Gestione delle complicanze vascolari del sito
di accesso nell’impianto transcatetere di valvola aortica

Tommaso Piva1, Elisa Nicolini1, Andi Muçaj1, Alessandro Maolo1, Francesco Terracciano1,
Mirko Beltrame1, Nicolò Schicchi2, Pietro Boscarato3, Alessandro Aprile1, Massimiliano Serenelli1,
Antonio Dello Russo4, Gianpiero Perna5, Gabriele Gabrielli1

1SOSD Emodinamica Interventistica Strutturale e Pediatrica, 2SOD Radiologia Pediatrica e Specialistica, 3SOD Radiologia Interventistica,

4SOD Clinica di Cardiologia e Aritmologia, 5SOD Cardiologia Ospedaliera e UTIC,

AOU Ospedali Riuniti di Ancona

Since its advent, transcatheter aortic valve implantation (TAVI) has experienced a continuous expansion, thanks to extraordinary clinical results and to the dramatic increase of safety, enabled by improvements of prosthesis and delivery systems, refinement of implantation techniques, increasing operator experience, and use of computed tomography scan for procedural planning. However, complications rates are still not negligible. As vascular complications, and, particularly, access-related complications are among the most frequent adverse events, all TAVI operators should know how to prevent and how to manage those potentially catastrophic situations. Here we provide an overview of the most frequent access site vascular complications and the respective treatment options.

Key words. Access site; Bleeding; Transcatheter aortic valve replacement; Transfemoral; Vascular complications.

INTRODUZIONE

L’impianto transfemorale (TF) di protesi valvolare aortica ha conosciuto, fin dal suo avvento, una crescita imponente e continua, rivoluzionando radicalmente l’approccio alla stenosi valvolare aortica severa sintomatica e affermandosi, subordinatamente al giudizio dell’Heart Team e alla fattibilità tecnica, come trattamento di prima scelta nei pazienti anziani, con rischio proibitivo/alto per correzione chirurgica e come valida opzione sia nei pazienti con rischio intermedio, sia in quelli a basso rischio chirurgico e di più giovane età1.

Il netto miglioramento dei profili di sicurezza ed efficacia procedurale, dovuto da una parte all’evoluzione tecnologica dei dispositivi, dei sistemi di introduzione e di rilascio e dall’altra all’aumento dell’esperienza degli operatori, è stato il volano per la vertiginosa espansione dell’impianto transcatetere di valvola aortica (TAVI). In questo panorama, l’incidenza di complicanze vascolari, inizialmente compresa tra l’1.9% e il 30.7%2 a seconda della definizione, del dispositivo e del sito di accesso, si è ridotta al 4.2-5.6% con i dispositivi di ultima generazione3. Ovviamente, tali dati contribuiscono ad alimentare il già enorme interesse per la TF-TAVI, anche da parte di centri poco esperti nella gestione dei grandi accessi vascolari e di specialisti tradizionalmente poco pratici di metodiche endovascolari.

È tuttavia necessario ricordare, soprattutto nell’imminente prospettiva di estendere le indicazioni della TAVI al trattamento dei pazienti a basso rischio e di più giovane età, che le complicanze vascolari hanno un tasso di incidenza residuo tutt’altro che trascurabile e rimangono (in particolare quelle maggiori) associate ad outcome clinici peggiori in termini di mortalità, lunghezza della degenza, costi e qualità di vita.

Inoltre, poiché le complicanze iliaco-femorali accesso-relate sono le più frequenti e sono strettamente legate all’esperienza degli operatori, è fondamentale che questi stessi sappiano in primo luogo attuare tutte le strategie di prevenzione delle complicanze (corretta pianificazione procedurale inclusiva della scelta dell’accesso principale e ancillare con angio-tomografia computerizzata [TC], conoscenza delle tecniche di puntura guidata, di chiusura vascolare, di emostasi in cros­sover e di protezione dell’accesso) e, secondariamente, che siano esperti nella gestione delle medesime, con tecniche e materiali endovascolari periferici (oltre che coronarici) adeguati.

PREDITTORI

Gli elementi predittori indipendenti di complicanze vascolari associate alla TF-TAVI possono essere classificati come di seguito:

1. Paziente-dipendenti: genere femminile, insufficienza renale cronica, calcificazioni iliaco-femorali (specialmente se circonferenziali), arteriopatia obliterante periferica4.

2. Procedura-dipendenti: diametro dell’asse iliaco-femorale inferiore rispetto al diametro esterno dell’introduttore (“sheath-to-femoral artery ratio” [SFAR] >1.05)5.

3. Operatore/centro-dipendenti: esperienza individuale dell’operatore, esperienza del centro6.

Non risultano invece associati al rischio di complicazioni accesso-relate gli score di rischio STS e EuroSCORE, la tortuosità degli assi iliaco-femorali, i diversi tipi di protesi di ultima generazione7.

Un dato interessante da considerare è che il 23% delle complicazioni vascolari a 30 giorni e il 13% delle complicanze vascolari maggiori/potenzialmente fatali sono associate all’accesso femorale secondario, mentre l’uso dell’arteria radiale come accesso ancillare non è associato a complicazioni maggiori né a sanguinamenti. Conseguentemente, ove possibile, a nostro giudizio l’accesso radiale dovrebbe essere la prima scelta per le angiografie intraprocedurali e per la protezione dell’accesso per TAVI con pallone8.

DEFINIZIONI STANDARD DELLE COMPLICANZE VASCOLARI

Inizialmente non esistevano definizioni standard per descrivere e classificare le complicanze vascolari. I criteri utilizzati nei diversi studi e registri risultavano molto eterogenei ed erano fonte di confusione sia nella ricerca sia nella pratica clinica. Nel registro italiano, ad esempio, veniva considerata complicanza maggiore del sito di puntura ogni lesione vascolare con sanguinamento fatale, o con necessità di riparazione urgente percutanea o chirurgica9. Nel registro tedesco era enfatizzato qualsiasi problema accesso-relato richiedente trasfusioni10. In quello francese venivano classificate come complicanze maggiori la dissezione/rottura dell’asse iliaco-femorale, l’occlusione o l’embolizzazione periferica11. Nel registro britannico, infine, era considerata complicanza maggiore ogni danno vascolare richiedente chirurgia urgente12.

Il primo tentativo di standardizzare le definizioni degli endpoint clinici risale alla classificazione del Valve Academic Research Consortium (VARC-I), nata dal confronto tra Academic Research Organisations, società scientifiche cardiologiche e cardiochirurgiche statunitensi ed europee, con la forte partecipazione di esperti indipendenti, della Food and Drug Administration e dei rappresentanti delle aziende produttrici dei dispositivi medici. Gli scopi di questa classificazione erano: a) identificare endpoint clinici che potessero riflettere in modo appropriato la sicurezza e l’efficacia procedurale; b) proporre definizioni standard per i futuri studi clinici13. È solo con le due riunioni di settembre 2011 a Washington e di febbraio 2012 a Rotterdam che si è arrivati alla classificazione vigente degli endpoint clinici, VARC-2 (Tabella 1)14.

In generale, in assenza di alterazioni parietali proibitive delle arterie femorali, un approccio totalmente percutaneo deve essere la strategia di riferimento; se confrontato all’isolamento chirurgico, esso è associato a un tasso similare di complicanze vascolari, a una minore incidenza di infezioni del sito di accesso e di sanguinamenti e ad un’ospedalizzazione più breve15,16. Tuttavia le complicanze vascolari femorali nel sito di puntura sono, insieme ai disturbi del ritmo, le più frequenti e si caratterizzano da una vastissima gamma di gravità clinica. Secondo la classificazione VARC-2, esse rientrano fra i sanguinamenti e le complicanze vascolari (Tabella 1). Da notare, che, per evitare ambiguità ed errori, le complicanze emorragiche vengono anche espresse con il corrispettivo tipo BARC (Bleeding Academic Research Consortium).




TRATTAMENTO DELLE COMPLICANZE VASCOLARI

Le principali complicanze vascolari correlate all’accesso sono: pseudoaneurisma, perforazione, dissezione, occlusione, stenosi e fallimento dei sistemi di emostasi.

La miglior strategia per la gestione delle complicanze vascolari correlate all’accesso include una pronta diagnosi ed un rapido trattamento che permetta di risolvere il problema nel modo meno invasivo possibile. A fine procedura è quindi sempre raccomandato eseguire un’angiografia con sottrazione digitale dell’asse iliaco-femorale per valutare l’efficacia dell’emostasi e l’integrità del vaso, in maniera non selettiva (pigtail in aorta) o selettiva (catetere JR, MPA o IMA) dall’accesso femorale controlaterale o dall’arteria radiale.

La riparazione chirurgica, seppur efficace, è gravata da elevate morbilità e mortalità, da un prolungamento dei tempi di degenza e da una maggiore possibilità di infezione. Il trattamento percutaneo di complicanze vascolari e dei sanguinamenti correlati all’accesso è fattibile e sicuro, si associa ad un elevato tasso di successo tecnico e outcome favorevoli a lungo termine, comparabili a quelli dei pazienti senza complicanze vascolari17. Non vi sono, però, strategie standard per risolvere le complicanze correlate all’accesso: la tipologia e l’entità dell’intervento dipendono dall’estensione e dall’entità del danno vascolare, dalla preferenza e dall’esperienza dell’operatore. Le opzioni di trattamento possono andare dall’approccio conservativo (compressione manuale), all’aggiunta di sistemi di emostasi, all’utilizzo di pallone da angioplastica periferica, all’impianto di stent, alla riparazione chirurgica.

Ruolo dell’accesso secondario

La possibilità di avere un accesso arterioso ancillare per prevenire e possibilmente trattare ogni possibile complicanza correlata all’acceso principale, è diventata una parte cruciale delle procedure di TAVI. Tradizionalmente l’accesso ancillare più utilizzato è l’arteria femorale controlaterale. Come già accennato, però, una quota rilevante delle complicanze vascolari a 30 giorni e dei sanguinamenti maggiori e fatali è attribuibile all’accesso femorale non-TAVI, pertanto sempre più operatori considerano l’approccio radiale di prima scelta.

In quest’ottica, è necessario disporre di materiali dedicati che includono guide 0.018” lunghe 400 cm e palloni “over-the-wire” con “shaft” lungo almeno 135 cm, compatibili con introduttori 6 o 7 Fr da radiale18. Infatti, anche se l’arteria radiale non è compatibile con il transito di stent ricoperti, è quasi sempre possibile (in dipendenza della statura del paziente e delle tortuosità) occludere con pallone l’accesso femorale principale. L’occlusione con pallone da crossover radiale può essere fatta sia in elezione (dry closure technique), sia in “bail-out”. Ovviamente, in caso di necessità di stent ricoperto, si deve mantenere l’emostasi dall’arteria radiale, mentre si ottiene un ulteriore accesso femorale19,20.

Tale approccio permette un adeguato controllo di sanguinamenti maggiori/fatali. Infatti, avanzando un pallone occlusivo in arteria iliaca, si può ottenere un’emostasi sufficiente e, in caso di bisogno, guadagnare il tempo per effettuare il crossover dall’arteria femorale controlaterale e per avanzare così uno stent ricoperto. Con un crossover radiale, talvolta può addirittura essere più facile e rapido ingaggiare l’asse iliaco-femorale con guide e cateteri, soprattutto in presenza di carrefour calcifici e particolarmente angolati. A tal proposito è consigliato posizionare un catetere o una guida in arteria iliaca prima o durante la rimozione dell’introduttore o del sistema di rilascio in maniera da intervenire prontamente appena una complicanza sia stata identificata.

Nel caso l’accesso radiale non sia percorribile o si preveda un rischio concreto di danno all’accesso principale che potrebbe richiedere l’impianto di stent (stenosi focali, malattia diffusa con SFAR al limite, calcificazioni o tortuosità severe), è preferibile utilizzare l’accesso femorale controlaterale o in alternativa la femorale ipsilaterale (anche la superficiale), con la tecnica della micropuntura21.

Pseudoaneurisma

Si verifica in seguito ad un’emostasi non efficace con conseguente sanguinamento (ematoma) contenuto da una pseudocapsula all’interno della parete vasale. Se non diagnosticato immediatamente a fine procedura, mediante angiografia standard o con sottrazione digitale, se ne può sospettare la diagnosi in presenza di massa inguinale pulsatile e dolente, di ematoma in espansione e in caso di comparsa di un nuovo soffio o fremito. La conferma va ottenuta mediante eco color-Doppler o angio-TC. I seguenti elementi espongono ad un rischio maggiore di pseudoaneurisma: uso di introduttori di grandi dimensioni, età avanzata, puntura dell’arteria femorale superficiale o profonda, calcificazioni, genere femminile, obesità, terapia anticoagulante, puntura accidentale di arteria e vena e fallimento dei sistemi di emostasi.

Diversi studi hanno riportato la chiusura spontanea in più del 50% dei casi. Appare però necessaria almeno un’attenta sorveglianza mediante eco-Doppler, se le dimensioni della sacca sono <3 cm in assenza di dolore e di necessità di terapia anticoagulante22.

La semplice compressione manuale è generalmente risolutiva nei casi di pseudoaneurismi di piccole dimensioni (<2 cm), mentre risulta meno efficace ove la lesione, pur estendendosi per un breve tratto, abbia un ampio colletto. La guida ecografica può essere di aiuto per indentificare il colletto ed applicare selettivamente la compressione manuale sulla camera aneurismatica ad intervalli ripetuti di 10 min, in maniera da bloccare il flusso a tale livello ma mantenendolo a livello dell’arteria.

L’iniezione di trombina ha un tasso di successo molto elevato (93-100%) rispetto alla sola compressione manuale e deve essere considerata in particolare nei pazienti che necessitano di terapia anticoagulante. Si effettua in anestesia locale, mediante iniezione di boli di trombina bovina (0.2 ml) all’interno della sacca, con monitoraggio ecografico continuo, fino alla completa interruzione del flusso a tale livello. Ottenuta una trombosi efficace, va valutata la circolazione femorale fino all’asse tibio-peroneale. È una tecnica sicura: complicanze come l’infezione, trombosi arteriosa, venosa ed embolizzazione distale avvengono complessivamente in meno dell’1% dei casi23,24.

Nei casi in cui tali tecniche siano risultate inefficaci o in presenza di instabilità emodinamica, infezione dei tessuti molli o rapida espansione della sacca, è indicata la riparazione chirurgica. Sono state riportate alcune tecniche endovascolari come l’embolizzazione mediante “coil”25 o l’impianto di stent ricoperti26 (Figura 1), quest’ultimo in particolare se la lesione viene diagnosticata a fine procedura. In presenza di leak molto piccoli, il gonfiaggio prolungato di un pallone può essere sufficiente per obliterare completamente lo pseudoaneurisma (Figura 2).

Stenosi e trombosi

Una lieve riduzione dei calibri femorali è frequentemente riscontrata all’angiografia in seguito all’impianto dei sistemi di emostasi, in particolare nel sesso femminile, in caso di vasculopatia e ridotti diametri femorali. Una stenosi lieve in assenza di ischemia periferica, viene trattata conservativamente. Alternativamente, è possibile serrare i fili di sutura su un pallone posizionato nel sito di puntura, lievemente sottodimensionato per evitare lacerazioni di parete. In caso di stenosi significativa, nell’intento di prevenire ulteriore peggioramento del flusso con conseguente trombosi o claudicatio, viene raccomandata l’angioplastica con pallone e, se la stenosi è refrattaria, con impianto di stent (Figura 3).

In caso di trombosi arteriosa ed occlusione, la trombectomia d’urgenza è necessaria per ristabilire il flusso arterioso ed evitare le drammatiche conseguenza dell’ischemia acuta dell’arto. È possibile intervenire con sistemi che frammentano od aspirano il trombo (Angiojet o cateteri guida 6 Fr) o eseguendo blande dilatazioni con palloni da angioplastica previo posizionamento di filtri di protezione distali (Figura 4).




Infezione del sito di accesso

Esistono report variabili in merito all’incidenza di tale complicanza tra l’1.6% e il 12.1%, di cui il 90% riscontrata dopo isolamento chirurgico dell’acceso femorale. Un’infezione superficiale viene efficacemente trattata con terapia antibiotica sistemica o locale. Un’infezione profonda periarteriosa è associata a significativa morbilità e ad una mortalità del 10%27. Tutti i pazienti vanno pre-trattati con antibiotici ad ampio spettro; l’applicazione di pellicole adesive dedicate a livello inguinale, minimizzando il contatto tra materiali e cute, può essere utile nel prevenire le infezioni anche in caso di approccio percutaneo.

Dissezione ileo-femorale

Le dissezioni ileo-femorali, con un’incidenza riportata di circa il 7%, sono complicanze non infrequenti, anche nei centri di alto volume. Esse coinvolgono più frequentemente l’arteria iliaca esterna e sono causate dalla frizione e dal traumatismo non coassiale che si verifica durante il transito degli introduttori o dei sistemi di rilaascio (in inserimento o retrazione), particolarmente in arterie fragili e malate.




La necessità di trattamento, dipende dall’estensione della lesione e dalla sua rilevanza emodinamica: quando il “flap” è circoscritto, non occlusivo e contrario al flusso (dissezione retrograda), il trattamento conservativo è di scelta, in quanto il flusso anterogrado mantiene la pervietà del vaso accostando il “flap” alla parete; una dissezione estesa, determinante occlusione statica o dinamica del vaso, va trattata tempestivamente per il rischio di ischemia acuta dell’arto inferiore, e di rottura. Talvolta il semplice gonfiaggio prolungato e a basse pressioni di un pallone di diametro adeguato può ottenere un’efficace apposizione dell’intima alla media, sufficiente a ripristinare un valido flusso anterogrado. Altrimenti è necessario l’impianto di uno stent autoespandibile (Figura 5) o espandibile su pallone (in caso di dissezioni ostiali)17,28,29.




Raramente è necessaria la riparazione chirurgica, a meno che non ci si trovi nell’evenienza di una dissezione totalmente occludente, senza un filo guida di protezione nel vero lume del vaso. A questo proposito, bisogna sottolineare che le tecniche di protezione dell’accesso TAVI in crossover controlaterale o con la micropuntura omolaterale distale, oggi non sono più ritenute mandatorie nell’ottica di un approccio minimalista, garantiscono il mantenimento di una guida nel vero lume e nella distalità dell’arteria femorale e quindi assicurano la possibilità di una riparazione endovascolare di ogni dissezione. Tuttavia, nello sfortunato caso in cui si verifichi una dissezione occlusiva, in assenza di una guida di protezione nella periferia dell’accesso principale, tecniche di puntura eco-guidata possono aiutare a recuperare il vero lume dall’arteria femorale distale al sito di accesso e a tentare una ricanalizzazione retrograda.

Perforazione, rottura ileo-femorale, avulsione

Nelle prime esperienze, l’incidenza delle lesioni iatrogene ileo-femorali era considerevole, pur se riportata con ampia variabilità, sia con l’isolamento chirurgico (4-9.3%) sia con l’approccio percutaneo (0.7-7.1%)16,30. Tale complicanza si è ridotta considerevolmente grazie alla miniaturizzazione dei dispositivi, all’evoluzione dei sistemi di introduzione e alla più attenta progettazione procedurale con imaging.

Durante la rimozione dell’introduttore, le condizioni cliniche ed emodinamiche del paziente vanno monitorate attentamente, perché fino a che l’introduttore è in sede, il sanguinamento può non rendersi evidente. Una rottura maggiore si manifesta generalmente con improvviso e rapido deterioramento emodinamico, mentre lesioni contenute possono rendersi evidenti anche dopo ore31. La rottura dell’arteria femorale o la perforazione dei suoi rami collaterali, spesso correlata al fallimento dei sistemi di emostasi, il più delle volte provocano un visibile ematoma dell’arto e sono facilmente e precocemente identificabili. Le lesioni dell’arteria iliaca causano un ematoma retroperitoneale, che va sempre sospettato in presenza di dolore lombare e anemizzazione.

Un sanguinamento iliaco-femorale e la sua sede possono essere identificati al controllo angiografico al termine della procedura, ma nei casi ad evoluzione più subdola viene confermato con angio-TC.

In presenza di sanguinamento visibile in acuto, il primo provvedimento consiste nell’ottenere l’emostasi con pallone occludente a monte della lesione e nella neutralizzazione dell’anticoagulazione con protamina.

Nei casi di rottura maggiore nello scavo pelvico o in addome, una strategia salva-vita è quella di posizionare in aorta un pallone occludente, altamente compliante (Reliant™ Stent graft Balloon catheter, Medtronic Vascular, Santa Rosa CA, USA; Berenstein Occlusion Balloon Catheter™, Boston Scientific, Natick, MA, USA; Coda® Occlusion Balloon Catheter, Cook Medical Inc., Bloomington, IN, USA; Gore® Molding and Occlusion Balloon Catheter, Gore Inc., Flagstaff, AZ, USA), che ha la capacità di allungarsi e non esercitare alcuna forza radiale una volta che ha raggiunto il diametro del vaso32.

Difficilmente si ottiene la riparazione di una perforazione o di una rottura con la sola angioplastica con pallone e, nel caso la lesione sia prossimale, per evitare il rischio di sanguinamenti occulti tardivi, deve sempre essere considerata la riparazione con stent ricoperto. Per lesioni extraperitoneali una strategia più conservativa può essere un’opzione.

Perforazioni o rotture di diramazioni periferiche possono richiedere l’embolizzazione mediante “coil”.

Ovviamente, sebbene nella gran parte dei casi una riparazione endovascolare sia efficace, in caso di sanguinamento persistente, si deve ricorrere alla revisione chirurgica.

Una rara complicanza è l’avulsione arteriosa e la conseguente massiva emorragia dovuta alla tendenza di grandi introduttori di aderire all’endotelio. Se esiste il sospetto di questa fatale complicanza perché si avverte notevole resistenza alla rimozione dell’introduttore, si deve posizionare un pallone in aorta al di sotto delle arterie renali e ci si deve preparare all’intervento chirurgico in quanto unica opzione33.

Fallimento dei sistemi di emostasi

Secondo la definizione VARC-2, per fallimento del sistema di chiusura vascolare si intende l’incapacità di un dispositivo di ottenere l’emostasi nel sito di accesso con conseguente necessità di strategie alternative differenti dalla compressione manuale o dall’utilizzo di palloni da angioplastica14.

Nonostante gli enormi progressi degli ultimi anni, trial recenti, con aggiudicazione indipendente di eventi, riportano ancora un’incidenza di complicanze vascolari maggiori del 5% e i due terzi di queste sono dovute al fallimento dei sistemi di emostasi34,35. Predittori di fallimento risultano essere il sesso femminile, l’obesità, le severe calcificazioni, la curva di apprendimento dell’operatore e lo SFAR (>1.05)36,37.

Il fallimento del sistema di emostasi può causare sanguinamento attivo, ematoma, dissezione arteriosa, perforazione e stenosi. Come per le altre complicanze, è raccomandato un approccio graduale. Generalmente la compressione manuale, l’utilizzo di un dispositivo aggiuntivo (ulteriore Proglide, Angioseal) o l’angioplastica con pallone risultano sufficienti; viceversa, in presenza di sanguinamento continuo o in presenza di stenosi severa, occlusione o ridotta perfusione all’arto inferiore, si deve ricorrere all’impianto di stent (Figura 6); solo raramente è necessaria la riparazione chirurgica.

Poiché in passato non esistevano sistemi di emostasi dedicati ad ampie arteriotomie, la chiusura con l’applicazione in pre-impianto di un singolo Prostar XL 10 Fr o di 2 Proglide sono stati approvati dalla Food and Drug Administration ed utilizzati nella pratica clinica.

Varie casistiche hanno evidenziato come, con l’utilizzo del Proglide, il rischio di complicanze vascolari e di sanguinamenti maggiori (BARC ≥3), entrambi predittori di mortalità a lungo termine, sia ridotto fino al 60% rispetto al Prostar. Questo vistoso miglioramento può essere spiegato almeno in parte dalle seguenti differenze tra i dispositivi: il Proglide ha un profilo di 6 Fr contro i 10 Fr del Prostar, richiede una tecnica di impianto più semplice e rilascia una singola sutura in monofilamento di prolene contro 2 di prolene intrecciato (il passaggio indipendente di due suture con l’impiego in successione di 2 Proglide renderebbe più facile identificare un fallimento del sistema)38-40.




Recentemente, sono stati introdotti nella pratica clinica sistemi di approssimazione passiva di collagene di seconda generazione, simili all’Angioseal, come il Manta VCD (Essential Medical, Inc, Malvern, PA, USA), disegnato per chiudere arteriotomie tra i 10 e i 22 Fr41. De Palma et al.42, nel primo studio osservazionale di comparazione tra il Manta e il Prostar, riportano un minor tasso di sanguinamenti maggiori nel gruppo Manta; ugualmente in uno studio su 325 pazienti consecutivi trattati con Manta e Proglide, Moriyama et al.43 hanno dimostrato che la strategia con dispositivo Manta si associa a tassi minori di sanguinamenti maggiori, danno vascolare correlato all’accesso e una più breve ospedalizzazione.

Nel SAFE MANTA, uno studio prospettico di sicurezza ed efficacia sul sistema Manta, a singolo braccio, multicentrico, su 341 pazienti sottoposti a procedura di TAVI (80%) e riparazione endovascolare di aneurisma dell’aorta toracica, il successo tecnico è stato raggiunto nel 97.7% dei casi, con un tempo medio di emostasi di soli 24 s e con l’impianto di un singolo dispositivo nel 99.6% dei casi. Il tasso di complicanze vascolari e sanguinamenti maggiori è stato rispettivamente del 4.2% e dell’1.1%. A ciò si deve aggiungere che il Manta richiederebbe una curva di apprendimento più breve di quella necessaria per i sistemi mediati da suture e comporterebbe un minor rischio di stenosi residua44.

Tali studi, però, non sono randomizzati, pertanto non possono essere tratte conclusioni in merito alla sicurezza e all’efficacia del Manta rispetto agli altri sistemi di chiusura vascolare. Infine, i dati riportati non possono essere estesi a pazienti con arterie femorali <6 mm per il 18 Fr o con severe calcificazioni. Ulteriori studi sono in corso per valutare tale dispositivo in una popolazione “real-world”, con l’inclusione di pazienti con arterie severamente calcifiche, non adatte ai sistemi mediati da suture44,45.

Stenting iliaco-femorale

Il trattamento con stent delle complicanze vascolari femorali risulta particolarmente allettante nella pratica clinica, perché è immediato ed efficace. Banalmente, esso è previsto nelle tecniche standard di protezione dell’accesso ed è classificato come complicanza minore. Al contrario la riparazione “open” viene considerata complicanza maggiore, dal momento che, soprattutto se effettuata in emergenza, comporta il rischio non trascurabile di sequele da gravi (0-1.8%) a lievi (6.6-17.7%) che includono infezioni, danno neuronale, sanguinamenti, discomfort, prolungamento dell’ospedalizzazione, in particolar modo nei pazienti obesi, con cicatrici o esiti fibrotici46,47.

Le linee guida però scoraggiano l’impianto di stent nelle zone di flessione, dove questi, essendo sottoposti ad elevate forze intrinseche ed estrinseche, sono proni al rischio di frattura, “kinking” e occlusione; inoltre l’eventuale trattamento della biforcazione femorale espone al rischio di obliterazione dell’arteria femorale profonda, che può avere conseguenze catastrofiche, in presenza di malattia critica femoro-poplitea. Tali considerazioni sono valide soprattutto nei pazienti più giovani e attivi, nei quali la pervietà dell’arteria femorale è importante anche nel lungo termine e che potrebbero richiedere in futuro ulteriori procedure coronariche e valvolari attraverso l’accesso femorale, ma sono meno rilevanti nei pazienti più anziani e più fragili. In questi ultimi infatti, il beneficio in termini di outcome di trattare rapidamente ed in modo poco invasivo lesioni che potrebbero evolvere in complicanze potenzialmente letali, evitando la conversione a chirurgia, è di gran lunga superiore al rischio di frattura e restenosi dello stent.

Le principali indicazioni all’impianto di stent sono i sanguinamenti correlati all’accesso (da fallimento dei sistemi di emostasi o perforazioni), le dissezioni iliaco-femorali e, meno frequentemente, le stenosi e le occlusioni17,48,49.

Se per lesioni ostiali delle arterie iliache sono preferibili stent “balloon-expandable”, nel caso di lesioni più distali, vengono più comunemente usati stent autoespandibili in nitinolo. In presenza di sanguinamento attivo (Figura 6), di aneurismi/pseudoaneurismi, ovviamente, è raccomandato l’impianto di stent graft50. A tale proposito, è utile ricordare che il nitinolo è un materiale superelastico e resistente, dotato di forza radiale sufficiente a contrastare compressioni ab estrinseco (resistenza al “kinking” e alla deformazione) e che la copertura in PTFE degli stent graft sembra fornire una barriera meccanica allo sviluppo di iperplasia intimale rispetto agli stent metallici.

Negli ultimi anni evidenze scientifiche crescenti hanno dimostrato un tasso accettabile di frattura e di restenosi nel trattamento primario dell’arteria femorale comune. De Backer et al.48 non hanno evidenziato restenosi né fratture al follow-up ad 1 anno in 48 pazienti trattati con lo stent ricoperto Viabhan per sanguinamenti da fallimento di emostasi. In maniera analoga, Sedaghat et al.51 in 74 pazienti al follow-up ad 1 anno, non hanno riscontrato alcuna frattura di stent ed una sola restenosi moderata asintomatica. Gli autori concludono sostenendo che il trattamento con stent ricoperto è efficace e sicuro e che tali pazienti hanno una mortalità a breve e lungo termine paragonabile a quella dei pazienti senza complicanze vascolari in quanto in grado di prevenire le devastanti conseguenze sull’outcome con le complicanze vascolari e i sanguinamenti maggiori51. La più recente casistica di Bonn-Copenaghen ha dimostrato un’eccellente pervietà dei due stent ricoperti (Viabhan e Fluency) utilizzati nell’83% dei casi per il trattamento di sanguinamenti correlati all’accesso, dopo un follow-up medio di 3.8 anni in assenza di segni di restenosi intrastent52.

Questi dati così rassicuranti, contrastano solo in apparenza con i risultati dello stenting di lesioni aterosclerotiche dell’arteria femorale, gravati da un tasso di restenosi del 20-30%47. Infatti l’uso di stent graft in questo contesto avviene principalmente per il trattamento di sanguinamenti correlati all’accesso e non della malattia aterosclerotica. Le rare restenosi e fratture di stent quindi non solo non sorprendono, ma sottolineano anche la sicurezza e l’efficacia della metodica. Nonostante ciò, l’utilizzo di stent ricoperti non dovrebbe essere considerato la strategia primaria di riferimento, ma dovrebbe rimanere una soluzione di “bail-out”. In primo luogo, considerato l’impatto negativo sulla mortalità delle complicanze vascolari e dei sanguinamenti, ogni operatore deve prefiggersi l’obiettivo di prevenire qualsiasi complicanza vascolare. Secondariamente, a causa della mancanza di dati randomizzati e della disponibilità limitata di informazioni su risultati a lungo termine dello stenting, andrebbero considerate opzioni alternative con un approccio a step, che passi attraverso la compressione manuale, la somministrazione di protamina e il gonfiaggio di un pallone in crossover, l’eventuale aggiunta di un sistema percutaneo di emostasi. Infine, quando necessario, lo stent ricoperto si è dimostrato un’opzione valida con adeguati risultati a lungo termine.

RIASSUNTO

Dalla sua introduzione nella pratica clinica, l’impianto transcatetere di valvola aortica (TAVI) ha conosciuto una continua espansione, grazie a risultati clinici straordinari e all’enorme aumento della sicurezza, consentito dal miglioramento delle protesi e dei sistemi di rilascio, dal perfezionamento delle tecniche di impianto, dall’aumento dell’esperienza degli operatori e dall’uso della tomografia computerizzata per la pianificazione procedurale. Tuttavia, i tassi di complicanze non sono ancora trascurabili. Poiché le complicanze vascolari e, in particolare, le complicanze legate all’accesso sono tra gli eventi avversi più frequenti, tutti gli operatori TAVI dovrebbero sapere come prevenire e come gestire quelle situazioni potenzialmente catastrofiche. In questa rassegna forniamo una panoramica delle complicanze vascolari più frequenti del sito di accesso per la TAVI e delle rispettive opzioni di trattamento.

Parole chiave. Complicanze vascolari; Transfemorale; Impianto transcatetere di valvola aortica; Sanguinamenti; Sito di accesso.

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