In questo numero

cinquantenario del gic




50 anni di importanti traguardi in cardiochirurgia

Il settimo degli editoriali del cinquantenario del Giornale Italiano di Cardiologia è dedicato alla cardiochirurgia a cura di Ottavio Alfieri che ha contribuito da protagonista e innovatore alla crescita della disciplina nelle ultime decadi. La storia della moderna cardiochirurgia viene ripercorsa con l’identificazione di tre fasi principali: pionieristica, del consolidamento e della trasformazione. La fase pionieristica della cardiochirurgia inizia nella prima metà del secolo scorso con il primo intervento in circolazione extracorporea eseguito nel 1953, il primo intervento di bypass aortocoronarico e il primo trapianto cardiaco, entrambi eseguiti nel 1967. A questa ha fatto seguito negli ultimi 30 anni del secolo scorso la fase del consolidamento nella quale si è ottenuto un notevole miglioramento dei risultati grazie alla migliore conoscenza degli aspetti fisiopatologici delle varie cardiopatie congenite e acquisite, il perfezionamento delle tecniche chirurgiche e della gestione perioperatoria. La terza fase iniziata con il nuovo millennio è quella della trasformazione che ha visto un ridimensionamento della cardiochirurgia convenzionale con un crescente spazio per gli approcci mini-invasivi, percutanei e ibridi. Gli elementi di novità di questa nuova fase sono l’Heart Team, l’implementazione delle linee guida e i progressi delle tecniche chirurgiche e delle tecnologie. A conclusione della rassegna l’autore ci offre anche una “vision” illuminata delle prospettive future della cardiochirurgia in un’ottica di lavoro multidisciplinare e di differenziazione delle competenze del cardiochirurgo nelle diverse aree di attività. In abbinamento all’editoriale di Ottavio Alfieri un flashback di 50 anni costituito da un report di Donald Ross et al. relativo ai primi 5 anni di esperienza pioneristica di bypass aortocoronarico con safena presso il Guy’s Hospital e National Heart Hospital di Londra pubblicato nel Giornale Italiano di Cardiologia del 1971. •

covid-19 e cardiologia




Attività sportiva e COVID-19

Lo sport è ripartito! La Federazione Medico Sportiva Italiana in un documento dell’aprile 2020 ha stilato le raccomandazioni per la riammissione agli allenamenti ed alle gare delle varie discipline sportive agonistiche con specifiche raccomandazioni nei casi di atleti negativi alla ricerca dell’RNA virale ed in quelli risultati positivi; nel dicembre 2020 la stessa Federazione ha aggiornato le raccomandazioni per il ritorno all’attività sportiva degli atleti non professionisti. Nell’articolo di Elisa Lodi et al. vengono analizzati i contenuti delle nuove raccomandazioni per quanto riguarda la ripresa dell’attività sportiva per atleti non professionisti, ma che svolgono attività agonistica. La disamina è molto chiara ed ogni atleta viene inserito in categorie differenti a seconda che abbia avuto o meno la malattia e che questa sia stata sintomatica o asintomatica. A seconda della categoria viene poi esplicitato l’iter di valutazione al fine del rilascio dell’attività sportiva agonistica per la specifica disciplina sportiva. •

10 quesiti in tema di...




La colchicina in 10 domande

La colchicina, uno dei più antichi farmaci di origine vegetale ancora in uso ed impiegata da secoli come farmaco antigottoso, sta ricevendo un crescente interesse per le nuove possibili applicazioni in ambito cardiovascolare, che vanno ben al di là delle sue originali indicazioni. Infatti, oltre alla nota efficacia della colchicina nel trattamento e nella prevenzione della pericardite acuta e ricorrente, recenti studi hanno evidenziato come l’aggiunta della colchicina a bassa dose (0.5 mg/die) alla terapia convenzionale comprensiva di statine e antiaggreganti, riduca l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori di oltre il 30% in prevenzione secondaria. Rispondendo a 10 semplici domande che spaziano dall’origine del farmaco ai più comuni effetti collaterali riscontrati nella pratica clinica, Massimo Imazio e Antonio Brucato, tra i maggiori esperti internazionali nel campo, ci forniscono istruzioni sulle modalità di utilizzo attuali e future della colchicina in ambito cardiovascolare. •

rassegne




Fibrillazione atriale e morte improvvisa

La fibrillazione atriale viene generalmente associata ad un aumentato rischio di ictus cerebrale e di scompenso cardiaco con necessità o meno di ricovero ospedaliero. D’altra parte, molti studi stanno documentando un’associazione, in precedenza negletta o comunque non opportunamente considerata, tra fibrillazione atriale e rischio di morte cardiaca improvvisa. Jacopo Marazzato et al. hanno preso dettagliatamente in esame questo aspetto. In effetti, nonostante le molte evidenze epidemiologiche di un’associazione significativa tra fibrillazione atriale e rischio di morte cardiaca improvvisa, non è ancora del tutto chiaro se, e con quali meccanismi, la fibrillazione atriale rappresenti un vero fattore di rischio indipendente per aritmie ventricolari gravi e potenzialmente letali. Peraltro, le principali linee guida non danno raccomandazioni precise per un’eventuale stratificazione del rischio di morte cardiaca improvvisa nel paziente con fibrillazione atriale. •




La sfida della stenosi carotidea asintomatica

Nell’ambito della patologia aterosclerotica ci si imbatte spesso nella stenosi carotidea asintomatica, per la quale viene prescritta la terapia antiaggregante in prevenzione primaria in associazione alla terapia ipolipemizzante. La rivascolarizzazione offre un beneficio minimo rispetto alla terapia medica, ma esistono pazienti che si giovano particolarmente della terapia chirurgica. In questa rassegna David Giannandrea e Stefano Ricci mediante algoritmi e flowchart ci aiutano ad identificare questi pazienti con l’obiettivo di garantire la migliore prevenzione dall’ictus ischemico. Attualmente le raccomandazioni indicano di ottimizzare la terapia medica e di candidare alla rivascolarizzazione (preferibilmente con endoarterectomia carotidea) i pazienti con stenosi >70%, caratteristiche di instabilità della lesione agli esami strumentali e aspettativa di vita abbastanza lunga da bilanciare il rischio operatorio. Sono comunque in corso studi randomizzati che confrontano la terapia medica con l’intervento di endoarterectomia carotidea e rivascolarizzazione percutanea con impianto di stent, che dovrebbero identificare al meglio i pazienti che si giovano della rivascolarizzazione. •




Quando è la squadra a fare la differenza…

La Cardiologia è da sempre una disciplina in cui il lavoro di squadra fa la differenza per la gestione e il trattamento del paziente. La Cardiologia racchiude in sé molteplici competenze che difficilmente possono essere tutte presenti in un singolo professionista. La drammatica evoluzione della diagnostica e interventistica cardiologica ha ulteriormente rafforzato questo aspetto. L’Heart Team è in fondo la rappresentazione più lampante di questa evoluzione della Cardiologia. Clinici, esperti di imaging cardiologico, cardiologi interventisti e cardiochirurghi si siedono intorno a un tavolo (o di questi tempi di fronte a un pc) per condividere esperienze e discutere i casi più complessi, auspicando di arrivare alla soluzione migliore per il paziente. In questo numero del Giornale, Silvia Malara et al. rivisitano il ruolo dell’Heart Team nei pazienti con malattia valvolare. Ed è quasi sorprendente scoprire che in una disciplina come la Cardiologia basata sulle evidenze, proprio l’Heart Team rischia di essere il presidio che ne ha meno. •

studio osservazionale




Cardiologia riabilitativa: un “occhio” sul paziente cui non bisognerebbe rinunciare!

In questo studio osservazionale Sara Mandorla et al. riportano la loro esperienza circa un programma di cardiologia riabilitativa ambulatoriale. Si rammenta che la cardiologia riabilitativa ha una raccomandazione mandatoria (classe IA) nelle linee guida per i pazienti affetti da malattia coronarica. Pur con i limiti comuni agli studi retrospettivi, il contributo dello studio è da ritenersi importante per i messaggi che lancia di efficacia, appropriatezza e controllo dei pazienti in prevenzione secondaria… e se riabilitazione degenziale è bello… ambulatoriale lo è ancora di più! •

casi clinici




Un insolito caso di mitrale ischemica

Margherita Ilaria Gioia et al. presentano il caso di un’insufficienza mitralica severa da rottura di muscolo papillare posteriore in un uomo di 56 anni, sportivo e fumatore, sintomatico per dispnea da sforzo. La coronarografia pre-intervento documentava la presenza di una stenosi subocclusiva al tratto medio e all’inizio del tratto distale della coronaria destra con flusso TIMI 1 e debole circolo collaterale eterocoronarico. L’insufficienza mitralica veniva quindi considerata come complicanza di infarto miocardico misconosciuto. Il paziente veniva sottoposto ad intervento cardiochirurgico di rivascolarizzazione miocardica mediante bypass singolo con vena safena autologa su ramo interventricolare posteriore della coronaria destra e riparazione valvolare con impianto di due coppie di corde tendinee artificiali. Lo studio dell’anatomia della valvola mitrale documentava un “flail” di A3 con la presenza in atrio sinistro di un capo di muscolo papillare postero-mediale, staccato di netto dalla base di impianto sulla parete posteriore del ventricolo sinistro. •




Un nuovo percorso per un’origine anomala

Le anomalie delle coronarie si presentano nello 0.3-0.9% senza difetti cardiaci strutturali e nel 3-6% della popolazione con altri difetti cardiaci congeniti. Un dato interessante è rappresentato dal fatto che esse sono coinvolte nel 14% dei casi di morte improvvisa. Esse possono essere relative al decorso, di terminazione e come nei due casi riportati da Francesca Cavalla et al. da origine anomala della coronaria sinistra dall’arteria polmonare (ALCAPA), una rara ma grave cardiopatia congenita perché determina insufficienza ventricolare sinistra. In questo report i due casi sono trattati con una procedura chirurgica che prevede una derivazione dell’origine della coronaria sinistra dalla polmonare all’aorta, sua sede anatomica fisiologica. Quindi si crea un nuovo percorso, intrapolmonare invece che retropolmonare come accade quando la coronaria sinistra ha un’origine normale dal seno coronarico sinistro. In alcuni casi, come in quelli riportati, il prezzo da pagare nel tempo è la formazione di una stenosi sopravalvolare polmonare che necessita di un intervento di correzione. •

position paper




“Adelante Pedro, ma con juicio!”

Il momento di esecuzione della coronarografia nei pazienti con sindrome coronarica acuta è oggetto di lungo dibattito. Immediatamente, precocemente, entro 24 h, entro 48 h, entro 72 h, pre-dimissione, sono intervalli temporali che abbiamo sentito negli anni. Assieme ad essi il concetto che questi momenti andrebbero individuati in base al profilo di rischio alto, medio e basso del paziente. Le linee guida più recenti hanno accelerato molto la “corsa” alla coronarografia precoce sulla base di evidenze scientifiche non particolarmente convincenti, aprendo scenari di difficile gestione nel mondo reale. Il position paper ANMCO di Adriano Murrone et al. affronta l’argomento in modo razionale cercando una sintesi tra le evidenze scientifiche, non schiaccianti, e le criticità organizzative che rendono spesso difficile, in Italia, l’esecuzione della coronarografia entro 24 h in tutti i pazienti ad alto rischio. Come Antonio Ferrer al cocchiere, anche questo position paper consiglia di non correre troppo in una situazione difficile, ma di usare giudizio nell’individuare correttamente un equilibrio tra condizioni cliniche del paziente e disponibilità delle risorse. •

documento di consenso




Al cuor non si comanda, ma sullo screening dentale possiamo migliorare

Sicuramente lo screening dentale preoperatorio non è stato considerato fino a oggi una priorità tra gli accertamenti preoperatori per i pazienti da sottoporre a interventi chirurgici cardiovascolari elettivi. Per questo lo sforzo delle società scientifiche racchiuse in questo documento di consenso assume ancora più valore. Standardizzare ed educare i professionisti anche in procedure che solo all’apparenza sembrano secondarie è una mission di tutte le società scientifiche e permette il netto miglioramento del servizio reso ai pazienti. In questo numero del Giornale, Elisabetta Cotti et al. illustrano le evidenze disponibili sul ruolo dello screening dentale preoperatorio in pazienti da sottoporre a cardiochirurgia. I dati sono pochi e quindi lo sforzo di dare una linea guida è ancora più notevole e soprattutto rafforza ancora una volta la necessità di team multidisciplinari che possano garantire il migliore outcome ai pazienti. •