T che aumentano a loro volta le citochine in circolo, determinano un feedback di attivazione immunitaria e un contestuale insulto miocardico caratterizzato da un significativo incremento dei marker cardiaci188, contribuendo all’innesco di aritmie cardiache189, che possono verificarsi fin nel 44% di pazienti con severa infezione da COVID-19190 e si associano ad un aumentato rischio di mortalità74. L’IL-6, l’IL-1 e il TNF-α possono prolungare il potenziale d’azione agendo a livello dei canali ionici dei cardiomiociti191. L’aumento dell’IL-6 durante l’infiammazione sistemica può determinare allungamento del QT determinando un aumentato rischio di torsione di punta192. L’infiammazione miocardica, l’alterazione ionico-elettrolitica, il rimodellamento elettrofisiologico e strutturale associato alla miocardite virale possono determinare aritmie minacciose per la vita. Le aritmie sono infatti imputabili al “disarray” metabolico, a fenomeni ipossici ed infiammatori e a stress neuro-ormonale associato all’infezione da SARS-CoV-259, in cui può coesistere una coagulopatia causante trombosi ipossia-correlata193; il fenomeno ipossico può infatti attivare la glicolisi anaerobia abbassando il pH intracellulare, aumentando i livelli di calcio citosolico e facilitando la depolarizzazione precoce e tardiva e determinando alterazioni a carico della durata del potenziale d’azione. L’ipossia causa anche un incremento dei livelli di potassio extracellulare riducendo il valore soglia della depolarizzazione, accelerando la conduzione elettrica e alterando i fenomeni di accoppiamento elettromeccanico. Tali anomalie elettrolitiche spesso associate possono precipitare o esacerbare le aritmie194. L’incidenza di aritmie cardiache è significativamente più elevata in pazienti con scarso outcome con una incidenza del 48%195 e si caratterizza come marker di scarsa prognosi.

Le bradiaritmie si associano a valori particolarmente elevati dei marker infiammatori e a un alto tasso di mortalità a breve termine. La strategia di management di questi pazienti dovrebbe tenere conto sia del potenziale outcome avverso del pacing invasivo sia del potenziale rischio di contagio degli operatori sanitari. Nel paziente che ha una preesistente comorbilità cardiovascolare, l’infezione virale può avere un effetto fortemente destabilizzante perché causa un’aumentata domanda metabolica in un contesto di ridotta riserva cardiaca196. Questo precarico equilibrio, in associazione al danno miocardico diretto e alla risposta infiammatoria innescate dall’agente virale, può aumentare il rischio di SCA, scompenso e aritmie cardiache197.

Infine, un numero crescente di pazienti con cancro è portatore di dispositivi cardiaci impiantabili (pacemaker o defibrillatori), per cui si pone in essi il problema della radioterapia; tale trattamento, benché usualmente sicuro, in alcune circostanze può porre problemi di sicurezza ed è essenziale per i cardiologi avere le conoscenze necessarie per sottoporre questi pazienti ai migliori trattamenti198.

12.1 Gestione del paziente cardio-oncologico con COVID-19

Importante considerazione relativa alla gestione del COVID-19 è costituita dalle interazioni farmacologiche nel trattamento del COVID-19 soprattutto in concomitanza di farmaci antineoplastici, antiaritmici e di eventuali anticoagulanti, per cui è necessario valutare caso per caso possibili interazioni. Nel paziente affetto da COVID-19 i farmaci ad azione sull’allungamento del QT, come azitromicina e idroclorochina199, sono di frequente utilizzo aumentando sinergicamente il rischio di aritmie cardiache. Alcuni recenti studi sono stati concepiti per essere di utilità nel monitorizzare il rischio di aritmie ventricolari causate dalla terapia con idroclorochina e con azitromicina200,201. È possibile anche utilizzare lo score di Tisdale per predire l’effetto di allungamento dell’intervallo QTc202 e applicarlo nella scelta dei farmaci da utilizzare nei malati COVID-19. Tale effetto assume infatti particolare rilevanza qualora si configuri l’associazione di COVID-19 e malattia neoplastica poiché anche in questo caso è frequente l’utilizzo di farmaci che allungano il QT come pure il rischio intrinseco di sviluppare aritmie. Le strategie di monitoraggio dell’intervallo QT e delle aritmie in genere sono in continua evoluzione. L’acquisizione dell’ECG standard a 12 derivazioni, metodica accurata per valutare l’intervallo QT ed eventuali aritmie cardiache, comporta sia un’esposizione del personale che dell’apparecchio, pertanto l’esecuzione degli ECG dovrebbe essere limitata e solo alcune macchine dovrebbero essere dedicate ai pazienti COVID-19 per contenere la possibile contaminazione. Inoltre il monitoraggio telemetrico dovrebbe essere considerato nei pazienti ad alto rischio. Anche altre alternative potrebbero essere considerate, come i dispositivi indossabili e i dispositivi digitali. Nel periodi del lockdown si è registrata una riduzione del 50% nel numero di procedure elettive di impianto di pacemaker e defibrillatori in prevenzione primaria, e delle procedure di ablazione di FA. È stato registrato anche un decremento delle procedure in emergenza, con una riduzione di oltre il 50% degli impianti di pacemaker urgenti per severe bradiaritmie. Parallelamente si è verificata un’implementazione del ricorso al monitoraggio remoto, se pur con ampie discrepanze tra i vari centri, per limitare il contatto diretto con il paziente. Il suo utilizzo è stato fortemente raccomandato dal documento di consenso stilato dalla Task Force sul COVID-19 della Heart Rhythm Society194. Il documento di consenso ha diviso le procedure elettrofisiologiche in urgenti, semi-urgenti, non urgenti o elettive considerando urgenti solo le procedure che riducono considerevolmente il rischio di peggioramento clinico, ospedalizzazione e morte. I pazienti da sottoporre a procedure urgenti andrebbero sempre valutati per febbre, sintomi da COVID-19 e sottoposti a test per il COVID-19; il rischio infettivo va sempre limitato con l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale non solo nell’operatore ma anche nel paziente. Se è necessario intubare il paziente, essendo una procedura che genera aerosol, è raccomandato l’utilizzo di camere a pressione negativa sia in sala che in presala. Si raccomanda inoltre di limitare il personale in sala durante l’intubazione e l’estubazione, e di attenersi ai protocolli relativi alla durata dell’intervallo di tempo che deve trascorrere prima di consentire l’accesso degli altri operatori in sala che dovrebbe essere compreso tra 15 e 30 min anche sulla base del grado di aereazione dei locali. Va inoltre preferita l’anestesia locale, se non si compromette la sicurezza del paziente. Anche l’elettrocauterizzazione, procedura routinariamente utilizzata in sala di elettrofisiologia durante gli impianti di dispositivo, va limitata poiché genera aerosol, producendo fumo ad alta carica virale, per cui oltre alle mascherine si raccomanda l’utilizzo di occhiali per limitare l’esposizione della congiuntiva.

13. CONCLUSIONI

Un anno dopo lo scoppio della crisi del COVID-19, la pandemia è ancora in pieno svolgimento. L’emergere di varianti virali aggressive e le difficoltà nel raggiungere la copertura vaccinale nella popolazione generale non ci permettono di definire con certezza quando saremo in grado di superare la pandemia COVID-19. Quello che sappiamo con certezza è che il distacco sociale e l’accesso controllato ai luoghi a maggior rischio di infezione, come gli ospedali, sono le misure più efficaci per contenere l’infezione da SARS-CoV-2. Inoltre, la gestione della malattia COVID-19 ha portato a un cambiamento significativo nell’organizzazione dei sistemi sanitari, poiché interi ospedali o reparti ospedalieri sono stati destinati al trattamento esclusivo della malattia, limitando le risorse dedicate alla gestione di altre patologie. La pandemia ha sfidato i cardio-oncologi che devono considerare non solo il rischio cardiovascolare dei pazienti, ma anche il rischio di rinviare il trattamento del cancro e il rischio infettivo. Di conseguenza, la pandemia COVID-19 ha avuto un impatto significativo sulla gestione delle malattie non direttamente collegate all’infezione da SARS-CoV-2. L’incertezza nel prevedere quando la crisi del COVID-19 sarà superata richiede una riflessione sostanziale anche nella pratica cardiologica per prevenire e trattare efficacemente la cardiotossicità. La domanda fondamentale che la crisi del COVID-19 ci costringe a porci è quindi: come possiamo creare un programma di gestione efficace ed efficiente pur mantenendo le distanze sociali e limitando l’accesso all’ospedale? Un fatto positivo emerso durante il tempo del COVID-19 è stato l’impulso dato allo sviluppo e alla diffusione della telemedicina, che può essere uno strumento prezioso per rispettare le distanze ed evitare le infezioni senza ridurre il controllo. La progressione verso la cartella clinica elettronica può facilitare la condivisione delle informazioni tra le diverse categorie di specialisti coinvolti nella cura del paziente e in ambienti diversi (ospedale e ambulatori) e quindi migliorare la continuità delle cure. Le piattaforme virtuali possono essere particolarmente utili per la discussione specialistica multidisciplinare sulla cura del paziente cardio-oncologico e in generale possono essere utilizzate anche per la video consultazione con il personale coinvolto nella cura cardio-oncologica e con il paziente stesso. Se la telemedicina è una risposta alla domanda su come seguire i pazienti, è anche fondamentale capire quali pazienti devono essere seguiti. In quest’ottica, la valutazione basale prima dell’inizio della terapia diventa fondamentale per intercettare e selezionare le condizioni ad alto rischio che in ambito cardio-oncologico sono sempre da correlare al programma terapeutico. In un prossimo futuro potrebbero essere utili cliniche virtuali-ibride che prevedano fin dall’inizio visite virtuali e di persona per affrontare, in modo più personalizzato, le esigenze dei pazienti oncologici203.

La pandemia COVID-19 ha anche stimolato lo studio della trombogenicità e dell’infiammazione, preparandoci a una sfida unica per le indagini traslazionali che possono aprire la strada a interventi terapeutici su misura. Il tremendo impatto del virus sui pazienti con MCV e cancro dovrebbe alimentare una vigorosa campagna per implementare stili di vita sani che riducano il carico di MCV e cancro e migliorino anche la salute del nostro pianeta.

RIASSUNTO

L’impatto della pandemia COVID-19 sui pazienti affetti da cancro e malattie cardiovascolari ha confermato la particolare vulnerabilità di queste popolazioni. Infatti, non solo si è registrato un rischio più alto di contrarre l’infezione, ma anche un decorso più severo con esiti spesso infausti. Oltre alle dirette conseguenze dell’infezione da SARS-CoV-2, la pandemia ha avuto un impatto enorme sui sistemi sanitari globali. I programmi di screening e gli esami ritenuti non urgenti sono stati rinviati con conseguenti ritardi diagnostici, la sperimentazione clinica ha subito una battuta d’arresto. In cardiologia si è osservato un significativo declino degli accessi per infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST e un aumento dei casi di infarto a presentazione tardiva con aumento dei tassi di mortalità e di complicanze. I sistemi sanitari devono pertanto essere preparati ad un effetto “rebound” per un aumento relativo di incidenza a breve e medio termine di patologie come scompenso cardiaco, infarto miocardico, aritmie e complicanze cardio- e cerebrovascolari. Le Società Scientifiche si sono attivate per fornire delle raccomandazioni volte a mitigare gli esiti sfavorevoli di questa emergenza pandemica. La cardio-oncologia, disciplina emergente e faro di innovazione nello sviluppo della gestione multispecialistica dei pazienti, ha rapidamente modificato i suoi percorsi clinico-assistenziali e ha implementato protocolli di monitoraggio flessibili che prevedano un impiego mirato dell’imaging cardiaco, un maggiore utilizzo dei biomarcatori e dei sistemi di telemedicina con l’obiettivo di ridurre al minimo il rischio di infezione per operatori e pazienti mantenendo gli standard assistenziali per il trattamento delle malattie oncologiche e cardiovascolari. Scopo di questo position paper ANMCO è quello di valutare le implicazioni della pandemia nello studio e nella gestione dei pazienti cardio-oncologici utilizzando le intuizioni acquisite, al fine di orientare le strategie sia durante la pandemia che nelle fasi future.

Parole chiave. Biomarcatori; Cancro; Cardio-oncologia; COVID-19; Imaging cardiovascolare; Malattie cardiovascolari; SARS-CoV-2; Telemedicina.

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