Lo studio FOURIER

Background. Evolocumab è un anticorpo monoclonale in grado di ridurre i livelli di colesterolo LDL in media del 60% attraverso l’inibizione della proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9 (PCSK9), ma non è noto se sia efficace nel prevenire gli eventi cardiovascolari.

Metodi. È stato condotto uno studio controllato randomizzato in doppio cieco che ha arruolato 25 564 pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica e livelli di colesterolo LDL ≥70 mg/dl (1.8 mmol/l) in terapia con statine. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere evolocumab (140 mg ogni 2 settimane o 420 mg al mese) o placebo a dosi equivalenti per via sottocutanea. L’endpoint primario di efficacia era costituito da un composito di morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico, ictus, ospedalizzazione per angina instabile o rivascolarizzazione coronarica. L’endpoint secondario principale di efficacia era rappresentato da un composito di morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico e ictus. La durata mediana del follow-up è stata di 2.2 anni.

Risultati. A 48 settimane, la riduzione percentuale media di colesterolo LDL con evolocumab versus placebo è stata del 59%, passando da un valore mediano al basale di 92 mg/dl (2.4 mmol/l) a 30 mg/dl (0.78 mmol/l) (p<0.001). Rispetto al placebo, il trattamento con evolocumab ha ridotto significativamente l’incidenza sia dell’endpoint primario (1344 pazienti [9.8%] vs 1563 pazienti [11.3%]; hazard ratio 0.85%; intervallo di confidenza 95% [IC] 0.79-0.92; p<0.001) che dell’endpoint secondario principale (816 [5.9%] vs 1013 [7.4%]; hazard ratio 0.80; IC 95% 0.73-0.88; p<0.001). Tali risultati sono stati osservati indistintamente in tutti i sottogruppi di pazienti, compresi quelli nel quartile più basso di colesterolo LDL al basale (mediana 74 mg/dl [1.9 mmol/l]). Non sono state riscontrate differenze tra i gruppi in termini di eventi avversi (incluso il diabete di nuova insorgenza e disturbi neurocognitivi), fatta eccezione per le reazioni al sito di iniezione che sono risultate più frequenti con evolocumab (2.1 vs 1.6%).

Conclusioni. In questo studio, l’inibizione di PCSK9 con evolocumab in pazienti in terapia con statine ha determinato una riduzione del colesterolo LDL a valori mediani di 30 mg/dl (0.78 mmol/l) e una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari. Questi dati indicano che i pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica traggono beneficio da una riduzione del colesterolo LDL al di sotto dei livelli attualmente raccomandati. [N Engl J Med 2017;376:1713-22]

IL PUNTO DI VISTA DI FURIO COLIVICCHI

Il farmaco

Evolocumab (EVO) è un anticorpo monoclonale “completamente” umano, prodotto mediante tecniche di ingegneria genetica1. Dopo la somministrazione per via sottocutanea, EVO si lega ed inattiva una particolare proteina circolante, che ha un ruolo centrale nei complessi meccanismi di modulazione dell’espressione dei recettori epatici per le lipoproteine a bassa densità (LDL): la proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9 (PCSK9)1. Il blocco della proteina PCSK9 si traduce in un rapido rallentamento del turnover dei recettori per le LDL e ne incrementa il numero, inducendo una spiccata riduzione delle concentrazioni plasmatiche di colesterolo LDL (C-LDL)1. In effetti, quando somministrato da solo, EVO è in grado di ottenere una riduzione del 60-70% circa dei livelli di C-LDL, mentre garantisce una riduzione aggiuntiva del C-LDL di circa il 50-60% quando viene impiegato in associazione alla terapia con statine2.

Lo studio e i suoi risultati

Lo studio FOURIER rappresenta la sperimentazione clinica di maggiori dimensioni mai realizzata nel campo delle terapie ipolipemizzanti. Lo studio era finalizzato a verificare l’efficacia di EVO nel ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari avversi in una popolazione di pazienti con evidenza clinica di malattia cardiovascolare aterosclerotica (MCVA), già correttamente trattati con statine3. In pratica, si tratta del primo studio condotto per chiarire se la consistente riduzione di C-LDL ottenuta con un inibitore della proteina PCSK9 fosse in grado di produrre dei reali benefici clinici in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari in una popolazione caratterizzata da un rischio molto elevato. Nei fatti, lo studio, randomizzato e controllato con placebo, ha incluso un campione di oltre 27 500 pazienti (età media 62.5 anni), affetti da MCVA clinicamente stabile (pregresso infarto miocardico acuto, pregresso ictus non emorragico, arteriopatia obliterante periferica sintomatica). Tutti i pazienti inclusi nello studio presentavano un C-LDL >70 mg/dl, con un valore mediano iniziale pari a 92 mg/dl, nonostante una terapia ipolipemizzante con statine. Nel 70% dei casi si trattava di statine ad elevata efficacia e nel 30% di statine ad efficacia moderata, così come definite nelle linee guida dell’American College of Cardiology/American Heart Association del 20134. Solo il 5% dei pazienti riceveva anche ezetimibe. Alla randomizzazione i pazienti venivano assegnati ad un trattamento con EVO (140 mg s.c. ogni 2 settimane o 420 mg s.c. ogni mese, secondo la preferenza del paziente) o con placebo.

Come atteso, l’aggiunta di EVO alla terapia ipolipemizzante già in atto ha determinato una riduzione dei livelli di C-LDL del 59% (riduzione assoluta media di 56 mg/dl). I livelli di C-LDL inizialmente raggiunti durante il trattamento con EVO (valore mediano 30 mg/dl) sono stati mantenuti per tutta la durata dello studio, senza alcuna attenuazione dell’effetto ipocolesterolemizzante durante il follow-up. Questo dato, unitamente al mancato rilievo di anticorpi specifici neutralizzanti anti-EVO nei pazienti inclusi nello studio, conferma l’assenza del rischio di una reazione immune nei confronti del farmaco e garantisce il mantenimento dei livelli di efficacia ipolipemizzante nel tempo5. Infine, nell’87% dei casi trattati con EVO sono stati raggiunti i valori target di C-LDL <70 mg/dl raccomandati nelle linee guida6, mentre nel 42% dei casi il C-LDL è sceso al di sotto di 25 mg/dl.

L’endpoint primario dello studio, di tipo composito, era costituito dall’insieme di mortalità cardiovascolare, infarto miocardico acuto, ictus non fatale, ricovero per angina instabile o rivascolarizzazione coronarica (Tabella 1). Si tratta del medesimo endpoint utilizzato in molti altri grandi studi sull’efficacia delle terapie ipolipemizzanti, come, ad esempio, l’IMPROVE-IT7. Era stato, inoltre, definito un endpoint secondario “chiave”, particolarmente solido, costituito dall’insieme di mortalità cardiovascolare, infarto miocardico non fatale ed ictus non fatale.

Dopo un follow-up mediano di 2.2 anni, 1344 pazienti (9.8%) nel gruppo trattato con EVO e 1563 pazienti (11.3%) nel gruppo placebo hanno presentato uno degli eventi inclusi nell’endpoint primario (hazard ratio 0.85, intervallo di confidenza al 95% 0.79-0.92; p<0.001). Per l’endpoint secondario “chiave” invece gli eventi sono stati 816 (5.9%) nel braccio EVO e 1013 (7.4%) nel braccio placebo (hazard ratio 0.80, intervallo di confidenza al 95% 0.73-0.88; p<0.001). Non sono stati rilevati, invece, effetti sulla mortalità cardiovascolare.

Per quanto riguarda gli eventi avversi, non sono state riscontate significative differenze nell’incidenza di nuovi casi di diabete, di disturbi muscolari o neurocognitivi tra i due gruppi. L’unica eccezione è stata una maggiore incidenza di reazioni locali nel sito di inoculo di EVO (2.1 vs 1.6%). I risultati complessivi di efficacia sono riportati nella Tabella 1.

Come valutare i risultati? Ci aspettavamo di più?

In effetti, in molti si aspettavano un risultato più eclatante, con una riduzione degli eventi non inferiore al 30% in corso di terapia con EVO8. Tuttavia, i risultati dello studio FOURIER richiedono una lettura attenta. Un primo aspetto che colpisce nell’analisi dei risultati è rappresentato dalla durata relativamente breve dello studio. In passato tutti i grandi trial di efficacia con farmaci ipolipemizzanti in pazienti clinicamente stabili hanno previsto periodi di follow-up decisamente superiori rispetto al FOURIER9. Nello studio TNT10, ad esempio, condotto in pazienti con cardiopatia ischemica cronica, il follow-up mediano era di 4.9 anni. Nel dettaglio, la durata relativamente breve dello studio FOURIER (follow-up mediano di soli 2.2 anni) ha certamente condizionato i risultati della sperimentazione ed appare riconducibile principalmente a due fattori: l’elevata incidenza di eventi cardiovascolari nella popolazione selezionata e le grandi dimensioni del campione.

Nella valutazione iniziale del campione oggetto dello studio, dettagliatamente riportata nel protocollo originale della sperimentazione11, i ricercatori avevano previsto un’incidenza di eventi maggiori (morte cardiovascolare, infarto miocardico o ictus) pari al 2% circa per anno nel gruppo placebo. Si prevedeva, quindi, un periodo di circa 56-58 mesi (4.8 anni) per il raggiungimento del numero di eventi necessari a dimostrare la superiorità di EVO rispetto al placebo (1630 eventi maggiori). Nei fatti, l’incidenza di eventi maggiori è risultata >3% per anno, favorendo un rapido raggiungimento del numero totale di eventi richiesti. Come già detto, poi, l’altro aspetto che ha certamente condizionato la rapida conclusione dello studio è costituito dalle grandi dimensioni della popolazione inclusa nella sperimentazione. In effetti, nel protocollo inizialmente presentato11 si prevedeva una popolazione di circa 22 500 pazienti. Tuttavia, successivamente, il reclutamento è stato esteso ed i pazienti hanno superato le 27 500 unità, con un incremento nelle dimensioni del campione di circa il 20%. Il numero di eventi attesi inizialmente definito non è stato, tuttavia, modificato, nonostante l’ampliamento del campione.

Nell’analisi dei risultati, inoltre, un altro aspetto di particolare interesse è rappresentato dall’evidenza di un possibile progressivo incremento del beneficio derivante dalla terapia con EVO dopo il primo anno di trattamento. Tale risultato è coerente con tutte le evidenze raccolte in merito all’efficacia delle terapie ipolipemizzanti in ambito di prevenzione cardiovascolare secondaria7,9. Questi interventi, infatti, dispiegano pienamente i loro effetti favorevoli in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo. La cosiddetta “landmark analysis”, che permette di valutare l’incidenza degli eventi in periodi temporali successivi tra loro durante il follow-up, indica nello studio FOURIER un’ulteriore progressiva riduzione del rischio dopo i primi 12 mesi di trattamento con EVO (Tabella 2). In effetti, la riduzione del rischio per l’endpoint primario passa dal 12% al 19% dopo il primo anno, mentre per l’endpoint secondario “chiave” la riduzione va dal 16% al 25%. Le curve di incidenza degli eventi maggiori nei due gruppi, infatti, continuano a divergere nel tempo, con un progressivo incremento del beneficio in favore di EVO (Figura 1).

Nel loro insieme i risultati dello studio appaiono sostanzialmente positivi. La sperimentazione dimostra che è possibile ottenere favorevoli risultati clinici riducendo il C-LDL con EVO in pazienti con evidenza di MCVA già trattati con statine. Nei fatti, la consistente riduzione del C-LDL ottenuta con EVO si accompagna ad un miglioramento della prognosi in un orizzonte temporale particolarmente breve, di poco superiore ai 2 anni, con una riduzione assoluta del rischio di eventi maggiori del 1.5% circa (Figura 2). Si deve ancora sottolineare che la durata dello studio assume particolare rilievo, soprattutto nell’eventualità di un confronto con gli studi clinici precedenti, che hanno valutato l’impatto delle statine sulla prognosi cardiovascolare. Queste sperimentazioni, infatti, hanno invariabilmente dimostrato una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori del 20-25% per ogni riduzione di 38 mg/dl (1 mmol/l) di C-LDL9. Tutte le sperimentazioni cliniche con farmaci ipolipemizzanti, tuttavia, si sono contraddistinte per un follow-up di durata decisamente più lunga rispetto al FOURIER, mediamente pari a circa 5 anni7,9. In effetti, l’apparente squilibrio tra entità della riduzione del C-LDL (in media 56 mg/dl) ed i benefici clinici (riduzione del 20% del rischio relativo di eventi cardiovascolari avversi maggiori) appare principalmente riconducibile alla durata del follow-up. Come già detto, la “landmark analysis” consente di comprendere che con un periodo di osservazione più lungo il risultato sarebbe stato sicuramente coerente in termini di rapporto tra riduzione del C-LDL e riduzione del rischio con quanto già dimostrato negli altri grandi studi clinici sulle terapie ipolipemizzanti7,9.

Per quali pazienti nella pratica clinica?

Nell’analizzare le potenzialità di un trasferimento alla pratica clinica dei risultati dello studio FOURIER bisogna tenere conto di alcuni particolari aspetti. In primo luogo, i pazienti inclusi nello studio avevano evidenza clinica di MCVA (80% dei pazienti aveva storia di pregresso infarto miocardico) ed un conseguente profilo di rischio cardiovascolare molto elevato, come indicato nelle attuali linee guida europee6. Questo aspetto è confermato dall’incidenza di eventi cardiovascolari avversi maggiori (morte cardiovascolare, infarto miocardico o ictus) nel corso della sperimentazione, che è risultata >3% per anno. Tutti i pazienti inclusi nello studio erano, inoltre, in trattamento con statine; nel 70% dei casi erano impiegate statine ad elevata efficacia ed i livelli di aderenza alla terapia ipolipemizzante erano molto elevati. Infine, i valori di colesterolemia presenti al momento della randomizzazione risultavano, in molti casi, sostanzialmente “contenuti”, con un C-LDL mediano all’avvio dello studio pari a 92 mg/dl. Giova ricordare che nel recente passato un tale valore di C-LDL sarebbe stato giudicato soddisfacente in prevenzione secondaria, in conformità alle linee guida internazionali vigenti fino a circa 10 anni or sono12,13.

Pertanto, volendo trasporre i risultati dello studio FOURIER alla pratica clinica, la terapia con EVO potrebbe essere presa in considerazione in pazienti con le seguenti caratteristiche:

1. evidenza clinica di MCVA,

2. livelli di C-LDL lontani dal target raccomandato dalle linee guida di circa il 30-50% (C-LDL >100 mg/dl), nonostante terapia ipolipemizzante ottimale (statine ad alta efficacia alla massima dose tollerata in combinazione con ezetimibe).

In pratica, si tratta, più o meno esattamente, dei pazienti per i quali l’Agenzia Italiana del Farmaco ha previsto la rimborsabilità per EVO da parte del Servizio Sanitario Nazionale14, predisponendo un apposito registro di monitoraggio che definisce nel dettaglio le modalità di selezione e di eleggibilità al trattamento15. Si deve anche sottolineare che analoghi criteri sono stati proposti anche nel documento intersocietario di consenso sulla gestione dell’ipercolesterolemia in Italia di recente pubblicazione16.

BIBLIOGRAFIA

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12. De Backer G, Ambrosioni E, Borch-Johnsen K, et al. European guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice. Third Joint Task Force of European and Other Societies on Cardiovascular Disease Prevention in Clinical Practice. Eur Heart J 2003;24:1601-10.

13. Graham I, Atar D, Borch-Johnsen K, et al. European guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice: executive summary: Fourth Joint Task Force of the European Society of Cardiology and Other Societies on Cardiovascular Disease Prevention in Clinical Practice. Eur Heart J 2007;28:2375-414.

14. Agenzia Italiana del Farmaco. Determina 1 febbraio 2017, no. 172/2017. Classificazione del medicinale per uso umano «Repatha», ai sensi dell’art. 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537. Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 31 del 7-2-2017.

15. Agenzia Italiana del Farmaco. Scheda registro Repatha. http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/Scheda_registro_Repatha_17.03.2017.zip [ultimo accesso 19 giugno 2017].

16. Gulizia MM, Colivicchi F, Ricciardi G, et al. Documento di consenso intersocietario ANMCO/ISS/AMD/ANCE/ARCA/FADOI/GICR-IACPR/SICI-GISE/SIBioC/SIC/SICOA/SID/SIF/SIMEU/SIMG/SIMI/SISA. Colesterolo e rischio cardiovascolare: percorso diagnostico-terapeutico in Italia. G Ital Cardiol 2016;17(6 Suppl 1):3S-57S.

IL PUNTO DI VISTA DI ALBERTO ZAMBON

Il colesterolo LDL (C-LDL) rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare universalmente riconosciuto1,2. Negli ultimi anni è stata identificata e studiata per le sue prospettive terapeutiche, una proteina, denominata proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9 (PCSK9), che riveste un ruolo centrale nel destino metabolico del recettore delle LDL. L’inibizione di PCSK9 mediante l’utilizzo di anticorpi monoclonali è associata ad una riduzione significativa del C-LDL del 50-70%, indipendentemente dal background terapeutico nel contesto del quale viene utilizzata (monoterapia o in associazione alla terapia ipolipemizzante attualmente disponibile, ad es. statina ± ezetimibe)3. Sino a marzo 2017, l’assenza di dati su endpoint clinici cardiovascolari lasciava inevaso il quesito se la riduzione di C-LDL ottenuta con gli inibitori di PCSK9, su un background di terapia ottimale con statina, eventualmente più ezetimibe, fosse associata ad una riduzione significativa degli eventi cardiovascolari.

La recente pubblicazione del trial FOURIER ha fornito l’evidenza clinica che evolocumab, un inibitore di PCSK9, riduce significativamente gli eventi cardiovascolari4 in pazienti a rischio cardiovascolare molto elevato già in terapia con statina. I risultati dello studio FOURIER sono un’ulteriore evidenza a favore del ruolo centrale della riduzione dei livelli plasmatici del C-LDL nella prevenzione degli eventi cardiovascolari. Hanno inoltre fornito una conferma rilevante ai dati del recente studio IMPROVE-IT5 che ha messo in luce come, in pazienti con recente episodio di sindrome coronarica acuta, livelli di C-LDL di 54 mg/dl, quindi al di sotto dei livelli ottimali suggeriti dalle attuali linee guida europee6, ottenuti con un approccio farmacologico non statinico su un background di terapia con statina, si associavano ad un’ulteriore significativa riduzione degli eventi cardiovascolari rispetto al gruppo trattato con sola statina. Con gli studi IMPROVE-IT e FOURIER si rafforzano le evidenze che: a) è la riduzione dei livelli di C-LDL a determinare il beneficio clinico cardiovascolare indipendentemente dall’approccio utilizzato per ottenere tale effetto, e b) che il beneficio clinico ottenuto è proporzionale all’entità della riduzione assoluta del C-LDL, espressa in mg/dl, anche in contesti basali di C-LDL considerati accettabili o addirittura ottimali per pazienti a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato.

Spunti di dibattito sui risultati del trial

Nello studio FOURIER, 27 564 pazienti con pregresso infarto miocardico, ictus ischemico o storia di vasculopatia periferica sintomatica e valori di C-LDL ≥70 mg/dl (1.8 mmol/l) o di colesterolo non-HDL ≥100 mg/dl (2.6 mmol/l) in corso di terapia con statina (nel 70% dei casi ad elevata efficacia), sono stati randomizzati ad evolocumab 140 mg s.c. ogni 2 settimane o 420 mg s.c. una volta al mese (n = 13 784), oppure a placebo (terapia con statina ottimizzata, n=13 780). Lo studio FOURIER è uno degli studi di prevenzione cardiovascolare con la più ampia popolazione arruolata. L’endpoint clinico primario era rappresentato da morte cardiovascolare, ictus e infarto miocardico non fatali, ospedalizzazione per angina instabile e rivascolarizzazione coronarica. L’endpoint secondario, dal punto di vista strettamente clinico sicuramente più robusto, era costituito da morte cardiovascolare, ictus ed infarto miocardico non fatali. La durata dello studio era prevista in funzione del raggiungimento di almeno 1630 eventi inclusi nell’endpoint secondario.

I livelli di C-LDL, al basale pari a 92 mg/dl (mediana), si sono ulteriormente ridotti del 60% nel gruppo trattato con evolocumab rispetto al gruppo in placebo (mediana a 26 mesi, C-LDL 30 mg/dl, p<0.001 vs placebo). L’aggiunta di evolocumab alla terapia con statina ha prodotto una riduzione significativa del 15% (p<0.001) dell’endpoint primario e del 20% (p<0.001) dell’endpoint secondario. Nessuno studio di prevenzione cardiovascolare secondaria ha evidenziato un risultato significativo su endpoint clinici cardiovascolari in un periodo di follow-up mediano di soli 26 mesi. Tali benefici sono stati osservati in tutti i sottogruppi considerati, ad esempio statine ad elevata o intermedia efficacia, differenti livelli di C-LDL basali, ecc. La durata mediana di soli 26 mesi del FOURIER potrebbe d’altro canto rappresentare uno dei limiti maggiori di questo studio. A tal proposito vale la pena notare che la riduzione dell’endpoint primario è stata del 12% il primo anno ed è salita al 19% dal secondo anno in poi suggerendo che un più lungo follow-up avrebbe verosimilmente prodotto risultati più consistenti. Il breve follow-up è stato spiegato dagli autori dello studio con una incidenza, nei pazienti arruolati, di eventi cardiovascolari maggiore del 50% rispetto al previsto e con un rapido reclutamento della popolazione arruolata così che almeno 10 000 pazienti reclutati hanno avuto un follow-up veramente breve, di circa 1 anno, prima della chiusura dello studio.

Un dato rilevante che emerge dal FOURIER è che una riduzione mantenuta nel tempo di C-LDL (C-LDL 30 mg/dl, gruppo in evolocumab), a livelli ben al di sotto degli obiettivi attualmente raccomandati per pazienti a rischio cardiovascolare molto elevato, ha prodotto una riduzione significativa degli endpoint considerati in un breve arco di tempo. In particolare, riferendoci alle componenti dell’endpoint secondario, ridotto complessivamente del 20% rispetto al gruppo di controllo, il rischio di ictus ischemico si è ridotto del 25% e quello di infarto miocardico del 27% durante un follow-up relativamente breve di 2.2 anni ed in pazienti che al basale avevano livelli di C-LDL già discretamente controllati e pari a 92 mg/dl. Un secondo aspetto degno di nota è che tali benefici sono stati osservati in assenza di rilevanti eventi avversi, sia correlati all’utilizzo di evolocumab sia al raggiungimento di livelli di C-LDL molto bassi: a tal proposito bisogna ricordare che un quarto dei pazienti nel gruppo in evolocumab ha raggiunto livelli di C-LDL di circa 20 mg/dl (mediana) senza comparsa di eventi avversi rilevanti.

Un risultato che ha suscitato ampio dibattito è l’assenza di beneficio sulla mortalità cardiovascolare che ha caratterizzato i pazienti in evolocumab (morti cardiovascolari n=251 [1.8%] vs n=240 [1.7%] evolocumab vs placebo; hazard ratio 1.05, intervallo di confidenza al 95% 0.88-1.25; p=0.62). Tale risultato riporta in effetti a quanto avvenuto nei primi studi con statine, prima della pubblicazione dello studio 4S7, ove l’assenza di risultati significativi sulla mortalità totale, ed in particolare cardiovascolare, è stata percepita come caratterizzante una classe di farmaci che si riteneva di limitato utilizzo e scarso beneficio clinico. La pubblicazione dello studio 4S7, che ha dimostrato un significativo impatto di simvastatina sulla riduzione della mortalità complessiva ed in particolare cardiovascolare, ha contribuito ad affievolire tale percezione, poi ulteriormente ridotta dai risultati sugli eventi cardiovascolari di molti trial clinici con statine, successivi al 4S, e dalle metanalisi sull’efficacia e sicurezza delle statine pubblicate dal 2005 in poi1,2.

A tal proposito è quindi utile considerare alcuni elementi che potrebbero spiegare l’assenza di un effetto significativo di evolocumab sulla mortalità cardiovascolare osservato nello studio FOURIER.

Evoluzione degli standard terapeutici basati sull’evidenza in pazienti in prevenzione cardiovascolare secondaria

L’assenza, nello studio FOURIER, di un effetto significativo nel gruppo trattato con evolocumab, rispetto al gruppo in placebo, sulla mortalità cardiovascolare è in realtà in linea con quanto osservato negli studi di prevenzione secondaria con statine pubblicati dal 2004 in poi (Figura 1), ove un approccio intensivo con dosi massimali di statina (nella maggioranza degli studi atorvastatina 80 mg/die) non ha portato a riduzioni significative della mortalità cardiovascolare rispetto al gruppo di pazienti che, in ciascun trial, era trattato con un dosaggio convenzionale di statina. Lungi dal suggerire l’assenza di efficacia della terapia con statina sugli eventi cardiovascolari, tale dato fa invece riflettere sui cambiamenti che hanno caratterizzato gli standard terapeutici ottimali di trattamento antiaggregante ed antipertensivo, basati sull’evidenza e supportati dalle attuali linee guida internazionali, in pazienti in prevenzione secondaria dagli anni ’90 del secolo scorso (4S pubblicato nel 1994) ad oggi.

Dallo studio FOURIER risulta che, al momento dell’arruolamento, il 75-90% dei pazienti studiati era in terapia con doppia antiaggregazione piastrinica, betabloccanti ed inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina/antagonisti recettoriali dell’angiotensina associati a farmaci antialdosteronici, sicuramente una terapia di background molto diversa da quella che caratterizzava i pazienti arruolati, ad esempio, nello studio 4S ove una percentuale massima del 30% assumeva terapia antipertensiva (monoterapia) ed acido acetilsalicilico. Inoltre, nello studio 4S il gruppo in placebo non assumeva alcuna terapia ipolipemizzante a fronte di un trattamento con statine (ad elevata efficacia nel 70%) in tutti i pazienti del gruppo placebo dello studio FOURIER4. Non stupisce quindi che nello studio FOURIER4 la mortalità cardiovascolare del gruppo placebo sia risultata meno di un terzo di quella osservata nello studio 4S7 e poco meno della metà di quanto rilevato nell’Heart Protection Study8. Questa osservazione si applica in misura variabile anche agli studi più recenti con statine elencati nella Figura 1 e contribuisce, almeno in parte, al mancato risultato positivo sulla mortalità cardiovascolare osservato in tali studi e nel trial FOURIER. In particolare nello studio FOURIER, il tasso ridotto di mortalità cardiovascolare complessiva avrebbe reso necessario l’arruolamento di un numero di pazienti superiore e soprattutto un periodo di osservazione più lungo dei 26 mesi di follow-up valutati (vedi paragrafo successivo), per dotare lo studio di potenza statistica sufficiente ad identificare un eventuale effetto significativo di evolocumab sulla mortalità cardiovascolare.

Breve durata del follow-up dello studio FOURIER

Un limite importante dello studio FOURIER è rappresentato dalla durata limitata del follow-up: una mediana di 26 mesi pari a 2.2 anni. I maggiori trial con statine o con associazione statina + ezetimibe in prevenzione secondaria risultano avere un follow-up medio di circa 5 anni9. Al di là delle considerazioni sulla tasso di mortalità cardiovascolare dei pazienti arruolati nel FOURIER dovuto alla presenza di elevati standard di terapia antiaggregante ed antipertensiva che avrebbero richiesto un periodo di osservazione ben più lungo di 26 mesi per evidenziare un eventuale effetto sulla mortalità, il dato interessante proviene proprio dai primi trial con statine di fine anni ’90 dove era evidente una riduzione significativa della mortalità complessiva e cardiovascolare. Nello studio 4S7 ad esempio, che ha valutato 4444 pazienti ipercolesterolemici (C-LDL al basale di 187 mg/dl) in prevenzione cardiovascolare secondaria trattati con simvastatina 20-40 mg/die o placebo (nessun ipolipemizzante), la mortalità totale è diminuita del 30% (p=0.0003), una riduzione quasi interamente dovuta alla diminuzione del 42% (p<0.00001) della mortalità coronarica. Tale dato significativo è stato poi confermato nel follow-up a 10 anni dello studio 4S (Figura 2). Proprio dall’analisi dello studio 4S si può notare come in questo trial le curve di mortalità al secondo anno di osservazione (durata mediana del FOURIER) non risultavano significativamente differenti, iniziando a discostarsi una dall’altra al terzo-quarto anno di studio (Figura 2). Appare quindi del tutto improbabile che un effetto significativo sulla mortalità cardiovascolare potesse essere osservato durante i 2.2 anni di follow-up mediano dello studio FOURIER, anche alla luce di quanto riportato nel paragrafo precedente sul background terapeutico profondamente cambiato nei pazienti in prevenzione secondaria dagli anni ’90 del secolo scorso ad oggi.

Tra le ulteriori considerazioni che possono essere menzionate in relazione alla mancata riduzione della mortalità cardiovascolare nei pazienti trattati con evolocumab nello studio FOURIER vale la pena ricordare che la definizione di morte per cause cardiovascolari, così come riportata in molti trial con statine e nello stesso studio FOURIER, non sempre riconosce l’aterosclerosi coronarica come evento terminale. La morte per cause tromboemboliche è annoverata tra le morti cardiovascolari anche se non sempre attribuibile all’aterosclerosi. La rottura di aneurismi aortici, ma anche valvulopatie o difetti del sistema di conduzione elettrico cardiaco possono portare a morte cardiovascolare. Risulta chiaro che terapie che influenzano i livelli di colesterolo, statine ed inibitori di PCSK9 ad esempio, hanno un impatto molto limitato sulle patologie sopramenzionate. Alcuni autori hanno inoltre menzionato la possibilità che l’assenza di efficacia sulla mortalità cardiovascolare riscontrata nel FOURIER possa essere influenzata, oltre che dal breve follow-up dello studio, da una riduzione dei benefici sugli eventi cardiovascolari osservabile a livelli molto bassi di C-LDL (<50 mg/dl) e da una rilevante variabilità di risposta in termini di riduzione di C-LDL nei pazienti trattati con inibitori di PCSK9.

Parametri di sicurezza

Tra gli eventi avversi che avevano focalizzato l’attenzione nei trial di fase 3 con gli inibitori di PCSK9, vanno annoverati i potenziali eventi avversi neurocognitivi, includendo sotto questo termine la perdita di memoria, la comparsa di amnesie, confusione mentale, delirio ed altre condizioni correlate. Lo studio EBBINGHAUS (Giugliano R.P., dati non pubblicati) ha arruolato 1974 pazienti partecipanti al FOURIER ed esenti da disturbi cognitivi all’inizio del trial. A tali pazienti è stato applicato un sofisticato set di test neurocognitivi (Cambridge Neuropsychological Test Automated Battery) al basale e, ripetutamente, nel corso dello studio. Nessun segno di declino cognitivo o di altre alterazioni della memoria visiva o spaziale è stato riscontrato nei pazienti dello studio in terapia con evolocumab, nemmeno nel sottogruppo con livelli estremamente bassi di C-LDL (<25 mg/dl). Degno di nota è anche il dato dello studio FOURIER che mette in luce come non sia stato segnalato un incremento di incidenza di nuovi casi di diabete nei pazienti trattati con evolocumab rispetto al gruppo placebo né la comparsa di autoanticorpi leganti o neutralizzanti evolocumab nel corso dello studio. Benché questi dati siano del tutto rassicuranti, trial clinici con follow-up più lunghi saranno necessari per confermare l’ottimo profilo di sicurezza sin qui evidenziato dagli anticorpi monoclonali anti-PCSK9.

Conclusioni

I risultati dello studio FOURIER evidenziano come, in pazienti a rischio molto elevato di eventi cardiovascolari, la terapia con evolocumab, anticorpo monoclonale inibente PCSK9, sia efficace nel ridurre significativamente gli eventi cardiovascolari già dopo un periodo di osservazione relativamente breve di 26 mesi ed a fronte di un ottimo profilo di sicurezza. L’assenza di risultati significativi sulla mortalità cardiovascolare nello studio FOURIER, nel gruppo di pazienti in terapia con evolocumab rispetto al gruppo placebo, è verosimile riconosca tra le cause determinanti la breve durata dello studio e la ridotta incidenza di mortalità cardiovascolare da ricondursi all’elevato standard, basato sull’evidenza, di terapie concomitanti per la riduzione del rischio cardiovascolare assunte dai pazienti dello studio, in particolare con farmaci antiaggreganti ed antipertensivi. La presentazione dei risultati dello studio ODYSSEY Outcomes11, prevista per i primi mesi del 2018, in pazienti arruolati da 4 a 52 settimane dopo un episodio di sindrome coronarica acuta randomizzati a terapia con alirocumab su un background di trattamento ipolipemizzante ottimale, contribuirà a delineare ulteriormente il profilo di efficacia e sicurezza degli anticorpi monoclonali anti-PCSK9.

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