Il ruolo dell’aderenza al trattamento farmacologico
nella terapia cronica delle malattie cardiovascolari:
documento intersocietario di consenso

Massimo Volpe1,2*, Luca Degli Esposti3, Francesco Romeo, Bruno Trimarco5s, Francesco Maria Bovenzi6+, Vittoria Mastromarino1, Allegra Battistoni1
1Cattedra e S.C. di Cardiologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Facoltà di Medicina,
Sapienza Università di Roma, A.O. Sant’Andrea, Roma
2IRCCS Neuromed, Pozzilli (IS)
3CliCon Srl – Health, Economics & Outcomes Research, Ravenna
4Cattedra di Cardiologia, Università degli Studi “Tor Vergata”, Roma
5Cattedra di Cardiologia, Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi “Federico II”, Napoli
6U.O. Cardiologia, Ospedale San Luca, Lucca

*Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa
°Società Italiana di Cardiologia
sSocietà Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare
+Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri
Chronic therapy with statins, antihypertensive and antiplatelet drugs is one of the most important interventions for primary and secondary prevention of cardiovascular disease.
Adherence to drug treatment is key to successful therapeutic intervention, especially in chronic conditions. This holds particularly true in the setting of cardiovascular diseases, because poor adherence may have serious adverse effects in terms of morbidity and mortality.
Many factors may contribute to poor adherence, which can be either patient-related or dependent on the healthcare system, the physician and the environment. The identification and appropriate correction of these factors may result in both clinical and economic benefits. In this setting it is also important to assess the implications of the increasing use of generic or equivalent drugs on adherence to pharmacological therapy.
Key words. Adherence; Cardiovascular disease; Cardiovascular prevention; Drug therapy; Generic drugs.

ADERENZA ALLA TERAPIA DELLE PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI: LE DIMENSIONI DEL PROBLEMA
Negli ultimi decenni, le malattie non trasmissibili hanno superato quelle trasmissibili come principale causa di morte a livello mondiale, essendo le malattie cardiovascolari (MCV) la causa primaria, con 17.3 milioni di morti l’anno. Questa stima è destinata a crescere a 23.6 milioni entro il 20301,2.
La terapia farmacologica con statine, farmaci antipertensivi ed antiaggreganti rimane l’intervento più importante per la prevenzione primaria e secondaria delle MCV, essendo responsabile di almeno il 50% della riduzione osservata in termini di mortalità per cardiopatia ischemica nel corso degli ultimi 20 anni almeno nei paesi occidentali3. Il ruolo centrale di questi farmaci nella terapia delle MCV è sostenuto da chiare evidenze derivate da molteplici vasti trial condotti negli ultimi 20 anni con diverse molecole originali. Di fatto, lo sviluppo clinico di queste molecole ha coinciso con l’affermazione della medicina basata sulle evidenze nella medicina moderna. Rispetto all’impegno, non solo economico, richiesto per lo sviluppo di nuovi farmaci, il semplice aumento dell’aderenza dei pazienti alla terapia prescritta, che di per sé comporta come inevitabile conseguenza l’aumento dei costi legati alla terapia farmacologica, riveste un enorme potenziale al miglioramento dello stato di salute, riducendo complessivamente i costi sanitari 4. Nella relazione del 2003 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha affermato infatti che “aumentare l’efficacia di adesione alla terapia potrebbe avere un impatto molto maggiore sulla salute della popolazione di qualsiasi miglioramento medico specifico”5. La scarsa aderenza alla terapia causerebbe 194 500 morti all’anno in Europa e si stima che costi circa 125 miliardi di euro/anno in Europa e 300 miliardi di dollari/anno negli Stati Uniti6,7.
LA SCARSA ADERENZA TERAPEUTICA: DEFINIZIONE, CAUSE E SOLUZIONI POSSIBILI
Con il termine “aderenza” ci si riferisce ad un comportamento attraverso il quale i pazienti rispettano tutte le indicazioni ed assumono i farmaci secondo le modalità previste dalla prescrizione del medico8. Per la maggior parte, il termine “aderenza” ha sostituito il termine “compliance” nella letteratura medica. Il paziente può essere “compliante” alle indicazioni ma solo la misura dell’aderenza terapeutica può riflettere l’efficace interazione tra medico e paziente per raggiungere gli obiettivi terapeutici prefissati. Questo cambiamento riflette la moderna concezione del rapporto medico-paziente in cui quest’ultimo collabora all’attuazione del progetto terapeutico, piuttosto che seguire passivamente le istruzioni dei medici. Nello specifico si può definire aderenza, e quindi misurarla, come la percentuale di pillole che il paziente assume secondo le modalità prescritte. Per convenzione, viene usato un “cut-point” di 80% per categorizzare l’aderenza ai farmaci cardiovascolari in adeguata/inadeguata.
Una seconda definizione di aderenza considera la durata di tempo durante il quale il paziente assume un farmaco, anche se in modo intermittente, prima di interromperlo prematuramente e in modo permanente. Con questa definizione, i pazienti sono classificati come non aderenti se interrompono un farmaco prima di un certo limite temporale. Il termine “persistenza” nel trattamento cronico riflette meglio questo concetto, sintetizzato nella letteratura anglosassone con lo “stay on therapy”. Per “non aderenza primaria” si intende una situazione in cui il paziente sospende l’assunzione di un farmaco prima ancora di esaurire la prima prescrizione, o addirittura prima ancora della prima assunzione 4,9.
La definizione di aderenza risulta più dibattuta in ambito cardiovascolare. Infatti, vi è forte motivo di sospettare che la soglia ottimale di aderenza possa variare tra i farmaci come risultato di differenze nelle proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche, ed è quindi concepibile che in determinati ambiti clinici, quale, ad esempio, l’uso di farmaci antiaggreganti dopo una procedura di stenting coronarico, la soglia ottimale di aderenza debba necessariamente essere considerata più alta e potrebbe anche raggiungere il 100% 4. Stessa considerazione può essere fatta per altre classi di farmaci salvavita, come ad esempio i nuovi anticoagulanti orali (NAO) anche in relazione all’impossibilità di garantire diversamente l’efficacia in terapia. Comunque, più in generale, l’importanza clinica dell’aderenza ottimale al trattamento nelle MCV è sempre molto alta, in considerazione del rischio, anche a breve termine, di condizioni come valori pressori non controllati o livelli di colesterolemia alti in presenza di cardiopatia ischemica 10-12.
In una metanalisi di 20 studi osservazionali che hanno coinvolto 376 162 pazienti, la prevalenza di inadeguata aderenza era del 43%13. Questo dato è simile alla stima presentata in un autorevole report dell’OMS5. Nei pazienti con malattia coronarica ​​documentata, i ricercatori della Duke University hanno dimostrato che l’uso costante di alcuni presidi farmacologici di primaria importanza come l’aspirina corrispondeva al 71%, dei betabloccanti soltanto al 46% e delle statine al 44%, mentre, addirittura, rispetto a tutte e tre le terapie in associazione, l’impiego raggiungeva soltanto il 21%14.
Il tasso di adeguata aderenza si riduce ancor di più nell’ambito della prevenzione primaria o in condizioni croniche che determinano trattamenti molto protratti o perenni come l’ipertensione arteriosa o la dislipidemia. L’aderenza è infatti generalmente più elevata tra i pazienti affetti da condizioni acute, rispetto a quelli affetti da patologie croniche. Come illustrato nella Figura 1, la persistenza tra i pazienti con patologie croniche è deludente, riducendosi drammaticamente dopo i primi 6 mesi di terapia 15-18. Un momento critico è poi rappresentato dalla dimissione dall’ospedale18,19, che, di fatto, riflette il passaggio di gestione terapeutica del paziente da un regime “sorvegliato” ad un processo legato a convinzioni, stile di vita, livello culturale e responsabilità fondamentalmente autonome del paziente.



La scarsa aderenza ai farmaci è associata a conseguenze negative sulla salute. Infatti, in primo luogo, ne deriva uno scarso controllo dei fattori di rischio come il controllo adeguato e costante di elevati valori pressori e la dislipidemia. Purtroppo, i medici sono spesso ampiamente inconsapevoli del fatto che la scarsa aderenza possa rappresentare il motivo principale degli insoddisfacenti risultati terapeutici ottenuti in alcuni dei loro pazienti. La sottovalutazione clinica di una scarsa aderenza ed il suo mancato riconoscimento possono quindi tradursi in un’inutile intensificazione del trattamento con la potenziale comparsa di effetti avversi e l’innesco di un “circolo vizioso” che di fatto può esacerbare la mancata aderenza 20.
La stima dell’aderenza terapeutica è di difficile identificazione nella pratica clinica. Essa si può effettuare attraverso metodi diretti, che comprendono l’osservazione diretta dell’assunzione del farmaco, la misura della concentrazione del farmaco o di un metabolita nel sangue o nelle urine. Tuttavia, questi metodi sono in realtà poco praticabili sia su larga scala sia su base individuale e tendono ad essere talora costosi. D’altra parte, l’impiego di metodi indiretti come questionari, contapillole, la misurazione dei marcatori biologici (es., i livelli di colesterolo LDL) o la compilazione di un diario di assunzione dei farmaci, sebbene meno onerosi, in alcuni casi sono inevitabilmente soggetti alla mistificazione volontaria o meno da parte del paziente 6,21. Approcci recenti hanno anche tentato di identificare profili psicologici specifici che possono predisporre alla scarsa aderenza22, al di là della necessaria valutazione da parte del medico del profilo personale, del livello socio-culturale, della volontà di collaborare, degli impegni lavorativi o familiari del paziente. Il medico deve contribuire, per quanto possibile, ad esercitare un ruolo proattivo per superare questi problemi anche adattando gli schemi terapeutici, magari semplificandoli nel timing e nel numero di somministrazioni. Da questo punto di vista, il superamento della possibile inerzia da parte del medico ed un potenziamento della comunicazione e del rapporto fiduciario con il paziente giocano un ruolo critico.
I fattori alla base della scarsa aderenza alla terapia sono, infatti, molteplici, ma possono essere divisi grossolanamente in quelli pertinenti il paziente, il medico prescrittore, il sistema sanitario e l’ambiente. Del primo gruppo fanno parte la mancanza di sostegno sociale, le remore circa i farmaci ed i loro effetti avversi, le limitazioni culturali e psicologico/cognitive, la scarsa conoscenza della propria patologia e la presenza di molteplici comorbilità4,14,23-25.
Le responsabilità del medico o, nel caso specifico, del cardiologo sono più frequentemente riconducibili alla scarsa comunicazione con i pazienti26 e alla complessità dei piani terapeutici27. Il sistema sanitario influenza l’aderenza soprattutto tramite la disponibilità ed i sistemi di rimborso, il prezzo del farmaco e l’accesso al follow-up da parte del paziente4, ma anche il fatto che le confezioni e la presentazione delle pillole cambino frequentemente può avere un ruolo importante28. I motivi ambientali si riferiscono alle condizioni più disparate, per esempio, l’accessibilità alle nuove prescrizioni o al “refilling” dei farmaci o, all’opposto, la circolazione incontrollata di notizie di stampa che possono sollevare preoccupazioni talora ingiustificate circa i farmaci e la loro sicurezza4.
I fattori che possono predire l’aderenza ad uno schema terapeutico riguardano caratteristiche del paziente come l’età, il sesso, o il livello socio-economico. Per esempio, circa l’aderenza ai farmaci cardiovascolari, è stata individuata un’associazione di tipo ad “U” con l’età. I pazienti ≥70 anni e <50 anni hanno infatti un’aderenza inferiore ai pazienti di mezza età (50-69 anni)29,30. Inoltre l’aderenza è generalmente più bassa nelle donne, nei pazienti con i redditi più bassi, in quelli con un maggior numero di prescrizioni e comorbilità4.
Numerosi sono i possibili interventi proposti per migliorare l’aderenza alla terapia. La maggior parte di questi interventi è diretto al superamento dei fattori riconducibili al paziente o al cardiologo prescrittore, o ancor di più al loro rapporto. Un maggior numero di colloqui motivazionali, l’uso di promemoria, tramite chiamate telefoniche o sms, o di sistemi di controllo telematici31, l’utilizzo di semplici diari, l’educazione circa l’utilità dei farmaci, i potenziali danni derivanti da una scarsa o incostante assunzione ed una descrizione ragionevole dei loro possibili effetti avversi, la conoscenza della propria malattia ed una maggiore attenzione allo stato di depressione sono solo alcuni dei metodi che si sono dimostrati efficaci (Tabella 1)4,30.




Un importante fattore che influenza positivamente l’aderenza è lo sviluppo di una consapevolezza da parte del paziente della necessità e dell’efficacia della terapia assunta32: il raggiungimento degli obiettivi terapeutici (es. il controllo dei valori pressori o di colesterolemia) e il miglioramento della sintomatologia motivano il paziente ad assumere i farmaci prescritti. Così anche la semplificazione del regime terapeutico, tramite la riduzione della frequenza e del numero totale di pillole che si deve assumere ogni giorno, può migliorare l’aderenza ai farmaci33. Per questo la semplificazione delle terapie farmacologiche cardiovascolari, ove possibile, mediante la combinazione di due o più classi di farmaci (es. farmaci antipertensivi, antipiastrinici, ecc.) in un’unica pillola deve essere presa sempre in considerazione34. Lo studio UMPIRE (Use of Multidrug Pill to Reduce Cardiovascular Events) recentemente pubblicato è stato il primo studio randomizzato disegnato per valutare a lungo termine l’efficacia di una strategia “fixed-dose combination” nel migliorare l’aderenza dei pazienti ai farmaci nella prevenzione cardiovascolare. L’aderenza nel gruppo polipillola era dell’85%, rispetto al 60% nel gruppo standard di cura (p<0.001)35. In una grande revisione sistematica di 76 studi clinici, Claxton et al.36 hanno rilevato che l’adesione era inversamente proporzionale alla frequenza di dosaggio. Inoltre, una recente metanalisi ha dimostrato che i pazienti con medici in grado di stabilire un solido rapporto comunicativo avevano un incremento del livello di aderenza del 19% e che i medici con competenze specifiche di comunicazione possono migliorare l’aderenza del 12%37. La comunicazione medico-paziente è infatti di cruciale importanza nel mantenimento della continuità terapeutica, soprattutto nelle MCV, in cui il vero fine della terapia è la prevenzione degli eventi.
BARRIERE ALLA CONTINUITÀ E COMPLIANCE CON IMPATTO SULL’EFFICACIA DEL TRATTAMENTO NELLE DIFFERENTI CONDIZIONI CARDIOVASCOLARI
L’importanza di intervenire efficacemente sulla scarsa aderenza è testimoniata soprattutto da dati che dimostrano un aumento degli eventi e della mortalità cardiovascolare nei pazienti non aderenti (Figura 2)38. D’altra parte, l’analisi del ruolo fondamentale dell’aderenza nella gestione delle diverse MCV è di grande importanza.



Ipertensione arteriosa
La scarsa aderenza alla terapia medica rappresenta la principale causa alla base dell’inadeguato controllo dei valori pressori in pazienti ipertesi4,39 e, come dimostrato da diversi studi, il mancato raggiungimento dei valori ottimali di pressione arteriosa aumenta significativamente il rischio di eventi cardio- e cerebrovascolari40,41. Viceversa, l’elevata aderenza alla terapia antipertensiva si associa non solo ad un miglior controllo della pressione arteriosa42,43, ma soprattutto ad un minor rischio di malattia coronarica44,45, infarto del miocardio46, scompenso cardiaco47 e ictus48. In uno studio condotto su oltre 18 000 pazienti con recente diagnosi di ipertensione arteriosa, con un follow-up medio di circa 5 anni, l’elevata aderenza alla terapia medica era associata ad una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari (sindromi coronariche acute, ictus, ischemia cerebrale transitoria) del 38%. Risultati simili sono emersi anche dall’ampio studio condotto dal gruppo di Degli Esposti49 su oltre 31 000 pazienti con recente diagnosi di ipertensione arteriosa con un follow-up di circa 2 anni, che ha dimostrato una riduzione fino al 47% del rischio di endpoint primario (mortalità per tutte le cause, ictus e infarto miocardico) in pazienti con elevata aderenza rispetto a quelli con scarsa aderenza. Nell’implementazione dell’aderenza al trattamento antipertensivo quattro fattori svolgono un peso primario: 1) l’efficacia documentata, 2) l’elevata tollerabilità, 3) il coinvolgimento del paziente nel monitorare l’efficacia attraverso l’automisurazione, 4) la semplificazione terapeutica.
Ipercolesterolemia
Come per i farmaci antipertensivi, anche per la terapia con le statine si registrano bassi livelli di aderenza50, e anche in questo caso, numerose evidenze mostrano come la maggiore aderenza, in prevenzione sia primaria che secondaria, si associ ad una significativa riduzione del rischio di eventi cardiovascolari fatali e non fatali, di ospedalizzazione e mortalità per tutte le cause38,51,52. Tra i pazienti affetti da cardiopatia ischemica, la scarsa compliance alla terapia ha gravi conseguenze. Lo studio condotto da Rasmussen et al.53 ha dimostrato che la scarsa aderenza alla terapia con statine nel corso dell’anno successivo ad un infarto del miocardio era causa di un aumento del rischio relativo per mortalità del 12-25% a seconda del grado di aderenza; e risultati simili emergevano anche per l’aderenza ai betabloccanti.
Cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco
Analogamente, in uno studio condotto su oltre 15 000 pazienti con malattia coronarica, Ho et al.18,54 hanno riscontrato che la non aderenza alla terapia era molto comune (il tasso di non aderenza era del 28.8% per i betabloccanti, del 21.6% per gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e del 26.0% per le statine), ed era associata ad un aumento del rischio di mortalità per tutte le cause, mortalità per cause cardiovascolari, ospedalizzazioni per infarto miocardico o scompenso cardiaco, e procedure di rivascolarizzazione coronarica. Inoltre, è stato ampiamente dimostrato che la prematura interruzione della terapia antiaggregante dopo un infarto miocardico acuto, in pazienti sottoposti ad angioplastica e posizionamento di uno stent medicato, aumenta fortemente il rischio di trombosi dello stent, infarto miocardico, morte e riospedalizzazione 55,56.
Anche nella gestione dei pazienti affetti da scompenso cardiaco, la non aderenza alla terapia farmacologica rappresenta un problema molto diffuso57 e si associa ad outcome peggiori, con aumentato rischio di ospedalizzazione e morte58,59.
ADERENZA E FARMACOECONOMIA
Le MCV rappresentano un problema clinico di estrema rilevanza non solo epidemiologica ma anche economica per tutti i sistemi sanitari a causa dell’elevata prevalenza e della natura cronica di tali patologie, la cui durata è misurabile in decenni. Inoltre, le MCV coinvolgono tutti i livelli dell’assistenza sanitaria, coesistono spesso con altre malattie croniche, esercitano un impatto negativo sulla qualità di vita delle persone, e, sebbene siano disponibili trattamenti farmacologici efficaci, spesso questi non sono adeguatamente applicati nella pratica clinica, inducendo elevati costi diretti e indiretti. In termini di costi, le MCV rappresentano la principale voce di spesa sanitaria nei paesi industrializzati: in Europa, nel 2003, la spesa globale è stata di 168 757 milioni di euro, di cui 104 555 milioni per costi diretti e 64 202 milioni per costi indiretti. In Italia, la spesa è stata di 16 848 milioni di euro, di cui 11 692 milioni per costi diretti (con una quota per farmaci pari a 4499 milioni) e 5156 milioni per costi indiretti 60. Nel 2013, in Italia, la spesa per i farmaci cardiovascolari (I livello di codice ATC) si è confermata al primo posto, sia in termini di entità di spesa farmaceutica complessiva, con 4194 milioni di euro (pari al 16.1% della spesa farmaceutica globale, che è stata di 26 034 milioni di euro) sia in termini di consumi di farmaco (525 DDD ogni 1000 abitanti/die)61. Il sistema sanitario italiano, come anche gli altri sistemi sanitari, alla luce della contenuta disponibilità di risorse, ha la necessità di contenere i costi senza diminuire il livello di salute della popolazione. Da ciò nasce l’obiettivo, più volte riproposto nei diversi piani sanitari nazionali, di far sì che gli interventi farmacologici siano attuati utilizzando farmaci che abbiano evidenza scientifica di efficacia e di sicurezza e che siano indirizzati verso i pazienti che ne possono trarre il maggiore beneficio. I benefici clinici conseguenti all’appropriato trattamento farmacologico dei fattori di rischio cardiovascolare sono stati ampiamente dimostrati nell’ambito degli studi clinici controllati, mentre il potenziale ritorno economico è stato spesso trascurato nella valutazione dell’uso dei farmaci nella pratica clinica. Il presupposto indispensabile per ottenere buoni risultati clinici dall’impiego dei farmaci nelle MCV è che il paziente sia aderente alla terapia prescritta in termini di dosaggio, numero di farmaci, durata (spesso sine die) del trattamento. Quando i farmaci sono utilizzati in maniera non ottimale, i sintomi e/o le condizioni cliniche possono peggiorare causando un decremento di salute nei pazienti ed un incremento del consumo di risorse sanitarie (accessi a visite mediche, esecuzione di accertamenti, ospedalizzazioni)62,63. Al contrario, pur essendo la spesa per farmaci una piccola quota della spesa sanitaria totale, una corretta scelta dei pazienti (quelli a maggior rischio) ed un’appropriata assunzione dei farmaci può far sì che modesti incrementi della spesa per farmaci inducano elevati decrementi della spesa per ospedalizzazioni con un bilancio finale di una significativa riduzione della spesa sanitaria globale64.
Poiché questi effetti benefici sono correlati ai livelli di aderenza alla terapia farmacologica, nella pratica clinica quotidiana un aspetto molto importante è quello di sensibilizzare e motivare i pazienti ad assumere i farmaci secondo le indicazioni mediche. Da un punto di vista di popolazione è importante avere indicatori in grado di valutare sia l’aderenza al trattamento farmacologico sia l’appropriatezza della prescrizione in rapporto alle caratteristiche cliniche dei pazienti. L’analisi degli archivi delle prescrizioni farmacologiche, opportunamente integrati da informazioni contenute in altri archivi (anagrafica dei cittadini, ricoveri ospedalieri, ecc.), è oggi un utile strumento, facilmente attivabile presso la totalità delle strutture sanitarie italiane, utilizzabile per tali valutazioni nella popolazione. In ambito farmacoeconomico, mentre l’uso di indicatori che misurano la quantità di farmaci prescritti porta a valutazioni in eccesso (o difetto) dei consumi e dei costi conseguenti e l’eventuale intervento correttivo è quantitativo e non determinato da valutazioni cliniche, la misurazione dell’aderenza (e persistenza) ai trattamenti farmacologici nelle MCV mediante indicatori appropriati permette di valutare le modalità d’uso dei farmaci, utilizzando come riferimento i dati derivati dalla medicina basata sulle evidenze, e di predisporre delle azioni che possono avere importanti riflessi sulla spesa sanitaria sia nel breve che nel medio-lungo periodo. L’identificazione di aree di sovra-utilizzo (prescrizioni al di fuori delle indicazioni cliniche, uso di molecole potenti e costose in pazienti a basso rischio) e di sotto-utilizzo (non aderenza e non continuità terapeutica, assenza di prescrizioni nei casi in cui vi sia l’indicazione ad effettuarle) può permettere una riduzione di spesa o, a parità di spesa, una riallocazione delle risorse con migliori risultati in termini di esiti clinici valutabili, nel medio-lungo periodo, come riduzione della morbilità e della mortalità cardiovascolare.
In conclusione, l’analisi dell’aderenza al trattamento farmacologico nelle MCV permette di ottenere utili informazioni sull’appropriatezza o meno dell’utilizzazione dei farmaci, di definire l’entità della spesa appropriata e non, e quindi di prevedere quali possano essere i benefici clinici ed economici in termini di morbilità.
IMPATTO DELL’IMPIEGO DEI FARMACI EQUIVALENTI E DELLE MODIFICAZIONI TERAPEUTICHE SULL’ADERENZA ALLA TERAPIA NELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Negli ultimi anni, per effetto delle numerose scadenze brevettuali in ambito di terapie cardiovascolari, è notevolmente incrementato il numero di farmaci equivalenti disponibili per i diversi principi attivi in ambito cardiovascolare. In ragione di tale situazione, appare rilevante dedicare il seguente paragrafo alle evidenze disponibili circa l’impatto dell’impiego dei farmaci equivalenti e delle modificazioni terapeutiche (es. la sostituzione tra equivalenti) sull’aderenza alla terapia nelle MCV.
Per “equivalente” si intende un medicinale non coperto da brevetto (off patent) e inserito dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in apposite liste, aggiornate mensilmente, che stabiliscono l’equivalenza tra più prodotti in termini di principio attivo, forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio e numero di unità posologiche (“liste di trasparenza”). I farmaci branded, cosiddetti “originator”, e unbranded, cosiddetti “generici”, compongono la categoria degli equivalenti. Alla scadenza brevettuale, per effetto dell’introduzione dei generici e della conseguente riduzione del prezzo, la spesa farmaceutica relativa alla molecola che ha perso il brevetto si riduce, “liberando” risorse finanziarie. I farmaci equivalenti di uno stesso principio attivo sono sottoposti ad un medesimo prezzo massimo di rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale (“prezzo di riferimento”) inferiore al prezzo dell’ originator prima della scadenza brevettuale.
I farmaci equivalenti possono essere prodotti solo quando i medicinali di marca (branded) hanno esaurito il periodo del brevetto e, secondo quanto stabilito dalla Drug Price Competition and Patent Term Restoration Act del 1984, richiedono una procedura semplificata per l’immissione in commercio che consente di non ripetere gli studi preclinici e le sperimentazioni cliniche, a patto che sia dimostrata la “bioequivalenza” rispetto al farmaco di riferimento. Per essere considerato bioequivalente, il farmaco generico deve dimostrare di avere una biodisponibilità simile a quella del farmaco di marca, ovvero, dopo la somministrazione della stessa dose molare, il farmaco generico deve rilasciare nella circolazione sistemica la stessa quantità di farmaco nello stesso intervallo di tempo rispetto al farmaco di riferimento, in modo da non comportare differenze significative in termini di efficacia e sicurezza.
In questo paragrafo sono riportate le principali evidenze e considerazioni relative alla valutazione dell’impatto dell’impiego dei farmaci equivalenti e delle modificazioni terapeutiche sull’aderenza alla terapia nelle MCV.
Rispetto al primo punto e, quindi, al livello di aderenza nei pazienti in trattamento con farmaci originator o generici, uno studio recentemente condotto su oltre 100 000 pazienti lombardi in trattamento antipertensivo ha dimostrato che i pazienti avviati al trattamento con i generici hanno presentato un rischio di interruzione del trattamento non differente da coloro che sono stati avviati al trattamento con il corrispettivo originator (hazard ratio [HR] 1.00; intervallo di confidenza [IC] 95% 0.98-1.02)65. Risultati analoghi sono stati ottenuti sui pazienti già in trattamento. Sarebbe auspicabile, data l’importanza giustamente assunta dall’approccio terapeutico basato sulle evidenze, che tali valutazioni fossero condotte routinariamente, estese a tutte le terapie per la prevenzione cardiovascolare (es. terapia ipolipemizzante, antiaggregante, anticoagulante) e che prendessero in considerazione, oltre all’aderenza al trattamento, anche i cosiddetti endpoint “hard” delle MCV, quali l’infarto miocardico acuto, l’ictus e la mortalità totale.
Rispetto al secondo punto e, quindi, al livello di aderenza nei pazienti in trattamento in funzione della modificazione terapeutica, uno studio americano condotto su quasi 40 000 pazienti con fibrillazione atriale in trattamento con anticoagulanti orali ha dimostrato che, rispetto ai pazienti costantemente mantenuti in trattamento con Coumadin, i pazienti che sono stati sottoposti a modificazione terapeutica da Coumadin a generico hanno evidenziato un maggior rischio di eventi trombotici ed emorragici (HR 1.81; IC 95% 1.42-2.31) 66. Evidenze simili sono state osservate per coloro che sono stati sottoposti a modificazione terapeutica da generico a Coumadin (HR 1.76; IC 95% 1.35-2.30) e da generico a generico (HR 1.89; IC 95% 1.57-2.29). Anche in questa situazione, la generazione di evidenze estese anche alle altre terapie per la prevenzione cardiovascolare (es. terapia antipertensiva, ipolipemizzante, anticoagulante) potrebbe essere estremamente utile per regolamentare il numero di farmaci equivalenti disponibili per uno stesso principio attivo e la sostituibilità tra farmaci equivalenti in uno stesso paziente in trattamento. Infatti, se i risultati dello studio appena citato fossero confermati, la disponibilità di numerosi farmaci equivalenti per uno stesso principio attivo e la normativa circa la sostituibilità tra farmaci equivalenti andrebbero rivalutati, in quanto fattori correlati ad una ridotta aderenza al trattamento.
In definitiva, le evidenze rispetto all’impatto dell’impiego dei farmaci equivalenti e delle modificazioni terapeutiche sull’aderenza alla terapia nelle MCV sembrano dimostrare, da un lato, la sovrapponibilità tra farmaci originator e farmaci generici rispetto all’aderenza al trattamento e, dall’altro, il maggior rischio di non aderenza dei pazienti sottoposti a modificazione terapeutica (“switch” da originator a generico, da generico a originator oppure da generico a generico). Tale rischio associato alla sostituibilità tra farmaci equivalenti andrebbe preso in considerazione soprattutto nelle terapie per la prevenzione cardiovascolare data la rilevanza delle MCV e la criticità dell’aderenza al trattamento, soprattutto in relazione ad alcuni principi attivi che prevedono la disponibilità di numerosi prodotti equivalenti28 e, infine, soprattutto per alcune categorie di pazienti, tra cui gli anziani, che generalmente hanno molteplici terapie in atto e risultano, quindi, sottoposti ad un maggior rischio di confusione67.
riassunto
La terapia cronica con statine, farmaci antipertensivi ed antiaggreganti risulta ad oggi l’intervento più importante per la prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari.
L’aderenza del paziente al trattamento farmacologico è un elemento di fondamentale importanza nel successo dell’intervento terapeutico, soprattutto nelle condizioni croniche, ed in particolare nelle malattie cardiovascolari. Infatti, in quest’ultimo contesto la scarsa aderenza può avere effetti molto gravi anche in termini di morbilità e mortalità.
Vi sono molti fattori alla base della scarsa aderenza, che possono essere attribuiti non solo al paziente, ma anche al sistema sanitario, al medico e all’ambiente. Riconoscere e correggere tali fattori può determinare considerevoli benefici non solo clinici ma anche economici. In tale contesto appare anche importante valutare le implicazioni sull’aderenza alla terapia farmacologica legate al crescente impiego dei farmaci generici o equivalenti.
Parole chiave. Aderenza; Farmaci equivalenti; Malattie cardiovascolari; Prevenzione cardiovascolare; Terapia farmacologica.
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