Chirurgia cardiaca e pandemia COVID-19:
note operative della Task Force COVID-SICCH
per la fase 2

Michele Di Mauro1, Fabio Barili2, Giorgia Bonalumi3, Andrea Garatti4,
Alessandro Parolari, Gino Gerosa

1Cardio-Thoracic Surgery Unit, Heart and Vascular Centre, Maastricht University Medical Centre (MUMC),
Cardiovascular Research Institute Maastricht (CARIM), Maastricht, Olanda

2Dipartimento di Cardiochirurgia, Ospedale S. Croce e Carle, Cuneo

3Dipartimento di Cardiochirurgia, Centro Cardiologico Monzino, Milano

4Dipartimento di Cardiochirurgia, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI)

5U.O.C. Cardiochirurgia Universitaria e Ricerca Traslazionale, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI),
e Dipartimento of Scienze Biomediche della Salute, Università degli Studi, Milano

6Dipartimento di Cardiochirurgia, Azienda Ospedaliera Universitaria, Padova

INTRODUZIONE

La pandemia COVID-19 coinvolge attualmente in misura diversa tutti i continenti del mondo1. L’Italia, ed in particolare la sua area settentrionale, è stata la prima tra i paesi europei ad essere coinvolta. Un focolaio di infezione da COVID-19 è stato rilevato il 21 febbraio 2020 a partire da 16 casi confermati in Lombardia, a Codogno, in provincia di Lodi, aumentati a 60 il giorno successivo, con i primi decessi segnalati negli stessi giorni. Da allora vi è stata un’ascesa esponenziale dei contagi, dei decessi e soprattutto dei casi complicati da insufficienza respiratoria che hanno richiesto il ricovero in terapia intensiva per un’assistenza ventilatoria. La regione maggiormente colpita è stata la Lombardia, seguita dalle altre regioni del Nord Italia. La diffusione del virus nell’intero territorio italiano è stata rapida coinvolgendo in maniera importante alcune regioni del Centro Italia e in grado minore quelle del Sud Italia. Pertanto, data la drammatica diffusione del contagio, il governo, con un decreto ministeriale senza precedenti, ha indetto una quarantena a livello nazionale2.

Questa pandemia ha costretto il Sistema Sanitario Nazionale a riallocare le risorse delle unità di terapia intensiva, cancellando così temporaneamente tutti gli interventi chirurgici d’elezione. Tale misura si è resa necessaria al fine di recuperare altri letti di terapia intensiva, solitamente dedicati al paziente post-chirurgico, per il trattamento dei pazienti COVID-19 con insufficienza respiratoria acuta3.

In Lombardia, 4 delle 20 unità cardiochirurgiche hanno proseguito la loro attività, diventando “hub”, mentre le restanti 16 hanno interrotto l’attività per essere riconvertite in reparti COVID. Così facendo queste ultime sono divenute centri “spoke”. Tutti i casi urgenti o emergenti sono stati inviati a queste quattro cardiochirurgie, così come i casi che non potevano essere ritardati oltre i 60 giorni3. In Veneto e in altre regioni, le Unità di Cardiochirurgia sono rimaste invece attive solo per i casi urgenti.

Attualmente (29/05/2020), il numero di infetti è 46 175, con 152 844 guariti e 33 229 decessi. La curva degli infetti è in notevole discesa, dopo aver raggiunto il picco il 19 aprile 2020. Secondo le stime attuali, il numero di ricoveri in terapia intensiva per insufficienza respiratoria da COVID-19 è 475 in significativa discesa4,5.

Dal 4 maggio 2020, è scattata la “fase 2”6. Questo ha indotto le amministrazioni centrali e locali, gli ospedali e i medici a valutare le modalità più adeguate per riavviare tutte le attività che erano state chiuse o sensibilmente rallentate. È intuitivo come questa seconda fase richieda una significativa riorganizzazione delle attività. Lo scopo di questo position paper è quello di fornire indicazioni per l’attività cardiochirurgica ed in generale per le attività chirurgiche o invasive nella fase 2.

VALUTAZIONE DEL GRADO DI DIFFUSIONE
E DI SEVERITÀ DELLA PANDEMIA

Le attuali conoscenze sulla prevalenza di COVID-19 nell’intera popolazione di diversi paesi e regioni, nonché sulle caratteristiche del virus (tempi di incubazione, persistenza, recidive) sono ancora limitate e si modificano rapidamente nel tempo. Ora, come abbiamo visto, è chiaro che vi sono sostanziali variazioni regionali e che quindi le misure della fase 2 devono essere attuate ed implementate secondo uno schema temporale e con una intensità differente nelle varie regioni d’Italia, considerando il numero elevato di persone che potrebbe essere positivo seppur asintomatico o presintomatico/in incubazione7.

Abbiamo quindi messo a punto un indicatore, chiamato CoSS (Covid, Spread and Severity index), come indicatore di diffusione e gravità del COVID-19, che identifica le regioni in tre categorie: alta, media e bassa8. Questo algoritmo si basa su dati disponibili quotidianamente, pubblicati dal Ministero della Salute italiano9: numero di nuovi pazienti positivi, numero di pazienti dimessi/guariti, numero di decessi, numero di tamponi nasofaringei eseguiti e il rapporto tra il numero di tamponi eseguiti e la popolazione residente in una regione specifica. L’algoritmo si basa sul rapporto tra il numero totale di pazienti deceduti e guariti (indice di gravità e letalità, ovvero rappresenta intrinsecamente le caratteristiche del virus e anche la disponibilità e l’allocazione delle risorse di terapia intensiva) e l’incidenza di nuovi casi regionali nelle ultime 2 settimane (numero di nuovi casi nelle 2 settimane precedenti/numero totale di abitanti della regione). Il CoSS viene poi indicizzato con un valore standard basato sul rapporto tra numero di (decessi/numero di guariti)/0.3 e la (media di incidenza nelle 2 settimane tra il 9/4 e il 20/4)/0.0003%. La formula che ne deriva è la seguente:

Indice CoSS = numero di decessi x nuovi casi nelle 2 settimane precedenti + 0.0000000001
numero di guariti totale abitanti della regione

0.000032

I valori da inserire nella formula si riferiscono a ciascuna regione o provincia autonoma.

Come già accennato, i valori regionali del CoSS sono classificabili in tre categorie (<5, 5-10 e >10). Una regione con un punteggio <5 ha un basso rischio istantaneo di diffusione e gravità della malattia, mentre per un punteggio >10, la gravità e la diffusione sono considerate elevate. L’algoritmo deve essere ricalcolato frequentemente, poiché i miglioramenti o i nuovi picchi di infezione possono modificare il risultato. Il CoSS viene attualmente calcolato giornalmente ed è disponibile sul sito internet indipendente (https://covid19.intelworks.io, pagina 2). È intuitivo che le misure che devono essere adottate nella fase 2 dovranno essere proporzionali allo stato di densità COVID-19, e che in un futuro si potrà dover considerare un aggiornamento delle soglie attualmente proposte o l’implementazione di nuovi indici di rischio.

COME RICONVERTIRE UN’UNITÀ O UN OSPEDALE COVID

Vi è una sola parola: sicurezza. Sicurezza per i pazienti, per gli operatori sanitari per chiunque si trovi all’interno di un ospedale. Di seguito riportiamo i concetti che riteniamo debbano ispirare la fase 2 al fine di riconvertire in maniera adeguata e sicura un’unità o un ospedale COVID

a) Differenziare gli ospedali in COVID-19 free e COVID-19 dedicati.

b) Separare le aree (bianco, rosso, grigio).

c) Separare completamente i percorsi.

Se nella fase 1 abbiamo suggerito di creare ospedali dedicati al COVID-19, in questa nuova fase, questo processo deve essere gradualmente invertito. Ora, l’obiettivo principale deve essere quello di evitare un nuovo picco di diffusione dell’infezione e conseguentemente un nuovo rapido sovraccarico del Sistema Sanitario Nazionale.

Innanzitutto bisognerebbe inizialmente considerare di creare ospedali COVID-19 dedicati e ospedali COVID-19 free8. Ovviamente, dato che questa netta separazione non è sempre realizzabile, bisognerà prevedere che alcuni ospedali debbano prendersi cura allo stesso tempo di tutte le categorie di pazienti. A tal riguardo, quindi, sarà necessario identificare e separare le aree di un ospedale, assegnando a ciascuna un diverso colore: bianco, COVID-19 free; rosso, COVID-19 dedicato; grigio, per pazienti il cui stato COVID-19 non è stato ancora determinato.

Ovviamente, nell’ospedale COVID-19 free, le aree si ridurranno a due: area bianca e area grigia per chi deve essere ancora catalogato. In questo, l’area grigia diventa strategica per evitare di ricoverare erroneamente pazienti positivi e quindi generare una nuova diffusione del virus all’interno dell’ospedale. Nelle zone grigie, le precauzioni e i metodi di isolamento devono necessariamente coincidere con quelle delle aree rosse. Una volta identificato il paziente come COVID-19 negativo, il paziente verrà trasferito dalla zona grigia all’area appropriata dell’ospedale, mantenendo comunque la sorveglianza attiva per il rilevamento precoce dei sintomi più frequenti di COVID-19.

Durante la fase 2, gli ospedali che in precedenza erano dedicati totalmente o principalmente a COVID-19 ridurranno gradualmente aree e letti dedicati a questi pazienti, pur mantenendo disponibilità di letti per poter ospitare una nuova recrudescenza dell’infezione; quando possibile, i pazienti positivi al COVID-19 durante questa fase devono essere raggruppati in un edificio separato o in un’ala separata dell’ospedale mantenendo elevati gli standard di assistenza. Allo stesso tempo, le aree ospedaliere liberate progressivamente dai pazienti positivi al COVID-19 devono essere sanificate prima di ripristinare l’accesso di pazienti negativi al COVID-19.

All’inizio dell’epidemia, i criteri epidemiologici per determinare lo stato positivo o negativo dei pazienti, basati sul contatto da persona a persona, si sono rivelati molto importanti10; tuttavia successivamente, con la massiccia diffusione dell’infezione, a questi si sono aggiunte le diagnostiche. Oggi lo screening per COVID-19 include tampone nasofaringeo e spesso tomografia computerizzata (TC) del torace11, insieme ad un’accurata anamnesi del paziente.

È in via di valutazione anche un’applicazione digitale, che condivide informazioni sullo stato di infezione di ciascun cittadino. Questa potrebbe essere utile per mantenere il controllo sulla diffusione del virus12. Inoltre, una volta dimostrata una buona specificità dei nuovi esami sierologici, il loro uso su larga scala potrà forse consentire una diagnosi più accurata e rapida e conseguentemente minor rischio di diffusione dell’infezione13.

Qualora i pazienti cardiochirurgici COVID-19 negativi fossero ricoverati in ospedali COVID-19 dedicati, essi dovranno essere gestiti in un’area bianca, prima del trasferimento negli ospedali che si occupano di cardiochirurgia. Inoltre, dovremmo identificare cliniche di riabilitazione e ambulatori in cui indirizzare i pazienti COVID-19 positivi per riabilitazione postoperatoria o respiratoria. Allo stesso modo, sarebbe auspicabile avere una riabilitazione differenziata per i pazienti COVID-19 negativi, sia in ospedali COVID-19 free sia nelle area bianche di ospedali con gestione mista.

Sulla base di quanto detto le direzioni sanitarie dovranno decidere quali reparti riaprire prima, preferibilmente valutando il volume dei pazienti del singolo centro nella specifica specialità. A tal proposito potrebbe essere utile disporre di una normativa regionale per gestire il numero di letti per specialità. Per riorganizzare correttamente gli ospedali è dunque necessaria una pianificazione coordinata nazionale e regionale in modo da predeterminare quali ospedali saranno COVID-19 free e quali dedicati.

Tra le misure regionali, sarebbe auspicabile quella di creare centri “hub COVID-19”, nei quali convogliare i pazienti positivi in modo da aumentare gradualmente la disponibilità degli ospedali COVID-19 free e concentrare in aree o ospedali dedicati i pazienti COVID-19.

COME PROTEGGERE IL PERSONALE SANITARIO

Rischi del personale sanitario

È importante riconoscere che uno dei principali problemi della fase 2 riguarda la ripresa delle cure ambulatoriali e delle procedure chirurgiche e interventistiche elettive. Tenendo in considerazione questo, il problema della protezione e della sicurezza per il personale sanitario diventa prioritario. Infatti, dall’inizio della diffusione del COVID-19 in Italia, più di 10 000 tra i lavoratori in ambito sanitario sono stati infettati, e circa 40 infermieri e 165 medici sono deceduti (dati aggiornati al 26/05/2020)14. La categoria più vulnerabile è risultata quella dei medici di famiglia, seguita dagli infettivologi e dai pneumologi, mentre solo il 6% degli anestesisti e chirurghi sono stati infettati dal COVID-19. Infine, è importante evidenziare che tra i medici in pensione che si sono offerti volontariamente di rientrare in servizio durante l’emergenza COVID-19, 15 (10%) sono deceduti a causa del virus (dato proveniente dall’Ordine dei Medici)14.

Utilizzo dei dispositivi di protezione individuale

Diverse organizzazioni governative e professionali hanno pubblicato le linee guida sull’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI) durante la pandemia COVID-1915. Inoltre, i passaggi per la vestizione e svestizione dei DPI per la prevenzione del contatto aereo, sono stati chiaramente descritti per la gestione di pazienti infetti (da COVID-19 così come da altri microrganismi altamente virulenti) nel contesto dei reparti di degenza o di pronto soccorso16. Tuttavia, mancano delle linee guida condivise in merito alla gestione dei DPI in ambiente sterile (sala operatoria, sala di emodinamica o di elettrofisiologia).

Differenti tipi di DPI, con protezione di grado crescente, dovrebbero essere utilizzati in presenza di pazienti negativi, sospetti o confermati per COVID-19, che devono essere sottoposti ad interventi chirurgici. In caso di intervento chirurgico su pazienti COVID-19 positivi, sono raccomandati i DPI N95. Il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) riferisce che l’utilizzo delle maschere N95 è sicuro fino a 8 h e incoraggia l’uso della visiera di protezione sopra la maschera N95 per diminuire il rischio di contaminare la maschera stessa. Se già durante l’inizio della pandemia l’approvvigionamento di DPI adeguati è stato un fattore critico in molte strutture ospedaliere, con l’aumento delle procedure chirurgiche e interventiste durante la fase 2 diventerà fondamentale garantire rifornimenti adeguati di mascherine ed equipaggiamento di protezione, specialmente negli ospedali delle zone più critiche ad alto volume procedurale. Diventa quindi fondamentale implementare alcune strategie di politica sanitaria quali: la corretta pianificazione dei DPI necessari per ogni unità operativa; il riutilizzo limitato delle maschere N95, ove possibile; la stratificazione del rischio degli operatori sanitari, riservando l’utilizzo dei DPI più protettivi per il personale sanitario a rischio più alto di contrarre COVID-19; infine l’implementazione della formazione del personale sanitario con training adeguati sui vari DPI così come sulle procedure di vestizione e svestizione17,18.

Problemi di rischio specifici per gli operatori

I meccanismi più comuni di trasmissione del SARS-CoV-2 (trasmissione aerea e aerosolizzazione di particelle) costituiscono un pericolo importante per il personale chirurgico. Questi pericoli aumentano con le procedure che coinvolgono le alte vie aeree (come l’intubazione endotracheale e la tracheostomia) o la gestione e aspirazione di fluidi corporei. I chirurghi e il personale non coinvolto durante l’intubazione devono rimanere fuori dalla sala operatoria fino a quando le procedure di anestesia sono state completate. Inoltre, il personale in sala deve essere ridotto al minimo e deve essere vietato l’ingresso a visitatori e osservatori. Il bisturi elettrico o quello ad ultrasuoni possono produrre facilmente grandi quantità di fumo, nel quale i componenti del virus possono rimanere in sospensione18,19. Per queste ragioni, sono raccomandati l’utilizzo di aspiratori di fumo e l’implementazione di sale operatorie a pressione negativa quando disponibili. Infine anche l’approccio mini-invasivo (laparoscopia e/o toracoscopia) può comportare un rischio infettivo maggiore per l’equipe operatoria, in quanto l’aerosol formato durante l’intervento tende a concentrarsi di più in cavità chiuse20.

Gestione e rotazione delle equipe

Il rischio che anche i medici che vengono in contatto con pazienti COVID-19 positivi possano infettarsi è assolutamente concreto, come ampiamente dimostrato dalla letteratura disponibile, e dipende da diversi fattori quali il tipo di invasività delle cure, l’uso scorretto dei DPI (soprattutto nelle pause) e la mancata aderenza alle linee guida ospedaliere. Per questo motivo, ogni centro dovrebbe pianificare attentamente la corretta turnazione delle equipe, in modo da diminuire il carico di lavoro, consentendo adeguati turni di riposo che permettano una riduzione degli incidenti professionali da stress o stanchezza. Le discussioni cliniche dei casi e i meeting multidisciplinari dovrebbero essere ridotti al minimo ed eventualmente condotti il più possibile a distanza utilizzando adeguate piattaforme online. Infine, bisogna prestare attenzione ai lavoratori che sono a maggior rischio di complicanze relative al COVID-19, per la presenza di fattori di rischio noti (età >55 anni, ipertensione, diabete, ecc.) ed eventualmente fornire loro mansioni a minor rischio di infezione.

Mantenere al sicuro la famiglia del personale sanitario

Proteggere i familiari del personale sanitario di ritorno a casa, dopo essersi presi cura di pazienti affetti da COVID-19 può avere grandi implicazioni psicologiche. Si dovrebbero applicare alcune semplici regole:

1) Il virus SARS-CoV-2 può sopravvivere su alcune superfici per molte ore, e in alcuni contesti sperimentali fino a 72 h21, o perfino di più a seconda delle caratteristiche della superficie, temperatura della stanza e umidità; per questo la contaminazione virale di oggetti di vita quotidiana è un possibile veicolo pericoloso di trasmissione dell’infezione.

2) Tenere soluzioni disinfettanti e/o guanti monouso durante i contatti con l’esterno, come bancomat, distributori, pompe di benzina e trasferimento di oggetti al momento dell’acquisto.

3) I telefoni cellulari dovrebbero essere puliti di frequente prima, durante e dopo attività ospedaliere, o possibilmente utilizzare un sacchetto di plastica come ulteriore protezione, o ancor meglio non portati all’interno dell’ospedale, anche se quest’ultima opzione risulta agli scriventi di difficile applicazione.

4) Considerare il cambio e il lavaggio dei vestiti quando si ritorna a casa, se possibile ridurre il contatto fisico con i familiari e lavarsi le mani frequentemente.

Infine, varie organizzazioni pubbliche e private hanno reso disponibili stanze d’albergo o appartamenti per il personale sanitario impegnato nella cura dei pazienti COVID-19 che non può o preferisce non tornare a casa in seguito alla cura dei malati, specialmente in caso di sintomi sospetti o febbre.

QUANDO OPERARE UN PAZIENTE E COME SOTTOPORLO A SCREENING PRIMA DELL’INTERVENTO CHIRURGICO

Tutti i pazienti COVID-19 positivi che necessitano di un trattamento cardiochirurgico devono essere posticipati, qualora possibile, fino alla seconda determinazione negativa del tampone nasale o fino alla completa guarigione della polmonite correlata al virus, se presente. I risultati dell’intervento cardiochirurgico nei pazienti positivi al COVID-19 non sono ancora chiari, ma ci sono segnalazioni di prognosi infauste di pazienti COVID-19 positivi, o divenuti positivi nel corso della degenza sottoposti ad interventi chirurgici in generale22.

Vi sono inoltre segnalazioni aneddotiche di esiti infausti per pazienti cardiochirurgici COVID-19 positivi al momento dell’intervento, e lo stesso dicasi per quei pazienti sottoposti ad intervento cardiochirurgico con un tampone negativo, ma che si sono positivizzati nel periodo perioperatorio.

Per quanto riguarda i pazienti elettivi COVID-19 negativi, prima di tutto dobbiamo definire cosa si deve a nostro giudizio intendere per paziente COVID-19 negativo. Suggeriamo quindi di definire un paziente COVID-19 negativo quando si verificano le seguenti condizioni:

• Auto-isolamento a domicilio per 14 giorni prima dell’intervento.

• Nessun contatto in anamnesi per 14 giorni con familiari o alter persone che siano COVID-19 positive.

• Assenza di: tosse, faringodinia, anosmia, disgeusia e temperatura corporea >37.5°C.

• Parametri clinici e laboratoristici nei limiti di normalità, tra cui saturazione arteriosa di ossigeno in aria >94% (a meno che non vi siano pregresse patologie polmonari), apiressia, conta leucocitaria e linfocitaria nei limiti, normalità dei parametri infiammatori e dei test di funzione epatica.

• Due risultati negativi consecutivi, eseguiti con un intervallo almeno di 24 h al tampone nasofaringeo ed orofaringeo per COVID-19 (da notare come questa diagnostica produca talora dei falsi negativi).

• TC polmonare nei limiti di normalità.

L’impiego della TC polmonare è da noi ritenuta necessaria al fine di migliorare l’accuratezza e precisione dei tamponi naso- ed orofaringei nei pazienti asintomatici e soprattutto nelle are con incidenza di COVID-19 elevata11 dal momento che proprio i pazienti asintomatici sono quelli che contribuiscono significativamente alla diffusione della malattia7. Tuttavia, con la progressiva riduzione dell’impatto della pandemia sulla popolazione, e in considerazione del probabile avvento di nuove modalità di test nella pratica clinica (test sierologici), è possibile che l’esecuzione della TC del torace non sia più necessaria. I pazienti che rispondono ai criteri sopra riportati potranno essere trattati nelle aree “bianche”; d’altro canto, i pazienti che necessitino di cure cardiochirurgiche o chirurgiche o invasive in generale in stato di urgenza e di emergenza dovranno essere ammessi nelle zone “grigie” dell’ospedale ed isolati. Qualora vi fosse il tempo di accertare lo stato negativo del paziente attraverso l’esecuzione dei test di screening, l’esecuzione dei test dovrebbe essere prioritaria ed i pazienti dovrebbero essere valutati di conseguenza. In caso contrario, i pazienti dovranno essere trattati come COVID-19 positivi nelle zone rosse dell’ospedale. Ogni paziente dovrà essere valutato mediante Heart Team per le possibili opzioni di trattamento.

QUALI PAZIENTI OPERARE?

Il problema principale nella fase 2 sarà probabilmente la paura dei pazienti di contrarre il COVID-19 durante il ricovero in ospedale in attesa della procedura cardiochirurgica.

Sono stati segnalati diversi casi di pazienti che presentavano una sindrome coronarica acuta con sopraslivellamento del tratto ST che hanno ritardato molto prima di rivolgersi al pronto soccorso con un aumento sia del tasso di mortalità che di complicanze come il difetto interventricolare post-infartuale23.

Nella fase 2, oltre ai casi urgenti/emergenti, i primi pazienti ad essere arruolati per essere sottoposti ad intervento cardiochirurgico dovranno essere quelli classificati in Classe A:

1) Rivascolarizzazione miocardica: in pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST o con malattia coronarica stabile, senza angioplastica coronarica ad hoc, che mostrano sintomi gravi (classe Canadian Cardiovascular Society 3), lesioni a rischio (malattia dei tre vasi o dell’arteria discendente anteriore prossimale) o con funzione ventricolare depressa24.

2) Chirurgia valvolare: in pazienti con insufficienza o stenosi severa e insufficienza cardiaca, nonostante terapia medica ottimale25.

3) Intervento combinato di bypass aortocoronarico e chirurgia valvolare: in pazienti con sintomi gravi, nonostante terapia medica ottimale24.

4) Trattamento chirurgico dell’endocardite infettiva26:

a) Endocardite su valvola nativa o protesi valvolare, mitralica o aortica, con rigurgito acuto severo o con ostruzione o fistola, che presenta sintomi e segni di scompenso cardiaco

b) Endocardite da funghi o organismi multi-resistenti

c) Endocardite causata da stafilococchi o batteri gram-negativi

d) Infezione localmente non controllata (ascesso, pseudoaneurisma, fistola, vegetazioni di grandi dimensioni)

e) Emocolture positive persistenti nonostante un’adeguata terapia antibiotica.

5) Chirurgia aortica: nei pazienti con aneurisma dell’aorta ascendente di dimensioni >6 cm, dove il rischio di rottura o dissezione aumenta esponenzialmente27.

CONCLUSIONI

L’interruzione delle attività cardiochirurgiche elettive durante la pandemia COVID-19 è stata necessaria per aumentare la disponibilità di letti in terapia intensiva e gestire il carico crescente di pazienti positivi a COVID-19 con grave insufficienza respiratoria. I cardiochirurghi di tutto il mondo sono stati estremamente collaborativi durante questa drammatica pandemia. Ora è il momento di dare forma ad una ripresa progressiva della nostra attività quotidiana e il mantra che ci dovrà guidare deve essere “sicurezza per tutti”: sicurezza per i nostri pazienti e sicurezza per noi stessi. Questa sarà la nostra sfida per il prossimo futuro.

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