Trattamento della malattia coronarica calcifica:
stato dell’arte

Giuseppe Venuti, Carmelo Castellana, Giulio Piedimonte, Luigi Ferrarotto, Corrado Tamburino,
Alessio La Manna

U.O. Cardiologia, C.A.S.T., A.O.U. “Policlinico G. Rodolico-S. Marco”, Università degli Studi, Catania

Coronary artery calcification enhances percutaneous treatment complexity, increasing the likelihood of procedural failure and complications and affecting acute and long-term outcomes. In order to deal with such lesions, several devices and technologies, including balloons, atherectomy and intravascular lithotripsy, have been developed. The combination of the aforementioned technologies and the guidance of intracoronary imaging can help skilled interventional cardiologists in achieving better acute and long-term results in this setting. The purpose of the present review is to provide an appraisal of the devices dedicated to the treatment of calcified lesions, including the description of components and function and how to integrate them into a practical, standardized approach.

Key words. Atherectomy; Coronary artery calcification; Devices; Intravascular lithotripsy.

INTRODUZIONE

Il trattamento delle lesioni calcifiche rappresenta ancora una sfida per i cardiologi interventisti. Calcificazioni di grado moderato-severo si riscontrano mediamente nel 18-26% dei pazienti sottoposti a coronarografia e la loro presenza è correlata ad età avanzata, ipertensione arteriosa, diabete e insufficienza renale cronica1.

La presenza di calcio aumenta la complessità del trattamento percutaneo della malattia coronarica, complicando la preparazione della lesione e il posizionamento dello stent e limitandone anche la piena espansione. Inoltre, nell’era degli stent medicati c’è da tenere presente il danno che il polimero può subire a causa della frizione esercitata tra lo stent e il calcio prossimale alla lesione target2 e l’ostacolo al rilascio e alla diffusione del farmaco3. La malattia coronarica calcifica, quindi, rimane ancora una possibile causa di sottoespansione e malapposizione dello stent, che sono a loro volta correlati a trombosi, ristenosi intra-stent (ISR) e rivascolarizzazione del vaso target4.

Sia la preparazione ottimale della lesione che la meticolosa ottimizzazione del risultato sono due punti chiave nella gestione delle lesioni calcifiche. Altro punto chiave è rappresentato dall’utilizzo routinario dell’imaging (ecografia intravascolare [IVUS] e tomografia a coerenza ottica [OCT]). Oggi, per far fronte a questa necessità, sono disponibili diversi dispositivi dedicati.

VALUTAZIONE INVASIVA MULTIMODALE
DELLA PLACCA CALCIFICA

Nonostante una buona specificità, l’angiografia detiene una bassa sensibilità nel valutare il calcio e la sua accuratezza è strettamente dipendente dal grado di calcificazione5. Possiamo distinguere calcificazioni coronariche di grado lieve, moderato o severo. La calcificazione moderata è definita come depositi radio-opachi evidenziati durante il ciclo cardiaco e prima dell’iniezione di contrasto. Diversamente, la calcificazione severa è descritta come un’area lineare che segue bilateralmente l’ipotetica silhouette del vaso, notata ad immagine ferma6.

L’imaging coronarico permette di ottenere informazioni dettagliate riguardo la sua distribuzione, localizzazione, estensione e spessore. All’IVUS, la placca calcifica appare come un’area eco-lucente dotata di ombra acustica posteriore. Il calcio entra in diagnosi differenziale con il tessuto fibroso, in quanto anch’esso, quando ben compatto, risulta eco-denso/eco-lucente con annessa ombreggiatura posteriore. Però, caratteristica peculiare del calcio è la presenza di riverberi, ossia archi concentrici riprodotti con distanza riproducibile e creati dall’oscillazione degli ultrasuoni tra il trasduttore ed il calcio stesso5. L’IVUS permette di valutare l’estensione (in termini di quadranti occupati) e la lunghezza (se disponibile il pullback automatizzato) degli archi di calcio. L’arco di calcio che si estende oltre i 180° è correlato ad un maggiore coefficiente di eccentricità dello stent e ad una sua ridotta espansione. Qualitativamente, l’analisi IVUS, grazie anche ad un maggior potere di penetrazione rispetto all’OCT, è più accurata riguardo la distribuzione e la localizzazione del calcio (superficiale o profondo), sebbene sia incapace di valutarne a pieno lo spessore1,5.

Nell’immagine OCT il calcio è definito come area povera di segnale (scura) o eterogenea con margini netti e ben delineati. Parametri OCT-esclusivi come il calcolo dello spessore, dell’area e del volume del calcio aiutano nel predire la risposta alla pre-dilatazione e alla conseguente espansione dello stent7. In particolare, la presenza di archi di calcio >270° con uno spessore >670 μm diminuisce la probabilità di una preparazione della lesione efficace8. L’OCT, inoltre, ha una maggiore sensibilità nell’analisi di area luminale minima, lunghezza della lesione, diametri di riferimento e zone di atterraggio dello stent (Figura 1).

UN ALGORITMO PRATICO PER IL TRATTAMENTO DELLE LESIONI CALCIFICHE

L’uso di palloni non complianti (NC) rappresenta comunemente il primo step nella preparazione delle lesioni calcifiche9. In caso di lesioni indilatabili ai palloni NC convenzionali, sono oggi disponibili numerosi dispositivi, che vanno dai palloni dedicati all’aterectomia coronarica.




I dispositivi in oggetto includono: super high-pressure OPN NC balloon, cutting balloon (CB), scoring balloon (SB), Chocolate balloon, l’aterectomia rotazionale (RA), l’aterectomia orbitale (OA), l’aterectomia laser (ELCA) e la litotrissia intravascolare (IVL). Queste tecnologie, grazie ai loro meccanismi d’azione peculiari, modificano la placca creando fratture nel calcio o ablando frazioni di tessuto, alterando pertanto la compliance della lesione, in modo da favorire la piena espansione e apposizione dello stent (Figura 2). L’efficacia dei palloni dedicati e dell’aterectomia è però limitata da calcificazioni profonde, spesse o a distribuzione eccentrica, scenari nei quali la litotrissia si è dimostrata efficace (Figura 3).




Il trattamento delle lesioni calcifiche differisce in base alla classificazione di seguito proposta (Figure 4 e 5): 1) presenza di calcificazione lieve o moderato-severa all’angiografia; 2) lesioni de novo vs lesioni intra-stent; e 3) lesioni crossabili vs incrossabili. Così come il tipo di lesione, anche l’imaging (OCT > IVUS) ha un peso indiscutibile nella gestione della procedura. Difatti è ampiamente assodato come, se paragonato alla sola angiografia, l’uso dell’imaging come guida all’angioplastica coronarica migliori i risultati clinici7,10. In questo particolare contesto, oltre che guidare l’ottimizzazione dello stent, l’imaging ha un ruolo chiave nell’appropriatezza della selezione del dispositivo da usare.




In caso di lesione de novo con calcificazione di grado lieve all’angiografia, la pre-dilatazione con palloni semi-complianti o NC potrebbe essere sufficiente nel preparare la lesione, in caso contrario è indicato l’utilizzo dell’imaging per meglio caratterizzare la lesione e procedere nella scelta trattamento più efficace. Se già l’angiografia evidenzia la presenza di calcificazione coronarica di grado moderato-severo, consigliamo l’utilizzo dell’imaging come primo step procedurale. In caso di lesione complessa all’imaging (arco di calcio occupante oltre i 180° della circonferenza vasale, esteso per più di 5 mm, con uno spessore >5 mm associato o meno a depositi profondi di calcio) raccomandiamo l’utilizzo in prima battuta della litotrissia ed eventualmente, in caso di risultato subottimale, previo controllo con imaging, della terapia con RA o OA6 (Figura 2); differentemente la placca calcifica dovrebbe essere aggredita in primis con palloni NC ed eventualmente con palloni dedicati (OPN, SB, CB, Chocolate balloon) o litotrissia (Figura 4).

In caso di difficile “crossing” dei palloni, una possibile soluzione può essere quella di aumentare il supporto dell’intero sistema nei seguenti modi: 1) aumentare il “frenciaggio” del catetere guida o sostituirlo con un altro di curva differente (di norma questa operazione è consigliata solo se la posizione della guida coronarica può essere preservata o facilmente riguadagnata); 2) “buddy-wire technique”; 3) “anchoring technique” distale11 o nel ramo collaterale12; 4) utilizzo di uno o due “guide-extension catheters” (“mother-daughter” o “mother-daughter-granddaughter technique”)13. Se la lesione calcifica de novo, oltre che indilatabile, si dimostra incrossabile anche a palloni di basso profilo e microcateteri, non resta che tentare di crossare la lesione direttamente con le guide dedicate per RA e OA; in caso di fallimento, l’ELCA rimane la sola opzione in questo contesto, tenendo presente come sia correlata ad un maggior rischio di dissezioni e perforazioni (Figura 4).

Nel trattamento delle ISR calcifiche, se la preparazione con pallone NC risulta subottimale, si consiglia di ricorrere all’imaging. Difatti l’imaging (OCT > IVUS) permette di individuare la causa della ristenosi. Se c’è evidenza di neoaterosclerosi calcifica, secondo la nostra esperienza, l’utilizzo di palloni dedicati e della litotrissia è la strategia da percorrere (Figura 5). In caso invece di ISR determinata da sottoespansione dello stent per la presenza di placca calcifica sottostante, la litotrissia rappresenta il trattamento al quale ricorriamo abitualmente. È bene specificare che, nonostante risultati incoraggianti della litotrissia in termini di efficacia e sicurezza, l’utilizzo della litotrissia per l’ISR è attualmente “off-label”. Da non dimenticare la terapia con ELCA, che rappresenta uno strumento valido ed efficace in questo scenario, in quanto l’energia emessa dal catetere laser attraversa in sicurezza le maglie metalliche dello stent senza comprometterne l’integrità. Diversamente, l’RA è sconsigliata in caso di ISR a causa di un maggiore rischio di complicanze e, per questo, rappresenta l’ultima opzione di trattamento (Figura 6).

In ultima battuta, operatori esperti nelle tecniche di “dissection and re-entry”, sebbene il rischio di perforazione sia relativamente alto, possono tentare di modificare la lesione attraverso crossing subintimale con tecnica “knuckle wire” seguito da “crushing” della placca, mediante pallone. Fondamentale è mantenere la guida nel vero lume distale per assicurarne la pervietà anche in caso di ematoma subintimale.

PALLONI DEDICATI (Figura 7)

Super high-pressure OPN NC balloon

Il pallone OPN (SIS Medical AG, Winterthur, Svizzera) è un pallone NC che, grazie alla sua tecnologia “dual layer”, garantisce un’espansione quanto più uniforme anche ad altissime pressioni (“rated burst pressure”: 35 atm), minimizzando il rischio di danno vasale. Il suo utilizzo è incoraggiato particolarmente nell’ottimizzazione dello stent, anche se vi si può ricorrere per la preparazione della lesione14-17. Uno studio “real-world” ne ha esaltato caratteristiche e sicurezza, testando con favore il dispositivo fino a 50 atm16. L’OPN è disponibile in diverse misure, che variano da 1.5 a 4.5 mm con intervalli di 0.5 mm. Il pallone ha un “crossing profile” favorevole (0.028” per il pallone da 2.0 mm) se paragonato a SB e CB, tuttavia il suo riutilizzo può risultare quantomeno difficoltoso a causa dell’incremento di rigidità e volume ad ogni ciclo16,17.

Scoring balloon

L’AngiosculptTM (Philips, Amsterdam, Olanda) è un pallone SC circondato da spirali di nitinolo, disponibile in misure varianti da 2.0 a 3.5 mm con intervalli di 0.5 mm. È dotato di maggiore flessibilità e migliore “crossing profile” (0.036” per palloni da 2.0 mm) rispetto al CB. Con il gonfiaggio, la forza radiale viene applicata direttamente sulle spirali, che, scivolando e ruotando lungo la superficie del pallone, lacerano e incidono la placca. Inoltre, la presenza delle spirali assicura il “grip” necessario affinché il pallone non scivoli, facendo sì che l’espansione sia controllata; questo contribuisce a minimizzare il barotrauma e a ridurre il rischio di perforazione e dissezione. L’Angiosculpt è un’opzione efficace e sicura per il trattamento di vari scenari complessi, incluse le lesioni calcifiche18-20.










Cutting balloon

Il CB, (WolverineTM Boston Scientific, Marlborough, MA, USA) è un pallone NC armato di 3 (per i palloni da 2.0 fino a 3.25 mm di diametro) o 4 (da 3.5 a 4.0 mm di diametro) aterotomi disposti longitudinalmente e in parallelo lungo la superficie del pallone, che ne attribuiscono rigidità e un “crossing profile” poco favorevole (0.041-0.046”). Mediante l’espansione lenta e graduale, le microlame si ancorano alla placca, permettendo così al pallone, anche a basse pressioni, di esercitare la sua azione, creando fratture profonde. Si suggerisce di sottodimensionare il diametro del “cutting” di 0.5 mm rispetto al diametro di riferimento del vaso, al fine di minimizzare il rischio di perforazioni che attualmente rappresenta il vero limite al suo utilizzo. Il CB ha dimostrato di essere maggiormente efficace dei palloni convenzionali in scenari complessi, quali lesioni calcifiche de novo e ISR21-23.

Chocolate balloon

Il Chocolate XD® PTCA Balloon (Teleflex, Wayne, PA, USA) è un pallone caratterizzato da una impalcatura coercitiva in nitinolo che ne determina il profilo peculiare a “cuscini” e “scanalature”. Il dispositivo, disponibile in una larga gamma di misure (2.0-3.5 mm, con intervalli di 0.5 mm), esercita la sua azione sulla placca senza inciderla o lacerarla ma mediante la sua struttura “a cuscini” e “scanalature”. I “cuscini” favoriscono l’espansione uniforme e controllata del pallone, mentre le “scanalature” minimizzano il barotrauma.

ATERECTOMIA (Figura 8)

Aterectomia rotazionale

Il principio sul quale si basa la tecnologia è quello del “differential cutting”, per cui una fresa rotazionale rimuove selettivamente tessuto anelastico (calcio), non intaccando il tessuto elastico circostante.

Studi osservazionali supportano l’RA come alternativa ai palloni convenzionali per la preparazione delle lesioni calcifiche o resistenti, sebbene ancora non vi siano studi randomizzati che dimostrino il beneficio a lungo termine del suo utilizzo routinario24-32.

Il concetto iniziale di “plaque debulking”, sotteso ad una strategia particolarmente aggressiva nei confronti della lesione calcifica, nel tempo è stato gradualmente sostituito dal più conservativo principio della “plaque modification”. Tale strategia suggerisce come l’utilizzo di frese di più piccolo calibro, con conseguente riduzione della dimensione dei cateteri guida e l’utilizzo dell’accesso radiale, non compromettono l’efficacia del trattamento e, in aggiunta, ne riducono le complicanze33,34. Ulteriori accorgimenti per massimizzare la sicurezza e il successo procedurale sono l’utilizzo della tecnica “pecking motion” (picchiettatura cadenzata) e la limitazione della durata delle corse30.

Le indicazioni che giustificano l’utilizzo dell’RA sono: lesioni de novo indilatabili o presunte tali che presentino le sopracitate caratteristiche all’imaging e lesioni de novo incrossabili. Utile è anche il suo utilizzo nel contesto delle lesioni ostiali, biforcazioni e occlusioni croniche totali35-39. Diversamente, l’RA non è normalmente raccomandata in caso di stenosi di bypass venosi e ISR40. Un registro di 200 pazienti ha però suggerito come il trattamento con RA seguito da pallone medicato, possa essere fattibile ed efficace in caso di ISR severamente calcifiche che necessitano di “debulking” approfondito41.




Ulteriori relative controindicazioni sono: dissezioni estese del vaso target; lesioni trombotiche, per l’elevato rischio di embolizzazione all’avanzare della fresa; tortuosità; flusso distale ridotto, al fine di evitare di favorire un peggioramento della disfunzione del microcircolo a causa dell’embolizzazione del particolato frutto dell’azione ablativa dell’RA.

La terapia con Rotablator® (Boston Scientific, Natick, MA, USA) consiste quindi nell’avanzamento di una fresa rotazionale lungo una guida coronarica 0.09” dedicata (Rotawire). La fresa, di forma ovalare e ricoperta solo nella metà distale da microscopici frammenti di diamante, è disponibile in 8 diametri che vanno da 1.25 a 2.5 mm con intervalli variabili. Questa è connessa, mediante uno “shaft” coperto di Teflon, all’“advancer” dove si localizza la manopola per il controllo della fresa. L’ “advancer” è a sua volta collegato alla console che, mediante una turbina, permette il movimento rotazionale di tutto lo “shaft”. L’operatore comanda l’inizio della terapia mediante un sistema a pedali che incorpora, oltre il pedale di accensione, anche il bottone per l’attivazione della modalità Dynaglide. Recentemente la Boston Scientific ha lanciato sul mercato il nuovo sistema Rotapro che, a differenza del Rotablator, presenta tutti i comandi integrati sull’“advancer”, con la conseguente perdita del pedale. Questo rappresenta un notevole vantaggio per gli operatori in termini di facilità e comodità d’uso.

Un’oculata selezione dell’accesso vascolare è fondamentale, sia per assicurare l’adeguato supporto, sia per ridurre al minimo il rischio di complicanze vascolari. Nel caso di anatomie non complesse, che richiedono il trattamento con frese di diametro fino a 1.75 mm compatibili quindi con cateteri guida 6 Fr, l’accesso radiale è ormai diventato quello di scelta42,43. Nel caso si dovesse ricorrere a frese da 2.00-2.15 mm 7 Fr compatibili, l’accesso radiale è ancora perseguibile con l’ausilio degli introduttori Glidesheats (Slender®, Terumo, Tokyo, Giappone) o di cateteri “sheathless”.

Nella scelta della fresa, si consiglia di mantenere un rapporto tra il diametro da adottare e il diametro di riferimento del vaso compreso tra 0.4 e 0.6 (Tabella 1)33,34,39,44.

Escludendo le lesioni incrossabili a microcateteri, contesto nel quale il “wiring” diretto della Rotawire è la conditio sine qua non per l’RA, la pratica comune è quella di guadagnare la distalità del vaso con un filo guida “workhorse” e successivamente scambiarlo con la Rotawire mediante ausilio di microcatetere e “trapping technique”. Lo step procedurale successivo sarà dunque quello di avanzare la fresa fino e non oltre la prossimità della lesione target (posizione di sicurezza) in modalità Dynaglide (60 000-90 000 rpm). A questo punto l’operatore disattiverà la modalità Dynaglide e passerà in modalità trattamento (velocità di rotazione raccomandata 135 000-180 000 rpm). Pertanto, la fresa verrà avanzata in “pecking motion”. Ciascuna corsa di trattamento (10-15 s) deve essere intervallata da una pausa di circa 30 s, al fine di prevenire il surriscaldamento del sistema e ridurre il rischio di ischemia e “slow/no flow”. L’intera procedura viene eseguita sotto infusione continua di soluzione salina eparinizzata. A riduzione di placca avvenuta, la fresa guadagnerà la distalità della lesione target in modo fluido e senza resistenza in entrambe le direzioni (“polishing run”). Successivamente il sistema verrà ritirato in modalità Dynaglide per procedere all’angioplastica39,44.




Le complicanze più comunemente associate alla terapia con RA sono l’intrappolamento della fresa, “slow/no flow”, dissezioni e perforazioni30,40.

L’intrappolamento della fresa (0.5-1% dei casi45) è causato dal suo sovradimensionamento (“burr oversizing”), decelerazioni improvvise (>5000 rpm), da manovre di spinta piuttosto che di “pecking motion”, velocità di rotazione inadeguata e arresto della fresa nel contesto della lesione. In caso di intrappolamento, la prima strategia adottabile è quella di tirare manualmente il sistema45. Le alternative suggerite sono: 1) mobilizzare la fresa mediante un pallone gonfiato prossimalmente ad essa46; 2) “deep intubation” in prossimità della fresa per poi tirare lo “shaft” cercando di mantenere il catetere guida/catetere “child-in-mother” in posizione, facendo leva su di esso47; 3) “tracking” subintimale e rientro distale seguito da dilatazione con pallone per mobilizzare la fresa48; 4) cardiochirurgia.

“Slow flow” e “no flow” (0.0-2.6% dei casi39) sono causati dall’embolizzazione distale del particolato derivante dall’ablazione dei tessuti, sommata al rilascio di mediatori ad azione protrombotica e vasospastica. All’insorgenza di questo fenomeno è consigliabile interrompere la terapia con RA e somministrare vasodilatatori (nitrati, adenosina, verapamil o nitroprussiato). L’incidenza di questo fenomeno è limitata dalla continua infusione di soluzione salina nel sistema, da un’ottimale terapia antitrombotica e dall’esperienza dell’operatore.

La dissezione e la perforazione (1.7-5.9% dei casi) sono anch’esse temibili complicanze dell’RA che necessitano di gestione e trattamento repentini in quanto possono essere causa di ischemia e infarto miocardico acuto, instabilità emodinamica e tamponamento cardiaco39.

Aterectomia orbitale

Si basa sul funzionamento del Diamondback 360® Coronary System (Cardiovascular Systems Inc., St. Paul, MN, USA) che consiste nel movimento di una corona eccentrica e diamantata nella sua interezza, montata all’estremità di uno “shaft” a sua volta collegato con una console pneumatica. Come per l’RA, il principio che sottende l’azione dell’OA è il “differential cutting”. La corona, avanzando lungo una guida dedicata (ViperWire 0.012”, 0.014” alla punta) agisce sul tessuto seguendo un moto orbitale e sfruttando la forza centrifuga, rimanendo in contatto solo con un lato del vaso, mantenendo quindi continua la perfusione e favorendo l’allontanamento delle microparticelle derivate dall’abrasione della placca. La corona esercita la sua azione in modo bi-direzionale (avanti e indietro). Un lubrificante dedicato (ViperSlide®) è infuso continuamente nel sistema per ridurre la frizione e il surriscaldamento.

La corona, sebbene disponibile solo in 1.25 mm (6 Fr compatibile), riesce a trattare efficacemente anche vasi di elevato diametro variandone velocità di rotazione (bassa [80 000 rpm] per vasi medio-piccoli e alta [120 000 rpm] per vasi medio-grandi) e il ritmo di avanzamento (più basso è il ritmo, più larga è la traiettoria e viceversa). Comunque, è consigliato di avanzare la fresa 1-3 mm al secondo. La lunghezza delle corse di trattamento non dovrebbe superare i 30 s, intervallati da pause di uguale durata49.

L’utilizzo dell’OA è raccomandato per il trattamento di lesioni calcifiche de novo e sconsigliato in caso di ISR, bypass, presenza di dissezioni maggiori e lesioni trombotiche30.

I trial ORBIT I e II hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza della tecnologia, riportandone dati incoraggianti in termini di successo e complicanze procedurali e risultati a lungo termine, questi ultimi poi confermati da registri “real-world”49. Ulteriori studi comprensivi di analisi OCT hanno comparato l’efficacia dell’OA vs RA nella preparazione della lesione, sottolineando il vantaggio dell’OA specie in vasi di grosso calibro50 e le modifiche di placca più profonde51. Tuttavia, non esistono studi randomizzati di RA vs OA.

Mentre il sistema risulta già disponibile negli Stati Uniti, la sua commercializzazione in Europa è imminente.

Laser

L’ELCA agisce sulla placca mediante l’emissione di energia ad ultravioletti (lunghezza d’onda 308 nm). L’energia emessa del catetere-laser abla i tessuti mediante tre differenti meccanismi: 1) fotochimico, rottura dei legami carbonio-carbonio dei tessuti; 2) fototermico, innalzamento della temperatura intracellulare che favorisce la rottura della membrana cellulare; 3) fotomeccanico, genesi di bolle di vapore che, esplodendo, alterano la placca. Il sistema laser CVX-300 (Philips, Amsterdam, Olanda) emette energia pulsatile ad alta potenza che penetra fino a 30-50 μm e vaporizza sottili sezioni di tessuto senza causare danni collaterali significativi. Il sistema consiste in un generatore e un catetere-laser “monorail” dedicato compatibile con le guide coronariche 0.014” convenzionali. I cateteri sono disponibili in 0.9, 1.4, 1,7 e 2.0 mm, compatibili rispettivamente con cateteri guida da 5, 6, 7 e 8 Fr. La scelta del catetere segue il rapporto catetere/diametro di riferimento del vaso 0.5/0.61.

Attualmente l’uso dell’ELCA è limitato a lesioni incrossabili e indilatabili, sebbene associato ad un rischio relativamente elevato di dissezione e perforazione del vaso nelle lesioni de novo. Rappresenta invece un’alternativa validissima in caso di ISR6. Comunque, il grado di calcificazione sembra impattare negativamente sull’efficacia della terapia con ELCA.

Litotrissia intravascolare

La tecnologia insita nel sistema Shockwave C2 Medical Rx Lithotripsy (Shockwave Medical, Inc.; Santa Clara, CA, USA) trasforma energia elettrica in energia meccanica che viene emessa sottoforma di onde meccaniche ad alta velocità (Figura 9). Esso è costituito da tre componenti: pallone, cavi connettori e generatore di energia.

Tramite due trasduttori radiopachi integrati, il pallone rilascia onde soniche circonferenziali e ad andamento pulsatile, capaci di fratturare il calcio superficiale e profondo minimizzando il danno del tessuto circostante. I frammenti di calcio che ne derivano non embolizzano distalmente ma, contrariamente a quanto accade durante il trattamento con aterectomia, rimangono in situ52,53.

Il pallone da IVL è un pallone SC, “monorail”, di lunghezza standardizzata (12 mm), disponibile in più misure (2.5-4.0, con intervalli di 0.25 mm), con un “crossing profile” tra 0.043” e 0.046” e compatibile con cateteri guida 6 Fr e guide 0.014” standard. La sua preparazione è simile a quella dei palloni convenzionali, sebbene si debba fare particolare attenzione affinché il sistema sia privo d’aria residua; l’“indeflator” deve essere riempito di mezzo di contrasto e soluzione salina con rapporto 1:1.




Successivamente si connette lo “shaft” al generatore di energia mediante il cavo connettore. Il “sizing” del pallone è condizionato dal diametro di riferimento del vaso (rapporto 1:1) al fine di garantire una corretta apposizione e rilascio efficace della terapia. Una volta posizionato, il pallone verrà gonfiato alla pressione subnominale di 4 atm e apposto alla parete vasale, solo a questo punto verrà dato il via alla terapia mediante un pulsante localizzato sul cavo connettore. Per ogni ciclo di trattamento il pallone può rilasciare fino a 10 impulsi di energia, per un massimo di 8 cicli (80 impulsi in totale). Per lesioni calcifiche più lunghe di 12 mm e che richiedono trattamento con IVL, il pallone deve essere riposizionato per il corretto rilascio delle onde soniche lungo tutta l’estensione della lesione.

L’IVL è attualmente approvata solo per il trattamento delle lesioni calcifiche de novo ed ogni uso al di fuori di questa indicazione è da considerarsi “off-label”. Difatti, i trial Disrupt CAD I e II hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza della tecnologia Shockwave solo nella suddetta popolazione in termini di un’adeguata preparazione della lesione e guadagno luminale in assenza di complicanze procedurali significative ed eventi maggiori durante la degenza ospedaliera. L’incidenza degli eventi cardiovascolari avversi maggiori (morte da causa cardiaca, infarto miocardico e rivascolarizzazione del vaso target) a 30 giorni è risultata del 5% e 7.6% per il Disrupt CAD I e II, rispettivamente54,55.

Dalla messa in commercio del dispositivo, l’esperienza “real-world” ha visto l’IVL confrontarsi efficacemente con scenari complessi (sindrome coronarica acuta, angioplastica percutanea del tronco comune, occlusioni croniche totali e ISR) senza riportare complicanze significative, avanzando quindi ipotesi sulle sue future applicazioni9,53,56-61. Al momento, la letteratura riporta un unico caso di perforazione coronarica che ha richiesto il trattamento con stent camiciato62.

L’evidente facilità d’uso e la sicurezza dell’IVL fa sì che non richieda un training specifico.

CONCLUSIONI

Il trattamento percutaneo della malattia calcifica rimane, ancora oggi, di elevata complessità, impattando sul successo procedurale e sui risultati a lungo termine. L’utilizzo dell’imaging invasivo, applicato ad algoritmi procedurali standardizzati, assiste tutte le fasi della procedura ed aiuta il cardiologo interventista a raggiungere in sicurezza il miglior risultato possibile. Nuovi dispositivi divenuti recentemente disponibili sul mercato, come l’IVL e l’AO, possono contribuire al miglioramento del risultato procedurale e potenzialmente di quello a lungo termine.

RIASSUNTO

La presenza di calcio nel contesto della malattia coronarica aumenta la complessità del suo trattamento per via percutanea, impattando sul successo procedurale e sui risultati a breve e a lungo termine. Dispositivi dedicati come palloni specializzati, aterectomia e litotrissia intravascolare, in combinazione con l’imaging coronarico, vengono in aiuto ai cardiologi interventisti per far fronte a questo scenario. La presente rassegna vuole offrire un’analisi pratica delle tecnologie oggi disponibili per il trattamento delle lesioni calcifiche e delle modalità di integrazione nel contesto di un approccio interventistico standardizzato.

Parole chiave. Aterectomia; Dispositivi; Lesioni coronariche calcifiche; Litotrissia intravascolare.

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