In questo numero

editoriale




Il mantra della duplice antiaggregazione è svelato…

La duplice terapia antiaggregante (DAPT), il Mantra, “la formula magica”, per curare la cardiopatia ischemica negli ultimi 20 anni! In tutto questo tempo l’abbiamo somministrata per mesi o per anni, alle sindromi coronariche acute, solo ai pazienti sottoposti ad angioplastica, poi a tutti, qualche volta controllando l’inibizione piastrinica o cercando di studiare la genetica, usando farmaci più o meno potenti, a maggior o minor rischio emorragico, saltando tra l’uno e l’altro, tremando quando dovevamo associare la DAPT agli anticoagulanti, e tant’altro… Miriadi di situazioni e combinazioni terapeutiche da far tremare i polsi anche al Cardiologo più preparato ed aggiornato. Difficile trovare chiarezza in questo campo, Marco Valgimigli ci ha provato con il corposo documento della Task Force ESC del 2017. Guido Parodi et al. vanno oltre e dall’alto della loro esperienza unica ci offrono una sintesi estremamente pratica dei punti più critici del documento. Durata della DAPT, il suo uso nei pazienti anticoagulati o da sottoporre a chirurgia non cardiaca elettiva, come comportarsi di fronte ad un sanguinamento durante DAPT o come passare da un antiaggregante all’altro non hanno più segreti. Pochi commenti da fissare e riportare nella pratica clinica quotidiana. Una volta tanto la “formula magica” sembra svelata… •

cuore e interazioni




Cuore e apparato digerente: vecchie e nuove relazioni

Dopo le interazioni cuore-polmone la nuova rubrica del Giornale “Cuore e interazioni” ospita in questo numero un’altra tematica di rilevanza clinica che è quella delle interazioni tra cuore e apparato digerente.

Claudio Borghi e Enrico Strocchi partono dalla più classica delle interazioni, quella della patologia gastroesofagea quale causa di dolore toracico non coronarico del tutto simile a quello anginoso, che pone talora problematiche di intricata diagnosi differenziale, ma anche di per sé responsabile di insufficienza coronarica. Più recente l’acquisizione della malattia da reflusso gastroesofageo come fattore predisponente alla fibrillazione atriale attraverso un meccanismo patogenetico non ancora del tutto chiarito. Ma la novità sicuramente più rilevante che amplia l’orizzonte delle interazioni tra cuore e apparato digerente è quella dei rapporti tra il microbiota intestinale e le malattie cardiovascolari, non solo aterosclerosi coronarica ma anche ipertensione e scompenso cardiaco. Si tratta di un’associazione mediata da una proteina plasmatica, la trimetilamina-N-ossido (TMAO), che deriva dal metabolismo delle trimetilamine da parte del microbiota intestinale. La nuova frontiera è quella del microbiota intestinale quale possibile nuovo target terapeutico per la prevenzione delle malattie cardiovascolari anche attraverso una sua modificazione vantaggiosa per effetto della dieta mediterranea. •

rassegne




Il cuore e il peripartum

Anche se raramente, nella fase finale della gravidanza e nei primi mesi dopo il parto, le neomamme possono sviluppare una cardiomiopatia (cardiomiopatia peripartum), caratterizzata da disfunzione sistolica del ventricolo sinistro con segni e sintomi di scompenso cardiaco. I sintomi iniziali possono essere mascherati da quelli degli ultimi stadi della gravidanza, come astenia, dispnea o cardiopalmo, per cui vi può essere ritardo nella diagnosi. Per la diagnosi è sufficiente eseguire un esame ecocardiografico, che può rilevare una disfunzione contrattile del ventricolo sinistro o anche biventricolare associata ad una entità di dilatazione ventricolare variabile. Un fattore chiave nella diagnosi differenziale con altre cardiopatie preesistenti misconosciute, slatentizzate dagli adattamenti emodinamici della gravidanza, è la tempistica dei sintomi: lo scompenso cardiaco in questa patologia si manifesta dalla fine del terzo trimestre, mentre nelle cardiopatie preesistenti misconosciute, i sintomi esordiscono prima, nel secondo trimestre di gravidanza quando compaiono i primi adattamenti emodinamici della gestazione. In questa rassegna Angela Beatrice Scardovi e Renata De Maria spiegano che la malattia ha un’eziologia multifattoriale in cui sono coinvolte autoimmunità, stimolazione ormonale, cardiotossicità e forse predisposizione genetica. I fattori di rischio più noti sono la multiparità, l’età della madre oltre 30 anni, l’obesità, il tabagismo, la malnutrizione, l’ipertensione arteriosa e la preeclampsia. La fase acuta della malattia può richiedere l’uso di farmaci inotropi e vasodilatatori, nonché nei casi più gravi di supporto meccanico al circolo. La recente dimostrazione dell’effetto cardiotossico della prolattina aberrante ha indotto a testare con successo l’effetto terapeutico della bromocriptina. La capacità di recupero della funzione ventricolare sinistra varia: si può assistere ad un completo recupero funzionale oppure a scarsa risposta alla terapia farmacologica e sviluppo di cardiomiopatia dilatativa con cronicizzazione dello scompenso cardiaco. Le gravidanze successive sono comunque gravate da un alto tasso di recidive. •




Doppia via nodale: come uscirne

Un “semplice” tracciato elettrocardiografico nasconde una miriade di informazioni che spesso vengono trascurate o che altrettanto spesso sono in grado di generare dell’imbarazzo e della frustrazione nel Cardiologo che vi si trova di fronte. Comprendere i meccanismi che stanno alla base delle alterazioni dell’ECG di superficie risulta di fondamentale importanza, soprattutto per quel che riguarda la conduzione del nodo atrioventricolare. In questa interessante rassegna viene fatta chiarezza sulla cosiddetta “doppia via nodale” mediante la spiegazione dei meccanismi fisiologici che la caratterizzano e i segni elettrocardiografici che ne derivano. Così Marcello Costantini et al. forniscono una guida per farsi strada lungo la doppia via nodale. •

studio osservazionale




Obiettivo ristenosi

Il trattamento delle ristenosi intrastent rappresenta una delle problematiche più indagate nella cardiologia interventistica. L’impianto di stent medicato è diventato il trattamento di scelta per le ristenosi in stent metallico e risulta quello più praticato per le ristenosi in stent medicato e per quelle recidivanti, sebbene esse siano caratterizzate da un substrato più complesso. La ristenosi intrastent è il primo campo di applicazione dei palloni a rilascio di paclitaxel (PCB). Ma qual è il loro profilo di sicurezza nei pazienti “real-world”? Qual è la prognosi a medio-lungo termine? I PCB rappresentano una strategia valida anche per le ristenosi recidivanti? Irene Bossi et al. riportano i risultati dell’esperienza quotidiana con i PCB dimostrandone la validità nell’ambito delle ristenosi, evidenziando come evitare l’impianto di un ulteriore strato di metallo non si associa a una prognosi a medio-lungo termine sfavorevole. •

casi clinici




Quando la terapia è troppo stressante per il paziente: un caso di cardiopatia acuta da stress iatrogeno

La caratterizzazione della sindrome takotsubo (TTS) così come delle forme secondarie di cardiopatia acuta da stress è ormai codificata nonostante l’aspetto più intimamente fisiopatologico non sia ancora ben noto. Che le catecolamine endogene ed esogene abbiano un ruolo è infatti chiaro, ma sicuramente la sola presenza di catecolamine circolanti non è sufficiente a determinare l’insorgenza di TTS. Anche i contesti di insorgenza di tale patologia sono noti, sebbene siano sempre più frequenti le segnalazioni di condizioni cliniche e situazioni trigger inusuali se non anomale. Il caso di Luca Arcari et al. presenta proprio una condizione borderline in cui si verifica la comparsa di una forma secondaria di cardiopatia acuta da stress. In accordo con i criteri diagnostici della Mayo Clinic, l’assenza di lesioni coronariche e di stimolazione aminica esogena sono condizioni fondamentali per poter porre la diagnosi di TTS. Nel caso in oggetto invece il paziente aveva ricevuto la stimolazione con isoproterenolo prima dell’impianto di pacemaker bicamerale e presentava una cardiopatia ischemica cronica già rivascolarizzata. Non trascurabile inoltre che il paziente fosse di sesso maschile, considerato che solo il 5-8% degli uomini presenta cardiopatia acuta da stress. Il caso clinico rappresenta bene quel difficile territorio di confine tra la classica definizione di TTS e una più generale definizione di cardiopatia acuta da stress, nella quale rientrano molti pazienti che ritroviamo spesso nella nostra pratica clinica e che, sebbene non abbiano le caratteristiche nosologiche della TTS, la ricordano perfettamente per presentazione clinica ed evoluzione clinica e strumentale. Probabilmente in questi pazienti è interessante approfondire la ricerca per determinare quali siano i fattori che conducono alla classica cardiopatia ischemica e quali siano invece quelli che conducono alla cardiopatia acuta da stress. •




Sindrome di Kounis e takotsubo: la sottile linea di demarcazione di due entità simili e misteriose

La sindrome di Kounis e la sindrome takotsubo, sebbene si verifichino in contesti clinici differenti, riconoscono molti aspetti comuni. Innanzitutto, in entrambe le sindromi il meccanismo patogenetico è indipendente dalle coronarie e già questo aspetto le rende incredibilmente affascinanti per il Cardiologo che troppo spesso è abituato a cercare nelle coronarie tutte le ragioni dei propri mali. In estrema sintesi la sindrome di Kounis non è altro che l’effetto che sul microcircolo miocardico ha la scarica di mediatori pro-infiammatori in corso di reazione allergica severa o anafilattica. Non c’è quindi un meccanismo coronarico alla base, c’è forse un vasospasmo del microcircolo, ma il danno miocardico è indipendente dalle coronarie epicardiche. Allo stesso modo la patogenesi della sindrome takotsubo è nota nei suoi tratti principali e riconosce assenza di lesioni epicardiche e danno reversibile del muscolo cardiaco. Matteo Bianco et al. mettono a confronto queste due diverse entità nosologiche, presentando il caso di un paziente che a seguito di uno shock anafilattico viene trattato con adrenalina e.v. Il paziente presenterà in seguito importanti alterazioni cardiache sotto il profilo emodinamico e di immagine, ma in assenza di lesioni coronariche. Che nome diamo quindi a questa situazione? È l’effetto delle citochine pro-infiammatorie della reazione anafilattica o l’adrenalina somministrata per curarla? Una risposta immediata non è sicuramente possibile, mentre interessante è l’utilizzo di una metodica troppo spesso poco sfruttata per fare diagnosi in cardiologia: la risonanza magnetica cardiaca. Questo esame infatti consente di entrare in una definizione più strutturale e meno coronarica, fornendo risposte che solo a partire dalla conoscenza delle coronarie non sarebbero possibili. •

statement scientifico




Un aggiornamento completo su una malattia considerata la “Cenerentola” delle cardiopatie: la pericardite

Massimo Imazio e autorevoli colleghi dell’area ANMCO presentano un documento sugli snodi decisionali nella gestione clinica della pericardite. Il documento è articolato sotto forma di quesiti e aiuta il cardiologo a trovare punti fermi su una tematica che spesso presenta difficoltà gestionali anche per le limitate evidenze scientifiche. Fortunatamente negli ultimi anni molto è cambiato: sono stati pubblicati i primi studi epidemiologici, definiti precisi criteri diagnostici, precisi criteri relativi alla decisione di quando ospedalizzare il paziente e condotti studi osservazionali nonché i primi trial sulla terapia medica. Il documento fornisce una panoramica completa sull’argomento. Vi si possono trovare precise informazioni sulle indagini da eseguire per la ricerca della causa eziologica nei diversi contesti clinici, quali la presenza di malattie autoimmuni o autoinfiammatorie, il sospetto di una neoplasia o di tubercolosi, di un’infezione virale o batterica. Chiarisce inoltre quali sono i segni di infiammazione pericardica da ricercare mediante le diverse modalità di imaging, in particolare con le nuove tecnologie quali la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica con gadolinio. Infine fa un precisissimo punto della situazione sulle indicazioni terapeutiche e le modalità di somministrazione nei diversi contesti clinici della terapia antinfiammatoria, con colchicina e steroidea. In particolare fornisce schemi dettagliati sulle dosi, le modalità di associazione dei diversi farmaci, le controindicazioni e le interazioni farmacologiche. Nel complesso questo documento costituisce un ottimo manuale da consultare al bisogno in una patologia ancora poco studiata e che spesso ha connotati di interesse multispecialistico. •