“To clip or not to clip” – Altre considerazioni sulla riparazione transcatetere dell’insufficienza mitralica secondaria nei pazienti con insufficienza cardiaca

Lo scorso anno sono stati pubblicati due studi randomizzati sull’impiego della MitraClip nei pazienti con insufficienza mitralica (IM) secondaria a insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta (HFrEF), che hanno dato risultati almeno apparentemente contraddittori1,2. Nel ricercare una chiave interpretativa unificante, la comunità cardiologica si è mostrata più propensa a dar credito al beneficio offerto dalla correzione dell’IM secondaria con MitraClip riscontrato nello studio COAPT che non ai dubbi generati dallo studio MITRA-FR, in accordo con la tendenza diffusa a preferire gli studi con risultati positivi rispetto a quelli con esiti neutri o negativi. Non sembrano fare eccezione, seppure con sfumature diverse, i commenti del clinico3 e dell’interventista4 pubblicati sul numero di aprile di questo Giornale. Le osservazioni che seguono vorrebbero portare l’attenzione degli autori dei commenti e dei lettori su alcuni aspetti morfofunzionali dell’IM secondaria, e su alcune interpretazioni alternative dei risultati dei due trial.

Nei commenti si sottolinea che i pazienti dello studio MITRA-FR avevano una cardiomiopatia più severa (vedi volumetria cardiaca) e un’IM meno grave (vedi orifizio rigurgitante effettivo, EROA) rispetto a quelli dello studio COAPT, e questo giustificherebbe l’impatto trascurabile dell’impianto di MitraClip nel primo studio. Però se si assume che l’IM sia secondaria alla dilatazione ventricolare, viene da chiedersi come sia possibile che a una maggiore dilatazione si associ un minor rigurgito.

Una prima risposta può derivare dall’osservazione che, all’arruolamento, il tasso di impiego di inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina, bloccanti recettoriali dell’angiotensina, o sacubitril/valsartan era superiore nello studio MITRA-FR rispetto al COAPT (83 vs 71.5% nei trattati e 86 vs 63% nei controlli): l’uso più frequente dei trattamenti raccomandati potrebbe aver contribuito a controllare maggiormente la quota dinamica del rigurgito mitralico nei pazienti francesi. A fronte di una diversa gravità della cardiomiopatia, la mortalità a 1 anno era simile nei gruppi di controllo dei due studi (MITRA-FR 22.5%, COAPT 23%), il che rinforza l’ipotesi di una più efficace gestione medica nello studio MITRA-FR rispetto al COAPT.

L’interpretazione del rapporto tra dilatazione ventricolare e grado di IM con il criterio della proporzionalità, proposto dal gruppo di Milton Packer5 e citato nei commenti, è elegante sotto il profilo fisiopatologico, e funzionale al processo decisionale. A coloro che sono interessati agli aspetti eziopatogenetici e morfologici, si può ricordare che non tutte le IM secondarie nascono (o restano) uguali: a valori simili di volume e di frazione di eiezione del ventricolo sinistro possono corrispondere alterazioni morfofunzionali diverse relativamente al rapporto tra asse longitudinale e diametro trasverso, alla deformazione del profilo ventricolare, alla distribuzione dell’ipertrofia, della fibrosi e delle asinergie. Questi e altri fattori, ad esempio le proprietà diastoliche del ventricolo sinistro, e anche le dimensioni, la distensibilità e la contrattilità dell’atrio, e la funzione ventricolare destra, possono influire sulle diverse componenti dell’apparato valvolare (anello, lembi, corde, papillari), sull’entità dell’IM e sulla sua variabilità in rapporto alle condizioni di carico. La natura dinamica dell’IM secondaria è dimostrata dal suo sostanziale azzeramento quando il ventricolo sinistro viene radicalmente decaricato, come accade quasi sempre dopo impianto di un dispositivo di assistenza meccanica. In rari casi, caratterizzati da dilatazione estrema dell’atrio sinistro e dell’anulus, l’IM può persistere anche dopo impianto di dispositivo di assistenza meccanica, e limitarne il beneficio emodinamico6. Altre alterazioni di natura strutturale che più spesso si sviluppano nel contesto dell’IM che definiamo funzionale sono l’allungamento e l’ispessimento dei lembi, la rottura di corde secondarie, le lesioni su base ischemica dei muscoli papillari. Vale ricordare che nello studio EVEREST II, che ha randomizzato i pazienti a correzione percutanea (con MitraClip) o chirurgica dell’IM, i soggetti con valvulopatia strutturale – su base per lo più degenerativa – hanno tratto maggior beneficio dalla procedura transcatetere rispetto a quelli con IM funzionale. È quasi ovvio affermare che quanto più è rilevante la componente strutturale del rigurgito, tanto più è probabile che un trattamento che corregge il difetto valvolare abbia un effetto favorevole sugli esiti clinici e anche sul rimodellamento inverso. Per contro, una volta che la dilatazione ventricolare sia progredita fino all’irreversibilità (per effetto della malattia miocardica, a sua volta aggravata dal sovraccarico di volume generato dal rigurgito mitralico), l’impatto della correzione diretta dell’IM sarà marginale3,7. A sostegno di queste considerazioni si ricorda che il sottogruppo dello studio COAPT con EROA <30 mm2 e volume telediastolico indicizzato >96 ml/m2 non ha tratto beneficio dall’impianto di MitraClip4. Quest’ultimo dato, tra l’altro, indurrebbe a ridimensionare la supposta superiorità tecnica degli sperimentatori americani, che viene più o meno esplicitamente indicata tra i possibili determinanti del diverso impatto del trattamento con MitraClip sugli esiti clinici al di qua e al di là dell’oceano3,4.

Successivamente alla pubblicazione dei trial commentati sul Giornale sono stati presentati i risultati dell’impianto di MitraClip nei pazienti con IM secondaria inclusi negli studi EVEREST II: la casistica (618 pazienti) comprendeva prevalentemente soggetti considerati ad alto rischio chirurgico, arruolati nel registro osservazionale. La mortalità a 1 anno è stata del 24%, simile a quella osservata nei gruppi di controllo degli studi randomizzati e nel gruppo trattato dello studio MITRA-FR, e decisamente superiore a quella del gruppo trattato del COAPT8. Apparentemente, le caratteristiche di base dei pazienti non giustificano questa discrepanza. È lecito pertanto dubitare della generalizzabilità dei risultati del COAPT. Oltre a una selezione molto accurata dei pazienti, il disegno dello studio prevedeva tra l’altro di non modificare la terapia medica durante il follow-up, allo scopo di evidenziare l’effetto incrementale della procedura interventistica: questo rigore metodologico ha consentito di conseguire l’obiettivo con ampio margine, ma può sorgere il sospetto che un beneficio di tale entità sia ottenibile solo all’interno di uno scenario allestito ad hoc. Dal punto di vista dello specialista dell’insufficienza cardiaca, e in accordo con le linee guida, in una condizione intrinsecamente mutevole e influenzata da eventi intercorrenti come l’insufficienza cardiaca cronica, la terapia medica ottimale non è una combinazione stabilita una volta per sempre, ma il risultato dinamico dell’osservazione del paziente nel tempo. Un approccio proattivo all’ottimizzazione della terapia è particolarmente importante quando si rendono disponibili nuovi trattamenti di provata superiorità rispetto al precedente “standard of care”: i pazienti che all’arruolamento assumevano sacubitril/valsartan erano pochi nello studio MITRA-FR (10%) e pochissimi nel COAPT (3.5%). Uno studio su 118 pazienti con HFrEF (frazione di eiezione media 34%) e IM secondaria ha mostrato, a 1 anno, una riduzione del volume di rigurgito, dell’EROA e del volume telediastolico del ventricolo sinistro significativamente maggiore nei soggetti randomizzati a sacubitril/valsartan vs valsartan9. Si potrebbe sostenere che oggi il trattamento interventistico dell’IM secondaria dovrebbe essere considerato (e sperimentato) dopo implementazione e titolazione della terapia con inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina10. Nel frattempo l’ingegneria biomedica appronta nuove tecniche e nuovi dispositivi per la correzione transcatetere dell’IM... e la storia continua.

Maria Frigerio*, Manlio G. Cipriani

Cardiologia 2 – Insufficienza Cardiaca e Trapianto

De Gasperis Cardio Center

ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

*e-mail: maria.frigerio@ospedaleniguarda.it

BIBLIOGRAFIA

1. Obadia JF, Messika-Zeitoun D, Leurent G, at al.; MITRA-FR Investigators. Percutaneous repair or medical treatment for secondary mitral regurgitation. N Engl J Med 2018;379:2297-306.

2. Stone GW, Lindenfeld J, Abraham WT, et al.; COAPT Investigators. Transcatheter mitral-valve repair in patients with heart failure. N Engl J Med 2018;379:2307-18.

3. Senni M, Iacovoni A, Fiocca L. Gli studi MITRA-FR e COAPT: il punto di vista del cardiologo clinico. G Ital Cardiol 2019;20:190-3.

4. Masiero G, Musumeci G. Gli studi MITRA-FR e COAPT: il punto di vista del cardiologo interventista. G Ital Cardiol 2019;20:194-7.

5. Grayburn PA, Sannino A, Packer M. Proportionate and disproportionate functional mitral regurgitation: a new conceptual framework that reconciles the results of the MITRA-FR and COAPT trials. JACC Cardiovasc Imaging 2019;12:353-62.

6. Ammirati E, Musca F, Cannata A, et al. Limited changes in severe functional mitral regurgitation and pulmonary hypertension after left ventricular assist device implantation: a clue to consider concurrent mitral correction? Int J Cardiol 2013;167:e35-7.

7. Badhwar V, Alkhouli M, Mack MJ, Thourani VH, Ailawadi G. A pathoanatomic approach to secondary functional mitral regurgitation: evaluating the evidence. J Thorac Cardiovasc Surg 2019 Jan 26. doi: 10.1016/j.jtcvs.2018.12.102 [Epub ahead of print].

8. Ailawadi G, Lim DS, Mack MJ, et al.; EVEREST II Investigators. One year outcomes after MitraClip for functional mitral regurgitation. Circulation 2019;139:37-47.

9. Kang DH, Park SJ, Shin SH, et al. Angiotensin receptor neprilysin inhibitor for functional mitral regurgitation: PRIME Study. Circulation 2019;139:1354-65.

10. Mullens W, Martens P. Sacubitril/valsartan to reduce secondary mitral regurgitation. Circulation 2019;139:1366-70.