In questo numero

cinquantenario del gic




50 anni di cambiamenti epocali nella gestione della fibrillazione atriale

Il nono degli editoriali del cinquantenario del Giornale Italiano di Cardiologia è dedicato ai progressi nel trattamento della fibrillazione atriale a cura di Alessandro Capucci che in Italia è stato tra i cardiologi che maggiormente hanno contribuito all’avanzamento delle conoscenze nella gestione di questa patologia. La gestione della fibrillazione atriale ha subito enormi cambiamenti nel corso degli ultimi 50 anni e da aritmia prevalentemente secondaria alla stenosi mitralica reumatica è diventata una delle patologie cardiache a maggiore impatto epidemiologico. L’editoriale ripercorre i progressi nella fisiopatologia della fibrillazione atriale, con la recente affermazione del concetto di cardiomiopatia atriale, della profilassi antitrombotica, terapia farmacologica e ablazione transcatetere. Il contributo maggiore nel miglioramento della prognosi dei pazienti con fibrillazione atriale è sicuramente derivato dagli studi condotti negli anni ’90 che hanno dimostrato la grande efficacia della terapia anticoagulante orale nella riduzione del rischio di ictus e di morte. La svolta epocale avvenuta negli ultimi 10 anni con la dimostrazione della maggiore sicurezza degli anticoagulanti orali diretti rispetto al warfarin rappresenta una delle principali innovazioni terapeutiche della cardiologia. Meno esaltanti i progressi nel trattamento farmacologico antiaritmico della fibrillazione atriale, anche se un utilizzo appropriato di questi farmaci è in grado di migliorare la sintomatologia del paziente e la sua qualità di vita. L’efficacia e la sicurezza dell’associazione dei farmaci antiaritmici di classe IC con il betabloccante e della strategia “pill in the pocket” sono ben documentate da studi ai quali Alessandro Capucci ha attivamente contribuito. L’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale ha rappresentato una delle più importanti novità in ambito cardiologico degli ultimi 25 anni. Questa procedura terapeutica costituisce un’arma terapeutica importante anche se gli studi dedicati a dimostrare una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori conseguente all’ablazione hanno dato risultati piuttosto deludenti. A conclusione della rassegna l’autore ci offre una visione delle prospettive future riguardanti la ricerca di marker di aumentato rischio di ictus in presenza di cardiomiopatia atriale, nuove strategie di “upstream therapy”, ruolo della genetica e perfezionamento delle tecniche di ablazione transcatetere della fibrillazione atriale. In abbinamento all’editoriale di Alessandro Capucci un flashback di 50 anni costituito da un report di Cesare Proto et al. sul trattamento della fibrillazione atriale con l’associazione betabloccanti-chinidina, pubblicato nel Giornale Italiano di Cardiologia del 1972. •

covid-19 e cardiologia




Please, don’t take my breath away!

Non è il ritornello di una canzone, ma una frase molto frequente negli ultimi mesi riferita soprattutto agli effetti diretti della polmonite da COVID-19. Purtroppo questa non è stata l’unica complicanza che toglie il respiro della pandemia COVID-19 e con il passar dei mesi abbiamo imparato che anche i fenomeni tromboembolici nel micro- e macrocircolo polmonare sono frequenti e pericolosi. Simone Zanchi et al. con questo studio confrontano l’incidenza di embolia polmonare osservata presso il loro centro durante il periodo COVID-19 con quella dell’anno precedente. Gli autori hanno notato che l’embolia polmonare associata a COVID-19 incide su una popolazione diversa, dove non sono presenti i tradizionali fattori di rischio per embolia polmonare, ma ha una gestione più complessa e una prognosi nettamente peggiore. Motivo quindi per conoscere l’esperienza di Zanchi e farne tesoro… per non togliere altro fiato ai pazienti. •

editoriale




Abbiamo risolto veramente il DUBIUS del pretrattamento con inibitore P2Y12 del paziente con SCA-NSTE?

La Cardiologia è una delle discipline mediche più affascinanti perché è caratterizzata da un continuo accumularsi di evidenze e nuovi trattamenti e quindi non è sorprendente che una modalità di trattamento “gold standard” possa diventare dopo poco tempo superata o futile. Uno di questi paradossi è rappresentato certamente dall’opportunità o meno di pretrattare con inibitore del recettore piastrinico P2Y12 i pazienti ricoverati in ospedale per sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (SCA-NSTE) e candidati a coronarografia. Negli anni abbiamo alternato pretrattamento a tutti vs pretrattamento a nessuno seguendo lo studio appena pubblicato e senza tener conto che la pratica clinica quotidiana è molto lontana dai pazienti dei trial randomizzati. Nei trial randomizzati i pazienti sono tutti giovani, sempre con la diagnosi corretta, senza comorbilità e ricevono la coronarografia entro pochissime ore. In questi pazienti, come correttamente suggerito dallo studio DUBIUS e dall’editoriale di commento di Giuseppe Musumeci, il pretrattamento è futile. Purtroppo, non sappiamo cosa sia meglio per tutti quei pazienti (la maggioranza) che sono più anziani, che la coronarografia la ricevono non prima di 48-72 h, che sono trasferiti dai centri spoke a quelli hub o che se devono ricevere un bypass aortocoronarico devono aspettare almeno 7-10 giorni certamente non a causa della terapia antipiastrinica on board ma per problemi logistici o legati a comorbilità da stabilizzare e stadiare. Quindi il dilemma ancora sussiste… ma di sicuro grazie allo sforzo del GISE abbiamo qualche “dubius” in meno. •

rassegne




L’esercizio fisico è per tutti… ma ognuno deve avere lo “sforzo” che si merita

“Dottore… mi dica, posso fare sforzi?”, “E… quali sforzi?”. Le risposte a queste frequenti domande sono spesso legate a considerazioni di buon senso, alla conoscenza delle limitazioni causate da una eventuale patologia coesistente, e poco spesso a dati oggettivi. In realtà c’è un esame, relativamente poco utilizzato dal cardiologo se non in ambiti valutativi molto settoriali, che ha molte frecce al suo arco, tali da renderlo molto più completo del comune test da forzo, e che permette sia di quantificare la limitazione funzionale del paziente e capire quale componente (polmonare o cardiologica) è prevalente nel causare una limitazione funzionale, che di indicare le modalità di prescrizione personalizzata dell’esercizio fisico sulla base delle caratteristiche cliniche ed individuali del singolo paziente. La stimolante lettura della rassegna di Francesca Anselmi et al. ci aiuta ad immergerci nel mondo non facile della fisiopatologia cardiorespiratoria, illustrandoci con chiarezza la metodologia, le modalità interpretative del test da sforzo cardiopolmonare e le variabili da considerare nel singolo caso, fornendoci così un’ampia serie di motivazioni a supporto dell’utilità del test e di un’auspicabile estensione del suo utilizzo. •




Insufficienza cardiaca: la modulazione della forza contrattile come nuova frontiera

In questa rassegna Mauro Biffi et al. analizzano una nuova possibilità di terapia farmacologica nell’insufficienza cardiaca cronica: la modulazione della contrattilità cardiaca. Questa nuova prospettiva terapeutica sarebbe utilizzabile anche in pazienti con frazione di eiezione >35% e in corso di fibrillazione atriale, due elementi che rendono non utilizzabile attualmente in modo completo la terapia di resincronizzazione cardiaca, eseguibile peraltro solo in caso di presenza di blocco di branca sinistra. Nell’articolo gli autori partono dalla presentazione del dispositivo, analizzano le evidenze scientifiche che sono state prodotte, propongono i sottogruppi di specifico interesse clinico con un accenno all’approccio decisionale per terminare con un’appropriata analisi del rapporto costo/efficacia. Di impatto poi la conclusione della rassegna con la risposta a 20 domande e risposte… tutto quello che avreste voluto sapere e non avete mai osato chiedere! •




Il defibrillatore indossabile: angelo custode o dispositivo ancora inaffidabile?

È innegabile che almeno una volta sarà capitato a qualunque cardiologo che lavora in ospedale di essere afflitto dal dubbio se dimettere o meno un paziente in cui la frazione di eiezione era molto bassa ma eravamo fiduciosi in una ripresa in pochi mesi. Allo stesso tempo eravamo afflitti sapendo che anche quei pochi mesi veicolavano per il paziente un rischio di morte improvvisa, però non sufficiente per ipotizzare l’impianto di un defibrillatore. In questo numero del Giornale, Giuseppe Arena et al. presentano una interessante rassegna sul defibrillatore indossabile. Si tratta di un angelo custode, amorevole ed efficiente come quello rappresentato nella tela del Guercino (Palazzo Colonna, Roma) o di un dispositivo ancora inaffidabile e con pochi dati a supporto? Nella rassegna si riassume in modo chiaro e utile il meccanismo d’azione del defibrillatore indossabile, pro e contro e soprattutto si revisiona la letteratura disponibile. Questa analisi critica assume particolare importanza perché permetterà poi a ogni clinico di decidere se ricorrere o meno al suo utilizzo quando si troverà di fronte al caso citato nell’incipit del riassunto. •

caso clinico




I vantaggi del mappaggio elettroanatomico

I sistemi di mappaggio elettroanatomico (EAMS) rendono possibile la ricostruzione dell’anatomia delle camere cardiache e la creazione di mappe di voltaggio e/o di attivazione elettrica cardiaca senza l’utilizzo di radiazioni, registrando i potenziali d’azione intracardiaci. Questi sistemi sono utilizzati per l’analisi delle aritmie e per le procedure di ablazione transcatetere con il vantaggio di ridurre la radioesposizione. Gabriele Dell’Era et al. illustrano due casi clinici in cui sono stati impiegati per l’impianto di dispositivi di resincronizzazione cardiaca (CRT), oltreché per la procedura ablativa, con conseguente minor utilizzo di mezzo di contrasto iodato. Nella CRT la possibilità di avere una mappa di attivazione elettrica del seno coronarico permette di guidare il posizionamento dell’elettrocatetere ventricolare sinistro nella zona miocardica ad attivazione più tardiva. •

position paper




L’attività fisica nei cardiopatici congeniti

La promozione dell’attività fisica regolare nei bambini ed adolescenti è fondamentale al fine di favorirne un ottimale sviluppo fisico, psicologico e sociale. Tuttavia, i pazienti con una cardiopatia congenita sono spesso limitati nello svolgimento dell’attività fisica anche in virtù delle incertezze nell’individuare un programma di esercizio fisico adatto alle loro condizioni. In questo utile documento della Società Italiana di Cardiologia Pediatrica e delle Cardiopatie Congenite, a 20 anni dalla prima edizione, gli autori aggiornano le indicazioni pratiche per favorire una regolare attività fisica nei soggetti con cardiopatie congenite sia in storia naturale che dopo correzione. Si passano in rassegna quindi le varie cardiopatie congenite raccomandando un’attenta valutazione clinico-strumentale della capacità funzionale per poter correlare le particolari condizioni fisiopatologiche con il tipo di attività fisica da programmare.•




Le stenosi coronariche non ostruttive… e non trascurabili

L’aterosclerosi coronarica non ostruttiva (NobsCAD) possiede un suo proprio valore prognostico indipendente dall’ischemia ed in alcune casistiche anche superiore alla stessa ischemia. L’estensione ed alcune caratteristiche morfologiche delle placche coronariche giudicate non significative condizionano la necessità di misure preventive più o meno aggressive. Il quadro clinico di accompagnamento, i fattori di rischio cardiovascolare aggiuntivi oltre alla gravità dell’NobsCAD devono orientare verso un trattamento personalizzato. Pertanto questo position paper ANMCO sottolinea l’importanza di un’accurata descrizione dell’NobsCAD durante un esame morfologico delle arterie coronarie, raccomanda di considerare il contesto clinico nel quale l’NobsCAD è stata documentata nonché il rischio cardiovascolare del paziente, e di trattare il paziente con NobsCAD secondo le linee guida esistenti senza confondere la NobsCAD con l’assenza di malattia coronarica. •