In questo numero

editoriale e linee guida




Un team multidisciplinare anche per l’endocardite infettiva
L’endocardite infettiva rappresenta tuttora un importante problema clinico e chirurgico la cui gestione in termini di profilassi e di trattamento non è ancora completamente risolta. Nel 2008 il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) aveva scoraggiato l’uso dell’antibiotico-profilassi prima di procedure odontoiatriche. Nel novembre 2014 alcuni degli stessi estensori di queste raccomandazioni avevano pubblicato un articolo nel quale riportavano un incremento significativo dell’incidenza di endocardite infettiva nel Regno Unito dopo la loro applicazione. Benedetta De Chiara e Piersilvio Gerometta ci riassumono le nuove raccomandazioni delle linee guida europee, che cercano di trovare un punto di equilibrio tra l’inutilità di un uso allargato della profilassi antibiotica e l’utilità invece di una corretta profilassi in un ristretto numero di pazienti a più alto rischio. È interessante sottolineare che le linee guida raccomandano, per gestire correttamente questa malattia, l’istituzione di team multidisciplinari di esperti (Endocarditis Team). Facile a dirsi, ma forse di non facile implementazione nella pratica quotidiana.  •

point break




Cuore e diabete: attenzione a quali farmaci

Che diabete mellito e malattie cardiovascolari siano strettamente collegate tra loro non è un mistero. Molteplici e complessi sono i meccanismi patogenetici che possono portare ad aterosclerosi nel diabete, e possono essere sia metabolici sia infiammatori. Non è facile conoscerli tutti. Quello che tutti i diabetologi ed i cardiologi devono però sapere è che la scelta del trattamento farmacologico del diabete deve essere fatta con attenzione, in quanto alcuni farmaci possono interferire negativamente con il cuore. Da quando la Food and Drug Administration ha emanato nel 2008 le raccomandazioni riguardo alla sicurezza dei farmaci antidiabetici, sono stati completati 4 studi di outcome cardiovascolare con incretine, di cui Angelo Avogaro ci fa un breve riassunto in questo “point break”. È clinicamente importante sottolineare che la maggior parte dei pazienti inclusi in questi studi era anziana, con una lunga durata di malattia, con presenza di malattia cardiovascolare conclamata o ad altissimo rischio per evento cardiovascolare. Rimangono ovviamente dei punti da discutere e da chiarire ma i risultati sono stati in generale rassicuranti. Avogaro conclude che la sicurezza cardiovascolare delle incretine e gli ultimi risultati di empagliflozin permettono sia ai diabetologi sia ai cardiologi di trattare la malattia diabetica, soprattutto nei pazienti complessi, senza il rischio di indurre gravi ipoglicemie ed eventi avversi. •

rassegne




Nuovi farmaci per il diabete e riduzione del rischio cardiovascolare
Curare il diabete e al tempo stesso prevenire gli eventi cardiovascolari? Questa sembra essere la nuova frontiera della terapia medica del diabete mellito, come ci spiegano Rosaria Vincenza Giglio et al. Gli analoghi del glucagone si sono rivelati farmaci efficaci nella cura del diabete di tipo 2 e sembra possano anche avere effetti benefici sul quadro metabolico dei pazienti diabetici, portando ad una riduzione del rischio cardiovascolare, indipendentemente dall’effetto ipoglicemizzante. Tra questi nuovi farmaci, liraglutide, la cui efficacia e sicurezza sono state indagate in una vasta rete di studi clinici di fase 3 conosciuti come LEAD, ha effetti ipolipemizzanti, riduce il peso corporeo, agisce sulla pressione arteriosa e sulla disfunzione endoteliale, riduce i marcatori infiammatori e sembra avere effetti antiaterogeni. Attendiamo di conoscere in dettaglio i risultati (che si preannunciano positivi) dello studio multicentrico LEADER, condotto su circa 9000 pazienti affetti da diabete di tipo 2, per capire gli effetti a lungo termine di liraglutide sulla morbilità e mortalità cardiovascolare. •




Un cardiologo come nutrizionista?
I pazienti ricoverati oggi in unità di terapia intensiva cardiologica (UTIC) sono molto cambiati rispetto al passato: sono spesso anziani, con gravi comorbilità e non raramente necessitano di procedure anche invasive complesse. Come ci spiegano Daria Brogi et al., oltre ai bisogni assistenziali standard necessitano di interventi multidisciplinari tra i quali la necessità di una corretta valutazione della malnutrizione e di un adeguato apporto nutrizionale. Si stima infatti che la prevalenza di malnutrizione ospedaliera sia intorno al 30% con punte del 50-60% nella popolazione anziana. La presenza di tale condizione influisce negativamente sull’outcome e sulla gestione del paziente ricoverato in UTIC. La malnutrizione ha importanti effetti sul “drive” respiratorio, sul sistema immunitario, sulle principali complicanze quali la sepsi, in definitiva incidendo profondamente sull’outcome clinico. Da queste premesse nasce la necessità di una maggior conoscenza da parte del cardiologo intensivista delle problematiche nutrizionali, della comprensione dell’importanza e dell’esecuzione metodica di una valutazione dello stato nutrizionale del paziente critico e dell’instaurarsi di un supporto energetico esogeno in tempi adeguati. I presidi nutrizionali visti come parte integrante della terapia standard in UTIC: una nuova sfida per il cardiologo intensivista. •

studio osservazionale
Articolo del mese




Un’opzione in più per l’embolia polmonare
L’embolectomia con catetere o la frammentazione del trombo non rappresentano più al giorno d’oggi un’opzione terapeutica futuristica ma una valida alternativa per il trattamento dell’embolia polmonare, in particolare in quei casi dove la trombolisi è fallita o è controindicata, o lo shock cardiogeno rappresenta una minaccia per il decesso del paziente prima che il trombolitico possa agire. Tuttavia nella realtà quotidiana la trombectomia percutanea non è utilizzata anche se spesso i dispositivi sono già presenti nei laboratori di emodinamica. Per tale ragione, l’Area Malattie del Circolo Polmonare ANMCO ha promosso un’indagine di tipo conoscitivo a livello nazionale, i cui risultati vengono riportati e discussi da Loris Roncon et al. La sfida è adesso quella di creare un registro nazionale sulle metodiche per il trattamento interventistico percutaneo dell’embolia polmonare, al fine di stimolare l’implementazione di tali procedure in Italia.

dal particolare al generale




Valve-in-valve di bioprotesi degenerata: quando e come
La degenerazione di bioprotesi in sede aortica è un evento ormai non infrequente. Il trattamento di scelta rimane a tutt’oggi l’intervento chirurgico cui però purtroppo l’età avanzata e le frequenti e pesanti comorbilità associate conferiscono un rischio spesso proibitivo. Tale contesto ha favorito l’utilizzo di una metodica alternativa, transcatetere, di correzione della bioprotesi aortica degenerata, denominata “valve-in-valve” e dati preliminari del Global Valve-in-Valve Registry sembrano incoraggianti in termini di sopravvivenza a 1 anno in pazienti selezionati. Roberto Adriano Latini et al. nel caso clinico proposto espongono con chiarezza sia la tecnica di impianto che, soprattutto, il processo logico seguito per la scelta della valvola più idonea a quel particolare paziente. In discussione gli autori passano poi in rassegna le condizioni predisponenti il verificarsi delle più comuni complicanze legate alla procedura, senza mai astrarsi dalla concretezza di riportare esempi pratici. Seppure ancora manchino chiare evidenze scientifiche in supporto della procedura valve-in-valve a confronto con il reintervento chirurgico, essa può essere proposta sin da ora in coloro che non possano essere operati o che presentano un elevato rischio chirurgico: in tale contesto essa rappresenta un’opzione concreta e relativamente sicura. •