Angioplastica nel paziente stabile:
effetto placebo? Assolutamente no

Carlo Di Mario, Niccolò Chiriatti, Miroslava Stolcova

SOD Interventistica Cardiologica Strutturale, AOU Careggi, Firenze

La cardiologia interventistica non ha mai goduto di ottima stampa. I cardiochirurghi ci vedono come il pericolo pubblico numero uno: medici che pretendono di fare i chirurghi. Gli altri cardiologi, i cosiddetti “cardiologi clinici” (come se gli interventisti fossero cardiologi sperimentali!), pensano di noi l’esatto opposto, ci vedono come chirurghi mascherati. Lo sport preferito di entrambi è l’organizzazione di periodici pogrom, spesso scatenati da quelle che una volta si chiamavano falsità o calunnie e che ora si chiamano “fake news”, ben mascherate da (pseudo-)scienza. I numeri che non tornavano nella metanalisi sugli stent medicati che mostravano una maggiore mortalità rispetto agli stent tradizionali ne sono forse l’esempio più ovvio ma anche trial ben condotti con rigore scientifico subiscono spesso sottili distorsioni nel loro disegno, conduzione o interpretazione finale per servire da argomento a queste velenose caccie all’untore. CAPTURE1 o OAT2 sono buoni esempi di questo secondo tipo di uso strumentale di validi dati scientifici ed ORBITA3 segue questa tradizione consolidata. Probabilmente non molti avrebbero notato un trial di meno di 200 pazienti senza la dignità della pubblicazione su Lancet con l’accompagnamento di un editoriale velenoso4 ripreso con toni denigratori dalla stampa. Si sa che l’angioplastica non salva la vita ma si sperava almeno che questa pratica costosa e non del tutto priva di rischi ne migliorasse la qualità riducendo l’angina. Ora nemmeno questo sembra vero: è tutto effetto placebo! Sarà vero?

Nel trial ORBITA 200 pazienti, arruolati in 5 centri nel Regno Unito, con angina stabile e coronaropatia monovasale (stenosi ≥70%), hanno ricevuto 6 settimane di ottimizzazione della terapia anti-anginosa e sono stati poi randomizzati in proporzione 1:1 a ricevere rivascolarizzazione percutanea con impianto di stent medicato oppure una procedura di angioplastica finta (“sham”) proseguendo de facto con la sola terapia medica. I pazienti sono stati sottoposti a test al treadmill ed eco-stress con dobutamina all’arruolamento e al termine delle 6 settimane di follow-up. L’endpoint primario è stato la differenza del tempo di esercizio al treadmill mentre gli endpoint secondari erano: variazione del picco del consumo di ossigeno (VO2); variazione del tempo al sottoslivellamento del tratto ST di >1 mm; gravità dei sintomi anginosi valutati mediante Canadian Angina Class; limitazione funzionale, persistenza e frequenza degli episodi anginosi valutati con il Seattle Angina Questionnaire; qualità della vita valutata con il questionario EQ-5D-5L; punteggio di Duke e variazione dell’indice di cinesi parietale all’ecocardiografia da stress (peak stress wall motion score index).

I risultati del trial hanno mostrato sostanziale equivalenza nei due gruppi con differenze non significative sia per l’end­point primario (incremento della durata dell’esercizio 28.4 s nel gruppo angioplastica vs 11.8 s nel gruppo placebo, p=0.20) che per buona parte degli endpoint secondari, tranne che per l’indice di cinesi parietale che è risultato significativamente migliorato dall’angioplastica (-0.07, IC 95% –0.11 a -0.04, p<0.0001).

A maggio di quest’anno lo stesso gruppo di autori ha pubblicato un secondo articolo5 in cui viene analizzata l’influenza delle indagini funzionali (riserva frazionale di flusso [FFR] o instantaneous wave-free ratio [iFR]) sugli outcome di pazienti con coronaropatia monovasale stabile. I risultati riportati non soltanto dimostrano come l’indice di cinesi parietale all’ecocardiografia da stress migliori al ridursi dei valori di FFR ed iFR pre-procedura ma confermano anche che l’angioplastica riduce in maniera statisticamente significativa il numero di pazienti sintomatici per angina quando questo è testato con il Seattle Angina Questionnaire.

È sorprendente quanto veloce sia stato l’impatto mediatico di osservazioni che meritano, come tutte le ricerche scientifiche serie e lo studio ORBITA certamente lo è, riflessioni attente e pacate dopo aver digerito i dati di uno studio complesso e certo non privo di limitazioni. Perché mantenere nell’arruolamento i pazienti che divenivano asintomatici dopo incremento di terapia medica? È ovvio che in questi l’angioplastica non poteva ridurre sintomi che non c’erano più (e difatti fare l’angioplastica è contro le linee guida). Perché attendersi incrementi di durata di esercizio poco realistici usando come endpoint primario un test come il treadmill che l’Inghilterra ha cancellato del tutto nel work-out di pazienti con angina stabile? Come mai non si sono fatti, in un trial di dimensioni così piccole, aggiustamenti della randomizzazione per bilanciare i gruppi ed evitare almeno gli squilibri più grossolani nella gravità anatomica o nella capacità funzionale che hanno verosimilmente inquinato il risultato finale? Quando queste osservazioni sono state fatte sullo European Heart Journal6 non da assatanati interventisti ma da esperti di riabilitazione e di statistica, ho sentito divertito di tweet al vetriolo, un cambiamento enorme rispetto all’aplomb delle discussioni scientifiche asettiche del tempo passato. Si parla di estrema polarizzazione della politica ma purtroppo anche noi medici non siamo immuni da questo male sottile che percorre tutta la società civile: insultare l’avversario prima di ascoltare (e capire) i suoi argomenti. Conosco bene la giovane specialista londinese che ha speso più di 3 anni della sua vita a condurre con assoluta dedizione un trial così difficile e impegnativo per i pazienti, la dottoressa Rasha Al-Lamee. Come supervisore fino al mio ritorno in Italia l’ho incoraggiata a raggiungere un traguardo che a molti sembrava impossibile, proteggendola dal rigore di Imperial College che valutava qualsiasi sforamento dai 3 anni del PhD come inaccettabile. Sapendo quanto ama fare lavoro clinico e ricerca nel laboratorio di emodinamica sono sicuro che sarà stata delusa dal vedere che l’endpoint primario era negativo. Sono anche sicuro che sarà stata imbarazzata di sentirsi accusata di glissare sulle limitazioni delle premesse statistiche e sulla solidità dei risultati per sostenere qualcosa che qualsiasi interventista sa essere totalmente privo di senso; il fatto che non vi è miglioramento clinico dopo angioplastica se non per effetto placebo. Basta guardare qualsiasi lavoro, da quelli “negativi” per l’angioplastica7-9 fino allo EuroCTO trial10, per vedere che è vero l’esatto contrario, un robusto miglioramento della classe funzionale di angina a 6-12 mesi, nonostante il cross-over di molti pazienti. È logico attendersi che l’effetto placebo persista per un breve periodo postoperatorio ma in questo studio era stato considerato non etico negare l’angioplastica a pazienti che fossero rimasti sintomatici dopo 1 mese. Il 90% dei pazienti e dei loro medici, quando la randomizzazione è stata aperta ha immediatamente optato per eseguire un’angioplastica, un’osservazione che dice molto su come questi risultati sono stati interpretati dagli stessi colleghi che hanno condotto lo studio. La durata dell’esercizio è ovviamente influenzata da troppi altri fattori per essere un endpoint valido e lo stesso avviene per la Canadian Angina Class, specie partendo da una base di sintomi già ridotti dall’ottimizzazione della terapia pre-randomizzazione. Bastava riportare nel lavoro originario le risposte al più articolato Seattle Questionnaire e la differenza sarebbe stata immediatamente evidente. Bastava riportare non la durata dell’esercizio o le alterazioni elettrocardiografiche al treadmill ma il risultato dell’eco-stress per mostrare differenze significative tra pazienti trattati e non, tanto maggiori quanto più basso era il loro FFR o iFR pre-trattamento5. Questo è forse il messaggio più interessante del lavoro. Le soglie fisse di 0.89 per l’iFR e 0.80 per l’FFR usate come un semaforo rosso o verde per fare o negare la rivascolarizzazione sono prive di senso perché l’ischemia è un continuum e la sicurezza di ottenere un miglioramento anche oggettivo richiede, almeno in pazienti monovasali, soglie più basse. Comprendo il razionale di riportare solo l’informazione che andava in una direzione nel lavoro principale, i titoli ad effetto tipo “L’angioplastica non è meglio del placebo” vendono meglio, anche nel mercato scientifico, di una analisi che tenga conto delle sfumature della realtà clinica. Tenere un po’ di informazione nel cassetto offre anche il vantaggio di ottenere due pubblicazioni al prezzo di una. Peccato che per tutto il mondo della cardiologia e non solo il messaggio di ORBITA è quello unidirezionale del paper di Lancet e ben pochi abbiano notato le rettifiche del secondo articolo su Circulation5.

BIBLIOGRAFIA

1. Umans VA, Kloeg PH, Bronzwaer J. The CAPTURE trial. Lancet 1997;350:445.

2. Hochman JS, Lamas GA, Buller CE, et al.; Occluded Artery Trial Investigators. Coronary intervention for persistent occlusion after myocardial infarction. N Engl J Med 2006;355:2395-407.

3. Al-Lamee R, Thompson D, Dehbi HM, et al.; ORBITA Investigators. Percutaneous coronary intervention in stable angina (ORBITA): a double-blind, randomised controlled trial. Lancet 2018;391:31-40.

4. Brown DL, Redberg RF. Last nail in the coffin for PCI in stable angina? Lancet 2018;391:3-4.

5. Al-Lamee R, Howard JP, Shun-Shin MJ, et al. Fractional flow reserve and instantaneous wave-free ratio as predictors of the placebo-controlled response to percutaneous coronary intervention in stable single-vessel coronary artery disease: physiology-stratified analysis of ORBITA. Circulation 2018 May 22. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.118.033801 [Epub ahead of print].

6. Chaitman BR, Mori Brooks M, Fox K, et al. ORBITA revisited: what it really means and what it does not? Eur Heart J 2018;39:963-5.

7. Boden WE, O’Rourke RA, Teo KK, et al.; COURAGE Trial Research Study Group. Optimal medical therapy with or without PCI for stable coronary disease. N Engl J Med 2007;356:1503-16.

8. Frye RL, August P, Brooks MM, et al.; BARI 2D Study Group. A randomized trial of therapies for type 2 diabetes and coronary artery disease. N Engl J Med 2009;360:2503-15.

9. Hueb W, Lopes N, Gersh BJ, et al. Ten-year follow-up survival of the Medicine, Angioplasty, or Surgery Study (MASS II): a randomized controlled clinical trial of 3 therapeutic strategies for multivessel coronary artery disease. Circulation 2010;122:949-57.

10. Werner GS, Martin-Yuste V, Hildick-Smith D, et al.; EuroCTO Trial Investigators. A randomized multicentre trial to compare revascularization with optimal medical therapy for the treatment of chronic total coronary occlusions. Eur Heart J 2018;39:2484-93.