In questo numero

editoriali




70 Candeline per il Framingham

In questo 2018 di anniversari in Cardiologia non poteva mancare il tributo allo studio di Framingham che in questo mese compie 70 anni godendo ancora di ottima salute. Diego Vanuzzo e Simona Giampaoli ripercorrono in questo editoriale le origini e le tappe evolutive dello studio di Framingham che può essere considerato uno dei fondatori dell’epidemiologia cardiovascolare moderna. Al Framingham si deve l’elaborazione del primo sistema di punteggio per il calcolo del rischio cardiovascolare e grazie al Framingham l’epidemiologia cardiovascolare è diventata patrimonio culturale anche del cardiologo clinico. L’esperienza del Framingham è stata preziosa anche per l’implementazione di studi simili, il Progetto CUORE e l’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare, nella realtà italiana con il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità e la partnership con l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). Questo editoriale vuole essere un tributo anche per uno dei suoi due autori, Simona Giampaoli, Direttore del Dipartimento Cardiovascolare dell’Istituto Superiore di Sanità, che in questo mese lascia la sua attività lavorativa. Una vita dedicata con passione e competenza all’epidemiologia e alla prevenzione cardiovascolare portando l’Italia ai massimi livelli internazionali e soprattutto trasmettendo saperi e metodologie oltre che passione ed entusiasmo, ad un’intera generazione di cardiologi clinici. Tutto questo in un contesto nazionale difficile per la cronica scarsità di fondi per la ricerca, a differenza di quello che è avvenuto negli Stati Uniti per lo studio di Framingham. •




Un cuore in dono: come si è partiti e dove andremo nel trapianto cardiaco

50 anni fa nell’Ospedale Groote Schuur a Cape Town fu eseguito quell’intervento che rappresentava allora nell’immaginario collettivo, e non solo dei chirurghi, la sfida suprema in medicina comparabile in quegli anni alla corsa per raggiungere la Luna. Fu il giovane, capacissimo ed “arrogante” Christiaan Barnard, pur cosciente che mancava ancora la capacità di controllare il rigetto, che il 3 dicembre 1967 sfidò il destino in Sud Africa e, favorito anche da normative legali meno stringenti che negli Stati Uniti, osò eseguire il primo trapianto cardiaco portando così a compimento il grande lavoro preparatorio che la comunità medica e chirurgica aveva iniziato da alcuni decenni. Francesco Musumeci et al.

ripercorrono per noi le tappe dello sviluppo di quello che è stato, pur tra luci ed ombre, uno dei più importanti traguardi della cardiochirurgia che non solo ha avuto straordinari risultati clinici, ma che per la necessità di espianto del cuore ancora battente, ha anche comportato un radicale cambiamento della definizione stessa di vita e morte. Partendo dal racconto degli esordi, sono illustrate con chiarezza quali siano le attuali problematiche dei trapianti cardiaci, quali siano le attuali indicazioni e come si stia cercando di ovviare al numero di organi mai sufficienti rispetto ai potenziali riceventi in attesa. Tra gli sviluppi più notevoli in questo campo vi è stata la messa a punto dei cuori meccanici (dispositivi di assistenza ventricolare sinistra) che per alcuni pazienti possono essere considerati la terapia definitiva dello scompenso cardiaco. Il problema tuttavia non è completamente risolto e molto ancora resta da fare per poter rendere davvero disponibile su larga scala e con basse complicanze un “cuore nuovo” per i cardiopatici. Quale sarà il prossimo passo? •




Pressione arteriosa: più bassa è e meglio è!

L’ipertensione arteriosa sistemica è il più importante fattore di rischio cardiovascolare in termini di morbilità e mortalità, con una prevalenza nella popolazione generale che può raggiungere il 50%. Periodicamente vengono pubblicate delle linee guida internazionali sul trattamento dell’ipertensione arteriosa, nel corso dell’ultimo anno sia quelle americane sia quelle europee, che si distinguono per essere più “aggressive” per aver abbassato i valori target, che identificano elevati livelli di pressione arteriosa, con l’obiettivo di sensibilizzare le persone ad uno stile vita più corretto e in alcuni casi ad un trattamento precoce. Ad oggi si può iniziare a parlare di ipertensione arteriosa per valori di pressione arteriosa sistolica compresi tra 130 e 139 mmHg e diastolica compresi tra 80 e 89 mmHg. Le linee guida raccomandano, per la stratificazione del rischio, un’attenta valutazione del danno d’organo, spesso presente in forma asintomatica, in particolare dell’eventuale concomitanza di ipertrofia ventricolare sinistra o nefropatia, che possono essere agli stadi iniziali, ma comunque presenti. L’editoriale di Paolo Verdecchia et al., rispondendo anche ad altre semplici domande, ci illustra qual è il target pressorio da raggiungere e come impostare il trattamento farmacologico, sempre più orientato all’impiego di combinazioni di farmaci antipertensivi rispetto alla monoterapia, per aumentarne l’efficacia e la rapidità d’azione. •

rassegne




Vaccinazione anti-influenzale per proteggere anche il cuore

Che l’influenza si associ ad un aumento della mortalità soprattutto nella popolazione anziana è acquisizione ben nota. Meno noto è il rischio di eventi cardiovascolari connesso all’infezione da virus influenzale e il ruolo protettivo della vaccinazione anti-influenzale. Gloria Coutsoumbas e Giuseppe Di Pasquale in questa esauriente rassegna fanno il punto sui dati della letteratura che confermano l’associazione tra influenza ed eventi cardiovascolari, in particolare infarto miocardico acuto. Vengono inoltre presentate le evidenze sulla sicurezza della vaccinazione anti-influenzale nei soggetti ad alto rischio cardiovascolare e dopo sindrome coronarica acuta e la sua efficacia nella prevenzione degli eventi coronarici. I benefici della vaccinazione anti-influenzale sono stati dimostrati anche nei pazienti con scompenso cardiaco e verosimilmente esiste un beneficio aggiuntivo della vaccinazione anti-pneumococcica. Queste evidenze sono state recepite dalle principali linee guida cardiologiche ed è auspicabile che la protezione nei confronti degli eventi cardiovascolari possa rappresentare un motivo ulteriore per convincere il cardiologo a raccomandare la vaccinazione anti-influenzale al pari delle altre misure di prevenzione cardiovascolare. •




Rischio emorragico nei pazienti con sindrome coronarica acuta in duplice terapia antiaggregante

Negli ultimi anni si è progressivamente consolidato il concetto che un sanguinamento che si verifichi nel contesto di una sindrome coronarica acuta non è uno spiacevole inconveniente, ma piuttosto un evento che porta con sé rilevanti conseguenze prognostiche, anche sulla mortalità. Il beneficio evidente che si ottiene con un’aggressiva terapia antiaggregante, anche prolungata, e la disponibilità di potenti farmaci antipiastrinici, rendono attuale e pressante la necessità di stratificare al meglio il rischio individuale di emorragia rispetto a quello di recidive ischemiche. La letteratura tuttavia è assai eterogenea, e difformi sono le segnalazioni relative sia all’incidenza di emorragie, che all’utilizzo e alla performance dei vari punteggi di rischio validati in questo conteso clinico. La rassegna di Marco Ferlini et al. affronta estensivamente questa problematica e fornisce indicazioni pratiche per individualizzare in maniera ottimale la terapia antiaggregante piastrinica nel paziente con sindrome coronarica acuta. •




Sindrome coronarica acuta nel paziente anziano: le due facce della stessa medaglia

La gestione della sindrome coronarica acuta nel paziente anziano rappresenta un enigma di difficile risoluzione. In questa rassegna Luca Angelo Ferri et al.

illustrano le principali criticità di fronte alle quali si trova il cardiologo al momento della gestione di questi pazienti. La superiorità del trattamento invasivo rispetto a quello conservativo risulta ormai assodata. Tuttavia, le numerose e spesso gravi comorbilità e la presenza frequente di fragilità e disabilità determinano uno scenario non facile: infatti, se da un lato il rischio trombotico di questi pazienti risulta elevato, dall’altro il rischio di sanguinamento legato alla necessità di duplice terapia antiaggregante non è trascurabile. Dalla presente rassegna emerge la necessità di un accordo unanime sul miglior modo di inquadrare comorbilità, fragilità e disabilità con obiettivo finale la migliore gestione del rischio trombotico ed emorragico nel paziente anziano con sindrome coronarica acuta. •

caso clinico




Tutta colpa degli eosinofili!

Raramente la sindrome coronarica acuta non è secondaria ai comuni fattori di rischio cardiovascolare, quali abitudine tabagica, familiarità, diabete, ipercolesterolemia ed ipertensione arteriosa. Anna Mengoni et al. illustrano il caso di un giovane ragazzo ricoverato per sindrome coronarica acuta con dolore toracico tipico all’esordio, alterazioni ischemiche della ripolarizzazione ventricolare all’ECG e deficit della cinetica segmentaria del ventricolo sinistro all’ecocardiogramma. Il caso si complica con arresto cardiaco da asistolia, prontamente risolto. Alla coronarografia viene documentato un vasospasmo coronarico a carico del ramo interventricolare anteriore e del primo ramo diagonale. L’anamnesi di asma allergico, micronoduli polmonari in follow-up e sinusopatia cronica unitamente al rilievo di ipereosinofilia ha permesso di indirizzare l’orientamento diagnostico verso una vasculite da ipersensibilità ed è stata fatta diagnosi differenziale tra sindrome di Kounis e sindrome di Churg-Strauss. Con l’aggiunta alla terapia convenzionale di un cortisonico, di un antistaminico e in seguito anche di metotrexate, il giovane ragazzo a distanza di circa 3 anni non ha presentato recidive anginose e gli eosinofili si sono mantenuti nel range di normalità. •