In questo numero

processo ai grandi trial




Scompenso cardiaco: la grande sfida del futuro

Lo scompenso cardiaco rimane la grande sfida della cardiologia dell’immediato futuro poiché a fronte di un incremento costante dell’incidenza, sono poche le nuove opportunità terapeutiche che la ricerca clinica sembra offrire. In questo numero vengono affrontati tre grandi trial riguardanti tre diversi approcci terapeutici allo scompenso cardiaco i cui risultati pongono importanti interrogativi. Nello studio CHAMPION, Marco Guazzi presenta i risultati del follow-up a 18 mesi del trattamento con monitoraggio della pressione arteriosa polmonare rispetto al trattamento standard, in 550 pazienti in classe NYHA III. Anche in questa estensione di follow-up l’approccio invasivo con monitoraggio della pressione polmonare rispetto al trattamento standard risulta vincente, con una riduzione significativa delle ospedalizzazioni.

Gli stessi risultati positivi non sono invece stati osservati nello studio NEAT-HFpEF, commentato da Giuseppe Ambrosio, Erberto Carluccio e Maurizio Ferratini, in cui 110 pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata sono stati trattati in uno studio in doppio cieco, crossover con isosorbide dinitrato, per valutare il miglioramento della capacità funzionale. In questo contesto l’utilizzo dei nitrati non ha migliorato la capacità funzionale e il gruppo trattato era peraltro meno attivo rispetto al placebo.

Infine Domenico Scrutinio, Andrea Di Lenarda e Antonella Cherubini hanno commentato lo studio SOCRATES-REDUCED, uno studio di fase II in cui è stato testato vericiguat, uno stimolatore della guanilato ciclasi solubile, nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione depressa. Con tutti i limiti della studio di fase II, il vericiguat, sebbene sia stato ben tollerato ai dosaggi testati, non si è dimostrato in grado di ridurre significativamente le concentrazioni di NT-proBNP a 12 settimane, ed è pertanto importate attendere lo studio di fase III per verificare la reale efficacia clinica di questa nuova opportunità terapeutica.

Di fatto, ciò che sembra emergere dalla lettura di questi trial è che le nuove opportunità terapeutiche alla cura dello scompenso risiedono, più che in risposte di tipo farmacologico, in un diverso paradigma terapeutico, basato su un approccio diagnostico più accurato e conformato alle caratteristiche del singolo paziente. •

point break




Come cambierà l’interpretazione del valore dei peptidi natriuretici dopo l’introduzione degli antagonisti della neprilisina

L’uso dei peptidi natriuretici si è consolidato nell’iter diagnostico del paziente con scompenso cardiaco. BNP e NT-proBNP non solo infatti ci permettono di porre diagnosi differenziale di scompenso cardiaco, ma soprattutto ci possono guidare nella valutazione della risposta alla terapia. Ma cosa cambierà nella valutazione del valore di BNP e NT-proBNP nei pazienti trattati con LCZ696, un farmaco con un duplice effetto, antagonista dell’angiotensina II e inibitore dell’enzima neprilisina? Quali saranno le interconnessioni esistenti tra il sistema dei peptidi natriuretici e quello della neprilisina, e quali saranno i diversi comportamenti dei due peptidi in corso di terapia con LCZ696? Giuseppe Di Tano e Aldo Clerico in questo interessantissimo articolo fanno il punto della situazione su questo originale argomento, che ha importati risvolti pratici, alla luce delle indicazioni al trattamento con LCZ696, nei pazienti con scompenso cardiaco. •

al fondo del cuore




Il fallimento della terapia genica nel paziente con scompenso cardiaco: fine di un sogno o alba di un nuovo giorno?

L’utilizzo della terapia genica nella cura delle malattie cardiache e in particolare dello scompenso cardiaco è innanzitutto un grande sogno che la comunità cardiologica spera di poter vedere realizzato quanto prima. Marta Gigli et al. analizzano i risultati del trial CUPID 2 che ha valutato in 250 pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione ridotta l’infusione intracoronarica di virus adeno-associati di tipo 1 (AAV1)/SERCA2a vs placebo. Lo studio parte dal presupposto che nei pazienti con scompenso cardiaco è presente una ridotta espressione del reticolo sarcoplasmatico/endoplasmatico Ca2+-ATPasi2a (SERCA2a). Al di là però del razionale scientifico dello studio, i risultati non hanno mostrato alcun beneficio del trattamento rispetto al placebo. È questo un buon motivo per abbandonare questo filone di ricerca? Gli autori confutano questa ipotesi e danno motivazioni assolutamente di primo ordine per affidare alla terapia genica il futuro della terapia dello scompenso. •

rassegne




Abbiamo a disposizione dei biomarcatori cardiovascolari?

Sempre più spesso in ambito clinico una migliore prevenzione è legata alla possibilità di predire il rischio reale di malattia. Ci si chiede se esistano biomarcatori in grado di indirizzare la gestione clinica e terapeutica dei pazienti cardiologici, in considerazione del fatto che la malattia cardiovascolare è la principale causa di morte nel mondo e gli algoritmi disponibili per la stima del rischio cardiovascolare non identificano i soggetti a rischio più elevato. Fino ad ora non sono stati identificati biomarcatori umorali che correlino con lo sviluppo di malattia. Francesca Muscente e Raffaele De Caterina hanno quindi preso in rassegna gli studi che hanno valutato il valore aggiuntivo di alcuni marcatori di imaging non invasivo dell’aterosclerosi subclinica per definirne il potere predittivo di eventi aterotrombotici e la conseguente condotta terapeutica con l’antiaggregazione con aspirina in prevenzione primaria. Ad oggi l’ultrasonografia carotidea per lo studio della placca e la determinazione del calcio coronarico mediante tomografia computerizzata sono indagini raccomandate per stratificare i soggetti a rischio cardiovascolare intermedio, ma sono necessari studi randomizzati per stabilire l’efficacia di una strategia biomarcatore-guidata. •




Meglio usare o non usare la digitale?

A distanza di circa 230 anni dal primo utilizzo, la digitale, in accordo con le più recenti linee guida sulla fibrillazione atriale della Società Europea di Cardiologia, può essere impiegata per il controllo della frequenza di risposta ventricolare. Per contro Franco Cosmi et al. ci mettono in allerta ritenendo che attualmente l’utilizzo del farmaco debba essere sospeso in attesa di dati provenienti da trial clinici randomizzati, che ne sanciscano l’efficacia. In letteratura infatti numerosi studi osservazionali e retrospettivi e metanalisi hanno documentato un aumento della mortalità fino al 20% correlato alla terapia digitalica. Ad oggi sono però stati pianificati due studi randomizzati per valutare l’efficacia della digitale vs betabloccanti nel controllo della frequenza di risposta ventricolare dei pazienti con fibrillazione atriale (RATE-HF) e nello scompenso cardiaco congestizio con ridotta frazione di eiezione (DIGIT-HF). Conviene aspettarne i risultati prima di prescrivere la digitale? •




Il delicato management della terapia diuretica nello scompenso cardiaco cronico

Tutti i giorni i diuretici vengono usati nello scompenso cardiaco cronico, ma probabilmente senza la consapevolezza che siano farmaci sintomatici, che unicamente alleviano la dispnea e riducono gli edemi declivi. Non esistono infatti trial clinici randomizzati che abbiano dimostrato una riduzione della mortalità dei pazienti con l’impiego di questi farmaci, anche perché sono difficili da disegnare dato l’esiguo numero di eventi avversi nei soggetti con scompenso cardiaco “stabile” e l’ampia necessità di prescrizione di tali farmaci. C’è anche confusione sul come usarli: in caso di insufficienza cardiaca refrattaria meglio aumentarne la dose o associarli, e poi quando si possono sospendere? Occorre ribadire che un uso inappropriato dei diuretici può deteriorare la funzione renale e può portare a diuretico-resistenza. Pertanto, come sottolineano Pierpaolo Pellicori e Valentina Carubelli, la terapia diuretica dovrebbe essere individualizzata nel singolo paziente in base all’effettivo stato di congestione, che potrebbe essere misurato mediante la valutazione dei livelli circolanti di peptidi natriuretici o del diametro della vena cava inferiore con l’ecografia. Solo in tal modo si potrebbero ottenere risultati benefici sull’outcome dei pazienti. •




Il defibrillatore impiantabile nel fine vita

Ancora una volta si evince l’importanza della comunicazione tra medico e paziente. In questa rassegna si fa riferimento alla possibilità di disattivare il defibrillatore impiantabile nei pazienti terminali, dato il fatto che circa il 30% di questi soggetti riceve shock elettrici frequenti e dolorosi con conseguente peggioramento della qualità dell’ultimo periodo della vita, di per sé già colmo di sofferenza. Analizzando gli aspetti etici, clinici e relazionali emerge che la disattivazione del defibrillatore nel fine vita debba essere decisa dal paziente adeguatamente informato, che generalmente rifiuta tale possibilità perché percepita negativamente. Il principio di autonomia del paziente e il diritto alla conoscenza di tutti gli aspetti della malattia sono gli unici elementi da considerare per esprimere un vero giudizio etico. Massimo

Romanò et al. ribadiscono che è compito del cardiologo illustrare e discutere con il paziente e i familiari, fin dal momento dell’impianto del dispositivo, tutte le potenzialità e i limiti della terapia elettrica. •

studio osservazionale

Articolo del mese




La rete dello scompenso cardiaco acuto in Puglia

Da tempo è noto che un modello di rete “Hub & Spoke” possa ridurre le ospedalizzazioni dei pazienti affetti da scompenso cardiaco per riacutizzazione, con conseguente riduzione della spesa sanitaria. Lo studio multicentrico APULIA HF ha testato un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale integrato tra ambulatori ospedalieri, che garantiscono prestazioni complesse, e ambulatori territoriali, deputati alle valutazioni cardiologiche essenziali con l’obiettivo specifico di ridurre di almeno il 15% le ospedalizzazioni per riacutizzazione dello scompenso cardiaco. Mediante la valutazione di parametri clinici e strumentali, quali in particolare la bioimpedenziometria corporea ed i livelli sierici di peptide natriuretico cerebrale, sono state valutate la stabilità o l’instabilità dei 301 pazienti arruolati, in modo tale da poter effettuare aggiustamenti terapeutici per ripristinare precocemente lo stato di compenso cardiaco. Il modello pugliese illustrato ha portato ad una riduzione del 6% dei ricoveri dei pazienti, ad una maggiore aderenza alla terapia raccomandata dalle linee guida internazionali e ad una riduzione dei costi con riproducibilità dei risultati anche presso altri centri. Si auspica pertanto che possa diffondersi rapidamente anche in altre regioni italiane. •

dal particolare al generale




Quell’ombrellino che ripara il buco dell’infarto

Elisabetta Moscarella et al. presentano un interessante caso di difetto del setto interventricolare post-infartuale in una giovane donna. Il difetto del setto interventricolare post-infartuale sebbene, per fortuna, rappresenti una complicanza sempre meno frequente dell’infarto miocardico, quando si verifica è gravato da una mortalità altissima e non sempre l’intervento chirurgico è eseguibile e risolutivo. L’approccio percutaneo è sicuramente un’opportunità importantissima che in mani esperte può letteralmente salvare la vita al paziente colpito. •




Il brivido al cuore dello stress catecolaminergico

Davide Muratori et al. presentano un affascinante caso di cardiopatia acuta da stress catecolaminergico in paziente affetto da feocromocitoma. Gli effetti dell’iperstimolazione adrenergica sul miocardio sono ampiamente noti, ma l’aspetto interessante di questo caso clinico è l’utilizzo della risonanza magnetica, metodica che identifica con precisione gli effetti anatomici sul miocardico dell’eccesso di catecolamine. •