SEX AND GENDER: Risposta

Nel ringraziare il Professor Piccolo (che ricordo come impareggiabile professore di elettrocardiografia nell’ambito del corso di specializzazione in cardiologia da me frequentato ormai molti anni fa) per il commento all’articolo pubblicato sul Giornale Italiano di Cardiologia, vorrei offrire alla discussione una mia risposta personale.

Desidero innanzitutto concentrami sui motivi per i quali ho deciso di collaborare, con entusiasmo, con i colleghi del Cardiocentro Ticino, con i quali è in atto un rapporto di collaborazione scientifica che risale a quasi 40 anni or sono, a partire dai primi studi GISSI, ai quali i colleghi ticinesi hanno dato un contributo sostanziale, proseguito con successo fino ad oggi in numerosi altri studi nazionali e internazionali coordinati da ANMCO. Sintetizzo questi aspetti in alcuni punti.

• La letteratura scientifica abbonda di studi nei quali il ruolo biologico del sesso e quello ambientale e socio-culturale del genere vengono spesso confusi e sovrapposti. Sono tipici alcuni lavori statunitensi sull’accesso alla diagnostica o alle cure, nei quali si dimostra un minore accesso da parte delle pazienti di sesso femminile senza tenere sufficientemente conto delle differenze di livello educazionale ed economico.

• Spesso senza considerare le specificità di sesso e/o genere, ci si accontenta dei risultati di analisi per sottogruppi di studi clinici controllati inserendo il sesso in una di quelle ampie e complesse figure in cui vengono presentati i risultati per le diverse caratteristiche cliniche dei pazienti. Al di là delle considerazioni sulla fragilità metodologica di queste analisi per sottogruppi (che non mi permetto, in questo contesto, di ricordare ancora una volta), quando non si evidenziano differenze significative fra maschi e femmine, gli autori, soddisfatti e rassicurati, scrivono che l’effetto favorevole del trattamento è applicabile ad entrambi i sessi. Se emergono invece interazioni statisticamente significative partono (a) le cattive interpretazioni (classica quella per la quale l’aspirina in prevenzione cardiovascolare fu negata alle donne perfino da decisioni regolatorie da parte della Food and Drug Administration, unicamente basate su analisi per sottogruppi), e (b) in qualche raro caso, studi fisiopatologici per interpretare le differenze, nel caso esistano davvero.

• In ambito cardiovascolare, nei grandi studi clinici controllati ai fini registrativi, la partecipazione delle donne è minoritaria rispetto alla loro prevalenza nel mondo reale. Si utilizzano inoltre posologie di farmaci analoghe in entrambi i sessi in assenza di adeguate conoscenze derivanti da studi di farmacologia clinica, condotti prevalentemente in volontari o pazienti di sesso maschile.

L’insieme di queste considerazioni, e di altre ancora, espresse nell’articolo, fa emergere il bisogno inevaso di ricerca specifica su questi temi, e da qui viene anche il mio entusiasmo.

Per prima cosa serve una chiarezza terminologica, che era poi l’obiettivo principale dell’articolo: sesso e genere non sono la stessa cosa e, men che meno, la ricerca può fare confusione in questo senso. Le metodologie da applicare sono ovviamente diverse quando si vogliono indagare aspetti/peculiarità biologiche da quando si vogliono approfondire situazioni e differenze che possono essere dovute non solo alla biologia ma anche a contesti culturali, economici e socio-ambientali.

Non mi pare infine che quanto scritto nell’articolo e in questa replica sia poi una grande novità: la terminologia “sex and gender” è adottata ormai da molti colleghi, non solo di sesso femminile, ed è ormai obsoleto ricondurre queste tematiche ad un atteggiamento da femminismo post-68. A ulteriore dimostrazione di questo, vale la pena di leggere e citare una recente revisione sistematica pubblicata su Lancet1.

Aldo P. Maggioni

Centro Studi ANMCO Firenze

e-mail: maggioni@anmco.it

BIBLIOGRAFIA

1. Mauvais-Jarvis F, Bairey Merz N, Barnes PJ, et al. Sex and gender: modifiers of health, disease, and medicine. Lancet 2020;396:565-82.