Terapia antitrombotica dopo sindrome
coronarica acuta: come identificare il paziente
PEGASUS ed il paziente COMPASS

Leonardo De Luca

U.O.C. Cardiologia, Ospedale San Giovanni Evangelista, Tivoli (RM)

Although having different rationales and purposes, the PEGASUS-TIMI 54 and COMPASS trials present various points of contact and, especially after the first recommended year of dual antiplatelet therapy (DAPT) from an acute coronary syndrome, pose the clinical question of whether DAPT should be prolonged (PEGASUS strategy) or aspirin should be maintained by combining rivaroxaban 2.5 mg bid (COMPASS strategy). In this review, we try to trace the PEGASUS and COMPASS patient’s profile by analyzing the design of each study with their inclusion/exclusion criteria, the main subanalyses and the real-world studies recently published in this setting.

Key words. Acute coronary syndrome; Chronic coronary syndrome; COMPASS; Myocardial infarction; PEGASUS; Rivaroxaban; Ticagrelor.

GLI STUDI A CONFRONTO: UN COLPO D’OCCHIO

Benché siano studi diversi, nati con razionali e finalità differenti, il trial PEGASUS-TIMI 54 (Prevention of Cardiovascular Events in Patients with Prior Heart Attack Using Ticagrelor Compared to Placebo on a Background of Aspirin-Thrombolysis in Myocardial Infarction-54)1 ed il trial COMPASS (Cardiovascular Outcomes for People Using Anticoagulation Strategies)2 presentano vari punti di contatto e, specialmente dopo il primo anno raccomandato di duplice terapia antiaggregante (DAPT) da una sindrome coronarica acuta, pongono il clinico davanti al quesito se prolungare la DAPT (strategia PEGASUS) o mantenere l’aspirina (ASA) associando rivaroxaban 2.5 mg bid (strategia COMPASS). Ricapitoliamo brevemente il disegno e i risultati principali dei due studi.

Il PEGASUS è uno studio di superiorità in doppio cieco che ha valutato l’efficacia di una strategia di DAPT (ASA 100 mg/die + ticagrelor), in pazienti con pregresso infarto del miocardio (IM) a distanza di almeno 1 anno ed entro 3 anni dall’evento acuto1. Lo studio, che ha coinvolto oltre 1000 centri di 31 paesi, ha arruolato 21 162 pazienti con almeno uno dei seguenti fattori di alto rischio: età ≥65 anni, diabete in terapia farmacologica, IM ricorrente, malattia multivasale o insufficienza renale cronica1 (Tabella 1). I pazienti sono stati randomizzati a ricevere ticagrelor alla dose di 90 mg bid o 60 mg bid o placebo in aggiunta ad ASA a basso dosaggio. L’endpoint primario di efficacia era rappresentato da un composito di eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE), quali morte cardiovascolare (CV), IM o ictus, mentre l’endpoint primario di sicurezza comprendeva episodi di sanguinamento maggiore secondo la classificazione TIMI1. Osservando i risultati con ticagrelor 60 mg bid (unico dosaggio sottoposto ad approvazione) vs placebo si può riassumere che esso ha ridotto l’endpoint primario, l’incidenza di IM e ictus, ma senza alcun vantaggio in termini di mortalità totale e CV, con un concomitate aumento dei sanguinamenti maggiori TIMI, ma senza alcuna differenza nei sanguinamenti fatali, emorragie intracraniche o sanguinamenti sintomatici in organi critici3,4 (Tabella 2).




Il trial COMPASS è uno studio di superiorità in doppio cieco che ha confrontato rivaroxaban (2.5 mg bid) in associazione ad ASA 100 mg/die o il solo rivaroxaban 5 mg bid vs ASA 100 mg/die in pazienti con coronaropatia (CAD) stabile o arteriopatia periferica (PAD)2. Nel trial COMPASS, la CAD era definita come pregresso IM o storia di angina con evidenza di CAD multivasale o rivascolarizzazione. Tali pazienti dovevano inoltre presentare età >65 anni o età <65 anni con CAD bivasale o almeno due fattori di rischio aggiuntivi tra fumo, diabete mellito, disfunzione renale (filtrato glomerulare stimato <60 ml/min), scompenso cardiaco (classe NYHA I-III) e storia di ictus ischemico non lacunare2 (Tabella 1). Il COMPASS ha arruolato circa 27 395 pazienti in oltre 600 centri di 33 paesi del mondo. Di questi pazienti, il 90.5% presentava una CAD ed il 69% di questi una storia di pregresso IM, perlopiù tra 2 e 5 anni o >5 anni dall’evento infartuale (in media circa 7 anni). L’endpoint primario di efficacia era identico a quello del PEGASUS mentre l’endpoint primario di sicurezza era basato sui criteri modificati dell’International Society on Thrombosis and Haemostasis, un composito di eventi emorragici fatali, sanguinamenti sintomatici in un organo critico, sanguinamenti in sede chirurgica che richiedessero il reintervento e sanguinamenti che potessero indurre al ricovero. A seguito della prima analisi programmata dei dati, il Comitato Indipendente di Monitoraggio dei Dati ha raccomandato allo Steering Committee di terminare anticipatamente lo studio, dato il raggiungimento dei criteri di superiorità prespecificati per l’endpoint primario a favore del braccio rivaroxaban 2.5 mg bid (unico dosaggio sottoposto ad approvazione) più ASA rispetto alla sola ASA2. Nel sottogruppo prespecificato di pazienti con CAD, i risultati ottenuti dalla combinazione rivaroxaban 2.5 mg bid/ASA sono risultati assolutamente consistenti con la popolazione globale del COMPASS per quanto riguarda l’endpoint primario combinato (hazard ratio [HR] 0.74, intervallo di confidenza (IC) 95% 0.65-0.86; p<0.0001), con riduzione altamente significativa dell’ictus (ma non dell’IM) ed anche di tutti gli endpoint secondari prespecificati, inclusi mortalità CV, mortalità coronarica, mortalità totale e mortalità non-CV5. Anche per questa strategia si è registrato, come atteso, un aumento delle emorragie maggiori (perlopiù in sede gastrointestinale) rispetto al placebo, senza alcuna differenza nei sanguinamenti fatali, emorragie intracraniche o sanguinamenti sintomatici in organi critici2,5,6 (Tabella 2). A differenza del PEGASUS, l’incremento delle emorragie maggiori si è registrato quasi esclusivamente nel primo anno di trattamento (nel PEGASUS, come in tutti i trial sulla DAPT a lungo termine, l’incidenza dei sanguinamenti è risultata essere costante nel tempo di follow-up)6,7.

Volendo cercare una prima identificazione dei pazienti PEGASUS e COMPASS si potrebbero quindi tenere in considerazione le tempistiche dall’IM ed i criteri di inclusione/esclusione dei rispettivi studi. Il PEGASUS contempla i primi 3 anni dall’IM mentre il COMPASS non ha tempistiche designate dall’IM, sebbene la media temporale dall’evento infartuale sia più tardiva rispetto al PEGASUS. Guardando i criteri di inclusione degli studi (Tabella 1) si deduce che il COMPASS presentava criteri di arruolamento più ampi per cui, volendo semplificare, esso abbraccia ed ingloba quasi del tutto la popolazione PEGASUS. Difatti, in un’analisi del registro francese FAST-MI che ha valutato l’applicabilità esterna del trial COMPASS, in più dell’80% dei casi selezionati vi era una sovrapposizione tra pazienti eleggibili al PEGASUS ed al COMPASS. Per tali motivi, abbiamo bisogno di altri criteri per distinguere il profilo dei pazienti PEGASUS e COMPASS8.

LE LINEE GUIDA

Le linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC), basandosi sulle evidenze disponibili, non tracciano un identikit del paziente PEGASUS o COMPASS9,10.

Il focused update dell’ESC sulla DAPT e documenti di consenso suggeriscono di considerare il proseguimento della DAPT oltre 1 anno nei pazienti con un DAPT score ≥210,11. Il DAPT score è stato derivato da una popolazione di 11 648 pazienti arruolati nel trial DAPT e inizialmente validato in 8136 pazienti arruolati nello studio PROTECT (Patient-Related Outcomes With Endeavor vs. Cypher Stenting)12. Dopo aver attribuito un punteggio relativo a 9 fattori (età, scompenso cardiaco/bassa frazione di eiezione, stent su graft venoso, IM alla presentazione, pregresso IM o angioplastica coronarica [PCI], diabete mellito, diametro dello stent ≤2 mm), si è osservato che coloro che presentavano un DAPT score ≥2 beneficiavano del prolungamento della DAPT a 30 mesi, in termini di bilanciamento rischio/beneficio (number needed to treat =34 con number needed to harm =272)12. Purtuttavia, questo score non ha mostrato di essere generalizzabile a popolazioni di “real world”13,14. Recenti studi su ampie popolazioni di registri svedesi e israeliani hanno infatti dimostrato che il DAPT score non è in grado di discriminare adeguatamente il rischio ischemico da quello emorragico tra i pazienti trattati con DAPT prolungata o meno13,14.

Le più recenti linee guida ESC sulle sindromi coronariche stabili genericamente raccomandano di considerare di aggiungere all’ASA un antiaggregante (strategia PEGASUS: pazienti post-IM che hanno ben tollerato la DAPT per il primo anno) o rivaroxaban 2.5 mg bid (strategia COMPASS: pazienti post-IM >1 anno o pazienti con CAD multivasale) dopo 1 anno dall’IM nei pazienti a rischio elevato di eventi ischemici, in assenza di elevato rischio emorragico (classe di raccomandazione IIaA)9. Tali strategie possono essere considerate anche nei pazienti a rischio moderato di eventi ischemici, in assenza di elevato rischio emorragico (classe di raccomandazione IIbA)9.

Ancora una volta l’identikit appare quantomeno sfumato.

I SOTTOSTUDI DERIVATI DAI TRIAL: ALLA RICERCA DEL PAZIENTE IDEALE

Diversi studi hanno dimostrato la consistenza dei risultati ottenuti nel PEGASUS, anche in diversi sottogruppi di pazienti ad elevato rischio di eventi ischemici ricorrenti3,15-18. Il primo importante sottostudio del PEGASUS è stato quello che ha valutato l’impatto in termini di MACE dall’interruzione della DAPT alla randomizzazione19. Questo studio ha suggerito che se la DAPT con ticagrelor 60 mg bid veniva iniziata entro 1 mese dalla sospensione della DAPT vi era un maggiore guadagno in termini di MACE rispetto alla ripresa della DAPT ad intervalli temporali maggiori19. Questo fa supporre che la prosecuzione della DAPT con ticagrelor 60 mg bid dopo il primo anno raccomandato di DAPT può costituire una valida strategia e sicuramente presenta un maggior beneficio clinico rispetto alla ripresa della DAPT dopo diversi mesi dalla sospensione della stessa. Altre analisi20 hanno successivamente suggerito che la strategia PEGASUS è costo-efficace soprattutto nei pazienti con rischio molto elevato, inclusi quelli con eventi ischemici ricorrenti, malattia multivasale, diabete mellito, disfunzione renale e PAD (in quest’ultimo sottogruppo un’analisi post-hoc ha dimostrato anche un beneficio in termini di mortalità16). Un’altra analisi post-hoc, con diversi limiti metodologici, ha recentemente dimostrato un particolare beneficio in termini di MACE (7.9% vs 9.6%; HR 0.80, IC 95% 0.70-0.91; p=0.001) e di mortalità totale (HR 0.80, IC 95% 0.67-0.96; p=0.018) nei pazienti PEGASUS con indicazione alla prescrivibilità da parte della European Medicines Agency, ovvero circa la metà della popolazione totale PEGASUS21.

Diverse anche le analisi prespecificate sino ad oggi pubblicate che hanno dimostrato la consistenza dei risultati di efficacia e sicurezza della strategia COMPASS in diversi sottogruppi di pazienti22-24. In una recente analisi, i pazienti COMPASS sono stati stratificati usando due metodiche: lo score di rischio REACH e l’analisi CART (Classification and Regression Tree)24. Secondo lo score di rischio REACH i pazienti definiti ad alto rischio erano quelli con polivasculopatia, storia di scompenso cardiaco o insufficienza renale, mentre quelli secondo l’analisi CART erano quelli polivasculopatici, con storia di scompenso cardiaco o diabete. Tra i pazienti con ≥1 caratteristica di alto rischio, la combinazione rivaroxaban/ASA preveniva 33 eventi vascolari severi ogni 1000 pazienti trattati per 30 mesi24. In un’analisi successiva si dimostrava che la presenza di multipli fattori di rischio (ipertensione, abitudine tabagica, ipercolesterolemia, diabete, indice di massa corporea e livello di attività fisica) all’interno della popolazione COMPASS incrementava i benefici della combinazione rivaroxaban/ASA25. Difatti, la frequenza di eventi ischemici (HR 2.2, IC 95% 1.8-2.6) e di morte CV (HR 2.0, IC 95% 1.5-2.7) era più di 2 volte maggiore nei pazienti con 4-6 rispetto a 0-1 fattori di rischio (p<0.0001)25.

LA PRATICA CLINICA

Studi osservazionali hanno provato a quantificare e meglio identificare le popolazioni dei due trial in un contesto di “real-world practice”. Da dati amministrati francesi collezionati tra il 2005 ed il 2010, sono stati identificati 865 pazienti (55% del totale) “PEGASUS-like” che risultavano essere più anziani e con più comorbilità rispetto alla restante popolazione, risultando in una maggiore incidenza di mortalità per ogni causa e sanguinamenti, ma una simile incidenza di ricorrenza di IM26. Nei 1789 pazienti arruolati nello studio RECLOSE 2-ACS, il rischio di eventi avversi (morte, IM, ictus, o rivascolarizzazioni urgenti) verificatisi dopo 1 anno dall’evento indice aumentava proporzionalmente all’aumentare del numero di fattori di rischio che sono stati considerati criteri di rischio aggiuntivi per l’arruolamento nello studio PEGASUS27.

Lo studio EYESHOT (EmploYEd antithrombotic therapies in patients with acute coronary Syndromes HOspitalized in iTaly) post-IM ha dato numerose risposte sull’attuale pratica clinica e sull’applicabilità dei risultati del PEGASUS nel nostro Paese28,29. Si tratta di un registro prospettico condotto su tutto il territorio nazionale su pazienti gestiti dai cardiologi con storia di IM compresa tra 1 e 3 anni (stessa tempistica del PEGASUS)28. In 3 mesi di arruolamento, sono stati inclusi 1633 pazienti consecutivi (22 mesi di mediana dall’IM): 1028 (63.0%) nel secondo e 605 (37.0%) nel terzo anno dall’IM. In questi pazienti, gli score per la valutazione del rischio ischemico o emorragico ad 1 anno dalla dimissione ospedaliera per IM venivano impiegati in un’assoluta minoranza dei pazienti e per lo più venivano impiegati score mai utilizzati o validati in questo ambito28. La DAPT è stata prolungata oltre il primo anno raccomandato più frequentemente nei pazienti inclusi nel secondo rispetto al terzo anno dall’IM (40% vs 24%; p<0.0001)28. Tra questi, la strategia di DAPT più utilizzata era a base di clopidogrel ed ASA mentre ticagrelor 60 mg bid era impiegato in circa il 6% dei casi28. All’analisi multivariata, il tempo dall’IM (2 vs 3 anni: odds ratio [OR] 2.27, IC 95% 1.79-2.88; p<0.0001) e la storia di PCI con utilizzo di multipli stent (OR 3.46, IC 95% 2.19-5.47; p<0.0001) sono risultati i maggiori predittori indipendenti di persistenza della DAPT29.

L’applicabilità clinica del trial COMPASS è stata testata in alcune popolazioni di registri nazionali o internazionali di pazienti con CAD8,30-32. Un’idea della numerosità dei pazienti di mondo reale simili a quelli arruolati nel COMPASS (applicando i criteri di inclusione/esclusione) si può desumere dalla popolazione inclusa nell’ampio (n=31 873) registro internazionale REACH (REduction of Atherothrombosis for Continued Health) ove i pazienti eleggibili al trial COMPASS sono risultati essere pari al 53% del totale32. Difatti, il 30% dei pazienti presentava criteri di esclusione del COMPASS mentre il 17% non presentava propriamente i suddetti criteri di inclusione. Il maggior criterio di esclusione riscontrato era l’elevato rischio di sanguinamento (51.8%), seguito dall’uso concomitante di anticoagulanti (44.8%), la necessità di DAPT entro 1 anno dall’IM o dalla PCI con impianto di stent (25.9%), la storia di ictus ischemico <1 anno (12.4%) e l’insufficienza renale severa (2.2%)32. Al di là della numerica, espressione della possibile incidenza di pazienti COMPASS nella pratica clinica, è importante sottolineare che i pazienti “COMPASS-eleggibili” nel REACH presentavano un’incidenza annuale di eventi compresi nell’endpoint primario (IM, ictus, morte CV) più alta rispetto a quella osservata nel trial (4.2% vs 2.9% per anno; p<0.001)32, lasciando ipotizzare che i benefici CV osservati nel trial potrebbero essere amplificati in una popolazione di mondo reale. In aggiunta, tutti i pazienti “COMPASS-eleggibili” sono stati successivamente categorizzati secondo i criteri di arricchimento del COMPASS: età >65 anni (81.5%), diabete (41.0%), disfunzione renale moderata (40.2%), PAD (33.7%), abitudine tabagica (13.8%), scompenso cardiaco (13.3%), ictus ischemico (11.1%) e malattia carotidea asintomatica (8.7%)33. Ciascun criterio si associava ad un incremento consistente di eventi ischemici ed emorragici, ma i pazienti con fattori di rischio multipli presentavano un incremento drammatico del rischio ischemico (Figura 1)33.




CONCLUSIONI

Appare impossibile ad oggi identificare chiaramente l’identikit dei pazienti che possono beneficiare maggiormente di una strategia PEGASUS o COMPASS. Ciò che è chiaro è che, al di là degli score derivati dai trial, i candidati ideali alla duplice terapia (antitrombotica o antipiastrinica) sono i pazienti con CAD associata a multipli fattori di rischio, o singoli fattori di elevato rischio (es. diabete mellito, PAD o insufficienza renale moderato-severa), in cui la frequenza di eventi ischemici ricorrenti è di gran lunga superiore a quella di eventi emorragici, con un evidente beneficio in termini di eventi CV avversi, riospedalizzazioni e costo-efficacia.

RIASSUNTO

Benché siano studi diversi, nati con razionali e finalità differenti, il trial PEGASUS-TIMI 54 ed il trial COMPASS presentano vari punti di contatto e, specialmente dopo il primo anno raccomandato di duplice terapia antiaggregante (DAPT) da una sindrome coronarica acuta, pongono il clinico davanti al quesito se prolungare la DAPT (strategia PEGASUS) o mantenere l’aspirina associando rivaroxaban 2.5 mg bid (strategia COMPASS). In questa rassegna si cerca di tracciare l’identikit del paziente PEGASUS e di quello COMPASS ripercorrendo il disegno dei rispettivi studi con i relativi criteri di inclusione/esclusione, le principali sottoanalisi e gli studi di “real world” recentemente pubblicati in questo contesto.

Parole chiave. COMPASS; Infarto miocardico; PEGASUS; Rivaroxaban; Sindromi coronariche acute; Sindromi coronariche croniche; Ticagrelor.

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